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domenica 11 novembre 2012

Dio rompe gli specchi

32^ Domenica Tempo Ordinario 
(Mc 12, 38- 44) 

Nel Vangelo di oggi vediamo due atteggiamenti chiave di Gesù: osserva e sottolinea.
Gesù osservava la folla mentre gettava monete nel tesoro: vede la vedova e vede gli scribi.

• Come ha fatto a riconoscerli?

Come ha fatto a riconoscere che la donna era vedova? Sicuramente dal modo di vestire. E come ha fatto a riconoscere gli scribi? Sicuramente dal loro modo di vestire (“amano le lunghe vesti”) e di incedere (“amano passeggiare e ricevere i saluti nelle piazze e occupare i primi posti nei banchetti”).
Ai tempi di Gesù, nel tempio, c’era il cortile delle donne e 13 cassette con apertura a forma di tromba dove gettare offerte volontarie per il tempio. Gesù osservava gli scribi che gettavano, ostentando, laute offerte nelle cassette. Era tutta una cerimonia perché poi venivano segnalati al sovrintendente al tesoro ed era l’occasione tanto attesa per ricevere un riconoscimento pubblico ed essere introdotti al banchetto quali invitati d’onore. E tutti notavano quei gran personaggi bardati e impettiti. Mentre nessuno badava a una povera vedova che si avvicina anche lei per fare l’offerta. Solo Gesù la vede, la loda, sottolinea il gesto e la addita a modello ai discepoli riuniti.

• E noi, in chi ci riconosciamo?

Gesù non teme di sottolineare il bene fatto: domenica scorsa lodava un dottore della legge (“non sei lontano dal regno di Dio”) e tante altre volte approva il comportamento retto. Questo è il modo migliore per incoraggiare a continuare a farlo. Prendiamo esempio.
Ma di queste due figure, la vedova e i farisei, a quale crediamo di assomigliare? Non ci siamo mai sentiti un po’ scribi anche noi? Chi non ama essere riverito, onorato e invitato ai primi posti? Alzi la mano chi non se lo augura (naturalmente in segreto). Gesù in questo Vangelo non condanna il gesto di fare offerte, ma l’ostentazione e l’autocompiacimento.
Bonhoeffer diceva. ”Il cuore puro è quello che non si contamina col male, ma neanche con il bene, auto compiacendosene e specchiandosi in esso”.

• Chi sono i Santi?

Abbiamo appena celebrato la festa dei Santi e la più bella definizione di cosa essi siano, l’ha data un bambino del catechismo al suo parroco che gli chiedeva chi erano per lui i Santi: ”Sono quelli che lasciano passare la luce”. Bellissimo! Invece noi, quando facciamo come gli scribi compiacendoci in noi stessi, invece di essere vetro, siamo specchio. Per lasciar passare la luce dobbiamo essere vetro non specchio che rimanda solo la propria immagine e non quella di Dio. Ma il Signore, se ci vuole bene, romperà tutti gli specchi che noi cercheremo di rabberciare ogni volta, finché diventeremo vetro trasparente che rimanda la luce di Dio. Ecco a cosa servono le sconfitte e i fallimenti: a guardare oltre noi stessi. Nella vittoria c’è sempre qualche autocompiacimento, nella sconfitta no! Lì il nostro io viene liquidato e… non potendo ammirare sé stesso, guarda Dio.
Don Liborio També diceva che quando siamo pieni di noi stessi assomigliamo a una bottiglia che galleggia sull’acqua e non vi entra neppure una goccia: perché non vi entra neppure una goccia d’acqua? Perché c’è il tappo (l’orgoglio) che impedisce all’acqua di entrare e la bottiglia rimane piena di aria, piena di sé stessa, cioè piena di vuoto.
Ringraziamo dunque il Signore per tutte le volte che ha rotto gli specchi e ha tolto il tappo alle bottiglie...

Wilma Chasseur

domenica 21 ottobre 2012

Il rovescio del tappeto

29^ Domenica Tempo Ordinario
( MC 10, 35-45) 

In questo Vangelo vediamo Giacomo e Giovanni, già “ battezzati” figli del tuono da Gesù, chiedere al Maestro, nientemeno, che faccia loro quanto vogliono. “Maestro noi vogliamo che tu ci faccia quello che ti chiederemo”. “ Padre nostro” al contrario: sia fatta la nostra volontà! E speravano che Gesù rispondesse: ”Amen”.

• Capita che il Signore faccia la nostra volontà?

A dire il vero una cosa del genere era già avvenuta nell’Antico Testamento a Salomone con la differenza che era stato il Signore a chiedergli ciò che voleva, perché appena eletto re, in sogno aveva sentito il Signore che gli aveva chiesto: “Chiedimi cos’è che ti devo dare”. Nientemeno! L’Altissimo che si mette a disposizione del servo. E Salomone aveva chiesto la sapienza ed era stato esaudito oltre ogni più rosea aspettativa. Ma questa volta le cose non vanno altrettanto lisce. Gesù ribatte: “Cosa volete che io faccia per voi?” Gli risposero: “Concedici di sedere nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra”. Gesù disse loro: ”Voi non sapete cosa domandate”. Avessero almeno avuto il buon gusto di chiedere qualche dono spirituale e l’accortezza di non chiedere simili cose davanti agli altri; ma no! E così ricevono in faccia e in pubblico, il diniego di Gesù e scatenano lo sdegno degli altri discepoli. Ma Gesù visto questo risentimento che stava nascendo in seno ai Dodici, li chiamò a sé e disse: ”Chi vuol essere grande tra voi si farà vostro servitore, e chi vuol essere il primo si farà il servo di tutti. Il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti”. Ecco che Gesù, a questo desiderio di essere grandi, ribadisce per l’ennesima volta, che la vera grandezza sta nel rimanere piccoli. Al desiderio di potenza oppone la necessità del servizio che Lui per primo ha praticato tutta la sua vita e non solo, ma anche dopo morto e risorto, perché in una delle apparizioni pasquali, dopo la sua risurrezione, lo vediamo che prepara addirittura da mangiare agli apostoli.

• Sulla via della Croce…

Ma questo brano ci mostra anche, come diceva don Luciano Sole, che Gesù non è uno dei tanti, ma è il Messia, l’inviato di DIO per la salvezza di tutti. Questa quarta sezione del Vangelo di Marco ci mostra il cammino di Gesù verso Gerusalemme e i discepoli sono invitati a seguirlo: “Il calice che io bevo anche voi lo berrete e il battesimo che io ricevo anche voi lo riceverete”. La grande difficoltà per i Dodici è sempre stata quella di capire il mistero dell’identità del Figlio di Dio col quale condividevano la vita. All’inizio avevano lasciato tutto per seguirlo: barca, padre, casa e mestiere, ma ora devono seguirlo sulla via della Croce. Prima era potente, attirava le folle al suo seguito, ma continuare a seguirlo ora diventa sempre più difficile perché occorre entrare nell’ottica della Croce. E loro vorrebbero il trionfo di Gesù (come avremmo sicuramente voluto tutti noi, al loro posto), ma vorrebbero anche il loro trionfo: sedere ai primi posti ed essere grandi. E invece moriranno tutti ammazzati come il loro Maestro. Io ogni tanto domando al Signore: ma perché la vita deve essere così tragica? E’ stata oltremodo tragica per Lui e continua ad esserlo per i suoi discepoli che continuano a cadere uccisi. Mistero d’iniquità: capiremo solo in Cielo perché Dio ha scelto - o permesso - questa economia piuttosto che un’altra. Sangue di martiri, seme di cristiani diceva Tertulliano.

• …ma non termina tutto lì

L’unica risposta che possiamo darci è che la via della croce sbocca nella GLORIA.
Il nostro cammino doloroso ci prepara un destino glorioso. Ora vediamo solo il rovescio del tappeto, ma oltre l’intrico dei nodi, sul diritto si va formando un bellissimo disegno che sarà il nostro destino di comunione eterna con Lui e ci riscatterà da ogni sofferenza patita quaggiù.

Wilma Chasseur

domenica 14 ottobre 2012

Che fatica essere ricchi!

 28^ DOMENICA TEMPO ORDINARIO 
(Mc 10, 17-30) 

Le letture di oggi ci mostrano quali siano le vere ricchezze che nessun ladro, nessun cataclisma e nessuna bancarotta possono portare via.

• Cosa chiediamo nella preghiera?

La prima lettura, tratta dal Libro della Sapienza, costituisce un insegnamento ammirabile su quale debba essere l’oggetto della nostra preghiera: “Pregai e mi fu elargita la prudenza; implorai e venne in me lo spirito della sapienza”. Facciamo un piccolo esame di coscienza: quante volte nella preghiera abbiamo chiesto, per prima cosa, la sapienza? Quale percentuale occupa nelle nostre domande e petizioni al Signore? Viene prima del benessere, salute, lavoro, casa ecc. ecc.?
“L’amai più della salute e della bellezza”. E’ così anche per noi? Ahimè, mi sa tanto che nella società degli uomini si moltiplicano palestre di ginnastica, corsi di fitness, istituti di bellezza, ma non ho ancora visto un “ Istituto di sapienza”… E anche. qualora ci fosse, temo che registrerebbe ben poche presenze, rispetto agli altri.
“La preferii a scettri e troni, stimai un nulla la ricchezza al suo confronto”. Ohimè! Possiamo dire altrettanto? Quanti, come massima ambizione, hanno quella di salire finalmente su di un trono (arrivare al potere) e vincere al lotto… Quanti vanno a gara per partecipare a quiz televisivi a premi e portarsi via il consistente gruzzolo. Se facessimo un sondaggio tra la gente comune, scopriremmo probabilmente che le mete più agognate sono proprio quelle!

• Poveri ricchi…

Ma io mi domando: dopo che uno ha vinto 100 miliardi, è forse migliore di prima? E’ forse cambiato dentro, migliore fuori e più sapiente in casa e fuori casa? E’ forse più felice? Temo che dopo una prima comprensibile esaltazione, si ritroverebbe pieno di grattacapi: come investire il gruzzolo? Come proteggerlo dai ladri? Dove andare in ferie, che si trasformerebbero subito in furie… Poveri noi! Che fatica essere ricchi: a quel poveretto non gli rimarrebbe più tempo per occuparsi di altro e dovrebbe vivere in funzione del “gruzzolo” (perché purtroppo, a causa del peccato originale, spesso, quella di voler diventare ricchi per poi dare tutto in beneficenza, rimane una pia illusione). Altro che acquistare la sapienza: perderebbe di colpo anche quel poco che gli era rimasta, perché, senza un miracolo, tutti quei denari improvvisi, non potrebbero non dargli alla testa… Povero ricco che sfortuna gli è capitata!

• Verso cosa corriamo?

Eppure la corsa al denaro finalizza la vita di molti ed è deleteria quanto la corsa agli armamenti, perché il denaro è l’arma più micidiale che ci sia, in nome del quale si commettono delitti innominabili. Del resto anche la corsa agli armamenti è finalizzata al denaro.
Gesù nel Vangelo ribadisce questo concetto e nella sua risposta al giovane ricco, leggiamo una serie di cinque verbi: và, vendi, dai, vieni e seguimi. Questo vangelo ci riguarda tutti: siamo tutti attaccati a qualche bene (o male…) da cui dobbiamo saper staccare il cuore. E’ una parola che ci mette in crisi, del resto la parola di Dio è sempre una spada tagliente che penetra fino alla divisione tra carne e spirito e tenta di farci superare i desideri terrestri per farci pervenire alla suprema libertà dello spirito. Per questo è necessaria la grazia che viene dall’alto perché “ciò che è impossibile agli uomini è possibile a DIO”.
Le vere ricchezze sono quelle spirituali, soprattutto il dono della sapienza che, lungi dal farci disprezzare i beni materiali, ce li fa usare per aiutare i fratelli, far avanzare il regno di Dio e metterli al Suo servizio.

Wilma Chasseur

domenica 7 ottobre 2012

All'inizio non era così

27^ Domenica Tempo Ordinario
(Mc 10,2-16) 

Il Vangelo di oggi ci mostra ancora Gesù in cammino: lasciata la Galilea a nord, si dirige verso la Giudea a sud, oltre il fiume Giordano. E una grande folla lo seguiva.

• Domande trabocchetto

La presenza di Gesù suscita entusiasmo e fa sempre accorrere la gente per ascoltare i suoi insegnamenti, ma tra gli uditori si infiltrano anche sempre quei farisei che, lungi dal voler beneficiare del suo insegnamento, vogliono solo fargli domande-trabocchetto nel tentativo di coglierlo in fallo. Questa volta gli chiedono: “E’ lecito ad un marito ripudiare la propria moglie?” L’antica legge della Torah consentiva in certi casi il divorzio, ma le scuole rabbiniche non erano unanimi nello stabilire quali fossero le condizioni richieste per farlo: l’infedeltà coniugale era il fattore determinante e ammesso da tutti. Ma c’erano anche posizioni più radicali che non ritenevano legittima questa prassi e paragonavano il divorzio all’adulterio. Materia scottante che manteneva accesa la discussione tra le varie scuole e ci fu anche chi ci rimise la testa: Giovanni Battista, dicendo ad Erode “non ti è lecito”!
I farisei comunque ammettevano il divorzio e il tranello teso a Gesù consisteva proprio nel volergli far dire un sì o un no: se diceva sì perdeva il favore del popolo, o perlomeno gli risultava sgradito, se diceva no, perdeva il favore dei potenti (come accadde appunto a Giovanni Battista con Erode).

• Cosa rispondere?

Ma Gesù, a questi ipocriti, non risponde mai con un sì o con un no: Egli sa benissimo che una risposta affermativa o negativa sarebbe come un boomerang e verrebbe impugnata contro di lui, così usa anche questa volta il tono interlocutorio rispondendo con una domanda: “Che cosa vi ha ordinato Mosè? Dissero: “Mosè ha permesso di scrivere un atto di ripudio e di rimandarla: Gesù disse loro: “ Per la durezza del vostro cuore egli scrisse per voi questa norma, ma all’inizio non era così. L’uomo non separi ciò che Dio ha congiunto”.
Ecco qual è l’obiettivo mirato da Gesù, non la legge che non disdice e neanche nega, va solo oltre, ma il cuore dei suoi interlocutori. E dice proprio: la durezza del VOSTRO cuore, non del cuore dei loro antenati che vivevano ai tempi di Mosè. Eccoli smascherati nei loro meschini tentativi di coglierlo in fallo. Sono loro che sono stati colti in flagrante durezza di cuore! Dai tempi di Mosè ai loro sono passati più di mille anni, ma il cuore è sempre lo stesso, cioè è sempre duro. E Gesù non può che constatarlo amaramente.

• Analfabetismo del cuore 


All’inizio Dio aveva impresso la legge naturale nel cuore dell’uomo, per cui questi sapeva benissimo, senza leggerlo da nessuna parte, che tradire, rubare, mentire ecc. è un male. Ma poi, visto che questo cuore tendeva, per chissà quali imperscrutabili motivi, ad indurirsi sempre più, questa legge dovette scriverla su tavole di pietra per ricordare all’uomo ciò che prima gli aveva scritto nel cuore. Ma questo analfabetismo del cuore dilaga ancora duemila anni dopo, e se l’uomo non vuol più far riferimento a Dio, questo cuore, lo vediamo, diventa più duro delle tavole di pietra.
Dobbiamo urgentemente ricentrarci su Dio se vogliamo recuperare l’amore tra di noi, in famiglia e tra i coniugi innanzitutto. “Senza di me non potete fare nulla”. E’ pura illusione credere di poter stabilire una morale autonoma – come vorrebbe la mentalità dominante – indipendente dai dieci comandamenti.
Se eliminiamo Dio dal cuore, questo diventa verso il prossimo, più duro delle tavole di pietra.

Wilma Chasseur

domenica 30 settembre 2012

Lo Spirito soffia dove vuole

26^ Domenica Tempo Ordinario 
(Mc 9, 38-43) 

La prima lettura ci mostra il regime dei cieli chiusi che vigeva nell’Antico testamento e cioè che lo Spirito era effuso su determinate persone per compiere particolari missioni, ma poi veniva ritirato, come accadde ai 70 anziani, che in seguito non profetarono più.


• Perché lo Spirito è uscito dalla tenda?

Mosè aveva sentito il bisogno di scegliersi degli uomini che lo aiutassero a governare quel popolo dalla “dura cervice”. Ne sceglie settanta tra gli anziani del popolo e li raduna nella tenda del convegno per procedere all’investitura. E il Signore prende una parte dello spirito che era su Mosè e lo pone su ognuno di loro. Sennonché fuori dalla tenda, c’erano due uomini: Eldad e Medad che ricevettero un’effusione spontanea dello Spirito e si misero a profetare anche loro, con grande scompiglio di Giosuè che credeva di doverglielo impedire, pensando fosse irregolare. Perché lo Spirito ha soffiato anche fuori dalla tenda? Perché è uscito? Giosuè va a dirlo a Mosè che gli risponde: “Sei tu forse geloso per me? Fossero tutti profeti nel popolo del Signore e volesse il Signore dare loro il suo Spirito”. Vediamo qui la grande liberalità di Dio che non fa preferenze di persone ed effonde il suo Spirito anche ad altri, ma vediamo anche la grande magnanimità di Mosè che, lungi dall’essere geloso, si augura che tutti possano essere profeti. Ma la gelosia spirituale esiste e forse fa capolino in Giosuè e ha radici vecchie come il mondo! E’ un vizio capitale che i vecchi catechismi definivano peccato contro lo Spirito Santo e rischia di farci cascare tutti quando attribuiamo lo Spirito a “categorie privilegiate” come fosse un monopolio riservato a qualcuno o un genere contingentato… Allora inscatoliamo il divino e non siamo per niente profeti. Lo Spirito è come il vento: soffia dove vuole e non sai donde venga e dove vada… non si lascia certo condizionare da noi. Siamo noi che ci facciamo condizionare dai nostri preconcetti e pregiudizi.

• Per splendere su tutti

Il regime dei cieli aperti si caratterizza proprio dal fatto che lo Spirito Santo è effuso su tutti. Quando Gesù morì sulla Croce, il velo della sua carne si squarciò e lo Spirito si riversò sul mondo. Quindi ora, in virtù del sacerdozio regale conferitoci dal battesimo, possiamo anche noi, avere il dono profetico. Lo Spirito è dato a tutti, così come il Sole splende su tutto: tocca a noi sollevare le tapparelle e spalancare le finestre affinché la luce entri. Il solo ostacolo a riceverlo dipende dalla nostra chiusura e non da Dio che non lo dà.
Il Vangelo ci mostra gli Apostoli che avevano lo stesso timore di Giosuè: “Maestro, abbiamo visto uno che scacciava i demoni nel tuo nome e glielo abbiamo vietato perché non era dei nostri”. I nostri. Gesù fa fatica a far capire che nel regno di Dio non ci sono da una parte i “nostri” e dall’altra quelli che non sono nostri. Non esistono più scontri di civiltà e di mentalità, ma siamo tutti figli di un unico PADRE. E risponde loro: “Non glielo proibite perché non c’è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito dopo possa parlare male di me; chi non è contro di noi è per noi”.
In questo Vangelo, Gesù invita anche noi, come invitava i discepoli, ad aprire gli orizzonti e ad augurarci che tutti siano profeti e a rallegrarci che tutti abbiano lo Spirito in pienezza. Se ce ne rattristiamo non siamo abitati dallo Spirito e non esercitiamo il nostro sacerdozio regale e tanto meno quello profetico. Se siamo ancora troppo inquadrati, chiediamo allo Spirito di sconquassarci un po’, affinché possa aprirsi un varco per penetrare nel nostro cuore e inondarci con la sua luce.

Wilma Chasseur

domenica 23 settembre 2012

Per via li istruiva

25^ Domenica Tempo Ordinario
(Mc 9,30-37) 

Se domenica scorsa Gesù, interrogava i discepoli per via oggi, per via, li istruisce. E li mette al corrente dei tragici avvenimenti che sarebbero presto accaduti: “Il Figlio dell’uomo sta per essere consegnato in mano agli uomini e lo uccideranno, ma una volta ucciso, dopo tre giorni, risorgerà”. Costoro però non comprendevano di che stesse parlando e a cosa alludesse, e non osavano chiedergli spiegazioni.

• Di cosa discutevano per via?

Ma il seguito del brano, ci mostra come i discepoli non stessero solo ad ascoltare il Maestro, ma sembra che lungo la strada camminassero anche da soli, discorrendo tra di loro. Infatti appena giunti a Cafarnao ed entrati in casa, Gesù domanda loro: “Di cosa stavate discutendo lungo la via?” Ed essi tacevano. Per via infatti avevano discusso tra loro chi fosse il più grande”. Incredibile ma vero! Dopo la grande e tragica rivelazione di Gesù sulla sua fine imminente e cioè che sarebbe stato ucciso e dopo tre giorni sarebbe risorto, i suoi amici più intimi, stavano pensando a loro stessi e alla carriera! Ecco di che pasta siamo fatti! La natura umana, lasciata a se stessa, non è proprio capace di grandi voli! Ne facciamo tutti l’esperienza. Solo la grazia fa volare...
E naturalmente, allorché Gesù li interroga su cosa stessero dicendo lungo la via, si guardano bene dal dirglielo! Evidentemente si vergognano di rivelare quali meschini interessi fossero oggetto della loro conversazione, proprio dopo aver udito il grande annuncio della passione, morte e risurrezione del Signore. Sennonché Gesù sa leggere! E leggere un “testo” che nessun dottore della legge, anche il più bravo, sapeva decifrare: il cuore dell’uomo. Quindi Gesù sa benissimo di cosa stavano discorrendo lungo la via e, da come risponde, anche i discepoli capiscono che aveva capito tutto.

• Sogni di grandezza svelati…

Allora sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: “Se uno vuole essere il primo sia l’ultimo di tutti e il servo di tutti”. Ecco smascherati in pieno i loro sogni di grandezza e rivelati i pensieri nascosti nel loro cuore. Risposta che centra in pieno l’obiettivo e non lascia sussistere la minima illusione di “carriera”: in un sol colpo il Maestro abbatte tutti i sogni trionfalistici e desideri arrivisti dei Dodici.
“Servire è regnare” diceva già sant’Ireneo di Lione, ma chi la capisce ancora questa lingua? O, perlomeno, chi la parla ancora, anche qualora la capisca? Alzi la mano colui per il quale “servire” è sinonimo di “regnare” e colui che aspira ad arrivare al potere, solo per servire! Quante mani alzate?
Questo Vangelo ci mostra dunque due modi di tacere dei Dodici, dettati da due atteggiamenti diversi: prima, quando Gesù annuncia la sua prossima fine, tacciono perché non capiscono e non osano far domande. E forse non le fanno proprio per il timore di capire ciò che non vogliono capire.

• Chiamati a crescere in piccolezza

Poi, quando Gesù li interroga su cosa stessero dicendo tra di loro, tacciono di nuovo perché evidentemente si vergognano di rivelare quali aspirazioni abitassero i loro cuori , proprio dopo aver udito il grande annuncio della Passione. Aspiravano ad essere grandi, ma Gesù rivela loro che l’unico modo per essere grandi è diventare piccoli: “E preso un bambino, lo pose in mezzo e abbracciandolo disse: “Chi accoglie uno di questi bambini nel mio nome, accoglie me”.
Siamo dunque invitati a non crescere troppo, o perlomeno a non innalzarci, perché poi sarà sempre più difficile ridiventare piccoli ed essere felici di essere servi di tutti.

Wilma Chasseur

domenica 16 settembre 2012

Chi è Dio per l'uomo moderno?

XXIV Domenica Tempo Ordinario
(MC 8, 27-35)

Oggi Pietro si fa ardito: prende in disparte Gesù per… rimproverarlo. Abbiamo così un rovesciamento di situazione rispetto a domenica scorsa: non è più Gesù che prende in disparte il sordomuto per guarirlo, ma è addirittura Pietro che prende in disparte Gesù. Ma andiamo con ordine. All’inizio vediamo Gesù che, per via, interrogava i discepoli. E anch’io mi sono interrogata: perché Gesù interrogava i discepoli per via?

• Perché “per via”?

La prima risposta che mi viene è che , essendo sempre itineranti, doveva per forza interrogali per via, visto che erano sempre in cammino. Ma c’è anche un’altra risposta: i discepoli di oggi siamo noi e siamo sempre per via, cioè sempre in cammino essendo la stessa vita nostra, un cammino continuo, quindi pure noi siamo interrogati da Gesù, per via Quando avremo terminato il cammino terreno, non ci interrogherà più, perché ormai le risposte saranno date, i giochi saranno fatti: nessuna possibilità di ricominciare… Chiediamo dunque la grazia di dare le rispose giuste (e di darle con la vita, non solo a parole) mentre siamo per via, perché finito il cammino di questa vita, non ci saranno più né domande, né risposte e neanche esami di riparazione…
E su cosa li interrogava ? Addirittura sulla sua identità: “La gente chi dice che io sia? E voi chi dite che io sia”. Mi sono chiesta guardandomi attorno: l’uomo di oggi cosa dice sul Figlio di Dio e su Dio stesso? Dice che Dio è buono, sapiente, amorevole e via di seguito? Mica sempre! Mi pare, anzi,che il più grande accusato, quello che sale più spesso sul banco degli imputati sia proprio Dio. Classica la domanda “Se Dio è buono, perché esiste il male?” Come dire “ma sarà poi così buono?” La risposta filosofica è che il male è assenza di bene. Non esiste il male di per sé: Dio ha creato solo il bene; il male procede da scelte sbagliate, che l’uomo liberamente fa. Ebbene questa risposta la diede già, nel secolo scorso, indovinate chi? Leggete il fatto seguente, veramente accaduto:

• L’allievo che interroga il professore

Durante una lezione tenuta agli studenti universitari, un professore ateo dell’Università di Berlino lancia una sfida ai suoi alunni con la seguente domanda:
“Dio ha creato tutto quello che esiste?”
Uno studente diligentemente rispose: “Sì certo!”.
Il professore rispose: “Se Dio ha creato tutto, ha creato anche il male, poiché esso esiste” .
Tutti ammutolirono. Il professore si vantò di aver provato per l´ennesima volta che la fede era un mito.
Un altro studente alzò la mano e disse: “Professore, il freddo esiste?”.
“Che razza di domanda è questa? Naturalmente, esiste! Hai mai avuto freddo?”.
Il giovane replicò: “Signore, il freddo non esiste. Secondo le leggi della fisica, ciò che noi consideriamo freddo è in realtà assenza di calore. Noi abbiamo creato questa parola per descrivere come ci sentiamo… se non abbiamo calore. Si può misurare il calore ma non il freddo che è appunto zero assoluto”.
Lo studente continuò: “Professore, l´oscurità esiste?”.Il professore rispose: “Naturalmente!”.
Lo studente replicò: “Ancora una volta lei è in errore, perché l´oscurità non esiste. L´oscurità è in realtà assenza di luce. Noi possiamo studiare la luce, misurarla, ma non possiamo misurare l´oscurità.
Noi misuriamo la quantità di luce presente. L´oscurità è un termine usato per descrivere l’assenza di luce.
Finalmente il giovane chiese al professore: “Professore, il male esiste?”.

• Professore bocciato

A questo punto, titubante, il professore rispose, “Naturalmente, come ti ho già spiegato”. Ma lo studente replicò “Il male non esiste, professore, o almeno non esiste in quanto tale. Il male è l´assenza di Dio. Dio non ha creato il male. Il male è il risultato di ciò che accade quando l´uomo non ha l´amore di Dio. E´ come il freddo che si manifesta quando non c´è calore o l´oscurità che arriva quando non c´è luce”.
Il giovane fu applaudito da tutti e il professore, scuotendo la testa, rimase in silenzio.
Il rettore dell’Università si complimentò con il giovane studente e gli domandò: “Qual è il tuo nome?”.
“Mi chiamo Albert Einstein, signore!”.

Wilma Chasseur

domenica 26 agosto 2012

Il grande dilemma

21^ Domenica Tempo Ordinario
(Mc 7, 14) 


XXI domenica tempo ordinario
(Gv 6,63-68)

Quanto era difficile capire il linguaggio di Gesù. “ Questo linguaggio è duro; chi può intenderlo?” Ma non solo quello! Lo stesso atteggiamento del Signore spesso si rivelava incomprensibile ai propri discepoli e famigliari. A Nazareth per esempio, non lo accolsero e non credettero in Lui. Quel bravo giovane “tutto casa e sinagoga”, ad un certo punto lascia  casa e sinagoga, parte e va in giro a predicare; chissà che cosa s’è messo in testa… pensano i suoi. E infatti ad un certo punto vanno  a prenderlo per riportarlo a casa, pensando che abbia perso la tramontana ….
L’irruzione di Dio nel quotidiano crea sempre dei problemi. Dover scalfire quella quotidianità dimostrando che Egli è nientemeno che il Figlio di Dio mandato a salvare il mondo, è qualcosa che cozza contro la mentalità dominante: quella ebraica, ma anche quella di duemila anni dopo... Ed è un punto di capitale importanza su cui l’uomo deve pronunciarsi ed esercitare la sua libertà.

  • Vogliamo o non vogliamo?

Il tema della libertà lo troviamo anche nella prima lettura . “ Giosuè disse a tutto il popolo: “ Se vi dispiace di servire il Signore , scegliete oggi chi volete servire”. Scegliete oggi! Cioè decidetevi! Invito ineludibile a prendere posizione: o il Signore, o gli dei degli Amorrei. “Quanto a me e alla mia casa – dice Giosuè - vogliamo servire il Signore”.  Vogliamo! Dobbiamo esercitare questa facoltà volitiva che abbiamo: dobbiamo dire spesso “ voglio” e non “ non ho voglia” come si sente spesso dire dai nostri ragazzi… Questo “vogliamo” di Giosuè ha scatenato anche la buona volontà del suo popolo che disse:” Lungi da noi l’abbandonare il Signore per servire altri dei” . Ma perché prendono questa decisione? Perché “il Signore nostro Dio ha fatto uscire noi e i padri nostri dal paese d’Egitto , dalla condizione servile, ha compiuto quei grandi miracoli e ci ha protetti per tutto il viaggio”. Ecco il motivo: il ricordo dei benefici ricevuti dal Signore. E’ molto importante anche per noi “fare memoria”: ricordarci i benefici ricevuti dal Signore. Sono tanti: occorre riportarli alla memoria, quando magari ci sentiamo abbandonati da Lui. Questo stimola anche la gratitudine e ci fa scoprire sempre nuovi benefici ricevuti ogni giorno.

·         Da chi andremo? 

Nel Vangelo questo concetto di libertà torna fuori alla grande e mette i discepoli davanti a un’alternativa: andarsene o restare. “ Forse volete andarvene anche voi?” Gli rispose Simon Pietro : “ Signore da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna” . Anche Pietro fa memoria delle parole di vita eterna udite da Gesù. E da Lui solo! Nessun altro dice quelle parole di vita eterna che colmano la  sete d’infinito dell’uomo di tutti i tempi.
Questo dilemma dobbiamo risolverlo anche noi: da chi vogliamo andare? Scegliamo il Signore o altri signori che diventeranno i nostri tiranni? A volte l’ostacolo  è dentro di noi: dobbiamo scegliere la sua volontà, ma siamo attirati da tutt’altro. La vera libertà è quella dello spirito, non quella della carne. La liberta di spirito è fare la volontà di Dio, mentre quella della carne è fare la propria: è seguire l’istintività ; è fare ciò che pare e piace e così uno si illude di essere libero. L’istinto deve obbedire alla ragione non il contrario. E la ragione dev’essere sottomessa alla volontà di Dio, non il contrario!
Il Signore  poi dice anche a noi:  “ Volete andarvene anche voi?” Ecco il momento in cui ricordare tutte le parole di vita eterna udite da Lui e fare memoria di tutte le grazie ricevute, per poter rispondere come Pietro : “ Da chi andremo Signore, tu solo hai parole di vita eterna”.


Wilma Chasseur

domenica 19 agosto 2012

Il Dio delle sorprese

20^ Domenica Tempo Ordinario 
(Gv 6 ,51-58)

La prima lettura ci parla della sapienza che si è costruita la casa su sette colonne. E la seconda lettura ci mette in guardia contro la stoltezza che può farci precipitare sotto settanta colonne…
Questa sapienza è quella che ci fa aprire la porta giusta. E ci insegna il modo per aprirla. “Ecco sto alla porta e busso” dice il Signore. Ma quale porta?

• Da quale porta entra il Signore?

Mi ha colpito una riflessione di Paul Claudel diplomatico francese convertitosi la notte di Natale a Notre Dame ascoltando il canto del Magnificat. In una sua pagina molto suggestiva raccontando una sua esperienza interiore scrive :
“Ascoltando la spaventosa tempesta che sta scuotendo tutta la mia casa, non posso impedirmi di pensare al versetto dell’Apocalisse “Ecco sto alla porta e busso”. Di che porta si tratta se non di quella perduta in fondo alla nostra anima? Alla fine noi siamo soli in una notte di tempesta nella nostra casa solitaria e desolata e all’improvviso bussano! Ma non alla porta d’entrata, ma a quella vecchia porta che credevamo condannata per sempre! Ma non c’è da sbagliarsi: bussano, hanno bussato in noi e la cosa ci ha fatto sussultare. Chi ha bussato? Non c’è da sbagliarsi: è Colui che viene come un ladro nella notte. E noi ascoltiamo palpitanti… Ma è una tale seccatura alzarsi e dischiudere quella vecchia porta. È fissata da due chiavistelli: uno si chiama cattiva abitudine, l’altro, cattiva volontà. Quanto alla serratura, abbiamo perso la chiave. Ci vorrebbe anche un po’ d’olio per farla funzionare. E poi, che cosa succederebbe se si aprisse quella porta?. La notte, il grande vento primordiale che soffia sulle acque, Qualcuno che non si vede, ma che non ci permetterebbe più di starcene comodamente in casa nostra. Spirito di Dio non entrare, ho paura delle correnti d’aria! Eppure continuano a bussare… Ah Signore cercheremo di aprirti; sappiamo che il rifiuto ti fa male ”. (Paul Claudel in Positions et propositions, tome II).

• Come fare perché la porta si apra?

Anche nel Vangelo vediamo questo rifiuto dei Giudei “Come può costui darci la sua carne da mangiare?” E addirittura molti discepoli di Gesù si tirarono indietro al punto da suscitare quella domanda :” Volete andarvene anche voi?” Domanda che ripete ad ognuno di noi e che sottolinea l’assoluta libertà con la quale il Signore vuole essere seguito. La libertà è un’arma a doppio taglio, ma il Signore non ce la toglierà mai: o con Lui o, -non sia mai!- contro di lui, ma sempre sovranamente liberi. Se stiamo con Lui, la libertà è una grazia, se ci allontaniamo diventa una disgrazia, se non addirittura una fregatura, ma finché siamo vivi, possiamo sempre fare dietrofront. Come fece quell’industriale, grande uomo di preghiera, che raccontava così la sua esperienza: “Pregavo il Signore e mi vedevo come dietro a una porta: per ottenere la grazia che cercavo, spingevo quella porta, ma non succedeva niente. Continuavo a spingere, all’inizio sempre più forte , poi sempre più debolmente, finché mollai la presa. In quel momento, con mia grande sorpresa, la porta si aprì e il Signore entrò. Allora capii che la porta si apriva in senso contrario; io dovevo solo scansarmi per permettere al Signore di poter aprire Lui la porta ed entrare nella mia vita”.
Quante volte anche noi, con le nostre insistenze, impediamo alla porta di aprirsi. Perché il Signore arriva sempre da un’altra parte: da quella che non ci aspettiamo. Il nostro Dio è il Dio delle sorprese.

Wilma Chasseur

domenica 12 agosto 2012

Quando il cammino è troppo lungo...

19^ Domenica Tempo Ordinario 
(Gv 6, 41-51) 

Elia non ne può più: il mestiere di profeta è duro quando i risultati non ci sono e le esortazioni sono come parole al vento. L’idolatria della regina Gezabele sembra invincibile. Il popolo è di dura cervice e il profeta è tentato di gettare la spugna: ”Ora basta Signore! Prendi la mia vita perché io non sono migliore dei miei padri”. Ma ecco che dopo aver detto “non ce la faccio più” viene un angelo a dirgli: “su mangia perché è troppo lungo per te il cammino”. E’ come se, attraverso l’angelo che è sempre un messaggero di Dio, il Signore stesso gli dicesse “non contare sulle tue forze che non ti basteranno per percorrere tutto il cammino che è ancora troppo lungo, ma conta su di me, sulla mia forza che ti darò giorno per giorno” .

• Forze nuove spuntano…

Ed ecco allora che, improvvisamente, il profeta che non ce la faceva più, ce la fa di nuovo. Dopo aver riconosciuto la propria debolezza ecco che interviene la forza di Dio, ed Elia , dopo aver mangiato il cibo che, misteriosamente si trova davanti, riprende a camminare per quaranta giorni e quaranta notti, fino al monte di Dio.
E’ solo riconoscendo la propria debolezza davanti a Dio che si riacquistano forze nuove, mai sperimentate prima. “Quando sono debole, è allora che sono forte” diceva già san Paolo. E io aggiungerei: è solo allora che sono forte perché sperimento la forza stessa di Dio, mentre se conto sulle mie povere forze, il cammino sarà troppo lungo e si esauriranno prima. L’importante è manifestare al Signore il proprio stato d’animo. Con Dio ci si può lamentare (Giobbe e Geremia ce ne danno… l’esempio): lamentarsi con gli altri non serve a niente perché si rimane tali e quali, ma con Dio serve eccome, perché dopo se ne esce diversi, tante cose cambiano. E forze nuove spuntano!…

• Perché i Giudei non credono?

Il Vangelo ci mostra ancora una reazione dei giudei alla rivelazione di Gesù: “I Giudei mormoravano di lui perché aveva detto: “Io sono il pane disceso dal cielo”. E dicevano. ”Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe? Di lui conosciamo il padre e la madre, come può dunque dire: sono disceso dal cielo? ”E dai che ci risiamo! Quei giudei, oltre che pescatori, di professione erano soprattutto mormoratori!… Ne avevano sempre una. E Gesù tenta, invano ahimè, di far cambiare loro mestiere dicendo: “Non mormorate tra di voi. I giudei non riuscivano a capire come potesse essere il pane disceso dal cielo. Visto che aveva un padre e una madre in terra, cosa c’entrava il cielo in tutto questo? Perché questa incredulità? La risposta la dà Gesù stesso: “Nessuno può venire a me se il Padre non lo attira. Chiunque ha ascoltato il Padre, viene a me”. Ma quei giudei non ascoltavano né Gesù, né il Padre.

• Chi ha mangiato la manna è morto lo stesso

E Gesù ribadisce ancora una volta a questo popolo di dura cervice, di essere lui il pane di vita, l’unico che sazia per sempre e dà la vita eterna. Sì, sì, i loro padri avranno anche mangiato la manna, ma erano poi morti lo stesso. Gesù stesso aveva ribadito così alla mormorazione della volta scorsa dei giudei che gli dicevano: ”I nostri padri hanno mangiato la manna, e tu che segno fai…?”
“I vostri padri hanno mangiato la manna e sono morti. Io sono il pane vivo disceso dal cielo, perché chi ne mangia non muoia”.
Ed è il pane che ci ridona forze nuove per riprendere il cammino. Anche quando questo cammino ci sembra troppo lungo. Anzi, forse proprio allora.

Wilma Chasseur

domenica 5 agosto 2012

Cosa cerchiamo quando cerchiamo Dio?

18^ Domenica Tempo Ordinario 
(Gv. 24 ,35) 

“In quel tempo, quando la folla vide che Gesù non era più là e nemmeno i suoi discepoli, salì sulle barche e si diresse alla volta di Cafarnao alla ricerca di Gesù”. La folla non desiste dal correre dietro a Gesù: è una ricerca continua, un inseguimento serrato, incessante di Colui che può tutto e attira tutti.

• “Perché mi cercate?”

Nessun dottore della legge aveva tale autorità e tali poteri e questo inquietava i capi del popolo che dicevano: “Vedete come le folle gli corrono dietro”. Eppure erano più religiosi della folla -erano addirittura i detentori del potere religioso oltre che politico- ma si opponevano fermamente a Gesù. Non erano atei, anzi si ritenevano fedelissimi alla legge e alle scritture, ma di Gesù non ne volevano sapere. Invece la folla accorreva a Gesù, ma non ne aveva capito il mistero. Egli disse loro: “In verità, in verità vi dico: voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati”. Evidentemente la gente non aveva saputo cogliere la realtà divina che si celava dietro gli atteggiamenti umani del Maestro, neanche quando faceva i miracoli perché, appena dopo aver assistito al prodigioso miracolo della moltiplicazione dei pani, gli dicono: “Quale segno dunque tu fai perché vediamo e possiamo crederti? Quale opera compi?” E’ il colmo! Avevano appena mangiato a sazietà il pane che Gesù aveva moltiplicato miracolosamente per loro e hanno la faccia tosta di chiedergli . “ Ma quale segno tu fai, perché possiamo crederti?”.

• Vista annebbiata

Evidentemente a stomaco pieno la vista è un po’ annebbiata e le fette di salame non sono solo nello stomaco, ma anche sugli occhi!… Talmente accecati che continuano: “I nostri padri hanno mangiato la manna nel deserto, ma Tu che segno fai?” Da non raccapezzarsi! E i pani e i pesci appena mangiati? Spariti nel nulla? Sennonché dopo la spiegazione di Gesù: “Il pane di Dio è colui che discende dal cielo”, uno spiraglio di fede riprende a brillare nel loro cuore e gli dicono. “Signore, dacci sempre di questo pane”. Alla buon ora!!!
Vedete dunque come per la folla, Gesù era un profeta come un altro. Nulla più! Interessavano solo i benefici che se ne potevano ottenere, non la Sua Persona. E’ sempre lo stesso rischio che corriamo anche noi: cerchiamo Dio per i benefici, grazie o miracoli che ne possiamo ottenere, ma non per sé stesso. Vogliamo i doni, ma non ci interessa il donatore. E allora Dio ci fa aspettare.

• Preferire il donatore al dono

Quando diciamo: “Ma è una vita che chiedo una grazia e Dio non me la dà” è proprio questo che accade. Proviamo a non chiederla più per niente e ad interessarci più al datore della grazia, ed ecco che immediatamente la riceveremo. Che volete farci: Dio è fatto così! Del resto anche noi siamo fatti così: guai se uno si interessa a noi per i nostri beni, le nostre capacità e non per noi stessi! Gli sbattiamo la porta in faccia. Ed abbiamo ragione! E poi vogliamo negare a DIO questo diritto che per noi rivendichiamo a tutto spiano? L'amore deve essere gratuito se no non è più tale. Se non è gratuito è interesse, calcolo e tutto quel che volete, ma non certo amore.
“Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà più fame e chi crede in me non avrà più sete”. Andiamo dunque a Lui, non per non aver più fame del pane materiale, ma perché abbiamo scoperto e ci interessa di più il pane di vita eterna e le sorgenti d’acqua viva che ci disseteranno in eterno.

Wilma Chasseur

domenica 29 luglio 2012

Pellegrinaggio alle "Sette Fonti"

17^ Domenica Tempo Ordinario
(6, 1-15) 

Oggi si va in pellegrinaggio. Dove? In un posto molto fresco e gradevole, particolarmente indicato in questo tempo di calura estiva. Pronti? Via: si va alle “Sette Fonti”. L’ideale vero? E perché andiamo lì? Perché è il posto dove avvenne la moltiplicazione dei pani. Quel miracolo Gesù lo fece proprio in un luogo sul lago di Tiberiade, chiamato Tabga, che in greco significa appunto “sette fonti” numero che simboleggia la pienezza. Il posto è magnifico, pacificante con quei declivi verdi che scendono fino al lago.

• Tirar fuori il poco che abbiamo

Gesù partì in barca: aveva intenzione di appartarsi per pregare, ma la gente saputolo, partì a piedi e
seguì la barca, arrivando addirittura prima, cosicché quando Egli scese vide tantissima gente venuta
dalle varie città, apposta per ascoltarlo: 5000 uomini senza contare le donne e i bambini. Folla
immensa per quei tempi: bastava a svuotare interi paesi. E Gesù sul far della sera, fece quel famoso
gesto di moltiplicare pochi pani e pochi pesci che poi non finivano più… Fatto che deve aver colpito tantissimo se lo riportano tutti e quattro gli evangelisti.
Venne dunque tutto un popolo che portava il peso e la fatica del vivere quotidiano. Venivano con i
loro cuori feriti, le loro angosce, i loro malati, davanti al Maestro –l’unico– che aveva detto: “Venite a me voi che siete affaticati e oppressi”.
E Gesù vide tutta questa pena che ognuno portava in fondo al cuore ed ebbe compassione di loro. E
guarì i loro malati e, per loro, moltiplicò i pani e i pesci. Per loro! Per sé stesso non lo fece,
quando dopo i 40 giorni di digiuno al deserto, ebbe fame e rispose al tentatore: “Non di solo pane vive l’uomo”. Ma ora a questi uomini affamati che ha davanti, non dice ‘non di solo pane vive l’uomo’, ma moltiplica per loro pani e pesci.

• Dov’è Tabga?

Tabga è la parrocchia, la casa, la comunità, insomma ogni luogo del tuo vivere quotidiano, dove hai
bisogno che il Signore moltiplichi i tuoi pochi pani e pesci: quelli dell’energia, dell’entusiasmo,
della pazienza per affrontare la tua battaglia di ogni giorno. Ognuno ha il suo fronte dove combattere la buona battaglia e condurla a buon fine. A volte vorresti usare “quintali di insetticida” contro le seccature e i seccatori… mentre ti occorrono quintali di pazienza per vincere la tua battaglia. Tabga, l’unica zona verde, cioè pacifica, vicino all’acqua, dove Dio ti aspetta per moltiplicare le tue riserve esaurite… e ridare pace al tuo cuore. Tabga, quel posto sul lago di Tiberiade che è presente in ogni luogo dove Cristo si fa presente. Dove si fa comunione.

• Radunate i frammenti

Alla fine Gesù disse: ”Raccogliete i pezzi avanzati” che in greco suona piuttosto “radunate i
frammenti”. Il significato è ben diverso: sta ad indicare il nostro essere che, dopo il peccato
originale e… post-originale (cioè il nostro), è esploso in mille schegge. Siamo frantumati: abbiamo
centomila desideri diversi e, spesso, contrastanti: la volontà vuole una cosa e la sensibilità vuole
l’esatto contrario; la ragione dice una cosa, il cuore ne dice un’altra e via di questo passo. Un giorno
vogliamo vedere gente, il giorno dopo, no: insomma non sappiamo ciò che vogliamo perché siamo
troppo in balia dei nostri alti e bassi. Per sfuggire alla frammentazione dobbiamo fissarci sul bene
che fa bene agli altri, non sui nostri comodi che pensiamo ci facciano star bene, ma in realtà ci
fanno stare tremendamente scomodi “dentro”. Se rendiamo felici gli altri con un’attenzione, una
parola buona, un gesto che magari ci costa anche, poi saremo più felici noi e diffonderemo gioia
tutto intorno: ecco la buona novella. Ma il primo da evangelizzare è il nostro cuore che va liberato da egoismi vari e fatto uscire da sé per renderlo attento all’altro.

Wilma Chasseur

domenica 22 luglio 2012

Un pò di relax...

15^ Domenica Tempo Ordinario
( Mc 6,30-34) 

Tempo di vacanze, tempo di relax: il Vangelo di oggi è in sintonia con l’attuale pausa estiva. “In quel tempo gli apostoli si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono tutto quello che avevano fatto e insegnato”. Ed Egli li invitò anche ad andare in un luogo deserto per riposarsi un po’. Che bel tempo era quello! Potersi riunire attorno al Maestro in persona e fare revisione di vita con Lui. Raccontargli tutto ciò che si è fatto e sentirsi al centro della Sua attenzione. Sentirsi capiti, incoraggiati, spronati, ma anche invitati a riposarsi un po’, in un luogo appartato e solitario.

• Il Maestro tace e ascolta…

Oggi più che mai c’è un bisogno viscerale di sentirsi capiti, accolti per quel che si è, incoraggiati e non ostacolati; e il Vangelo odierno ci dice da CHI dobbiamo andare in quei momenti. “Venite a me, voi tutti che siete affaticati ed oppressi ed io vi ristorerò, venite in disparte e riposatevi un po’”. Un po’ di relax… Quanta premurosa attenzione da parte del Maestro verso i suoi, attento alle loro esigenze come il migliore dei padri che comprende anche le loro stanchezze . Contento di ascoltare ciò che i suoi hanno da dirgli: questa volta è Lui che ascolta. Il Maestro che di solito insegnava, ora tace e ascolta...
La capacità di ascolto è forse ciò di cui ha più bisogno il mondo di oggi. L’uomo moderno stanco, stressato, non ha tanto bisogno di una parola quanto di… un orecchio che ascolti. E non solo l’uomo moderno, ma anche i contemporanei di Gesù erano tutti contenti che il loro Maestro li stesse ad ascoltare. E li invitasse a riposarsi un po’, perché “la folla che andava da loro era così tanta che non avevano nemmeno più il tempo di mangiare. Allora partirono sulla barca verso un luogo solitario, in disparte.”

• Un bastone e una tunica, basta!

Domenica scorsa avevamo visto che il corredo per gli apostoli partiti a due a due ad annunciare la buona novella, doveva essere ridotto al minimo: un bastone e una tunica. Perché? Sicuramente perché non sono i mezzi, né i grandi apparati che convertono i cuori, ma la grazia che si manifesta nella semplicità di vita ed è più efficace di tanti discorsi altisonanti. E avevamo visto come l’apostolo non debba cercare altre garanzie e sicurezze al di fuori della grazia. Oggi vediamo che gli apostoli non devono appoggiarsi sul loro operato e sul bene fatto, ma devono risalire al donatore di ogni grazia: “Venite in disparte con me”. Cioè ristabilite la comunione con me e ricentrate il vostro obiettivo sull’unico necessario perché il vostro operato sia efficace. Non ricercate il consenso umano, che oggi c’è e domani chissà: all’osanna può sempre seguire un “crucifige”. Dio solo non delude mai!

• A piedi si arriva prima…

“Molti però li videro partire e capirono, e da tutte le parti cominciarono ad accorrere là a piedi e li precedettero”. Vedete che a piedi si va più veloci che in barca (e che a cavallo: san Paolo incominciò a percorrere le strade del mondo solo dopo che fu sbalzato da cavallo…) e così quando Gesù e compagni arrivarono, altro che luogo solitario, era strapieno di gente e Gesù si commosse perché “erano come pecore senza pastore e si mise ad insegnare loro molto cose”. Ecco che il Maestro, dopo aver ascoltato i suoi discepoli (e aver sperato –invano– di trovare un luogo solitario) si rimette a fare il Maestro e ad insegnare alle folle. Preso da compassione! Ecco il tratto più ricorrente e finalizzante degli atteggiamenti di Gesù: la compassione! Preso da compassione, guariva gli ammalati, moltiplicava i pani e i pesci, cacciava gli spiriti immondi ecc. E noi, discepoli moderni dell’Unico Maestro, ci lasciamo ancora prendere da compassione?

Wilma Chasseur

domenica 8 luglio 2012

Gesù profeta fuori patria

14^ domenica T.O.
( Mc 6, 1-6) 

Gesù affascinava con la sua parola, era un trascinatore, stava spopolando paesi e città per raccogliere le folle al suo seguito, contrariamente agli scribi e farisei che “con la loro attesa di un Messia che non arrivava mai, la loro monotona fedeltà a una legge di 613 precetti, la ripetitività di formule e divieti, non riuscivano certo ad entusiasmare le folle e a farle accorrere”. (Sigalini)
Con Gesù, tutto è nuovo: non formule, ma storia viva; non precetti in abbondanza, ma guarigioni e miracoli in abbondanza; non fedeltà a una legge a scapito dell’uomo, ma salvezza dell’uomo anche a scapito della legge: quante volte aveva infranto il riposo sabbatico per guarire e salvare chi era perduto!

• Forestiero in casa propria

Ma ecco che dopo tutto questo successo, Gesù torna a Nazareth, nella sua patria. E che succede? I suoi concittadini lo vedono tornare, vanno ad ascoltarlo alla sinagoga, il primo sabato, quando Egli và a dare il suo insegnamento e si scandalizzano addirittura di Lui. Ma cosa sta dicendo costui, il figlio del carpentiere, il figlio di Maria: La madre non è forse quella che vediamo andare al mercato, ad attingere acqua, ad impastare il pane come ogni buona massaia? E la famiglia non è forse quella che vediamo in sinagoga (oggi diremmo in chiesa) tutti i sabati?
Questo giovane partito dal paese qualche anno addietro, anche se altrove aveva fatto miracoli e trascinato le folle, ai nazaretani non importava: loro sapevano tutto e di più su di Lui. Non era possibile che Dio si manifestasse in un personaggio così poco appariscente, senza titoli né niente che potesse accreditarlo presso i notabili del paese. Dio non si manifesta certo in questa quotidianità e per di più in una banale cittadina qualunque. Da Nazareth cosa può mai venire di grande?

• Altri tempi, stessa storia!

E Gesù cosa avrà provato davanti a questo mormorio fatto di incredulità e diffidenza? Sicuramente tanta tristezza: l’incomprensione totale dei suoi non Gli permise di operare molti miracoli e lasciò la sua patria con tanta amarezza e delusione nel cuore. Questa loro incapacità di cogliere il mistero della Sua persona e di vedere spiragli d’infinito in questa crosta quotidiana, deve avergli trafitto il cuore quanto una spada. Quindi, da una parte non riconosciuto dai suoi e dall’altra, rifiutato dai dottori della legge, perché attentava al loro prestigio.
Altri tempi, stessa storia! Nessuno è profeta in patria. Quei tempi erano dunque come questi. Ingabbiamo il divino; deve per forza rientrare nei nostri schemi, se no, in una realtà diversa, gli neghiamo la residenza! Molto spesso abbiamo occhi per non vedere e orecchie per non sentire.

• Esiste ancora la profezia?

Ma chiediamoci: allora c’erano i profeti (non riconosciuti, ma profeti lo stesso…) e ora? Esiste ancora la profezia? Esiste ed è accessibile a tutti; sapete qual è? E’ quella interiore che ci rende capaci di riconoscere il bene altrui. E non solo di riconoscerlo, ma di evidenziarlo, di diffonderlo, di mettere la nostra gioia nel farlo conoscere. Così sfuggiremo al pericolo di perdere la ricompensa stessa del profeta perché “chi riconosce un profeta avrà la ricompensa del profeta”. E sfuggiremo anche al pericolo di peccare contro lo Spirito Santo.
Chiediamo al Signore la grazia di saper scorgere i segni della Sua presenza nel prossimo più prossimo: magari Egli ci fa incontrare persone che potrebbero aiutarci nella via del bene, ma noi non le consideriamo neanche. Il catechismo romano definiva come peccato contro lo Spirito Santo il voluto mancato riconoscimento della grazia altrui.
Se sapremo godere del bene altrui, ne faremo di più anche noi e saremo particolarmente cari al Signore!

Wilma Chasseur

domenica 1 luglio 2012

Video Vangelo: XIII Domenica T.O.

Quando si prende Gesù così com'è...

13^ Domenica Tempo Ordinario
( Mc 5, 21-36) 

Oggi Gesù passa in barca. Anche domenica scorsa passava, e mentre passava lo presero, sulla barca, così com’era. Mi ha molto incuriosito quel “così com’era”. Com’era Gesù nella sua realtà profonda? Non era solo uomo, era DIO. Ecco allora cosa succede quando si prende Gesù, così com’è, nella barca: accadono i miracoli. L’altra volta, prendendolo così com’era sulla barca, aveva sgridato onde e tempesta e queste fuggirono all’istante. Questa volta va molto oltre: fa fuggire addirittura la morte. Dopo aver detto a Giairo “non temere, solo abbi fede”, si recò a casa sua e prese per mano la bambina. Ma la bimba era morta. Se chiunque altro l’avesse presa per mano, la bimba sarebbe rimasta morta, ma se la prende per mano Gesù, cambia tutto: sparisce la morte e ritorna la vita. E infatti la bimba si alza e va… perché prima, ad andarsene, era stata la morte.

• Quale progresso davanti alla morte?

Ecco il vero progresso che l’uomo moderno e supertecnologico non è riuscito a realizzare. Anzi su questo punto è rimasto tale e quale gli uomini delle caverne: quelli morivano e questi muoiono. Oggi come ieri si continua a morire. L’uomo è riuscito a vincere l’attrazione gravitazionale terrestre per andare nello spazio, è riuscito a costruire radio telescopi che scandagliano l’universo a miliardi di anni-luce, è riuscito a costruire missili che viaggiano a quarantamila Km orari, ma non è ancora riuscito a fuggire sulla luna quando arriva la morte sulla terra…“Da sora nostra morte corporale, nessun uomo vivente può scappare…”
Ma un progresso davanti alla morte ci sarebbe anche adesso, solo che non è fisico e non risiede nell’uomo, ma in Qualcun altro. Come fare per far fuggire la morte? Fare come Giairo: rivolgersi a quel Qualcun altro. Ma bisogna farlo con fede. Con la sua fede Giairo ha ottenuto il miracolo. Come l’ha ottenuto la donna che ha toccato la frangia del manto di Gesù il quale ha immediatamente sentito che una forza si sprigionava da Lui grazie a quel gesto di fede.

• Quando Dio prende per mano…

La fede non è una porta che si chiude, ma che si apre per non chiudersi mai più. Alzati! dice anche a noi. Se poi ci prende per mano, apriti cielo: quante cose vedremo sparire, di ogni genere e specie: paure, angosce, turbamenti, malattie. Perché è proprio allora che dobbiamo andare a Lui che non dice proprio di andarci quando siamo pimpanti, allegri e giulivi, ma di andare coi nostri sfinimenti e stanchezze, malattie e preoccupazioni e queste spariranno. Gesù questa mano ce la dà, tocca a noi prenderla, perché altrimenti Colui che può tutto, non può far niente…
Dunque fiducia totale in Colui che SOLO può tutto. Se ci appoggiamo su qualcos’altro , prima o poi ci accadrà una rivoluzione francese o russa che ci rimetterà sul giusto asse…
Chiediamo dunque sempre questa fede indispensabile alla traversata su questa povera barchetta sgangherata, in mezzo al mare in burrasca. Soprattutto mai fermare lo sguardo sulla tempesta (la vita con le sue difficoltà) e neanche sulla barchetta (noi) ma guardare solo LUI.
Eccovi una bella preghiera di Sant’Agostino:

• Calmati…

Se senti vacillare la tua fede per la violenza della tempesta, calmati, Dio ti guarda.
Se vedi che ogni cosa che passa cade nel nulla senza più ritornare, calmati Dio rimane.
Se il tuo cuore è agitato, in preda alla tristezza, calmati Dio perdona.
Dio ascolta quando nulla ci risponde.
Dio è con noi quando ci crediamo soli.
Dio ci ama anche quando sembra che ci abbandoni.

Wilma Chasseur

domenica 17 giugno 2012

Video Vangelo: XI Domenica del Tempo Ordinario

La forza dell'umiltà

11^ Domenica T.O.
(Mc 4, 26-34) 

Tema conduttore di oggi: l’umiltà. Personaggi principali: ramoscelli, alberi e granelli di senapa.
Nella prima lettura il Signore non ammaestra solo gli uomini, ma soprattutto gli alberi “un ramoscello prenderò dalla cima del cedro e lo pianterò sopra un monte alto, così tutti gli alberi della foresta sapranno che io sono il Signore che umilio l’albero alto e innalzo quello basso”.

• Come lavora la grazia?

Rallegratevi dunque voi tutti alberi della foresta, perché saprete cose che a noi uomini non è dato sapere. Ed esultate arbusti e cespugli perché il Signore vi innalzerà: Lui quello che dice lo fa! Solo, non tentate di innalzarvi da soli. Insegnateci a non volerci innalzare se no rischiamo di seccare, oltre che di crollare. E rischiamo di ignorare chi sia il Signore. Insegnateci a rimanere raso terra e sperimenteremo la forza dell’umiltà.
Il Vangelo ci parla del più piccolo seme che esista, quello di senapa, che una volta gettato in terra germoglia e cresce, ma come questo accada non lo sa neppure lui. Di colpo si ritrova fuori della terra senza sapere chi mai l’abbia spinto fuori. Ecco come lavora la grazia e come avanza il regno di Dio: invisibilmente e silenziosamente. Ecco la forza dell’umiltà che fa spuntare un fiore da un seme caduto magari sulla dura roccia. Come successe ai tre personaggi del racconto che sto per narrarvi, che erano autentici fiori spuntati dalla roccia, ricolmi della grazia di Dio, senza neanche saperlo.

• Sei Uno e sei Tre

Su un’isola sperduta nel Mar Bianco, vicino ad Arkangelsk, vivevano 3 anacoreti. Non si sa da quanto tempo fossero lì, ma erano vecchissimi. Il primo aveva la barba bianca, il secondo anche e il terzo era talmente vecchio che la sua barba aveva riflessi verdi. Il vescovo di Arkangelsk decise un giorno di andarli a visitare e vedere come vivevano e come pregavano. Partì su di una barca e sbarcò sull’isola. I tre anziani erano tutti contenti di vedere il loro vescovo e gli si fecero incontro premurosi. Il vescovo li interrogò sulla loro vita e quale fosse la loro preghiera. I tre dissero: “Oh padre noi non siamo istruiti, ripetiamo semplicemente tutto il giorno: “Tu Sei uno e sei Tre; noi siamo 3 e ti adoriamo e ti amiamo”. Il vescovo rimase un po’ esterrefatto e chiese: “ma non sapete neanche il Padre Nostro? No padre, nessuno ce lo ha insegnato”. Allora il vescovo decise di insegnarglielo e rimase tutta la giornata ripetendo una frase per volta e facendola ripetere ai tre. “Padre nostro che sei nei cieli”… E loro ripetevano... e finché non la sapevano a memoria non passava alla frase successiva.

• Sulla scia di luce

Finalmente verso sera, riuscirono a ripetere quasi per intero, senza sbagliarsi, tutta la preghiera. Allora il vescovo si congedò, con mille ringraziamenti da parte dei tre. Salì sulla barca e dopo un po’ vide sul mare una cosa stranissima che si avvicinava a velocità folle: era come una scia di luce. Guardò meglio e vide che erano i 3 che si avvicinavano a velocità incredibile quasi volando su quella scia di luce e quando furono abbastanza vicini gridarono: “Padre aspetti dobbiamo chiederle una cosa.” Il Vescovo fece fermare la barca per sentire la richiesta. I tre tutti contriti gli dissero: “Padre abbiamo dimenticato la preghiera che ci ha appena insegnato. Può insegnarcela di nuovo?” Il Vescovo vedendo un tale prodigio, pieno di confusione disse loro: “Oh benedetti, pregate voi per me la Santissima Trinità e continuate pure con la vostra preghiera “Sei Uno, Sei Tre”. Io non sono degno di insegnarvi niente. Sono io che devo imparare da voi, non voi da me” .
E i tre ripartirono sulla scia di luce che li riportò alla loro isola sperduta.

Wilma Chasseur

domenica 10 giugno 2012

Pane spezzato

Corpus Domini
(Mc14, 12-16,22-26) 

Abbiamo visto che essere Trinità è essere versato l’uno nell’altro. Se Dio fosse solo uno e non trino (come vorrebbero le religioni stramonoteiste), sarebbe una monade solitaria. Nella storia dei Concili prima di stabilire il dogma della Trinità si è dovuto stabilire la divinità delle Persone. Nel Concilio di Nicea (325) si è dovuto stabilire che Gesù era vero Dio (omoousios) e non un’emanazione e, in altri Concili, che lo Spirito Santo era una persona e non semplicemente un soffio o un’energia. In seguito il Concilio di Costantinopoli (381) stabilì che anche lo Spirito Santo era una persona divina. Tutte verità contenute nel Credo che si chiama appunto Niceno-Costantinopolitano. Nel dogma dell’Incarnazione si stabilirono le due nature (divina e umana) e una sola persona (divina) del Figlio. Ma nel sacramento dell’Eucaristia questo Figlio si fa addirittura pane. L’infinito si fa frammento, il tutto si fa particella per potersi donare a noi. Dio sconcertante: la potenza si fa debolezza, il Creatore si fa creatura e quella creatura unica al mondo, cioè l’Uomo-Dio, si fa pane. Più scendere di così, più annientarsi di così, non si può!

• Cosa dare a Dio?

Quella pienezza e sovrabbondanza di vita, si fa pane, per eliminare ogni distanza tra Lui e noi: da deformi ci rende deiformi. Se facendosi corpo Gesù è entrato nell’umanità, facendosi pane entra addirittura nel nostro corpo. E facendosi pane spezzato entra addirittura nella nostra debolezza. Il pane intero rappresenta la forza, quello spezzato la debolezza.
Dice padre Cantalamessa che dopo aver dato la nostra forza (pane intero), dobbiamo dare a Dio la nostra debolezza. Ci penserà la vita con le sue difficoltà, malattie e handicap vari a sbriciolare quel pane intero. Ma allora, grazie all’Eucaristia, mai più vite inutili: un malato nel suo letto è diventato pura eucaristia e la sua vita vale di più di quella del leader più importante del mondo. Tutti, non solo il celebrante, dobbiamo dire “prendete e mangiate”, cioè farci cibo per gli altri. Una casalinga dice questo e poi torna a casa ai suoi mestieri: nessuna TV ne parlerà, ma la sua giornata vale ben di più: il programma TV viene cancellato da quello successivo, ma quel gesto rimane per l’eternità. Andando avanti si avrà più stanchezza e fatica che altro da dare: diamo quello. Il Signore ha più bisogno della nostra debolezza che della nostra forza. Lui non ha bisogno di molto, ha bisogno del poco, del sempre meno che potremo dare. Di quello sì, ne ha veramente bisogno! Sarà poco, sarà sempre meno, ma non è niente. E’ così che bisogna crescere: in piccolezza: bisogna che noi diminuiamo affinché Lui cresca. E solo così diventeremo simili a Lui.

• Dacci oggi la nostra gioia quotidiana

L’Eucaristia ci insegna anche un’altra cosa: Gesù non ha scelto pane e acqua, ma pane e vino. Cosa significa? Dice sempre padre Cantalamessa, che il Signore non vuole solo la sofferenza (acqua) e il lavoro (pane) ma vuole anche la gioia (vino). Non solo la sofferenza ci santifica, ma anche la gioia, perché Gesù a Cana ha santificato la gioia. Non moltiplicò il vino per dissetare (per quello c’era abbastanza acqua), ma per dare gioia. Abituiamoci a chiedere al Signore, ogni giorno, la nostra razione di gioia quotidiana. E’ sua volontà anche quella (“voglio che la vostra gioia sia piena”). Impariamo a sorridere un po’ di più: abbiamo un volto proprio per quello (gli Angeli non possono sorridere e neanche gli animali…) e a rendere partecipe Dio, non solo dei nostri dolori, ma anche delle nostre gioie più belle. Solo così si moltiplicheranno e rallegreranno i cieli e la terra.
Prendi Signore, ti offro il mio vino; accettalo e rallegrati con me.

Wilma Chasseur

domenica 20 maggio 2012

Video Vangelo: Ascensione

Domanda sull'Ascensione

ASCENSIONE DEL SIGNORE
(Mc 16,15-20) 

L’Ascensione di Gesù al Cielo mi pone delle domande e credo le ponga anche a voi. Oltre che invitarci a guardare in alto, l’Ascensione ci invita anche a guardare dentro, e a interrogarci sul suo significato profondo. In un mondo che ci invita a guardare dappertutto tranne che in alto e tranne che “dentro”, ci voleva proprio questo richiamo .
Così come ci è narrata negli Atti degli Apostoli, l’Ascensione, è tutta piena di segni celesti: la nube, gli Angeli, il cielo e Gesù che sale. E gli apostoli lo videro salire con i loro occhi perché -se alla Risurrezione era salito al cielo con l’anima e la divinità- ora vi sale con il Suo Corpo. E non ci sarà mai più un momento in cui nella Santissima Trinità, non ci sia Gesù anche in corpo ed anima, oltre che in spirito e divinità. Dopo 40 giorni di vita gloriosa, Gesù lascia dunque definitivamente la terra e va a sedersi alla destra del Padre. Anche questo sedere alla destra riguarda l’umanità di Gesù, perché per la divinità, purissimamente spirituale, non c’è né destra, né sinistra. Ma a questo punto io, anche a nome vostro, voglio porre qualche domanda a Gesù.

• Domande a Gesù

Caro Gesù: permettimi che ti faccia una domanda che mi pongo tutti gli anni proprio in occasione dell’Ascensione: ma perché hai voluto andartene da questa terra, proprio quel giorno? Te ne fossi andato alla Risurrezione capirei ancora, ma visto che eri ritornato sulla terra, per starci ancora 40 giorni con i tuoi discepoli, perché non prolungare quel tempo? Perché non rimanere quaggiù, in modo che anche noi, almeno una volta all’anno potessimo chiederti un appuntamento ed essere ricevuti in udienza privata direttamente da te, affiancato dal tuo Vicario in Terra? Se poi l’udienza potesse diventare anche più frequente, tanto meglio. Oppure, Signore, permettimi quest’altra domanda: se tu fossi rimasto e magari ogni domenica, nelle nostre parrocchie, la Santa Messa fosse celebrata direttamente da te, questo non contribuirebbe ad aumentare la nostra fede? Sai Gesù, queste domande non me le pongo solo io, ma anche altri. Ma mi sembra di sentire nel mio cuore la tua risposta:

• Gesù risponde…

Cara Wilma, capisco il tuo desiderio che è anche quello di tanti altri, di vedermi di persona, ma non ti ricordi che l’avevo spiegato il motivo per cui me ne dovevo andare quando dissi: “E’ meglio per voi che me ne vada se no non verrà a voi lo Spirito Paraclito”. E poi, come per rassicurarvi aggiunsi: “Pregherò il Padre, affinché Egli vi dia un altro Consolatore che rimanga con voi per sempre”. Ho voluto tranquillizzarvi e dirvi che anche che se me ne dovevo andare per compiere l’imperscrutabile disegno del Padre, non vi avrei lasciati soli, ma avrei mandato il mio Spirito.
Ecco il perché della mia dipartita. E’ meglio così anche per voi e non solo per gli apostoli: infatti conoscermi nello Spirito, è una conoscenza più perfetta che quella visibile e sensibile: i miei stessi apostoli mi avevano conosciuto poco finché era tra loro. Questo, per il semplice fatto che se la mia umanità è adorabile, non lo è tanto in sé stessa, quanto perché è congiunta ipostaticamente al Verbo. E’ la divinità, non l’umanità, il principio e la fonte del massimo bene, ed è la conoscenza in spirito e verità, la più vera e più perfetta conoscenza. Beati quelli che crederanno senza aver visto. Così, nello Spirito, cara figliola mia, puoi venire in udienza anche tutti i giorni. Anzi, appena ti svegli al mattino, se tu elevi la tua anima a Me, sei già davanti a me in udienza privata, anzi privatissima. Vedi che io faccio bene tutte le cose? Ora ti benedico assieme ai tuoi fratelli e sorelle di fede e benedico anche le… vostre domande. Venite pure che vi riceverò in udienza privata tutti i giorni.

Wilma Chasseur

domenica 13 maggio 2012

Video Vangelo: VI Domenica di Pasqua

Rimanete, non fuggite

6^ Domenica di Pasqua
(Gv 15, 9-17) 

Rimanere! Dove? Uniti alla vite, ci veniva detto domenica scorsa. Uniti alla vita, ci viene detto oggi. Solo se rimaniamo in Lui che è amore, cioè pienezza di vita, capiremo che siamo amati. Se non rimaniamo, come facciamo a capirlo? Se girovaghiamo ad anni luce di distanza come lo capiremo? Rimaniamo e, a forza di rimanere, qualcosa finiremo per capire. Un po’ per volta certo, non tutto alla volta, ma nella misura in cui cominceremo a capire, avremo sempre più voglia di rimanere.

• Fermate la corsa!

Ma se ci guardiamo attorno, vediamo sempre più un fuggi-fuggi generale. Provate a chiedere “ma dove fuggite?”. Nessuno ve lo saprà dire. Si continua a correre senza sapere perché si corre e dove si va! Addirittura il tempo s’è messo a correre pure lui: non diciamo forse sempre più spesso “coi tempi che corrono”… Siamo riusciti a far correre anche il tempo, come se stando fermo non passasse lo stesso. Altro che “rimanere”. E poi ci lamentiamo che non ci sentiamo amati da Dio. Il mondo è sempre perennemente fuori di sé o meglio: fuori da sé. Per capire di essere amati dal Padre, occorre rientrare in sé, cioè rientrare in casa e RIMANERVI. Fuori non si capisce niente!
L’altro grande comandamento è di amarci come Lui ci ha amati. Comando da vertigini! Come facciamo noi ad amare come ama lui!
Che dobbiamo amare non è affatto una novità, ma amare come LUI, questo sì che è sconvolgente. Come ha amato Gesù? Perdutamente; da perdere la stessa vita.
Se vogliamo amare come Lui, dobbiamo perderci, dargli il cuore, la vita, inabissarci, scomparire affinché sia Lui ad emergere; Lui a sorgere, Lui a brillare, Lui ad illuminare chiunque si trovi sul nostro cammino (“bisogna che io diminuisca affinché Lui cresca”). Mettiamo da parte questo nostro povero io che riesce solo a fare ombra e tanto fumo e nient’altro! L’uomo vecchio deve scomparire. Allora sì che sorgerà l’alba di un mondo nuovo, non più gestito dall’uomo vecchio e non più basato sul povero modo di amare umano sempre fragile e imperfetto, traballante e incostante, ma fondato sull’amore divino “come Io vi ho amati”.

• Meta vertiginosa

Certo, questa è una meta molto alta, da vertigini, ma visto che la nostra natura tende già a tirarci sempre verso il basso, dobbiamo perlomeno puntare molto in alto per restare poi appena un po’ più su del suolo!
Noi dobbiamo essere come le antenne paraboliche che riflettono una luce che viene da altrove. Non abbiamo nessuna luce propria, ma possiamo –anzi, dobbiamo– diventare puri ricettacoli della luce divina; pure scintille del suo fuoco che possono veramente illuminare ed accendere tante altre fiammelle ancora spente nella notte della disperazione, tanti cuori ancora assiderati nel gelo dell’assenza di Dio. E così tanti nostri fratelli ancora “pellegrini nella notte” troveranno quella luce e quel fuoco che Gesù è venuto a portare. “Sono venuto a portare un fuoco sulla Terra e come vorrei che fosse già acceso”. Aiutiamo il Signore ad accendere il fuoco e magari capiterà anche a noi come a San Simeone Nuovo Teologo, colpito da quel fuoco, di ritrovarci di colpo nuovi fiammanti dentro e fuori. E in più, la nostra gioia sarà piena e saremo chiamati amici e non più servi. E conosceremo anche i segreti del Padre, perché è proprio agli amici e non ai servi che si rivelano i segreti del cuore. E qui Gesù ci assicura che ci rivelerà non solo i segreti del suo cuore, ma anche quelli del Padre. Il servo non sa quel fa il padrone e tantomeno quel che pensa, ma l’amico sì. E proprio per questo la sua gioia sarà in noi e la nostra gioia sarà piena.

Wilma Chasseur

domenica 6 maggio 2012

Video vangelo: V Domenica di Pasqua

Dalla vite alla vita

5^ Domenica di Pasqua
(Gv 15,1-8)

Portare frutto! Come fare? Ce lo dice la seconda lettura “Figlioli, non amiamo a parole, né con la
lingua, ma coi fatti e nella verità; da questo conosceremo che siamo nella verità”. Un proverbio
indiano dice pressappoco così: “Ciò che fai grida così forte che mi impedisce di udire ciò che dici”.
Fatti ci vogliono; le parole, mai nessuna bilancia è ancora riuscita a pesarle. E Gesù lo ribadisce:
“Non chi dice Signore, Signore, entrerà nel Regno dei Cieli, ma chi fa la volontà del Padre mio”.

• Senza di Lui, nulla!

Il Vangelo è il grande libro della vita, ma anche della… vite. Se vogliamo sentire fluire in noi la
Sua vita dobbiamo rimanere nella vite: “Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può far
frutto da se stesso se non rimane nella vite, così anche voi se non rimanete in me. Io sono la vite,
voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete fare nulla”.
E’ solo rimanendo in Lui che si porta frutto! Staccati da Lui, si possono anche fare cose portentose
e avere successi strepitosi, ma si è come il ramo secco che viene buttato via e poi bruciato nel
fuoco. Gesù ha portato il massimo frutto quando ha accettato di morire sulla Croce della morte più
infamante e ignominiosa. E l’ha fatto quando aveva un successo strepitoso; le folle gli correvano
dietro: guariva i malati, risuscitava i morti e continuando ad esercitare i suoi poteri divini avrebbe
potuto conquistare il mondo intero, ma ha preferito aderire alla volontà del Padre e al suo
imperscrutabile disegno di salvezza. Volontà salvifica per eccellenza, dalla quale è scaturita la
salvezza per tutti: tutti se lo vogliono sono salvi, nessuno escluso!

• Volere la sua volontà è volere Lui

E’ dunque nell’unione alla volontà di Dio che si porta il massimo frutto: La norma suprema della
moralità è aderire alla sua volontà perché allora si è veramente uniti a Lui perché in Dio tutto
coincide: non c’è distinzione tra la sua volontà e il suo Essere. Per Dio volere è essere e essere è
volere in quanto, essendo semplicissimo, in Lui non c’è composizione di sorta. Per cui se siamo
uniti al suo volere, siamo veramente uniti al suo essere, cioè se facciamo la Sua volontà siamo
veramente uniti a Lui e siamo il tralcio che porta frutto. E se siamo uniti alla Sua volontà siamo
anche uniti al suo amore perché per Dio, volere e amare è tutt’uno e coincide perfettamente. E
questo amore produrrà amore anche in noi. L’amore divino infonde e crea bontà nelle cose e nelle
creature. Mentre noi amiamo le cose e le creature perché sono buone e belle, Dio è amandole che le
rende buone e belle.
E poi, il Vangelo conclude con questa consolantissima promessa, diretta conseguenza del rimanere
in Lui: “Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quel che volete e vi sarà
dato”.

• Quel che volete, sarà fatto!

Che meraviglia! Chiedete QUEL CHE VOLETE! Non “chiedete che la Sua volontà sia fatta”, ma
quel che volete! Qui, chiaramente non c’è più bisogno di precisare che sia fatta la sua volontà
perché se rimaniamo in Lui, non possiamo volere altro che quel che Lui vuole: c’è la perfetta
unione di volontà.
L’insistenza dei testi di oggi va dunque tutta sul “rimanere in Lui”, sulla comunione con Lui, fonte
suprema e imprescindibile della comunione tra di noi. Se non c’è quella, cioè la prima, è pura
illusione credere di realizzare la seconda, cioè la pace tra di noi, ma anche la pacifica convivenza tra
i popoli. “Senza di me non potete fare nulla”.
Wilma Chasseur

lunedì 30 aprile 2012

Benedetto XVI: Ognuno di noi è frutto dell'amore di Dio.

Regina Coeli di Papa Benedetto XVI - 29 Aprile 2012

BENEDETTO XVI

REGINA CÆLI

Domenica, 29 aprile 2012

Cari fratelli e sorelle!

Si è da poco conclusa, nella Basilica di San Pietro, la celebrazione eucaristica nella quale ho ordinato nove nuovi presbiteri della Diocesi di Roma. Rendiamo grazie a Dio per questo dono, segno del suo amore fedele e provvidente per la Chiesa! Stringiamoci spiritualmente intorno a questi sacerdoti novelli e preghiamo perché accolgano pienamente la grazia del Sacramento che li ha conformati a Gesù Cristo Sacerdote e Pastore. E preghiamo perché tutti i giovani siano attenti alla voce di Dio che interiormente parla al loro cuore e li chiama a distaccarsi da tutto per servire Lui. A questo scopo è dedicata l’odierna Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni. In effetti, il Signore chiama sempre, ma tante volte noi non ascoltiamo. Siamo distratti da molte cose, da altre voci più superficiali; e poi abbiamo paura di ascoltare la voce del Signore, perché pensiamo che possa toglierci la nostra libertà. In realtà, ognuno di noi è frutto dell’amore: certamente, l’amore dei genitori, ma, più profondamente, l’amore di Dio. Dice la Bibbia: se anche tua madre non ti volesse, io ti voglio, perché ti conosco e ti amo (cfr Is 49,15). Nel momento in cui mi rendo conto di questo, la mia vita cambia: diventa una risposta a questo amore, più grande di ogni altro, e così si realizza pienamente la mia libertà.

I giovani che oggi ho consacrato sacerdoti non sono differenti dagli altri giovani, ma sono stati toccati profondamente dalla bellezza dell’amore di Dio, e non hanno potuto fare a meno di rispondere con tutta la loro vita. Come hanno incontrato l’amore di Dio? L’hanno incontrato in Gesù Cristo: nel suo Vangelo, nell’Eucaristia e nella comunità della Chiesa. Nella Chiesa si scopre che la vita di ogni uomo è una storia d’amore. Ce lo mostra chiaramente la Sacra Scrittura, e ce lo conferma la testimonianza dei santi. Esemplare è l’espressione di sant’Agostino, che nelle sue Confessioni si rivolge a Dio e dice: «Tardi ti amai, bellezza così antica e così nuova, tardi ti amai! Tu eri dentro di me, e io fuori … Eri con me, e io non ero con te … Ma mi hai chiamato, e il tuo grido ha vinto la mia sordità» (X, 27.38).

Cari amici, preghiamo per la Chiesa, per ogni comunità locale, perché sia come un giardino irrigato in cui possano germogliare e maturare tutti i semi di vocazione che Dio sparge in abbondanza. Preghiamo perché dappertutto si coltivi questo giardino, nella gioia di sentirsi tutti chiamati, nella varietà dei doni. In particolare, le famiglie siano il primo ambiente in cui si “respira” l’amore di Dio, che dà forza interiore anche in mezzo alle difficoltà e le prove della vita. Chi vive in famiglia l’esperienza dell’amore di Dio, riceve un dono inestimabile, che porta frutto a suo tempo. Ci ottenga tutto questo la Beata Vergine Maria, modello di accoglienza libera e obbediente alla divina chiamata, Madre di ogni vocazione nella Chiesa.

Dopo il Regina Caeli

Cari fratelli e sorelle!

Un saluto speciale rivolgo ai pellegrini riuniti nella Basilica di San Paolo fuori le Mura, dove stamani è stato proclamato Beato Giuseppe Toniolo. Vissuto tra il XIX e il XX secolo, fu sposo e padre di sette figli, professore universitario ed educatore dei giovani, economista e sociologo, appassionato servitore della comunione nella Chiesa. Attuò gli insegnamenti dell’Enciclica Rerum novarum del Papa Leone XIII; promosse l’Azione Cattolica, l’Università Cattolica del Sacro Cuore, le Settimane Sociali dei cattolici italiani e un Istituto di diritto internazionale della pace. Il suo messaggio è di grande attualità, specialmente in questo tempo: il Beato Toniolo indica la via del primato della persona umana e della solidarietà. Egli scriveva: «Al di sopra degli stessi legittimi beni ed interessi delle singole nazioni e degli Stati, vi è una nota inscindibile che tutti li coordina ad unità, vale a dire il dovere della solidarietà umana».

Sempre oggi a Coutances, in Francia, è stato beatificato anche il sacerdote Pierre-Adrien Toulorge, dell’Ordine Premostratense, vissuto nella seconda metà del secolo XVIII. Rendiamo grazie a Dio per questo luminoso “martire della verità”.

Saluto i partecipanti all’Incontro europeo degli studenti universitari, organizzato dalla Diocesi di Roma nel primo anniversario della Beatificazione di Papa Giovanni Paolo II. Cari giovani, proseguite con fiducia nel cammino della nuova evangelizzazione nelle Università. Domani sera mi unirò spiritualmente a voi, per la Veglia che avrà luogo a Tor Vergata, presso la grande Croce della Giornata Mondiale della Gioventù del 2000. Grazie della vostra presenza!

domenica 29 aprile 2012

Video Vangelo: IV Domenica di Pasqua

Immagine antica e sempre nuova

4^ Domenica Di Pasqua
(Gv 10,11-18) 


Domenica del Buon Pastore. Continuiamo a riflettere su Gesù risorto e sul fatto che anche dopo morto, si fa sempre vivo. Oggi la liturgia ci presenta un’immagine antica e sempre nuova, quella del buon pastore che dà la vita per le pecore. La dà per poi riprenderla di nuovo. Solo Lui ha questo potere: riprendere la sua vita o meglio riprendere a vivere dopo che era già morto. Incredibile!

• Un caso sovrumano…

Lui non è uscito da questa terra come ne usciremo tutti noi! Come usciremo noi da questa vita? Morti! Per passare da questa all’altra vita, bisogna per forza uscirne morti. Gesù invece ne è uscito vivo dopo che era già morto, defunto e sepolto. Di che far saltare tutte le nostre categorie umane. Infatti Gesù è un “caso” sovrumano: impossibile farlo rientrare nei nostri schemi. Meglio: Gesù è un “caso” divino: è per questo che ha potuto salire al cielo vivo e non morto. Bel rompicapo per un ufficiale dell’anagrafe! Quell’Uomo morto il 7 aprile, il 9 aprile è di nuovo vivo! Infatti, come ci conferma la ricerca storica, Gesù sarebbe morto il 7 aprile dell’anno 30, ma l’ultima data di Gesù sulla terra, non è per niente quella, ce n’è un’altra: c’è il 9 aprile che butta tutto per aria, non solo la pietra del sepolcro, ma anche tutte le nostre concezioni umane.

• …che manda in tilt tutto il sistema

Invece, per ognuno di noi, l’ultima, suprema data, sarà quella della morte. Entrati nel… monolocale del sepolcro, da lì non ne usciremo più: quella sarà, non la prima o la seconda casa, ma l’ultima e definitiva abitazione in cui prenderemo residenza. E nessuno potrà più farci sloggiare da lì. Quindi il “caso” Gesù sarebbe anche un bel rompicapo non solo per l’anagrafe, ma pure per i vari istituti di previdenza sociale, assicurazioni sulla vita ecc. Se volessimo fare la trasposizione ai giorni nostri, un uomo morto il 7 aprile, non ha più diritto alla pensione; se poi il 9 è di nuovo vivo, che si fa?… Paragone applicabile ai tempi moderni, che mi pare efficace per farci afferrare l’enorme mistero di Gesù di Nazareth. Capitasse oggi una cosa simile, manderebbe in tilt tutto il sistema. Su che registro registrare UNO che, morto e sepolto il 7 aprile, il 9 aprile è di nuovo vivo?

• Caro Gesù…

Eccovi una bella preghiera a Gesù buon pastore che non ragiona per niente come gli altri pastori.
“Caro Gesù, sei un pastore strano: strano perché tu offri la vita per le pecore. Dov’è mai scritto tutto questo? Un pastore vale infinitamente di più di tutti i greggi del mondo e tu dici che il buon pastore offre la vita per loro. E’ fuori di ogni buon senso e di ogni calcolo delle probabilità. Se veramente il pastore dà la vita, le pecore che rimangono senza pastore si smarriscono e diventano preda dei lupi.
Allora non è meglio essere prudenti e lasciar sbranare qualche pecora salvando sé stesso? E’ questione di buon senso. Senza voler giudicare, ci pare o Gesù che, non la tua radicalità, ma il sentire comune sia diventato il criterio e il pensiero della vita di molti. Si sente infatti spesso dire “puoi continuare a fare il bene, senza diventare prete” dice il padre al figlio che si sente chiamato a donare tutto sé stesso all’avventura del Vangelo. “Chi me lo fa fare ad andare contro corrente e anche mettermi contro, predicando il Vangelo. Un po’ di buon senso. L’ignoranza è l’ottavo sacramento. Neppure Gesù ha salvato tutti quelli che ha incontrato. Chi me lo fa fare?… Buon senso ci vuole!” Gesù buon pastore, liberaci da questo “buon senso” umano e donaci pastori che prendano te come modello. Concedici pastori di comunità ecclesiali che con te offrano la vita per il loro gregge. Allora le vocazioni non mancheranno perché tutti vedranno che la vita vale se la si dona; che la vocazione è un dono d’amore ricevuto e ricambiato. Amen!” (Don Giuseppe Sacino).

Wilma Chasseur

giovedì 26 aprile 2012

Benedetto XVI: preghiera fonte di ogni azione

Udienza Generale Papa Benedetto XVI - 25 Aprile 2012

BENEDETTO XVI

UDIENZA GENERALE

Piazza San Pietro
Mercoledì, 25 aprile 2012

Il primato della preghiera e della Parola di Dio (At 6, 1-7)

Cari fratelli e sorelle,

nella scorsa catechesi, ho mostrato che la Chiesa, fin dagli inizi del suo cammino, si è trovata a dover affrontare situazioni impreviste, nuove questioni ed emergenze a cui ha cercato di dare risposta alla luce della fede, lasciandosi guidare dallo Spirito Santo. Oggi vorrei soffermarmi a riflettere su un’altra di queste situazioni, su un problema serio che la prima comunità cristiana di Gerusalemme ha dovuto fronteggiare e risolvere, come ci narra san Luca nel capitolo sesto degli Atti degli Apostoli, circa la pastorale della carità verso le persone sole e bisognose di assistenza e aiuto. La questione non è secondaria per la Chiesa e rischiava in quel momento di creare divisioni all’interno della Chiesa; il numero dei discepoli, infatti, andava aumentando, ma quelli di lingua greca iniziavano a lamentarsi contro quelli di lingua ebraica perché le loro vedove venivano trascurate nella distribuzione quotidiana (cfr At 6,1). Di fronte a questa urgenza che riguardava un aspetto fondamentale nella vita della comunità, cioè la carità verso i deboli, i poveri, gli indifesi, e la giustizia, gli Apostoli convocano l’intero gruppo dei discepoli. In questo momento di emergenza pastorale risalta il discernimento compiuto dagli Apostoli. Essi si trovano di fronte all’esigenza primaria di annunciare la Parola di Dio secondo il mandato del Signore, ma - anche se è questa l'esigenza primaria della Chiesa - considerano con altrettanta serietà il dovere della carità e della giustizia, cioè il dovere di assistere le vedove, i poveri, di provvedere con amore alle situazioni di bisogno in cui si vengono a trovare i fratelli e le sorelle, per rispondere al comando di Gesù: amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi (cfr Gv 15,12.17). Quindi le due realtà che devono vivere nella Chiesa - l'annuncio della Parola, il primato di Dio, e la carità concreta, la giustizia -, stanno creando difficoltà e si deve trovare una soluzione, perché ambedue possano avere il loro posto, la loro relazione necessaria. La riflessione degli Apostoli è molto chiara, dicono, come abbiamo sentito: «Non è giusto che noi lasciamo da parte la Parola di Dio per servire alle mense. Dunque, fratelli, cercate fra voi sette uomini di buona reputazione, pieni di Spirito e di sapienza, ai quali affideremo questo incarico. Noi, invece, ci dedicheremo alla preghiera e al servizio della Parola» (At 6,2-4).

Due cose appaiono: primo, esiste da quel momento nella Chiesa, un ministero della carità. La Chiesa non deve solo annunciare la Parola, ma anche realizzare la Parola, che è carità e verità. E, secondo punto, questi uomini non solo devono godere di buona reputazione, ma devono essere uomini pieni di Spirito Santo e di sapienza, cioè non possono essere solo organizzatori che sanno «fare», ma devono «fare» nello spirito della fede con la luce di Dio, nella sapienza nel cuore, e quindi anche la loro funzione - benché soprattutto pratica - è tuttavia una funzione spirituale. La carità e la giustizia non sono solo azioni sociali, ma sono azioni spirituali realizzate nella luce dello Spirito Santo. Quindi possiamo dire che questa questa situazione viene affrontata con grande responsabilità da parte degli Apostoli, che prendono questa decisione: vengono scelti sette uomini; gli Apostoli pregano per chiedere la forza dello Spirito Santo; e poi impongono loro le mani perché si dedichino in modo particolare a questa diaconia della carità. Così, nella vita della Chiesa, nei primi passi che essa compie, si riflette, in un certo modo, quanto era avvenuto durante la vita pubblica di Gesù, in casa di Marta e Maria a Betania. Marta era tutta presa dal servizio dell’ospitalità da offrire a Gesù e ai suoi discepoli; Maria, invece, si dedica all’ascolto della Parola del Signore (cfr Lc 10,38-42). In entrambi i casi, non vengono contrapposti i momenti della preghiera e dell’ascolto di Dio, e l’attività quotidiana, l’esercizio della carità. Il richiamo di Gesù: «Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c’è bisogno, Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta» (Lc 10,41-42), come pure la riflessione degli Apostoli: «Noi… ci dedicheremo alla preghiera e al servizio della Parola» (At 6,4), mostrano la priorità che dobbiamo dare a Dio, Non vorrei entrare adesso nell'interpretazione di questa pericope Marta-Maria. In ogni caso non va condannata l'attività per il prossimo, per l'altro, ma va sottolineato che deve essere penetrata interiormente anche dallo spirito della contemplazione. D'altra parte, sant'Agostino dice che questa realtà di Maria è una visione della nostra situazione del cielo, quindi sulla terra non possiamo mai averla completamente, ma un po' di anticipazione deve essere presente in tutta la nostra attività. Deve essere presente anche la contemplazione di Dio. Non dobbiamo perderci nell'attivismo puro, ma sempre lasciarci anche penetrare nella nostra attività dalla luce della Parola di Dio e così imparare la vera carità, il vero servizio per l'altro, che non ha bisogno di tante cose - ha bisogno certamente delle cose necessarie - ma ha bisogno soprattutto dell'affetto del nostro cuore, della luce di Dio.

Sant’Ambrogio, commentando l’episodio di Marta e Maria, così esorta i suoi fedeli e anche noi: «Cerchiamo di avere anche noi ciò che non ci può essere tolto, porgendo alla parola del Signore una diligente attenzione, non distratta: capita anche ai semi della parola celeste di essere portati via, se sono seminati lungo la strada. Stimoli anche te, come Maria, il desiderio di sapere: è questa la più grande, più perfetta opera» E aggiunge che anche «la cura del ministero non distragga dalla conoscenza della parola celeste», dalla preghiera (Expositio Evangelii secundum Lucam, VII, 85: PL 15, 1720). I Santi, quindi, hanno sperimentato una profonda unità di vita tra preghiera e azione, tra l’amore totale a Dio e l’amore ai fratelli. San Bernando, che è un modello di armonia tra contemplazione ed operosità, nel libro De consideratione, indirizzato al Papa Innocenzo II per offrigli alcune riflessioni circa il suo ministero, insiste proprio sull’importanza del raccoglimento interiore, della preghiera per difendersi dai pericoli di una attività eccessiva, qualunque sia la condizione in cui ci si trova e il compito che si sta svolgendo. San Bernardo afferma che le troppe occupazioni, una vita frenetica, spesso finiscono per indurire il cuore e far soffrire lo spirito (cfr II, 3).

E’ un prezioso richiamo per noi oggi, abituati a valutare tutto con il criterio della produttività e dell’efficienza. Il brano degli Atti degli Apostoli ci ricorda l’importanza del lavoro - senza dubbio viene creato un vero e proprio ministero -, dell’impegno nelle attività quotidiane che vanno svolte con responsabilità e dedizione, ma anche il nostro bisogno di Dio, della sua guida, della sua luce che ci danno forza e speranza. Senza la preghiera quotidiana vissuta con fedeltà, il nostro fare si svuota, perde l’anima profonda, si riduce ad un semplice attivismo che, alla fine, lascia insoddisfatti. C’è una bella invocazione della tradizione cristiana da recitarsi prima di ogni attività, che dice così: «Actiones nostras, quæsumus, Domine, aspirando præveni et adiuvando prosequere, ut cuncta nostra oratio et operatio a te semper incipiat, et per te coepta finiatur», cioè: «Ispira le nostre azioni, Signore, e accompagnale con il tuo aiuto, perché ogni nostro parlare ed agire abbia sempre da te il suo inizio e in te il suo compimento». Ogni passo della nostra vita, ogni azione, anche della Chiesa, deve essere fatta davanti a Dio, alla luce della sua Parola.

Nella catechesi del mercoledì scorso avevo sottolineato la preghiera unanime della prima comunità cristiana di fronte alla prova e come, proprio nella preghiera, nella meditazione sulla Sacra Scrittura essa ha potuto comprendere gli eventi che stavano accadendo. Quando la preghiera è alimentata dalla Parola di Dio, possiamo vedere la realtà con occhi nuovi, con gli occhi della fede e il Signore, che parla alla mente e al cuore, dona nuova luce al cammino in ogni momento e in ogni situazione. Noi crediamo nella forza della Parola di Dio e della preghiera. Anche la difficoltà che stava vivendo la Chiesa di fronte al problema del servizio ai poveri, alla questione della carità, viene superata nella preghiera, alla luce di Dio, dello Spirito Santo. Gli Apostoli non si limitano a ratificare la scelta di Stefano e degli altri uomini. ma «dopo aver pregato, imposero loro le mani» (At 6,6). L’Evangelista ricorderà nuovamente questi gesti in occasione dell’elezione di Paolo e Barnaba, dove leggiamo: «dopo aver digiunato e pregato, imposero loro le mani e li congedarono» (At 13,3). Conferma di nuovo che il servizio pratico della carità è un servizio spirituale. Ambedue le realtà devono andare insieme.

Con il gesto dell’imposizione delle mani, gli Apostoli conferiscono un ministero particolare a sette uomini, perché sia data loro la grazia corrispondente. La sottolineatura della preghiera – «dopo aver pregato», dicono – è importante perché evidenzia proprio la dimensione spirituale del gesto; non si tratta semplicemente di conferire un incarico come avviene in un’organizzazione sociale, ma è un evento ecclesiale in cui lo Spirito Santo si appropria di sette uomini scelti dalla Chiesa, consacrandoli nella Verità che è Gesù Cristo: è Lui il protagonista silenzioso, presente nell’imposizione delle mani affinché gli eletti siano trasformati dalla sua potenza e santificati per affrontare le sfide pratiche, le sfide pastorali. E la sottolineatura della preghiera ci ricorda inoltre che solo dal rapporto intimo con Dio coltivato ogni giorno nasce la risposta alla scelta del Signore e viene affidato ogni ministero nella Chiesa.

Cari fratelli e sorelle, il problema pastorale che ha indotto gli Apostoli a scegliere e ad imporre le mani su sette uomini incaricati del servizio della carità, per dedicarsi loro stessi alla preghiera e all’annuncio della Parola, indica anche a noi il primato della preghiera e della Parola di Dio, che, tuttavia, produce poi anche l'azione pastorale. Per i Pastori questa è la prima e più preziosa forma di servizio verso il gregge loro affidato. Se i polmoni della preghiera e della Parola di Dio non alimentano il respiro della nostra vita spirituale, rischiamo di soffocare in mezzo alle mille cose di ogni giorno: la preghiera è il respiro dell’anima e della vita. E c’è un altro prezioso richiamo che vorrei sottolineare: nel rapporto con Dio, nell’ascolto della sua Parola, nel dialogo con Dio, anche quando ci troviamo nel silenzio di una chiesa o della nostra stanza, siamo uniti nel Signore a tanti fratelli e sorelle nella fede, come un insieme di strumenti che, pur nella loro individualità, elevano a Dio un’unica grande sinfonia di intercessione, di ringraziamento e di lode. Grazie.