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domenica 10 giugno 2012

Pane spezzato

Corpus Domini
(Mc14, 12-16,22-26) 

Abbiamo visto che essere Trinità è essere versato l’uno nell’altro. Se Dio fosse solo uno e non trino (come vorrebbero le religioni stramonoteiste), sarebbe una monade solitaria. Nella storia dei Concili prima di stabilire il dogma della Trinità si è dovuto stabilire la divinità delle Persone. Nel Concilio di Nicea (325) si è dovuto stabilire che Gesù era vero Dio (omoousios) e non un’emanazione e, in altri Concili, che lo Spirito Santo era una persona e non semplicemente un soffio o un’energia. In seguito il Concilio di Costantinopoli (381) stabilì che anche lo Spirito Santo era una persona divina. Tutte verità contenute nel Credo che si chiama appunto Niceno-Costantinopolitano. Nel dogma dell’Incarnazione si stabilirono le due nature (divina e umana) e una sola persona (divina) del Figlio. Ma nel sacramento dell’Eucaristia questo Figlio si fa addirittura pane. L’infinito si fa frammento, il tutto si fa particella per potersi donare a noi. Dio sconcertante: la potenza si fa debolezza, il Creatore si fa creatura e quella creatura unica al mondo, cioè l’Uomo-Dio, si fa pane. Più scendere di così, più annientarsi di così, non si può!

• Cosa dare a Dio?

Quella pienezza e sovrabbondanza di vita, si fa pane, per eliminare ogni distanza tra Lui e noi: da deformi ci rende deiformi. Se facendosi corpo Gesù è entrato nell’umanità, facendosi pane entra addirittura nel nostro corpo. E facendosi pane spezzato entra addirittura nella nostra debolezza. Il pane intero rappresenta la forza, quello spezzato la debolezza.
Dice padre Cantalamessa che dopo aver dato la nostra forza (pane intero), dobbiamo dare a Dio la nostra debolezza. Ci penserà la vita con le sue difficoltà, malattie e handicap vari a sbriciolare quel pane intero. Ma allora, grazie all’Eucaristia, mai più vite inutili: un malato nel suo letto è diventato pura eucaristia e la sua vita vale di più di quella del leader più importante del mondo. Tutti, non solo il celebrante, dobbiamo dire “prendete e mangiate”, cioè farci cibo per gli altri. Una casalinga dice questo e poi torna a casa ai suoi mestieri: nessuna TV ne parlerà, ma la sua giornata vale ben di più: il programma TV viene cancellato da quello successivo, ma quel gesto rimane per l’eternità. Andando avanti si avrà più stanchezza e fatica che altro da dare: diamo quello. Il Signore ha più bisogno della nostra debolezza che della nostra forza. Lui non ha bisogno di molto, ha bisogno del poco, del sempre meno che potremo dare. Di quello sì, ne ha veramente bisogno! Sarà poco, sarà sempre meno, ma non è niente. E’ così che bisogna crescere: in piccolezza: bisogna che noi diminuiamo affinché Lui cresca. E solo così diventeremo simili a Lui.

• Dacci oggi la nostra gioia quotidiana

L’Eucaristia ci insegna anche un’altra cosa: Gesù non ha scelto pane e acqua, ma pane e vino. Cosa significa? Dice sempre padre Cantalamessa, che il Signore non vuole solo la sofferenza (acqua) e il lavoro (pane) ma vuole anche la gioia (vino). Non solo la sofferenza ci santifica, ma anche la gioia, perché Gesù a Cana ha santificato la gioia. Non moltiplicò il vino per dissetare (per quello c’era abbastanza acqua), ma per dare gioia. Abituiamoci a chiedere al Signore, ogni giorno, la nostra razione di gioia quotidiana. E’ sua volontà anche quella (“voglio che la vostra gioia sia piena”). Impariamo a sorridere un po’ di più: abbiamo un volto proprio per quello (gli Angeli non possono sorridere e neanche gli animali…) e a rendere partecipe Dio, non solo dei nostri dolori, ma anche delle nostre gioie più belle. Solo così si moltiplicheranno e rallegreranno i cieli e la terra.
Prendi Signore, ti offro il mio vino; accettalo e rallegrati con me.

Wilma Chasseur

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