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domenica 22 aprile 2012

Video Vangelo: III Domenica di Pasqua

L'uomo: una povertà in cammino

3^ Domenica di Pasqua
(Lc 24,35-48) 

Ancora “pace a voi!” E’ di nuovo Gesù in persona che lo dice! E’ lui in persona, ma i discepoli lo credono un fantasma. E’ il colmo! Ma perché lo credono un fantasma? Perché erano spaventati. Perché erano loro ad essere abitati da fantasmi, cioè turbamento, paure e dubbi che non permettevano loro di vedere la realtà, ma rimanevano avvolti in quella caligine. Ecco perché tante volte, anche noi, non riusciamo a vedere Gesù nella nostra vita: c’è una coltre di preoccupazioni, angosce e paure che ce lo vela e lo rende come un fantasma.

• Come fare per non essere dei fantasmi

Ma a volte, pure noi siamo come dei fantasmi. Quando? Quando non siamo coerenti con ciò che professiamo: diciamo una cosa e ne facciamo un’altra; vogliamo apparire ciò che non siamo. Quando siamo vuoti dentro e le nostre parole sono piene di vento. Per essere convincenti bisogna prima essere coerenti, altrimenti siamo maschere ambulanti e fantasmi svolazzanti.
Questa apparizione di Gesù risorto, raccontata da Luca è l’esperienza dell’incontro con Gesù vivo. E’ la conferma che lui è veramente risorto. Fino ad allora, del Signore risorto, c’era stata solo una prova in negativo, cioè il sepolcro vuoto, ma Lui in persona, vivo e vero, nessuno l’aveva ancora visto. E il sepolcro vuoto non può essere la prova della risurrezione, ma solo della sparizione del corpo del Signore. L’esperienza positiva dell’incontro non era ancora avvenuta. Oltretutto le prime testimoni del sepolcro vuoto erano state delle donne che avevano avuto anche una visione di angeli. Ma, si sa, alle donne e agli angeli non tutti ci credono… Nel mondo giudaico la testimonianza delle donne, non aveva alcun valore ufficiale, ma ne aveva per Gesù che, assolutamente libero dai condizionamenti socio-culturali dell’epoca, scelse di apparire per primo a Maria Maddalena.

• Primo giorno da Risorto

E’ dunque il primo giorno della vita gloriosa di Gesù sulla Terra che, anche da risorto, si fa pellegrino e viandante che va ad incrociare le strade dei discepoli scoraggiati e sfiduciati. Talmente sfiduciati che lo credono un fantasma, lo credono defunto e così non lo riconoscono. Ma poco a poco, ascoltando la Sua voce, il loro cuore diventa incandescente. E Lui continua a camminare con loro tutto il giorno, fino a sera. Perché l’uomo è proprio questo: una realtà in cammino, o meglio, “l’uomo è una povertà in cammino verso la divina pienezza” (Don Michele Do). I due di Emmaus per un po’ hanno avuto la grazia insigne di camminare con QUELLA pienezza, senza però riconoscerla. La riconobbero solo dopo e allora, il cuore ardente fece loro riprendere il cammino per tornare a Gerusalemme ad annunciarla. E mentre erano lì, Gesù apparve anche agli altri discepoli.

• Perché non lo riconobbero?

Questa volta dunque non c’è più soltanto il sepolcro vuoto, ma c’è Gesù vivo e vero. Ma perché non l’hanno riconosciuto subito? Perché lo credevano lontano, fuori dal loro orizzonte e dalla loro vita. E quand’è che noi non Lo riconosciamo? Quando siamo convinti che sia lontano, che non si occupi di noi, che non si interessi alla nostra vita. Allora, come i discepoli, diventiamo tristi, sfiduciati e scoraggiati. Eppure se ci pensiamo bene, quante volte anche noi l’abbiamo incontrato, ma solo dopo l’abbiamo riconosciuto. Quanti luoghi dell’incontro che ognuno potrebbe enumerare, dove Lui ha attraversato la nostra vita, ha incrociato i nostri passi e ci ha rivelato il senso del nostro andare e del nostro cercare. E ci ha dato nuovo coraggio per riprendere il cammino. E ogni giorno ci sarà per noi un nuovo “Emmaus” dove Lui ci aspetta per affiancarci nel cammino e rivelarci il suo progetto. Tocca a noi riconoscerlo e scoprire la fiamma che aveva già acceso nel nostro cuore.

Wilma Chasseur

giovedì 19 aprile 2012

Benedetto XVI: con la preghiera illuminiamo la nostra vita

Udienza Generale di Papa Benedetto XVI - 18 Aprile 2012

BENEDETTO XVI

UDIENZA GENERALE

Piazza San Pietro
Mercoledì, 18 aprile 2012


Cari fratelli e sorelle,

dopo le grandi feste, ritorniamo adesso alle catechesi sulla preghiera. Nell’udienza prima della Settimana Santa ci siamo soffermati sulla figura della Beata Vergine Maria, presente in mezzo agli Apostoli in preghiera nel momento in cui attendevano la discesa dello Spirito Santo. Un’atmosfera orante accompagna i primi passi della Chiesa. La Pentecoste non è un episodio isolato, poiché la presenza e l’azione dello Spirito Santo guidano e animano costantemente il cammino della comunità cristiana. Negli Atti degli Apostoli, infatti, san Luca, oltre a raccontare la grande effusione avvenuta nel Cenacolo cinquanta giorni dopo la Pasqua (cfr At 2,1-13), riferisce di altre irruzioni straordinarie dello Spirito Santo, che ritornano nella storia della Chiesa. E quest’oggi desidero soffermarmi su quella che è stata definita la «piccola Pentecoste», verificatasi al culmine di una fase difficile nella vita della Chiesa nascente.

Gli Atti degli Apostoli narrano che, in seguito alla guarigione di un paralitico presso il Tempio di Gerusalemme (cfr At 3,1-10), Pietro e Giovanni vennero arrestati (cfr At 4,1) perché annunciavano la Risurrezione di Gesù a tutto il popolo (cfr At 3,11-26). Dopo un processo sommario, furono rimessi in libertà, raggiunsero i loro fratelli e raccontarono quanto avevano dovuto subire a causa della testimonianza resa a Gesù il Risorto. In quel momento, dice san Luca, «tutti unanimi innalzarono la loro voce a Dio» (At 4,24). Qui san Luca riporta la più ampia preghiera della Chiesa che troviamo nel Nuovo Testamento, alla fine della quale, come abbiamo sentito, «il luogo in cui erano radunati tremò e tutti furono colmati dello Spirito Santo e proclamavano la Parola di Dio con franchezza» (At 4,31).

Prima di considerare questa bella preghiera, notiamo un atteggiamento di fondo importante: di fronte al pericolo, alla difficoltà, alla minaccia, la prima comunità cristiana non cerca di fare analisi su come reagire, trovare strategie, come difendersi, quali misure adottare, ma, davanti alla prova, si mette in preghiera, prende contatto con Dio.

E che caratteristica ha questa preghiera? Si tratta di una preghiera unanime e concorde dell’intera comunità, che fronteggia una situazione di persecuzione a causa di Gesù. Nell’originale greco san Luca usa il vocabolo «homothumadon» - «tutti insieme», «concordi» – un termine che appare in altre parti degli Atti degli Apostoli per sottolineare questa preghiera perseverante e concorde (cfr At 1,14; 2,46). Questa concordia è l'elemento fondamentale della prima comunità e dovrebbe essere sempre fondamentale per la Chiesa. Non è allora solo la preghiera di Pietro e di Giovanni, che si sono trovati nel pericolo, ma di tutta la comunità, perché quanto vivono i due Apostoli non riguarda soltanto loro, ma tutta la Chiesa. Di fronte alle persecuzioni subite a causa di Gesù, la comunità non solo non si spaventa e non si divide, ma è profondamente unita nella preghiera, come una sola persona, per invocare il Signore. Questo, direi, è il primo prodigio che si realizza quando i credenti sono messi alla prova a causa della loro fede: l’unità si consolida, invece di essere compromessa, perché è sostenuta da una preghiera incrollabile. La Chiesa non deve temere le persecuzioni che nella sua storia è costretta a subire, ma confidare sempre, come Gesù al Getsemani, nella presenza, nell’aiuto e nella forza di Dio, invocato nella preghiera.

Facciamo un passo ulteriore: che cosa chiede a Dio la comunità cristiana in questo momento di prova? Non chiede l’incolumità della vita di fronte alla persecuzione, né che il Signore ripaghi coloro che hanno incarcerato Pietro e Giovanni; chiede solamente che le sia concesso «di proclamare con tutta franchezza» la Parola di Dio (cfr At 4,29), cioè prega di non perdere il coraggio della fede, il coraggio di annunciare la fede. Prima però cerca di comprendere in profondità ciò che è accaduto, cerca di leggere gli avvenimenti alla luce della fede e lo fa proprio attraverso la Parola di Dio, che ci fa decifrare la realtà del mondo.

Nella preghiera che eleva al Signore, la comunità parte dal ricordare e invocare la grandezza e immensità di Dio: «Signore, tu che hai creato il cielo e la terra, il mare e tutte le cose che in essi si trovano» (At 4,24). E' l'invocazione al Creatore: sappiamo che tutto viene da Lui, che tutto è nelle sue mani. Questa è la consapevolezza che ci dà certezza e coraggio: tutto viene da Lui, tutto è nelle sue mani. Passa poi a riconoscere come Dio abbia agito nella storia - quindi comincia con la creazione e continua nella storia -, come è stato vicino al suo popolo mostrandosi un Dio che si interessa dell’uomo, che non si è ritirato, che non abbandona l’uomo sua creatura; e qui viene citato esplicitamente il Salmo 2, alla luce del quale viene letta la situazione di difficoltà che sta vivendo in quel momento la Chiesa. Il Salmo 2 celebra l’intronizzazione del re di Giuda, ma si riferisce profeticamente alla venuta del Messia, contro il quale nulla potranno fare la ribellione, la persecuzione, il sopruso degli uomini: «Perché le nazioni si agitarono e i popoli tramarono cose vane? Si sollevarono i re della terra e i principi si allearono insieme contro il Signore e contro il suo Cristo» (At 4,25). Questo dice già profeticamente il Salmo sul Messia, ed è caratteristica in tutta la storia questa ribellione dei potenti contro la potenza di Dio. Proprio leggendo la Sacra Scrittura, che è Parola di Dio, la comunità può dire a Dio nella sua preghiera: «davvero in questa città … si sono radunati insieme contro il tuo santo servo Gesù, che tu hai consacrato, per compiere ciò che la tua mano e la tua volontà avevano deciso che avvenisse» (At 4,27). Ciò che è accaduto viene letto alla luce di Cristo, che è la chiave per comprendere anche la persecuzione; la Croce, che sempre è la chiave per la Risurrezione. L’opposizione verso Gesù, la sua Passione e Morte, vengono rilette, attraverso il Salmo 2, come attuazione del progetto di Dio Padre per la salvezza del mondo. E qui si trova anche il senso dell’esperienza di persecuzione che la prima comunità cristiana sta vivendo; questa prima comunità non è una semplice associazione, ma una comunità che vive in Cristo; pertanto, ciò che le accade fa parte del disegno di Dio. Come è successo a Gesù, anche i discepoli incontrano opposizione, incomprensione, persecuzione. Nella preghiera, la meditazione sulla Sacra Scrittura alla luce del mistero di Cristo aiuta a leggere la realtà presente all’interno della storia di salvezza che Dio attua nel mondo, sempre nel suo modo.

Proprio per questo la richiesta che la prima comunità cristiana di Gerusalemme formula a Dio nella preghiera non è quella di essere difesa, di essere risparmiata dalla prova, dalla sofferenza, non è la preghiera di avere successo, ma solamente quella di poter proclamare con «parresia», cioè con franchezza, con libertà, con coraggio, la Parola di Dio (cfr At 4,29).

Aggiunge poi la richiesta che questo annuncio sia accompagnato dalla mano di Dio, perché si compiano guarigioni, segni, prodigi (cfr At 4,30), cioè sia visibile la bontà di Dio, come forza che trasformi la realtà, che cambi il cuore, la mente, la vita degli uomini e porti la novità radicale del Vangelo.

Alla fine della preghiera – annota san Luca - «il luogo in cui erano radunati tremò e tutti furono colmati di Spirito Santo e proclamavano la parola di Dio con franchezza» (At 4,31), il luogo tremò, cioè la fede ha la forza di trasformare la terra e il mondo. Lo stesso Spirito che ha parlato per mezzo del Salmo 2 nella preghiera della Chiesa, irrompe nella casa e ricolma il cuore di tutti coloro che hanno invocato il Signore. Questo è il frutto della preghiera corale che la comunità cristiana innalza a Dio: l’effusione dello Spirito, dono del Risorto che sostiene e guida l’annuncio libero e coraggioso della Parola di Dio, che spinge i discepoli del Signore ad uscire senza paura per portare la buona novella fino ai confini del mondo.

Anche noi, cari fratelli e sorelle, dobbiamo saper portare gli avvenimenti della nostra vita quotidiana nella nostra preghiera, per ricercarne il significato profondo. E come la prima comunità cristiana, anche noi, lasciandoci illuminare dalla Parola di Dio, attraverso la meditazione sulla Sacra Scrittura, possiamo imparare a vedere che Dio è presente nella nostra vita, presente anche e proprio nei momenti difficili, e che tutto - anche le cose incomprensibili - fa parte di un superiore disegno di amore nel quale la vittoria finale sul male, sul peccato e sulla morte è veramente quella del bene, della grazia, della vita, di Dio.

Come per la prima comunità cristiana, la preghiera ci aiuta a leggere la storia personale e collettiva nella prospettiva più giusta e fedele, quella di Dio. E anche noi vogliamo rinnovare la richiesta del dono dello Spirito Santo, che scaldi il cuore e illumini la mente, per riconoscere come il Signore realizzi le nostre invocazioni secondo la sua volontà di amore e non secondo le nostre idee. Guidati dallo Spirito di Gesù Cristo, saremo capaci di vivere con serenità, coraggio e gioia ogni situazione della vita e con san Paolo vantarci «nelle tribolazioni, sapendo che la tribolazione produce pazienza, la pazienza la virtù provata e la virtù provata la speranza»: quella speranza che «non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato donato» (Rm 5,3-5). Grazie.

mercoledì 18 aprile 2012

La Summa Teologica - Sessantunesima parte


Torna l'appuntamento di approfondimento della Summa Teologica di San Tommaso d'Aquino, un'opera che diede un fondamento scientifico, filosofico e teologico alla dottrina cristiana. Continuiamo a scoprire la parte dedicata al Trattato relativo all'essenza di Dio, e continuiamo a soffermarci sulla nostra conoscenza di Dio:

Prima parte
Trattato relativo all'essenza di Dio

La nostra conoscenza di Dio > Se coloro che vedono Dio nella sua essenza lo comprendano

Prima parte
Questione 12
Articolo 7


SEMBRA che coloro che vedono Dio per essenza lo comprendano. Infatti:
1. S. Paolo dice: "Continuo a correre per arrivare a comprendere". Ora, non correva invano giacché egli stesso dice: "dunque io corro, ma non come alla ventura". Dunque egli è arrivato a comprendere: e per la stessa ragione tutti gli altri che a ciò invita dicendo: "Correte anche voi così da comprendere".

2. S. Agostino dice: "Una cosa si comprende quando è talmente vista nella sua totalità, che niente di essa sfugge a chi vede". Ora, se Dio si vede nella sua essenza, si vede tutto, e niente di lui si cela a chi lo vede, essendo Dio semplice. Dunque chi lo vede per essenza, lo comprende.

3. Se uno dicesse: "si vede tutto, ma non totalmente", si ribatte: totalmente o si riferisce al conoscente o al conosciuto. Ora, ammesso che si riferisca all'oggetto conosciuto, colui che vede Dio per essenza, lo vede totalmente, perché, si è già visto, lo vede così com'è. E anche se (il termine) viene riferito al soggetto conoscente (si deve dire) che vede Dio totalmente, perché l'intelligenza vedrà l'essenza di Dio con tutto il suo vigore. Perciò chiunque vedrà Dio per essenza lo vedrà totalmente. Quindi lo comprenderà.

IN CONTRARIO: Sta scritto: "O fortissimo, o grande, o potente, il cui nome è il Signore degli eserciti; grande nel consiglio, incomprensibile nel pensiero". Dunque (Dio) non si può comprendere.

RISPONDO: È impossibile per qualsiasi intelletto creato comprendere Dio; "ma raggiungere con la mente Dio in qualunque maniera è una grande felicità", come dice S. Agostino.
Per capire bene ciò, bisogna sapere che comprendere una cosa vuol dire conoscerla alla perfezione. Si conosce poi alla perfezione ciò che si conosce tanto quanto è conoscibile. Quindi, se una cosa che è conoscibile per dimostrazione scientifica, fosse ritenuta soltanto come opinione fondata su ragioni probabili, non si comprenderebbe. P. es.: se uno sa per dimostrazione che il triangolo ha i tre angoli uguali a due retti, comprende tale verità; uno invece che l'accetti come opinione probabile, perché così è affermato dai dotti o dai più, non la comprende; perché non ha raggiunto il perfetto grado di cognizione, secondo il quale la cosa è conoscibile.
Ora, nessun intelletto creato può arrivare a quel perfetto grado di cognizione della divina essenza secondo il quale è conoscibile. Il che si chiarisce così. Ogni cosa è conoscibile nella misura che è ente in atto. Dio, dunque, il cui essere, come abbiamo già dimostrato, è infinito, è infinitamente conoscibile. D'altra parte, nessun intelletto creato può conoscere Dio infinitamente. Infatti un intelletto creato conosce più o meno perfettamente la divina essenza a seconda che è perfuso di un maggiore o minore lume di gloria. Conseguentemente, non potendo essere infinito il lume di gloria ricevuto in qualsiasi intelletto creato, è impossibile che un'intelligenza creata conosca Dio infinitamente. Quindi è impossibile che comprenda Dio.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. La parola comprensione s'intende in due modi. Primo modo: in senso stretto e proprio, indica che qualche cosa è racchiuso nel comprendente. E in questo senso Dio non è compreso in nessun modo né da un'intelligenza, né da qualsiasi altra cosa; perché, essendo infinito, non può essere racchiuso da un essere finito, in modo che l'essere finito lo contenga nella sua illimitata infinità. E di tale comprensione ora si tratta. Secondo modo: il termine comprensione si prende anche in un senso più largo, quando indica l'opposto di tendenza o conato. Chi infatti ha raggiunto qualcuno, quando lo tiene stretto, si dice che lo ha (com)preso. In tal senso si dice che Dio è preso o compreso (raggiunto) dai beati, secondo il detto del Cantico dei Cantici: "l'ho afferrato, e non lo lascio". In tal senso vanno intese le citazioni dell'Apostolo. E intesa così, la comprensione è una delle tre doti dell'anima (beata), quella che corrisponde alla speranza, come la visione corrisponde alla fede e la fruizione alla carità. Tra noi infatti non tutto quello che si vede, già si tiene o si possiede, perché talora si vedono anche cose distanti, o che non sono in nostro potere. E neppure godiamo di tutte le cose che possediamo, o perché non ci dilettano, o perché non costituiscono il termine ultimo del nostro desiderio, in modo da saziarlo e da quietarlo. Ma i beati hanno queste tre cose in Dio; perché lo vedono: e vedendolo, lo tengono a sé presente, avendo sempre la possibilità di vederlo; tenendolo lo godono, quale ultimo fine che appaga il loro desiderio.

2. Dio si dice incomprensibile non perché qualche cosa di lui resti invisibile; ma perché non è visto tanto perfettamente quanto è visibile. Così, quando una proposizione rigorosamente dimostrabile si conosce per qualche ragione probabile, non è che qualche cosa di essa, o soggetto, o predicato o copula resti sconosciuta; ma tutta quanta non è conosciuta così perfettamente quanto è conoscibile. Perciò S. Agostino, definendo la comprensione, dice che "un tutto conoscitivamente si comprende quando lo si vede in maniera che niente di esso sfugga a colui che lo vede; o quando i suoi limiti possono essere abbracciati dallo sguardo", e allora si abbracciano con lo sguardo i limiti di una cosa quando nel modo di conoscerla si arriva all'estremo limite della sua conoscibilità.

 3. L'avverbio totalmente si riferisce all'oggetto conosciuto; non già nel senso che la totalità dell'oggetto non cada sotto la conoscenza, ma perché il modo dell'oggetto non è il modo di colui che conosce. Chi dunque vede Dio nella sua essenza, vede in lui che esiste infinitamente e che è infinitamente conoscibile. Ma questo modo infinito non gli compete in modo che lo conosca infinitamente: come uno può sapere per argomenti di probabilità che una proposizione è dimostrabile, sebbene lui non ne conosca la dimostrazione.

domenica 15 aprile 2012

Video Vangelo: II Pasqua B 2012

In cammino verso la Gloria

2^ Domenica di Pasqua
(Gv 20,19-31) 

Quella sera, mentre le porte erano chiuse, Gesù entrò… Come? Da dove? C’erano per caso finestre aperte? No! Non c’erano neanche quelle, perché per il corpo glorioso non esistono più porte e finestre chiuse, anzi, non esistono nemmeno più le porte e neanche i muri: Gesù entra, attraversandoli come niente fosse. Il suo corpo glorioso non è più tributario delle barriere invalicabili di muri e porte. Entra sovranamente libero, senza che niente glielo possa impedire, con le caratteristiche che avremo anche noi, nella vita gloriosa. Caratteristiche che san Tommaso d’Aquino descrive molto bene nella Somma Teologica e si riassumono in quattro: l’impassibilità, l’agilità, la sottigliezza e lo splendore. Grazie all’impassibilità, non soffriremo più; grazie all’agilità ci muoveremo alla velocità del pensiero; grazie alla sottigliezza non esisteranno più barriere …architettoniche e, grazie allo splendore, risplenderemo di una luce gloriosa.

• Quale pace?

Gesù entra dunque e dice: ”Pace a voi!” Lo dice ai discepoli sconvolti e spaventati, ma lo dice anche a noi! Chi non desidera la pace con tutto il cuore: pace nel mondo, nelle famiglie, nelle comunità, nei cuori! Ma questa pace è anzitutto una persona: dobbiamo avere Gesù vivo nel cuore per sentire la pace. Infatti il Signore ai discepoli riuniti nel cenacolo, non manda un messaggio che dice “vi mando la mia pace”, ma arriva lui in persona. E con la sua persona, arriva la pace.
Pace a noi, dunque! Quale pace? Pace dei pensieri, delle preoccupazioni, delle ansie, e dei vari mali che ci affliggono. Pace a voi: ossia guarigione delle ferite, dei ricordi del passato fatto a volte di peccati innominabili che la memoria vorrebbe dimenticare e di cui la coscienza non sopporta il peso. Come non avrà sopportato, la coscienza di Pietro, il peso del suo triplice rinnegamento. Eppure Gesù, che sicuramente non aveva dimenticato, offre a lui per primo, la sua pace.

• Ci siamo o non ci siamo?

Tommaso non c’era quel giorno e non crede. Non basta il ricordo a rendere viva una persona, ci vuole la presenza. Quante volte anche noi non ci siamo! Gesù è presente nel nostro cuore, ma noi chissà dove girovaghiamo, errabondi qua e là e non lo vediamo, non perché non ci sia lui, ma perché non ci siamo noi! Siamo altrove, chissà dove. Quando ritorneremo dal nostro vagabondare, Gesù dirà anche a noi: ”Metti qua il dito nelle mie piaghe e non essere più incredulo ma credente.” E Gesù ciò che dice, fa! “Per le sue piaghe siete stati guariti”. Ecco che le sue piaghe guariranno le nostre, purché nel nostro cuore non ci sia più l’incredulità. Perché le piaghe del risorto, “non grondano più sangue, ma irradiano luce” (A. Louf). “Bagliori di folgore escono dalle sue mani”, abbiamo letto nel cantico del venerdì santo.
Ma oggi è anche la festa della Divina Misericordia, quella che procede appunto dalle piaghe aperte di Gesù, e si riversa su di noi come un fiume che lava ogni colpa, ogni dolore e ogni pena.

• Vivissimi Auguri…

Faccio a tutti voi,carissimi, i miei migliori auguri per questo tempo pasquale con questa bellissima preghiera del Papa, scritta quando era ancora cardinal Ratzinger.
“O Signore, fa’ brillare il mistero della tua gioia pasquale come aurora del mattino, nei nostri giorni.
Concedici di poter essere veramente uomini pasquali in mezzo al sabato santo della storia.
Concedici che attraverso i giorni luminosi e oscuri di questo tempo, possiamo sempre
con animo lieto, trovarci in cammino verso la tua gloria futura”.

Wilma Chasseur