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martedì 31 maggio 2011

Magnificat

Riscoprire i Santi - Sant'Anna

Torna anche per questo martedì, l'appunto settimanale volto alla scoperta dei nostri cari Santi! Oggi vogliamo riscoprire la storia di Sant'Anna, Madre della Beata Vergine Maria e nome molto vicino ai fondatori di questo spazio cattolico. Ne riscopriamo la storia, anche se non molto dettagliata, attraverso il consueto tratto biografico (tratto dal sito Santi & Beati); a seguire preghiamo per la sua intercessione:

Nonostante che di s. Anna ci siano poche notizie e per giunta provenienti non da testi ufficiali e canonici, il suo culto è estremamente diffuso sia in Oriente che in Occidente.
Quasi ogni città ha una chiesa a lei dedicata, Caserta la considera sua celeste Patrona, il nome di Anna si ripete nelle intestazioni di strade, rioni di città, cliniche e altri luoghi; alcuni Comuni portano il suo nome.
La madre della Vergine, è titolare di svariati patronati quasi tutti legati a Maria; poiché portò nel suo grembo la speranza del mondo, il suo mantello è verde, per questo in Bretagna dove le sono devotissimi, è invocata per la raccolta del fieno; poiché custodì Maria come gioiello in uno scrigno, è patrona di orefici e bottai; protegge i minatori, falegnami, carpentieri, ebanisti e tornitori.
Perché insegnò alla Vergine a pulire la casa, a cucire, tessere, è patrona dei fabbricanti di scope, dei tessitori, dei sarti, fabbricanti e commercianti di tele per la casa e biancheria.
È soprattutto patrona delle madri di famiglia, delle vedove, delle partorienti, è invocata nei parti difficili e contro la sterilità coniugale.
Il nome di Anna deriva dall’ebraico Hannah (grazia) e non è ricordata nei Vangeli canonici; ne parlano invece i vangeli apocrifi della Natività e dell’Infanzia, di cui il più antico è il cosiddetto “Protovangelo di san Giacomo”, scritto non oltre la metà del II secolo.
Questi scritti benché non siano stati accettati formalmente dalla Chiesa e contengono anche delle eresie, hanno in definitiva influito sulla devozione e nella liturgia, perché alcune notizie riportate sono ritenute autentiche e in sintonia con la tradizione, come la Presentazione di Maria al tempio e l’Assunzione al cielo, come il nome del centurione Longino che colpì Gesù con la lancia, la storia della Veronica, ecc.
Il “Protovangelo di san Giacomo” narra che Gioacchino, sposo di Anna, era un uomo pio e molto ricco e abitava vicino Gerusalemme, nei pressi della fonte Piscina Probatica; un giorno mentre stava portando le sue abbondanti offerte al Tempio come faceva ogni anno, il gran sacerdote Ruben lo fermò dicendogli: “Tu non hai il diritto di farlo per primo, perché non hai generato prole”.
Gioacchino ed Anna erano sposi che si amavano veramente, ma non avevano figli e ormai data l’età non ne avrebbero più avuti; secondo la mentalità ebraica del tempo, il gran sacerdote scorgeva la maledizione divina su di loro, perciò erano sterili.
L’anziano ricco pastore, per l’amore che portava alla sua sposa, non voleva trovarsi un’altra donna per avere un figlio; pertanto addolorato dalle parole del gran sacerdote si recò nell’archivio delle dodici tribù di Israele per verificare se quel che diceva Ruben fosse vero e una volta constatato che tutti gli uomini pii ed osservanti avevano avuto figli, sconvolto non ebbe il coraggio di tornare a casa e si ritirò in una sua terra di montagna e per quaranta giorni e quaranta notti supplicò l’aiuto di Dio fra lacrime, preghiere e digiuni.
Anche Anna soffriva per questa sterilità, a ciò si aggiunse la sofferenza per questa ‘fuga’ del marito; quindi si mise in intensa preghiera chiedendo a Dio di esaudire la loro implorazione di avere un figlio.
Durante la preghiera le apparve un angelo che le annunciò: “Anna, Anna, il Signore ha ascoltato la tua preghiera e tu concepirai e partorirai e si parlerà della tua prole in tutto il mondo”.
Così avvenne e dopo alcuni mesi Anna partorì. Il “Protovangelo di san Giacomo” conclude: “Trascorsi i giorni necessari si purificò, diede la poppa alla bimba chiamandola Maria, ossia ‘prediletta del Signore’”.
Altri vangeli apocrifi dicono che Anna avrebbe concepito la Vergine Maria in modo miracoloso durante l’assenza del marito, ma è evidente il ricalco di un altro episodio biblico, la cui protagonista porta lo stesso nome di Anna, anch’ella sterile e che sarà prodigiosamente madre di Samuele.
Gioacchino portò di nuovo al tempio con la bimba, i suoi doni: dieci agnelli, dodici vitelli e cento capretti senza macchia.
L’iconografia orientale mette in risalto rendendolo celebre, l’incontro alla porta della città, di Anna e Gioacchino che ritorna dalla montagna, noto come “l’incontro alla porta aurea” di Gerusalemme; aurea perché dorata, di cui tuttavia non ci sono notizie storiche.
I pii genitori, grati a Dio del dono ricevuto, crebbero con amore la piccola Maria, che a tre anni fu condotta al Tempio di Gerusalemme, per essere consacrata al servizio del tempio stesso, secondo la promessa fatta da entrambi, quando implorarono la grazia di un figlio.
Dopo i tre anni Gioacchino non compare più nei testi, mentre invece Anna viene ancora menzionata in altri vangeli apocrifi successivi, che dicono visse fino all’età di ottanta anni, inoltre si dice che Anna rimasta vedova si sposò altre due volte, avendo due figli la cui progenie è considerata, soprattutto nei paesi di lingua tedesca, come la “Santa Parentela” di Gesù.
Il culto di Gioacchino e di Anna si diffuse prima in Oriente e poi in Occidente (anche a seguito delle numerose reliquie portate dalle Crociate); la prima manifestazione del culto in Oriente, risale al tempo di Giustiniano, che fece costruire nel 550 ca. a Costantinopoli una chiesa in onore di s. Anna.
L’affermazione del culto in Occidente fu graduale e più tarda nel tempo, la sua immagine si trova già tra i mosaici dell’arco trionfale di S. Maria Maggiore (sec. V) e tra gli affreschi di S. Maria Antiqua (sec. VII); ma il suo culto cominciò verso il X secolo a Napoli e poi man mano estendendosi in altre località, fino a raggiungere la massima diffusione nel XV secolo, al punto che papa Gregorio XIII (1502-1585), decise nel 1584 di inserire la celebrazione di s. Anna nel Messale Romano, estendendola a tutta la Chiesa; ma il suo culto fu più intenso nei Paesi dell’Europa Settentrionale anche grazie al libro di Giovanni Trithemius “Tractatus de laudibus sanctissimae Annae” (Magonza, 1494).
Gioacchino fu lasciato discretamente in disparte per lunghi secoli e poi inserito nelle celebrazioni in data diversa; Anna il 25 luglio dai Greci in Oriente e il 26 luglio dai Latini in Occidente, Gioacchino dal 1584 venne ricordato prima il 20 marzo, poi nel 1788 alla domenica dell’ottava dell’Assunta, nel 1913 si stabilì il 16 agosto, fino a ricongiungersi nel nuovo calendario liturgico, alla sua consorte il 26 luglio.
Artisti di tutti i tempi hanno raffigurato Anna quasi sempre in gruppo, come Anna, Gioacchino e la piccola Maria oppure seduta su una alta sedia come un’antica matrona con Maria bambina accanto, o ancora nella posa ‘trinitaria’ cioè con la Madonna e con Gesù bambino, così da indicare le tre generazioni presenti.
Dice Gesù nel Vangelo “Dai frutti conoscerete la pianta” e noi conosciamo il fiore e il frutto derivato dalla annosa pianta: la Vergine, Immacolata fin dal concepimento, colei che preservata dal peccato originale doveva diventare il tabernacolo vivente del Dio fatto uomo.
Dalla santità del frutto, cioè di Maria, deduciamo la santità dei suoi genitori Anna e Gioacchino.

Autore: Antonio Borrelli

Preghiera a Sant'Anna protettrice delle mamme in attesa e dei genitori 

O cara sant''Anna che dopo lunga attesa hai prodigiosamnete ottenuto il dono della fecondità e sei diventata madre di Maria, ti preghiamo di vegliare su di noi come nonna del cielo e di insegnarci a leggere e ad amare la parola di Dio nella Bibbia. In particolare assisti le mamme in attesa, che portano in grembo il dono di una vita nuova. Fà che ogni bimbo, gioisamnente accolto, cresca sano di corpo e di mente come Gesù. Rendi i genitori saggi educatori dei loro figli e aiutali in ogni difficoltà coniugale. Ottieni alle nostre famiglie la prosperità e la pace. Dona conforto alle vedove e fà che non manchino ai nonni l''affetto e le cure dei familiari. Tieni per mano i ragazzi, perchè non perdano l''innocenza e fà che i giovani si orientino ai più alti valori umani e cristiani, rifiutando di concedersi alle ingannevoli ebbrezze del nostro tempo. Offri a tutti la sicurezza che deriva da una vita spesa bene, all''insegna della fede che spera e ama, dalla quale dipende la nostra felicità nella vita presente e in quella senza fine. Amen 

lunedì 30 maggio 2011

Traccia di riflessione: VI domenica Pasqua (A)

Regina Coeli di Papa Benedetto XVI - 29 Maggio 2011


BENEDETTO XVI

REGINA CÆLI

Piazza San Pietro
Domenica, 29 maggio 2011



Cari fratelli e sorelle!

Nel libro degli Atti degli Apostoli si riferisce che, dopo una prima violenta persecuzione, la comunità cristiana di Gerusalemme, eccettuati gli apostoli, si disperse nelle regioni circostanti e Filippo, uno dei diaconi, raggiunse una città della Samaria. Là predicò Cristo risorto, e il suo annuncio fu accompagnato da numerose guarigioni, così che la conclusione dell’episodio è molto significativa: “E vi fu grande gioia in quella città” (At 8,8). Ogni volta ci colpisce questa espressione, che nella sua essenzialità ci comunica un senso di speranza; come dicesse: è possibile! E’ possibile che l’umanità conosca la vera gioia, perché là dove arriva il Vangelo, fiorisce la vita; come un terreno arido che, irrigato dalla pioggia, subito rinverdisce. Filippo e gli altri discepoli, con la forza dello Spirito Santo, fecero nei villaggi della Palestina ciò che aveva fatto Gesù: predicarono la Buona Notizia e operarono segni prodigiosi. Era il Signore che agiva per mezzo loro. Come Gesù annunciava la venuta del Regno di Dio, così i discepoli annunciarono Gesù risorto, professando che Egli è il Cristo, il Figlio di Dio, battezzando nel suo nome e scacciando ogni malattia del corpo e dello spirito.

“E vi fu grande gioia in quella città”. Leggendo questo brano, viene spontaneo pensare alla forza risanatrice del Vangelo, che nel corso dei secoli ha “irrigato”, come fiume benefico, tante popolazioni. Alcuni grandi Santi e Sante hanno portato speranza e pace ad intere città – pensiamo a san Carlo Borromeo a Milano, al tempo della peste; alla beata Madre Teresa a Calcutta; e a tanti missionari, il cui nome è noto a Dio, che hanno dato la vita per portare l’annuncio di Cristo e far fiorire tra gli uomini la gioia profonda. Mentre i potenti di questo mondo cercavano di conquistare nuovi territori per interessi politici ed economici, i messaggeri di Cristo andavano dappertutto con lo scopo di portare Cristo agli uomini e gli uomini a Cristo, sapendo che solo Lui può dare la vera libertà e la vita eterna. Anche oggi la vocazione della Chiesa è l’evangelizzazione: sia verso le popolazioni che non sono state ancora “irrigate” dall’acqua viva del Vangelo; sia verso quelle che, pur avendo antiche radici cristiane, hanno bisogno di nuova linfa per portare nuovi frutti, e riscoprire la bellezza e la gioia della fede.

Cari amici, il beato Giovanni Paolo II è stato un grande missionario, come documenta anche una mostra allestita in questo periodo a Roma. Egli ha rilanciato la missione ad gentes e, al tempo stesso, ha promosso la nuova evangelizzazione. Affidiamo l’una e l’altra all’intercessione di Maria Santissima. La Madre di Cristo accompagni sempre e dovunque l’annuncio del Vangelo, affinché si moltiplichino e si allarghino nel mondo gli spazi in cui gli uomini ritrovano la gioia di vivere come figli di Dio.

Dopo il Regina Caeli

Cari fratelli e sorelle, ieri, a Cerreto Sannita, è stata proclamata Beata Suor Maria Serafina del Sacro Cuore di Gesù, al secolo Clotilde Micheli. Originaria del Trentino, fondò in Campania l’Istituto delle Suore della Carità degli Angeli. Mentre ricordiamo il centenario della sua nascita al Cielo, ci rallegriamo con le sue figlie spirituali e con tutti i suoi devoti.

[[Saluti in varie lingue: Chers pèlerins francophones, les lectures d’aujourd’hui nous rapportent le zèle des Apôtres, après la Résurrection de Jésus. Ils parcourent le pays et visitent les communautés. Les malades sont guéris, beaucoup se convertissent. A leur suite, nous sommes appelés à annoncer sans relâche la bonne nouvelle du Salut donné à tous! Jésus Lui-même nous enseigne à aimer comme Lui. N’ayez pas peur de parler de Lui autour de vous et de faire découvrir la beauté de l’Evangile. Que Marie nous apprenne à chanter le Magnificat!

I greet the English-speaking visitors and pilgrims at today’s Regina Cæli, especially those from Sioux Falls, South Dakota. In the Gospel today, our Lord declares: “I will not leave you orphans”, promising that the gift of the Holy Spirit will make us adopted children of God. Let us pray that we may be faithful to that gift and live fully the new life that Christ offers us. May God bless you all!

Von Herzen grüße ich alle deutschsprachigen Pilger und Besucher. Die liturgischen Lesungen des heutigen Sonntags lenken unser Augenmerk auf den Heiligen Geist. Die Menschen, die uns in der Apostelgeschichte begegnen, zeigen den Willen und die Bereitschaft, Gottes Wort zu hören. Aber um es zu beherzigen, um es von innen her zu verstehen, im Herzen aufgehen und Frucht bringen zu lassen, brauchen wir den Geist Gottes, den Geist der Wahrheit und der Stärke, den Jesus den Seinen versprochen hat. Bitten wir in diesen österlichen Tagen den auferstandenen Herrn um diese seine Gabe: Herr, schenke uns den Heiligen Geist, daß wir dich immer besser verstehen und dich wirklich lieben. – Euch allen wünsche ich einen gesegneten Sonntag und eine gute Woche.

Saludo con afecto a los peregrinos de lengua española que participan en esta oración mariana. La liturgia de hoy nos invita a no sentirnos huérfanos de Dios en el mundo, porque Cristo vive y, por su Espíritu, el Espíritu de la verdad, sigue siendo nuestro consuelo, nuestra defensa y nuestra guía. Invito a todos a renovar con gozo la esperanza cristiana que nace del misterio pascual, para afrontar las dificultades, ahuyentar el desánimo y los esfuerzos por construir un mundo más digno del hombre, según los deseos de Dios. Que la Santísima Virgen María nos acompañe en este camino. Feliz domingo.

Słowo pozdrowienia przekazuję wszystkim Polakom. Wczoraj przypadała trzydziesta rocznica śmierci, kardynała Stefana Wyszyńskiego, Prymasa Tysiąclecia. Wypraszając dar jego beatyfikacji, uczmy się od niego zawierzenia swego życia Matce Bożej. Niech jego ufność wyrażona w słowach: „Wszystko postawiłem na Maryję” będzie dla nas szczególnym wzorem. Pamiętajmy o tym kończąc miesiąc maj, szczególnie poświęcony Matce Najświętszej. Z serca wam błogosławię.

[Rivolgo il mio saluto a tutti i Polacchi. Ieri ricorreva il 30° anniversario della morte del cardinale Stefan Wyszyński, il Primate del Millennio. Invocando il dono della sua beatificazione, impariamo da lui il totale abbandono alla Madre di Dio. La sua fiducia espressa con le parole: “Tutto ho posto su Maria” sia per noi un particolare modello. Ricordiamo questo al termine del mese di maggio dedicato in modo particolare alla Madonna. Vi benedico di cuore.]]]

Sono lieto di salutare i docenti e gli studenti del Pontificio Istituto di Musica Sacra, di cui si celebra il centenario di fondazione. Cari amici, rinnovo per voi l’assicurazione del mio ricordo nella preghiera.

E infine saluto i pellegrini di lingua italiana, in particolare i fedeli di Piacenza, Pontassieve, Prato, Carmignano, Ascoli Piceno, Teramo e Montesilvano Colle, l’associazione “Apostoli della Divina Misericordia con Maria Regina della Pace”, la Corale “S. Roberto Bellarmino” di Davoli, i bambini della Prima Comunione della parrocchia di San Tommaso Apostolo in Roma, la scuola “Figlie di Gesù” di Carrara e la Federazione Italiana Hockey, che stamani ha organizzato una manifestazione sportiva presso Piazza S. Pietro. Saluto con particolare affetto i bambini colpiti da ernia diaframmatica e i loro genitori, e ricordo che oggi ricorre la Giornata Nazionale del Sollievo, dedicata alla solidarietà con i malati. A tutti auguro una buona domenica, una buona settimana. Grazie per la vostra attenzione. Buona domenica a tutti voi.

© Copyright 2011 - Libreria Editrice Vaticana

domenica 29 maggio 2011

Video Vangelo: VI domenica di Pasqua (A)

Lo Spirito Consolatore


VI domenica di Pasqua
(Gv 14,15-21) 

Il buio della notte è stato squarciato dalla luce pasquale che continua ad illuminarci nel cammino.
Perché – non so se l’avete notato – queste domeniche, la liturgia, continua a chiamarle domeniche di Pasqua (e non “dopo” Pasqua).

• Bisogna che me ne vada…

E continuiamo il cammino, meditando ancora su quel bellissimo e solenne discorso di Gesù, semplice e maestoso allo stesso tempo, iniziato domenica scorsa. Oggi, per la prima volta, Gesù annuncia la venuta dello Spirito Santo. Vuole rassicurare i suoi, che – anche se Lui deve andarsene per compiere l’imperscrutabile disegno del Padre – non li lascerà soli ma: ”Pregherò il Padre affinché Egli vi dia un altro Consolatore che rimanga con voi per sempre”. Lo Spirito viene anche definito il Paraclito che significa colui che è chiamato accanto: L’ad vocatum, colui che rende Dio presente, vicino; e ”rimarrà con voi per sempre”. Lo Spirito può rimanere per sempre e potrà far capire dal di dentro le verità annunciate da Gesù, mentre Gesù se ne deve andare: ”Bisogna che me ne vada, se no non verrà a voi lo Spirito, ma quando me ne sarò andato, verrà a voi lo Spirito di verità”. Finché Gesù era sulla terra, tante verità rimasero incomprensibili ai suoi stessi discepoli perché Gesù non poteva che parlare dall’esterno, mentre il suo Spirito, penetrerà nelle profondità dei cuori e “vi insegnerà ogni cosa”.

• Quante cose non dette…

E quante volte Gesù disse: ”Avrei ancora tante cose da dirvi”, ma non le disse proprio perché i suoi non avendo ancora ricevuto lo Spirito, non erano in grado di capirle.
Questo Spirito Consolatore è lo stesso Spirito di Gesù che – finché era sulla Terra – era come racchiuso dentro di Lui, ma quando, sulla Croce, il velo della Sua carne si squarciò, questo Spirito fu effuso sull’intera umanità.
Per Gesù, la parola spirare, non significa solo emettere l’ultimo respiro, ma significa effondere lo Spirito sul mondo intero, come il sole che illumina ed entra in ogni casa; basta che apriamo le finestre. E’ questo il regime della Nuova alleanza e dei cieli aperti, mentre invece nell’Antico Testamento, lo Spirito era mandato per particolari missioni, a qualche profeta, ma non era effuso su tutti. Mentre ora discende su tutti e questo scendere diventa condiscendenza.
Ed è la luce che guida la Chiesa e questa brilla di luce riflessa. I Padri amavano paragonare la Chiesa alla luna che, nella notte del mondo, non brilla di luce propria, ma riflette l’unico Sole.
San Cirillo d’Alessandria diceva: ”Vorrei cantare un inno alla morte della Chiesa, perché essa, come il Suo Sposo, vive quando muore”. Gesù morente e perdente sulla Croce, è proprio allora che ha realizzato la massima vittoria. La cosa che maggiormente conta, non è la realizzazione visibile, il successo ecc., ma perdere la vita, servire sotto la croce. “Se il chicco di grano non muore…”
Il cammino doloroso prepara il destino glorioso.
Domenica scorsa avevamo visto Filippo che chiedeva a Gesù:” Mostraci il Padre e ci basta! Chi ha visto me ha visto il Padre”. Ma ora Gesù se ne và. E si preoccupa che qualcun altro continui a rendere presente il Padre: ”Non vi lascerò orfani”…

• La grazia della miopia…

Anche noi, quando siamo affaticati oppressi e stanchi, diremmo volentieri: mostraci il Padre e ci basta! Basterebbe sì, per far sparire tutte le nostre stanchezze e oppressioni. Ma, se non ci è dato di vedere il Padre, anche a noi è stato promesso lo Spirito! E quando, assetati di Dio, chiediamo di fare l’esperienza del Suo Spirito, non ci sarà negato perché “chiunque chiede lo Spirito, lo riceverà”. Anzi è l’unica preghiera che il Vangelo ci dice che sarà esaudita infallibilmente. Di nessun’altra preghiera siamo assicurati che sarà esaudita così come la chiediamo, ma se chiediamo lo Spirito Santo siamo certissimi di essere esauditi.
Facciamo dunque le vere domande e diciamo con Kierkegaard: ”Signore donaci occhi miopi per tutte le cose che passano, ma donaci chiarezza per tutto ciò che non passa”.

Wilma Chasseur

sabato 28 maggio 2011

La vita è eterna solo se siamo in relazione con Dio

In difesa della vita - Evangelium vitae - XIV

Torna l'appuntamento con la Lettera Enciclica "Evangelium vitae", in difesa della vita. Oggetto di meditazione è oggi la vita eterna che Gesù stesso ci ha mostrato e a cui Egli ci ha indicato la via. Egli è infatti la Via, la Verità e la Vita e chiunque crede in Lui non morrà in eterno, ma vivrà eternamente nell'amore del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Questa è la buona novella, la meravigliosa notizia che ci spinge ad amare la vita e a far in modo di donare la vita per permettere ad altri di venire al mondo e di poter sperare nella pienezza dell'esistenza eterna. Il Beato Giovanni Paolo II esprime questi concetti con grande naturalezza e semplicità: 

«Chiunque vive e crede in me, non morrà in eterno» (Gv 11, 26): il dono della vita eterna

37. La vita che il Figlio di Dio è venuto a donare agli uomini non si riduce alla sola esistenza nel tempo. La vita, che da sempre è «in lui» e costituisce «la luce degli uomini» (Gv 1, 4), consiste nell'essere generati da Dio e nel partecipare alla pienezza del suo amore: «A quanti l'hanno accolto, ha dato il potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati» (Gv 1, 12-13).

A volte Gesù chiama questa vita, che egli è venuto a donare, semplicemente così: «la vita»; e presenta la generazione da Dio come una condizione necessaria per poter raggiungere il fine per cui Dio ha creato l'uomo: «Se uno non rinasce dall'alto, non può vedere il regno di Dio» (Gv 3, 3). Il dono di questa vita costituisce l'oggetto proprio della missione di Gesù: egli «è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo» (Gv 6, 33), così che può affermare con piena verità: «Chi segue me... avrà la luce della vita» (Gv 8, 12).

Altre volte Gesù parla di «vita eterna», dove l'aggettivo non richiama soltanto una prospettiva sovratemporale. «Eterna» è la vita che Gesù promette e dona, perché è pienezza di partecipazione alla vita dell' «Eterno». Chiunque crede in Gesù ed entra in comunione con lui ha la vita eterna (cf. Gv 3, 15; 6, 40), perché da lui ascolta le uniche parole che rivelano e infondono pienezza di vita alla sua esistenza; sono le «parole di vita eterna» che Pietro riconosce nella sua confessione di fede: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna; noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio» (Gv 6, 68-69). In che cosa consista poi la vita eterna, lo dichiara Gesù stesso rivolgendosi al Padre nella grande preghiera sacerdotale: «Questa è la vita eterna: che conoscano te, l'unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo» (Gv 17, 3). Conoscere Dio e il suo Figlio è accogliere il mistero della comunione d'amore del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo nella propria vita, che si apre già fin d'ora alla vita eterna nella partecipazione alla vita divina.

38. La vita eterna è, dunque, la vita stessa di Dio ed insieme la vita dei figli di Dio. Stupore sempre nuovo e gratitudine senza limiti non possono non prendere il credente di fronte a questa inattesa e ineffabile verità che ci viene da Dio in Cristo. Il credente fa sue le parole dell'apostolo Giovanni: «Quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente!... Carissimi, noi fin d'ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è» (1 Gv 3, 1-2).

Così giunge al suo culmine la verità cristiana sulla vita. La dignità di questa non è legata solo alle sue origini, al suo venire da Dio, ma anche al suo fine, al suo destino di comunione con Dio nella conoscenza e nell'amore di Lui. È alla luce di questa verità che sant'Ireneo precisa e completa la sua esaltazione dell'uomo: «gloria di Dio» è, sì, «l'uomo che vive», ma «la vita dell'uomo consiste nella visione di Dio».27

Nascono da qui immediate conseguenze per la vita umana nella sua stessa condizione terrena, nella quale è già germogliata ed è in crescita la vita eterna. Se l'uomo ama istintivamente la vita perché è un bene, tale amore trova ulteriore motivazione e forza, nuova ampiezza e profondità nelle dimensioni divine di questo bene. In simile prospettiva, l'amore che ogni essere umano ha per la vita non si riduce alla semplice ricerca di uno spazio in cui esprimere se stesso ed entrare in relazione con gli altri, ma si sviluppa nella gioiosa consapevolezza di poter fare della propria esistenza il «luogo» della manifestazione di Dio, dell'incontro e della comunione con Lui. La vita che Gesù ci dona non svaluta la nostra esistenza nel tempo, ma la assume e la conduce al suo ultimo destino: «Io sono la risurrezione e la vita...; chiunque vive e crede in me, non morrà in eterno» (Gv 11, 25.26).

venerdì 27 maggio 2011

Il Rosario in Famiglia

Padre Pio - Sulla soglia del Paradiso - Quarantesimo appuntamento

Torna l'appuntamento con la biografia che tratteggia un'inedita "storia di Padre Pio raccontata dai suoi amici: "Sulla Soglia del Paradiso" di Gaeta Saverio. Oggi leggiamo lo splendido rapporto che Padre Pio aveva con la preghiera del Santo Rosario e in particolar modo l'affetto filiale che intercorreva tra lui e la Beata Vergine Maria:


XVI

Rosario e Madonna

L'”arma” della salvezza

«Giornalmente non meno di cinque Rosari per intiero», è l'impegno che leggiamo nel Diario scrit­to da Padre Pio nel 1929. Ma in realtà furono dav­vero rare le giornate nelle quali il cappuccino si li­mitò a tale numero. Padre Mariano Paladino una volta gli chiese quanti Rosari dicesse: «Quasi tren­ta, qualcuno in più, e non in meno». «Come fate?», si stupì il confratello. E Padre Pio candidamente ri­spose: «E la notte che ci sta a fare?». In un'altra cir­costanza il Padre soggiunse: «Io riesco a fare tre co­se contemporaneamente: pregare, confessare e andare in giro per il mondo».

Uno dei suoi assistenti personali, padre Marcelli­no Iasenzaniro, ha testimoniato che al mattino oc­correva lavargli le mani una per volta, perché Pa­dre Pio non voleva posare mai la corona, che amava definire «l'arma della difesa e della salvez­za, donata dalla Madonna per usarla contro le astu­zie del nemico infernale». E spiegava a quanti gli stavano accanto: «Se l'Immacolata a Lourdes e an­cora più il Cuore Immacolato a Fatima hanno rac­comandato con insistenza la preghiera del Rosario, non significa forse che questa preghiera ha un valo­re eccezionale per noi e per i nostri tempi?».

Un giorno il confratello padre Alessio Parente gli chiese perché recitasse sempre il Rosario e non al­tre preghiere, e la sua risposta fu: «Perché la Ma­donna non mi ha mai rifiutato una grazia attraver­so la recita del Rosario». Per se stesso, come rivelò a padre Pellegrino Funicelli, aveva una precisa ri­chiesta: «Figlio mio, io ho un brutto temperamen­to. Spesso, quando non condivido le disposizioni del Superiore, glielo dico chiaro e tondo, anche se poi rispetto scrupolosamente le sue disposizioni. Chiedo ogni giorno alla Madonna la grazia di ave­re un po' della sua dolcezza e tenerezza nell'obbe­dire al Superiore e alla Chiesa. Ne chiedo poi una seconda: quella cioè di non avere occhi se non per vedere Gesù e la sua Chiesa su questa terra».

La potenza di questa preghiera era personal­mente sperimentata dal cappuccino, che fra l'altro, come ha riportato don Nello Castello, insegnava a valorizzare le corone del Rosario indulgenziate di monsignor Cuccarollo (al quale Pio X, nominando­lo vescovo, aveva concesso le indulgenze di cui disponeva, togliendosi di mano l'anello papale e ponendoglielo al dito amichevolmente). Diceva Padre Pio: «Con questa corona svuotiamo un an­golo del Purgatorio».

Ogni sera, soprattutto negli ultimi anni della vi­ta, Padre Pio desiderava che nella sua camera il Su­periore o un altro dei confratelli cominciasse l'Ave Maria, che lui e i presenti poi terminavano di reci­tare, concludendo con l'invocazione «Mater divinae gratiae, ora pro nobis». Padre Carmelo da San Gio­vanni in Galdo ha dipinto poeticamente la scena come «la chiusura della sua laboriosa giornata e l'invocazione di aiuto per la notte che avanzava:

egli fissava la grande immagine della Madonna, che pendeva dal muro ai piedi del suo letto, pro­prio come un bambino che aspetta il bacio e il salu­to della mamma».

Il suo sentimento filiale verso Maria aveva un 'in­tensità straordinaria, anche se per umiltà Padre Pio non considerava mai sufficienti le proprie manife­stazioni d'affetto. Durante una confessione, suor Maria Francesca Consolata si confidò: «Padre, ho tanta amarezza nell'anima, perché non so amare la Madonna come l'amate voi». E lui, con un sospiro, rispose visibilmente commosso: «Figlia mia, an­ch'io soffro perché vorrei amarla 'tanto... e non so amarla. Preghiamo insieme, per ottenere una si grande grazia».

Il 14 agosto 1958, alla vigilia della festa dell'As­sunta, il padre Guardiano del convento gli chiese un pensierino spirituale. Padre Pio abbassò il capo, incominciò a singhiozzare e, a tratti, prese a dire:

«La Madonna...». Il singhiozzo diventò pianto; poi con sforzo riprese: «La Madonna...». Forti tremiti lo fecero sussultare in tutto il corpo. «La Madon­na», ripeté per la terza volta, «è la Mamma no­stra!». Poi un pianto dirotto e irrefrenabile scosse il Padre il quale, a stento, riuscì a prendere il fazzo­letto per asciugarsi le lacrime che, ormai, gli aveva­no bagnato tutto il viso. Non ebbe nemmeno il tempo e la forza di asciugarsi, tanto le lacrime era­no incalzanti e continue. Allora abbandonò le mani sulle ginocchia e, piangendo, continuò a gridare:

«La Madonna è la Mamma nostra, la Madonna è la Mamma nostra».

Padre Eusebio Notte ha raccontato invece della sera in cui una folla di gente, terminata la recita del Rosario, intonò in onore della Madonna la canzon­cina «Dell'aurora tu sorgi più bella». Mentre canta­vano il ritornello «Bella tu sei qual sole, bianca co­me la luna», Padre Pio ebbe uno scatto improvviso:

«Eh, se fosse così rinunzierei ad andare in Paradi­so!». Padre Eusebio, meravigliato di questa affer­mazione che gli sembrava esagerata, obiettò: «Pa­dre, e che c'è di più bello del sole e della luna?». Ed egli, quasi commiserandolo: «Eh... hai voglia tu!». E il confratello, di rincalzo: «Ma allora, lei l'ha vista quanto aveva visto in sogno, l'altro lo aveva rassi­curato che Lourdes era proprio come lui glielo de­scriveva. Dopo un certo tempo, padre Rosario ri­cordò a Padre Pio che egli, dormendo, aveva sognato Lourdes: «Ma no che non dormivo, ero sveglio», rispose lui.

Una sera del mese di luglio 1968, in procinto di partire per un pellegrinaggio a Lourdes, padre Onorato Marcucci gli chiese la sua benedizione e, quasi celiando, gli disse: «Vuol venire a visitare la Madonna insieme a me? Ormai è vecchio e non è andato da alcuna parte». «Ci sono stato tante vol­te...», rispose. Ribatté padre Onorato: «Ma che di­ce? Lei non è mai uscito dal convento. Ora mi sta dicendo bugie». E Padre Pio: «No, no. A Lourdes non si va solo col treno o con l'automobile: si va pure in altri modi!».

Padre Pio aveva confidato a varie persone, fra cui padre Gabriele Amorth, «quando mi presente­rò davanti al Signore, spero di essere accompagna­to da due mamme: Maria santissima e la mia mam­ma». Guardando di fronte a sé il quadro con la foto di sua madre, disse al frate che l'assisteva, poche ore prima di morire: «Vedo due mamme». E, all'o­biezione del confratello che quella era soltanto la fotografia di sua madre, insisté: «Ci vedo benissi­mo: vedo due mamme!».

giovedì 26 maggio 2011

Papa: Colui che si abbandona a Dio, rende benedetto il mondo

Udienza Generale Papa Benedetto XVI - 25 Maggio 2011

BENEDETTO XVI

UDIENZA GENERALE

Piazza San Pietro
Mercoledì, 25 maggio 2011


Cari fratelli e sorelle,

Oggi vorrei riflettere con voi su un testo del Libro della Genesi che narra un episodio abbastanza particolare della storia del Patriarca Giacobbe. È un brano di non facile interpretazione, ma importante per la nostra vita di fede e di preghiera; si tratta del racconto della lotta con Dio al guado dello Yabboq, del quale abbiamo sentito un brano.

Come ricorderete, Giacobbe aveva sottratto al suo gemello Esaù la primogenitura in cambio di un piatto di lenticchie e aveva poi carpito con l’inganno la benedizione del padre Isacco, ormai molto anziano, approfittando della sua cecità. Sfuggito all’ira di Esaù, si era rifugiato presso un parente, Labano; si era sposato, si era arricchito e ora stava tornando nella terra natale, pronto ad affrontare il fratello dopo aver messo in opera alcuni prudenti accorgimenti. Ma quando è tutto pronto per questo incontro, dopo aver fatto attraversare a coloro che erano con lui il guado del torrente che delimitava il territorio di Esaù, Giacobbe, rimasto solo, viene aggredito improvvisamente da uno sconosciuto con il quale lotta per tutta una notte. Proprio questo combattimento corpo a corpo - che troviamo nel capitolo 32 del Libro della Genesi - diventa per lui una singolare esperienza di Dio.

La notte è il tempo favorevole per agire nel nascondimento, il tempo, dunque, migliore per Giacobbe, per entrare nel territorio del fratello senza essere visto e forse con l’illusione di prendere Esaù alla sprovvista. Ma è invece lui che viene sorpreso da un attacco imprevisto, per il quale non era preparato. Aveva usato la sua astuzia per tentare di sottrarsi a una situazione pericolosa, pensava di riuscire ad avere tutto sotto controllo, e invece si trova ora ad affrontare una lotta misteriosa che lo coglie nella solitudine e senza dargli la possibilità di organizzare una difesa adeguata. Inerme, nella notte, il Patriarca Giacobbe combatte con qualcuno. Il testo non specifica l’identità dell’aggressore; usa un termine ebraico che indica “un uomo” in modo generico, “uno, qualcuno”; si tratta, quindi, di una definizione vaga, indeterminata, che volutamente mantiene l’assalitore nel mistero. È buio, Giacobbe non riesce a vedere distintamente il suo contendente e anche per il lettore, per noi, esso rimane ignoto; qualcuno sta opponendosi al Patriarca, è questo l’unico dato certo fornito dal narratore. Solo alla fine, quando la lotta sarà ormai terminata e quel “qualcuno” sarà sparito, solo allora Giacobbe lo nominerà e potrà dire di aver lottato con Dio.

L’episodio si svolge dunque nell’oscurità ed è difficile percepire non solo l’identità dell’assalitore di Giacobbe, ma anche quale sia l’andamento della lotta. Leggendo il brano, risulta difficoltoso stabilire chi dei due contendenti riesca ad avere la meglio; i verbi utilizzati sono spesso senza soggetto esplicito, e le azioni si svolgono in modo quasi contraddittorio, così che quando si pensa che sia uno dei due a prevalere, l’azione successiva subito smentisce e presenta l’altro come vincitore. All’inizio, infatti, Giacobbe sembra essere il più forte, e l’avversario – dice il testo – «non riusciva a vincerlo» (v. 26); eppure colpisce Giacobbe all’articolazione del femore, provocandone la slogatura. Si dovrebbe allora pensare che Giacobbe debba soccombere, ma invece è l’altro a chiedergli di lasciarlo andare; e il Patriarca rifiuta, ponendo una condizione: «Non ti lascerò, se non mi avrai benedetto» (v. 27). Colui che con l’inganno aveva defraudato il fratello della benedizione del primogenito, ora la pretende dallo sconosciuto, di cui forse comincia a intravedere i connotati divini, ma senza poterlo ancora veramente riconoscere.

Il rivale, che sembra trattenuto e dunque sconfitto da Giacobbe, invece di piegarsi alla richiesta del Patriarca, gli chiede il nome: “Come ti chiami?”. E il Patriarca risponde: “Giacobbe” (v. 28). Qui la lotta subisce una svolta importante. Conoscere il nome di qualcuno, infatti, implica una sorta di potere sulla persona, perché il nome, nella mentalità biblica, contiene la realtà più profonda dell’individuo, ne svela il segreto e il destino. Conoscere il nome vuol dire allora conoscere la verità dell’altro e questo consente di poterlo dominare. Quando dunque, alla richiesta dello sconosciuto, Giacobbe rivela il proprio nome, si sta mettendo nelle mani del suo oppositore, è una forma di resa, di consegna totale di sé all’altro.

Ma in questo gesto di arrendersi anche Giacobbe paradossalmente risulta vincitore, perché riceve un nome nuovo, insieme al riconoscimento di vittoria da parte dell’avversario, che gli dice: «Non ti chiamerai più Giacobbe, ma Israele, perché hai combattuto con Dio e con gli uomini e hai vinto» (v. 29). “Giacobbe” era un nome che richiamava l’origine problematica del Patriarca; in ebraico, infatti, ricorda il termine “calcagno”, e rimanda il lettore al momento della nascita di Giacobbe, quando, uscendo dal grembo materno, teneva con la mano il calcagno del fratello gemello (cfr Gen 25,26), quasi prefigurando lo scavalcamento ai danni del fratello che avrebbe consumato in età adulta; ma il nome Giacobbe richiama anche il verbo “ingannare, soppiantare”. Ebbene, ora, nella lotta, il Patriarca rivela al suo oppositore, in un gesto di consegna e di resa, la propria realtà di ingannatore, di soppiantatore; ma l’altro, che è Dio, trasforma questa realtà negativa in positiva: Giacobbe l’ingannatore diventa Israele, gli viene dato un nome nuovo che segna una nuova identità. Ma anche qui, il racconto mantiene la sua voluta duplicità, perché il significato più probabile del nome Israele è “Dio è forte, Dio vince”.

Dunque Giacobbe ha prevalso, ha vinto - è l’avversario stesso ad affermarlo - ma la sua nuova identità, ricevuta dallo stesso avversario, afferma e testimonia la vittoria di Dio. E quando Giacobbe chiederà a sua volta il nome al suo contendente, questi rifiuterà di dirlo, ma si rivelerà in un gesto inequivocabile, donando la benedizione. Quella benedizione che il Patriarca aveva chiesto all’inizio della lotta gli viene ora concessa. E non è la benedizione ghermita con inganno, ma quella gratuitamente donata da Dio, che Giacobbe può ricevere perché ormai solo, senza protezione, senza astuzie e raggiri, si consegna inerme, accetta di arrendersi e confessa la verità su se stesso. Così, al termine della lotta, ricevuta la benedizione, il Patriarca può finalmente riconoscere l’altro, il Dio della benedizione: «Davvero – disse – ho visto Dio faccia a faccia, eppure la mia vita è rimasta salva» (v. 31), e può ora attraversare il guado, portatore di un nome nuovo ma “vinto” da Dio e segnato per sempre, zoppicante per la ferita ricevuta.

Le spiegazioni che l’esegesi biblica può dare riguardo a questo brano sono molteplici; in particolare, gli studiosi riconoscono in esso intenti e componenti letterari di vario genere, come pure riferimenti a qualche racconto popolare. Ma quando questi elementi vengono assunti dagli autori sacri e inglobati nel racconto biblico, essi cambiano di significato e il testo si apre a dimensioni più ampie. L’episodio della lotta allo Yabboq si offre così al credente come testo paradigmatico in cui il popolo di Israele parla della propria origine e delinea i tratti di una particolare relazione tra Dio e l’uomo. Per questo, come affermato anche nel Catechismo della Chiesa Cattolica, «la tradizione spirituale della Chiesa ha visto in questo racconto il simbolo della preghiera come combattimento della fede e vittoria della perseveranza» (n. 2573). Il testo biblico ci parla della lunga notte della ricerca di Dio, della lotta per conoscerne il nome e vederne il volto; è la notte della preghiera che con tenacia e perseveranza chiede a Dio la benedizione e un nome nuovo, una nuova realtà frutto di conversione e di perdono.

La notte di Giacobbe al guado dello Yabboq diventa così per il credente un punto di riferimento per capire la relazione con Dio che nella preghiera trova la sua massima espressione. La preghiera richiede fiducia, vicinanza, quasi in un corpo a corpo simbolico non con un Dio nemico, avversario, ma con un Signore benedicente che rimane sempre misterioso, che appare irraggiungibile. Per questo l’autore sacro utilizza il simbolo della lotta, che implica forza d’animo, perseveranza, tenacia nel raggiungere ciò che si desidera. E se l’oggetto del desiderio è il rapporto con Dio, la sua benedizione e il suo amore, allora la lotta non potrà che culminare nel dono di se stessi a Dio, nel riconoscere la propria debolezza, che vince proprio quando giunge a consegnarsi nelle mani misericordiose di Dio.

Cari fratelli e sorelle, tutta la nostra vita è come questa lunga notte di lotta e di preghiera, da consumare nel desiderio e nella richiesta di una benedizione di Dio che non può essere strappata o vinta contando sulle nostre forze, ma deve essere ricevuta con umiltà da Lui, come dono gratuito che permette, infine, di riconoscere il volto del Signore. E quando questo avviene, tutta la nostra realtà cambia, riceviamo un nome nuovo e la benedizione di Dio. E ancora di più: Giacobbe, che riceve un nome nuovo, diventa Israele, dà un nome nuovo anche al luogo in cui ha lottato con Dio, lo ha pregato; lo rinomina Penuel, che significa “Volto di Dio”. Con questo nome riconosce quel luogo colmo della presenza del Signore, rende sacra quella terra imprimendovi quasi la memoria di quel misterioso incontro con Dio. Colui che si lascia benedire da Dio, si abbandona a Lui, si lascia trasformare da Lui, rende benedetto il mondo. Che il Signore ci aiuti a combattere la buona battaglia della fede (cfr 1Tm 6,12; 2Tm 4,7) e a chiedere, nella nostra preghiera, la sua benedizione, perché ci rinnovi nell’attesa di vedere il suo Volto. Grazie.

Saluti:

Je salue cordialement les pèlerins francophones, particulièrement les jeunes et les membres de la communauté de l’Arche de Grenoble ! Comme Jacob, laissez-vous bénir et transformer par Dieu pour rendre béni notre monde. Puisse le Seigneur vous aider à mener le bon combat de la foi avec humilité et dans une prière quotidienne et confiante ! Avec ma bénédiction !

I offer a warm welcome to all the English-speaking pilgrims present at today’s Audience, especially those from England, Ireland, Denmark, Norway, Nigeria, Australia, India, Indonesia, Japan and the United States. In a special way I welcome the group of Wounded Warriors, with the promise of my solidarity in prayer. I also greet the many student groups present, and I thank the choirs for their praise of God in song. Upon all of you I invoke the joy and peace of the Risen Lord.

Von Herzen grüße ich alle deutschsprachigen Pilger und Besucher. Möge das Beispiel Jakobs uns Mut machen, uns ganz in die Hände Gottes zu geben, nicht Angst zu haben, daß uns dabei etwas verlorengeht, und uns von ihm umwandeln zu lassen. Der Herr helfe uns, den Kampf des Glaubens mit Ausdauer zu kämpfen und durch unsere Gebete Gottes Segen zu erlangen für uns und für die Welt. Danke.

Saludo cordialmente a los peregrinos de lengua española, en particular al grupo del Movimiento Scout católico, acompañado por el Señor Obispo de Solsona, así como a los demás grupos provenientes de España, México, Guatemala, Ecuador, Venezuela, Colombia, Argentina y otros países latinoamericanos. Que el Señor nos ayude a combatir el buen combate de la fe. Muchas gracias.

Queridos peregrinos vindos de Portugal e do Brasil, nomeadamente da paróquia de Itú, agradeço a vossa presença e quanto a mesma significa de confissão de fé e amor a Deus. Procurai sempre na oração o auxílio do Senhor para combater a boa batalha da fé. De coração, a todos abençôo. Ide com Deus!

Saluto in lingua polacca:

Serdecznie pozdrawiam polskich pielgrzymów. Modlitwa Jakuba była trudna, była zmaganiem się z Bogiem. Ostatecznie jednak Jakub poddaje się Bogu, pozwala się wewnętrznie przemienić Bożą mocą, zyskuje nowe imię i otrzymuje błogosławieństwo. Czasem nasza modlitwa może być tak samo trudna, ale możemy być pewni, że nas przemienia i jest niewyczerpanym źródłem łaski. Niech będzie pochwalony Jezus Chrystus.

Traduzione italiana:

Saluto cordialmente i pellegrini polacchi. La preghiera di Giacobbe era difficile, era una lotta con Dio. Tuttavia alla fine Giacobbe si abbandona a Dio, si lascia trasformare della potenza di Dio, ottiene un nome nuovo e riceve la benedizione. A volte la nostra preghiera può essere ugualmente difficile, però possiamo essere certi che ci trasforma ed è un’esauribile fonte di grazia. Sia lodato Gesù Cristo.

Saluto in lingua bulgara:

ОТПРАВЯМ СЪРДЕЧНИ ПОЖЕЛАНИЯ КЪМ МИНИСТРАНТИТЕ ОТ ЕНОРИЯ „ПРЕСВЕТО СЪРЦЕ ИСУСОВО” ОТ ГРАД РАКОВСКИ В БЪЛГАРИЯ И ГИ ПРИКАНВАМ ДА САХРАНЯВАТ ЕДНО ДЪЛБОКО ПРИЯТЕЛСТВО С ИСУС. ТОЙ СЕ НУЖДАЕ ОТ ДЕЦА И МЛАДЕЖИ, КОИТО ОСВЕН СЛУЖЕНИЕТО НА ОЛТАРА ДА СТАНАТ СЛУЖИТЕЛИ НА ОЛТАРА. НА ВСЕКИ ЕДИН ОТ ВАС ДАВАМ МОЯ БЛАГОСЛОВ!

Traduzione italiana:

Rivolgo un cordiale saluto ai ministranti della parrocchia Sacratissimo Cuore di Gesù, di Rakovski, in Bulgaria, e li invito a coltivare una profonda amicizia con Gesù. Egli ha bisogno di ragazzi e giovani che, oltre al servizio all’altare, diventino ministri dell’altare. A ciascuno la mia Benedizione!

Saluto in lingua croata:

Od srca pozdravljam sve hrvatske hodočasnike, a osobito članove Hrvatskog katoličkog liječničkog društva iz Zadra.

Dragi prijatelji, u svakodnevnom radu nasljedujte Krista, Dobrog Samaritanca, koji s ljubavlju strpljivo liječi svaku bol i dariva život. Hvaljen Isus i Marija!

Traduzione italiana:

Saluto di cuore tutti i pellegrini Croati in modo particolare i membri dell’Associazione dei medici cattolici croati di Zadar. Cari amici, nel lavoro quotidiano imitate Cristo, Buon Samaritano, che con amore e pazienza cura ogni dolore e da la vita. Siano lodati Gesù e Maria!

Saluto in lingua slovacca:

S láskou vítam slovenských pútnikov, osobitne z Farnosti svätého Martina z Lipian. 
Bratia a sestry, Cirkev si včera v liturgii pripomínala Pannu Máriu Pomocnicu kresťanov. Podľa príkladu svätého Jána Apoštola prijmite ju aj vy do svojich domovov a dajte jej priestor vo vašom každodennom živote.
Všetkých vás žehnám.
Pochválený buď Ježiš Kristus!

Traduzione italiana:

Con affetto do il benvenuto ai pellegrini slovacchi, in particolare a quelli provenienti dalla Parrocchia di San Martino in Lipany.
Fratelli e sorelle, la Chiesa ieri ha celebrato la memoria liturgica della Beata Maria Vergine Ausiliatrice del popolo cristiano. Sull’esempio di San Giovanni Apostolo anche voi accogliete Maria nelle vostre case e fateLe spazio nella vostra esistenza quotidiana.
A tutti voi la mia benedizione.
Sia lodato Gesù Cristo!

Saluto in lingua ucraina:

Щиро вітаю українських військовиків, що брали участь у військовому паломництві до Люрду. Дорогі друзі, підбадьорені цією духовною зупинкою у стіп Пречистої Діви, повертайтесь на вашу Батьківщину з бажанням ще великодушніше свідчити Христа та Його Євангеліє. Від щирого серця благословлю вас і ваші родини. Христос Воскрес!

Traduzione italiana:

Rivolgo un cordiale saluto ai militari ucraini che hanno partecipato al pellegrinaggio militare a Lourdes. Cari amici, rinfrancati da questa sosta spirituale ai piedi della Madonna, ritornate nella vostra Patria con il desiderio di testimoniare ancora più generosamente Cristo e il suo Vangelo. Di cuore benedico voi e le vostre famiglie. Cristo è risorto!

Saluto in lingua ungherese:

Isten hozta a magyar zarándokokat, különösen azokat, akik Hatvanból és az ősi Veszprém városából érkeztek. Biztosítalak benneteket imáimról, hogy egyre inkább megismerjétek és kövessétek Jézus Krisztust, a világ egyetlen Megváltóját. Elődöm, Boldog II. János Pál pápa közbenjárását kérve szívesen adom Rátok és minden családtagotokra Apostoli Áldásomat.
Dicsértessék a Jézus Krisztus!

Traduzione italiana:

Un saluto cordiale ai pellegrini ungheresi, specialmente a coloro che sono venuti da Hatvan e dall'antica Veszprém. Vi assicuro della mia preghiera, perchè si rafforzi in voi il desiderio di conoscere e seguire Gesù Cristo, unico Salvatore del mondo. Chiedendo la intercessione del mio predecessore, Papa Beato Giovanni Paolo Il, imparto volentieri a voi e a tutti i vostri familiari la Benedizione Apostolica.
Sia lodato Gesù Cristo!

* * *

Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto i rappresentanti dell’associazione “L’Ora di Gesù” della diocesi di Taranto, accompagnati dal loro Pastore Mons. Benigno Luigi Papa, e li incoraggio a proseguire con gioia nel loro cammino di fede, diventando sempre più testimoni coraggiosi al servizio della vita e della dignità umana. Saluto gli esponenti della comunità “Regina Pacis” di Verona, che celebrano il 25° anniversario di fondazione, e faccio voti che da questa fausta ricorrenza scaturisca un rinnovato ardore apostolico. Saluto i fedeli della parrocchia di San Pietro in Carolei e auspico che questo incontro possa apportare ricchi frutti spirituali alla comunità parrocchiale.

Saluto, infine, i giovani, i malati e gli sposi novelli. Ieri abbiamo celebrato la festa della Madonna venerata con il titolo di Maria Ausiliatrice. Maria aiuti voi, cari giovani, specialmente voi alunni della Scuola S. Vincenzo de’ Paoli di Reggio Calabria, a rinsaldare ogni giorno la vostra fedeltà a Cristo. Ottenga conforto e serenità per voi, cari ammalati. Incoraggi voi, cari sposi novelli, a tradurre nella vita quotidiana il comandamento dell'amore.

© Copyright 2011 - Libreria Editrice Vaticana

mercoledì 25 maggio 2011

"Ti seguirò Signore nella via del dolore"

La Summa Teologica - Ventunesima parte - Se Dio entri in composizione con gli altri esseri

Torniamo ad addentrarci nella Summa Teologica di San Tommaso d'Aquino, un'opera che diede un fondamento scientifico, filosofico e teologico alla dottrina cristiana. Continuiamo a scoprire la parte dedicata al Trattato relativo all'essenza di Dio e scopriamo le risposte di San Tommaso ai dubbi e alle questioni: 

Prima parte
Trattato relativo all'essenza di Dio

La semplicità di Dio

Se Dio entri in composizione con gli altri esseri

  
 Prima parte
Questione 3
Articolo 8

SEMBRA che Dio entri in composizione con gli altri esseri. Infatti:
 1. Dice Dionigi: "La deità, che è sopra l'essere, è l'essere di tutte le cose". Ora, l'essere di tutte le cose entra nella composizione di ciascuna. Dunque Dio viene in composizione con altri esseri.

 2. Dio è forma, asserendo S. Agostino che "il Verbo di Dio (che è Dio) è una certa forma non formata". Ora, la forma è parte del composto. Dunque Dio è parte di qualche composto.

 3. Le cose che esistono e in nulla differiscono, sono un'identica realtà. Ora, Dio e la materia prima esistono e non differiscono in nessun modo. Dunque si identificano totalmente. Ma la materia prima entra nella composizione delle cose. Quindi anche Dio. Prova della minore: tutte le cose che differiscono, differiscono per qualche differenza, e perciò è necessario che siano composte; ma Dio e la materia prima sono del tutto semplici; dunque non differiscono in nessun modo.

IN CONTRARIO: Dice Dionigi che "non vi è né contatto di lui, (cioè di Dio), né qualsiasi altra comunanza con parti da mescolare insieme".

 Inoltre nel libro De Causis si dice: "La causa prima governa tutte le cose, ma non si mischia con esse".

RISPONDO: Su questo punto son corsi tre errori. Alcuni, come riferisce S. Agostino, hanno detto che Dio è l'anima del mondo; e a questo si riduce l'errore di altri i quali dissero che Dio è l'anima del primo cielo. Altri hanno affermato che Dio è il principio formale di tutte le cose. Tale, si dice, fu l'opinione dei discepoli di Almarico. Ma il terzo errore è quello di David di Dinant, il quale stoltissimamente affermò che Dio è la materia prima. Tutto ciò contiene una falsità manifesta; e non è possibile che Dio entri in qualche modo nella composizione di cosa alcuna né come principio formale, né come principio materiale.
Innanzi tutto, perché già dicemmo che Dio è la prima causa efficiente. Ora, la causa efficiente non (può mai) coincidere numericamente con la forma dell'effetto, ma solo secondo la specie; difatti un uomo genera (non se stesso ma) un altro uomo. La materia poi non coincide con la causa efficiente né numericamente, né specificamente, giacché quella è in potenza, questa invece è in atto.
In secondo luogo, perché essendo Dio la prima causa efficiente, l'agire gli appartiene primieramente e di per sé. Ora, ciò che viene in composizione con qualche cosa, non è agente di per sé e come causa principale; ché tale è piuttosto il composto: non è la mano che opera, ma l'uomo mediante la mano, e chi riscalda è il fuoco mediante il calore. Perciò Dio non può essere parte di un composto.
 In terzo luogo, perché nessuna parte di un composto può in modo assoluto essere prima realtà tra gli esseri: neanche la materia e la forma, che pure sono le prime parti del composto. Infatti la materia è in potenza; e la potenza, assolutamente parlando, è posteriore all'atto, come è chiaro da quello che si è già detto. E la forma, quando è parte del composto, è forma partecipata; ora, la cosa che viene partecipata, e l'essere che la partecipa, è posteriore a ciò che è per essenza; così il fuoco (che troviamo) nelle cose infocate è posteriore al fuoco per essenza. Invece si è già dimostrato che Dio è l'essere assolutamente primo.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Si dice che la divinità è l'essere di tutte le cose come causa efficiente ed esemplare; non già per la sua essenza (come se fosse causa materiale o formale delle cose).

 2. Il Verbo è forma esemplare, non già forma che fa parte del composto.

3. Le cose semplici non differiscono tra di loro per altre differenze; perché ciò è proprio dei composti. Difatti l'uomo e il cavallo (che sono composti) differiscono per le differenze di razionale e di irrazionale; ma queste differenze non differiscono alla loro volta per altre differenze. Perciò a rigore di termini, più che differenti debbono dirsi diverse; infatti secondo Aristotele diverso dice (disuguaglianza) assoluta; ma ciò che è differente, differisce soltanto per qualche cosa. Se, quindi, si vuole far forza sulla parola, la materia prima e Dio non differiscono, ma sono cose del tutto diverse. Perciò non segue che siano una stessa cosa.

martedì 24 maggio 2011

La fede di Santa Rita da Cascia

Riscoprire i Santi - Santa Rita da Cascia

Torna anche per questo martedì, l'appunto settimanale volto alla scoperta dei nostri cari Santi! Domenica scorsa la Chiesa Cattolica ha celebrato il ricordo di Santa Rita da Cascia e per questo motivo oggi le dedichiamo questo spazio, per conoscere la sua testimonianza di fede. Ella, religiosa, sposata con un uomo violento, sopportò con pazienza i suoi maltrattamenti, riconciliandolo infine con Dio; in seguito, rimasta priva del marito e dei figli, entrò nel monastero dell’Ordine di Sant’Agostino a Cascia in Umbria, offrendo a tutti un sublime esempio di pazienza e di compunzione.
Entriamo più a fondo nella conoscenza di Santa Rita da Cascia, attraverso il consueto tratto biografico (tratto dal sito Santi & Beati) seguito da una preghiera per la sua intercessione:


Fra le tante stranezze o fatti strepitosi che accompagnano la vita dei santi, prima e dopo la morte, ce n'è uno in particolare che riguarda s. Rita da Cascia, una delle sante più venerate in Italia e nel mondo cattolico, ed è che essa è stata beatificata ben 180 anni dopo la sua morte e addirittura proclamata santa a 453 anni dalla morte.
Quindi una santa che ha avuto un cammino ufficiale per la sua canonizzazione molto lento (si pensi che sant’Antonio di Padova fu proclamato santo un anno dopo la morte), ma nonostante ciò s. Rita è stata ed è una delle più venerate ed invocate figure della santità cattolica, per i prodigi operati e per la sua umanissima vicenda terrena.
Rita ha il titolo di “santa dei casi impossibili”, cioè di quei casi clinici o di vita, per cui non ci sono più speranze e che con la sua intercessione, tante volte miracolosamente si sono risolti.
Nacque intorno al 1381 a Roccaporena, un villaggio montano a 710 metri s. m. nel Comune di Cascia, in provincia di Perugia; i suoi genitori Antonio Lottius e Amata Ferri erano già in età matura quando si sposarono e solo dopo dodici anni di vane attese, nacque Rita, accolta come un dono della Provvidenza.
La vita di Rita fu intessuta di fatti prodigiosi, che la tradizione, più che le poche notizie certe che possediamo, ci hanno tramandato; ma come in tutte le leggende c’è alla base senz’altro un fondo di verità.
Si racconta quindi che la madre molto devota, ebbe la visione di un angelo che le annunciava la tardiva gravidanza, che avrebbero ricevuto una figlia e che avrebbero dovuto chiamarla Rita; in ciò c’è una similitudine con s. Giovanni Battista, anch’egli nato da genitori anziani e con il nome suggerito da una visione.
Poiché a Roccaporena mancava una chiesa con fonte battesimale, la piccola Rita venne battezzata nella chiesa di S. Maria della Plebe a Cascia e alla sua infanzia è legato un fatto prodigioso; dopo qualche mese, i genitori, presero a portare la neonata con loro durante il lavoro nei campi, riponendola in un cestello di vimini poco distante.
E un giorno mentre la piccola riposava all’ombra di un albero, mentre i genitori stavano un po’ più lontani, uno sciame di api le circondò la testa senza pungerla, anzi alcune di esse entrarono nella boccuccia aperta depositandovi del miele. Nel frattempo un contadino che si era ferito con la falce ad una mano, lasciò il lavoro per correre a Cascia per farsi medicare; passando davanti al cestello e visto la scena, prese a cacciare via le api e qui avvenne la seconda fase del prodigio, man mano che scuoteva le braccia per farle andare via, la ferita si rimarginò completamente. L’uomo gridò al miracolo e con lui tutti gli abitanti di Roccaporena, che seppero del prodigio.
Rita crebbe nell’ubbidienza ai genitori, i quali a loro volta inculcarono nella figlia tanto attesa, i più vivi sentimenti religiosi; visse un’infanzia e un’adolescenza nel tranquillo borgo di Roccaporena, dove la sua famiglia aveva una posizione comunque benestante e con un certo prestigio legale, perché a quanto sembra ai membri della casata Lottius, veniva attribuita la carica di ‘pacieri’ nelle controversie civili e penali del borgo.
Già dai primi anni dell’adolescenza Rita manifestò apertamente la sua vocazione ad una vita religiosa, infatti ogni volta che le era possibile, si ritirava nel piccolo oratorio, fatto costruire in casa con il consenso dei genitori, oppure correva al monastero di Santa Maria Maddalena nella vicina Cascia, dove forse era suora una sua parente.
Frequentava anche la chiesa di S. Agostino, scegliendo come suoi protettori i santi che lì si veneravano, oltre s. Agostino, s. Giovanni Battista e Nicola da Tolentino, canonizzato poi nel 1446. Aveva tredici anni quando i genitori, forse obbligati a farlo, la promisero in matrimonio a Fernando Mancini, un giovane del borgo, conosciuto per il suo carattere forte, impetuoso, perfino secondo alcuni studiosi, brutale e violento.
Rita non ne fu entusiasta, perché altre erano le sue aspirazioni, ma in quell’epoca il matrimonio non era tanto stabilito dalla scelta dei fidanzati, quando dagli interessi delle famiglie, pertanto ella dovette cedere alle insistenze dei genitori e andò sposa a quel giovane ufficiale che comandava la guarnigione di Collegiacone, del quale “fu vittima e moglie”, come fu poi detto.
Da lui sopportò con pazienza ogni maltrattamento, senza mai lamentarsi, chiedendogli con ubbidienza perfino il permesso di andare in chiesa. Con la nascita di due gemelli e la sua perseveranza di rispondere con la dolcezza alla violenza, riuscì a trasformare con il tempo il carattere del marito e renderlo più docile; fu un cambiamento che fece gioire tutta Roccaporena, che per anni ne aveva dovuto subire le angherie.
I figli Giangiacomo Antonio e Paolo Maria, crebbero educati da Rita Lottius secondo i principi che le erano stati inculcati dai suoi genitori, ma essi purtroppo assimilarono anche gli ideali e regole della comunità casciana, che fra l’altro riteneva legittima la vendetta.
E venne dopo qualche anno, in un periodo non precisato, che a Rita morirono i due anziani genitori e poi il marito fu ucciso in un’imboscata una sera mentre tornava a casa da Cascia; fu opera senz’altro di qualcuno che non gli aveva perdonato le precedenti violenze subite.
Ai figli ormai quindicenni, cercò di nascondere la morte violenta del padre, ma da quel drammatico giorno, visse con il timore della perdita anche dei figli, perché aveva saputo che gli uccisori del marito, erano decisi ad eliminare gli appartenenti al cognome Mancini; nello stesso tempo i suoi cognati erano decisi a vendicare l’uccisione di Fernando Mancini e quindi anche i figli sarebbero stati coinvolti nella faida di vendette che ne sarebbe seguita.
Narra la leggenda che Rita per sottrarli a questa sorte, abbia pregato Cristo di non permettere che le anime dei suoi figli si perdessero, ma piuttosto di toglierli dal mondo, “Io te li dono. Fà di loro secondo la tua volontà”. Comunque un anno dopo i due fratelli si ammalarono e morirono, fra il dolore cocente della madre.
A questo punto inserisco una riflessione personale, sono del Sud Italia e in alcune regioni, esistono realtà di malavita organizzata, ma in alcuni paesi anche faide familiari, proprio come al tempo di s. Rita, che periodicamente lasciano sul terreno morti di ambo le parti. Solo che oggi abbiamo sempre più spesso donne che nell’attività malavitosa, si sostituiscono agli uomini uccisi, imprigionati o fuggitivi; oppure ad istigare altri familiari o componenti delle bande a vendicarsi, quindi abbiamo donne di mafia, di camorra, di ‘ndrangheta, di faide familiari, ecc.
Al contrario di s. Rita che pur di spezzare l’incipiente faida creatasi, chiese a Dio di riprendersi i figli, purché non si macchiassero a loro volta della vendetta e dell’omicidio.
S. Rita è un modello di donna adatto per i tempi duri. I suoi furono giorni di un secolo tragico per le lotte fratricide, le pestilenze, le carestie, con gli eserciti di ventura che invadevano di continuo l’Italia e anche se nella bella Valnerina questi eserciti non passarono, nondimeno la fame era presente.
Poi la violenza delle faide locali aggredì l’esistenza di Rita Lottius, distruggendo quello che si era costruito; ma lei non si abbatté, non passò il resto dei suoi giorni a piangere, ma ebbe il coraggio di lottare, per fermare la vendetta e scegliere la pace. Venne circondata subito di una buona fama, la gente di Roccaporena la cercava come popolare giudice di pace, in quel covo di vipere che erano i Comuni medioevali. Esempio fulgido di un ruolo determinante ed attivo della donna, nel campo sociale, della pace, della giustizia.
Ormai libera da vincoli familiari, si rivolse alle Suore Agostiniane del monastero di S. Maria Maddalena di Cascia per essere accolta fra loro; ma fu respinta per tre volte, nonostante le sue suppliche. I motivi non sono chiari, ma sembra che le Suore temessero di essere coinvolte nella faida tra famiglie del luogo e solo dopo una riappacificazione, avvenuta pubblicamente fra i fratelli del marito ed i suoi uccisori, essa venne accettata nel monastero.
Per la tradizione, l’ingresso avvenne per un fatto miracoloso, si narra che una notte, Rita come al solito, si era recata a pregare sullo “Scoglio” (specie di sperone di montagna che s’innalza per un centinaio di metri al disopra del villaggio di Roccaporena), qui ebbe la visione dei suoi tre santi protettori già citati, che la trasportarono a Cascia, introducendola nel monastero, si cita l’anno 1407; quando le suore la videro in orazione nel loro coro, nonostante tutte le porte chiuse, convinte dal prodigio e dal suo sorriso, l’accolsero fra loro.
Quando avvenne ciò Rita era intorno ai trent’anni e benché fosse illetterata, fu ammessa fra le monache coriste, cioè quelle suore che sapendo leggere potevano recitare l’Ufficio divino, ma evidentemente per Rita fu fatta un’eccezione, sostituendo l’ufficio divino con altre orazioni.
La nuova suora s’inserì nella comunità conducendo una vita di esemplare santità, praticando carità e pietà e tante penitenze, che in breve suscitò l’ammirazione delle consorelle. Devotissima alla Passione di Cristo, desiderò di condividerne i dolori e questo costituì il tema principale delle sue meditazioni e preghiere.
Gesù l’esaudì e un giorno nel 1432, mentre era in contemplazione davanti al Crocifisso, sentì una spina della corona del Cristo conficcarsi nella fronte, producendole una profonda piaga, che poi divenne purulenta e putrescente, costringendola ad una continua segregazione.
La ferita scomparve soltanto in occasione di un suo pellegrinaggio a Roma, fatto per perorare la causa di canonizzazione di s. Nicola da Tolentino, sospesa dal secolo precedente; ciò le permise di circolare fra la gente.
Si era talmente immedesimata nella Croce, che visse nella sofferenza gli ultimi quindici anni, logorata dalle fatiche, dalle sofferenze, ma anche dai digiuni e dall’uso dei flagelli, che erano tanti e di varie specie; negli ultimi quattro anni si cibava così poco, che forse la Comunione eucaristica era il suo unico sostentamento e fu costretta a restare coricata sul suo giaciglio.
E in questa fase finale della sua vita, avvenne un altro prodigio, essendo immobile a letto, ricevé la visita di una parente, che nel congedarsi le chiese se desiderava qualcosa della sua casa di Roccaporena e Rita rispose che le sarebbe piaciuto avere una rosa dall’orto, ma la parente obiettò che si era in pieno inverno e quindi ciò non era possibile, ma Rita insisté.
Tornata a Roccaporena la parente si recò nell’orticello e in mezzo ad un rosaio, vide una bella rosa sbocciata, stupita la colse e la portò da Rita a Cascia, la quale ringraziando la consegnò alle meravigliate consorelle.
Così la santa vedova, madre, suora, divenne la santa della ‘Spina’ e la santa della ‘Rosa’; nel giorno della sua festa questi fiori vengono benedetti e distribuiti ai fedeli.
Il 22 maggio 1447 Rita si spense, mentre le campane da sole suonavano a festa, annunciando la sua ‘nascita’ al cielo. Si narra che il giorno dei funerali, quando ormai si era sparsa la voce dei miracoli attorno al suo corpo, comparvero delle api nere, che si annidarono nelle mura del convento e ancora oggi sono lì, sono api che non hanno un alveare, non fanno miele e da cinque secoli si riproducono fra quelle mura.
Per singolare privilegio il suo corpo non fu mai sepolto, in qualche modo trattato secondo le tecniche di allora, fu deposto in una cassa di cipresso, poi andata persa in un successivo incendio, mentre il corpo miracolosamente ne uscì indenne e riposto in un artistico sarcofago ligneo, opera di Cesco Barbari, un falegname di Cascia, devoto risanato per intercessione della santa.
Sul sarcofago sono vari dipinti di Antonio da Norcia (1457), sul coperchio è dipinta la santa in abito agostiniano, stesa nel sonno della morte su un drappo stellato; il sarcofago è oggi conservato nella nuova basilica costruita nel 1937-1947; anche il corpo riposa incorrotto in un’urna trasparente, esposto alla venerazione degli innumerevoli fedeli, nella cappella della santa nella Basilica-Santuario di S. Rita a Cascia.
Accanto al cuscino è dipinta una lunga iscrizione metrica che accenna alla vita della “Gemma dell’Umbria”, al suo amore per la Croce e agli altri episodi della sua vita di monaca santa; l’epitaffio è in antico umbro ed è di grande interesse quindi per conoscere il profilo spirituale di S. Rita.
Bisogna dire che il corpo rimasto prodigiosamente incorrotto e a differenza di quello di altri santi, non si è incartapecorito, appare come una persona morta da poco e non presenta sulla fronte la famosa piaga della spina, che si rimarginò inspiegabilmente dopo la morte.
Tutto ciò è documentato dalle relazioni mediche effettuate durante il processo per la beatificazione, avvenuta nel 1627 con papa Urbano VIII; il culto proseguì ininterrotto per la santa chiamata “la Rosa di Roccaporena”; il 24 maggio 1900 papa Leone XIII la canonizzò solennemente.
Al suo nome vennero intitolate tante iniziative assistenziali, monasteri, chiese in tutto il mondo; è sorta anche una pia unione denominata “Opera di S. Rita” preposta al culto della santa, alla sua conoscenza, ai continui pellegrinaggi e fra le tante sue realizzazioni effettuate, la cappella della sua casa, la cappella del “Sacro Scoglio” dove pregava, il santuario di Roccaporena, l’Orfanotrofio, la Casa del Pellegrino.
Il cuore del culto comunque resta il Santuario ed il monastero di Cascia, che con Assisi, Norcia, Cortona, costituiscono le culle della grande santità umbra.

Autore: Antonio Borrelli

***

SUPPLICA A SANTA RITA DA CASCIA NEL GIORNO DELLA FESTA (22 Maggio)

O santa Rita da Cascia, tu sei stata nostra sorella nella vita terrena voluta dal amore del Padre, per la quale siamo tutti uniti sotto la stessa Provvidenza da un reciproco dovere di giustizia, e nella vita della grazia del Signore Gesù crocifisso e risorto, per la quale ci chiamiamo e siamo figli di Dio; tu hai accolto con riconoscenza la opera santificatrice dello Spirito Santo, e la Chiesa ora ti afferma glorificata nella eterna visione di Dio. Supplica la Trinità Santissima affinché diventiamo saldi nella fede, perseveranti nella carità e sempre confortati dalla speranza nelle promesse divine.
Intercedi per la Chiesa, affinché tutti e ovunque siamo fedeli testimoni del Vangelo e troviamo nella fede e nella carità le risposte sicure per noi stessi e per tutti gli uomini.
Intercedi per il Papa e i Vescovi, ai quali il Signore ha affidato il compito di dirigere e governare la Chiesa, affinché lo Spirito Santo sempre li assista nel insegnamento della verità e siano testimoni di fede e di carità davanti ai popoli ed alle nazioni. Intercedi per tutti i sacerdoti, i religiosi, e le religiose, affinchè, in unione con il Papa e i Vescovi, rispondano con perseverante fedeltà alla loro particolare vocazione alla santità e ai loro impegni missionari nel mondo. Intercedi per le vocazioni sacerdotali e religiose, affinchè aumenti il numero e la santità di coloro che si donano al servizio di Dio nei fratelli. Intercedi per le nostre famiglie, turbate dagli insegnamenti di tanti maestri, affinchè riconoscano un unico Maestro, Cristo, e una unica guida a Cristo, la Chiesa, e possano formarsi e crescere in vicendevole amore cristiano, unite, anche nel sacrificio, come Cristo è unito alla chiesa.
Intercedi per i fanciulli e i giovani, affinchè imparino la vera libertà nella verità del Cristo e sappiano crescere anche nella vita sociale con piena responsabilità cristiana, sorretti da una formazione forte e sicura, consapevoli del dono e del impegno battesimale. Intercedi per la pace, tu che hai patito le conseguenze del odio e hai dimostrato che la mansuetudine ed il perdono conquistano la terra nella vera giustizia. Intercedi per tutti i cristiani, affinchè si chiamino e siano fratelli, e, per il dono della stessa fede e della stessa Eucaristia, formino un solo ovile sotto un solo pastore, adunati nella unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Amen!
Padre nostro. . .Ave Maria. . . Gloria al Padre. . .

lunedì 23 maggio 2011

Traccia riflessione Vangelo: V domenica Pasqua (A)

Regina Coeli di Papa Benedetto XVI - 22 Maggio 2011


BENEDETTO XVI

REGINA CÆLI

Piazza San Pietro
Domenica, 22 maggio 2011


Cari fratelli e sorelle!

Il Vangelo dell’odierna domenica, la Quinta di Pasqua, propone un duplice comandamento sulla fede: credere in Dio e credere in Gesù. Il Signore, infatti, dice ai suoi discepoli: «Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me» (Gv 14,1). Non sono due atti separati, ma un unico atto di fede, la piena adesione alla salvezza operata da Dio Padre mediante il suo Figlio Unigenito. Il Nuovo Testamento ha posto fine all’invisibilità del Padre. Dio ha mostrato il suo volto, come conferma la risposta di Gesù all’apostolo Filippo: «Chi ha visto me, ha visto il Padre» (Gv 14,9). Il Figlio di Dio, con la sua incarnazione, morte e risurrezione, ci ha liberati dalla schiavitù del peccato per donarci la libertà dei figli di Dio e ci ha fatto conoscere il volto di Dio che è amore: Dio si può vedere, è visibile in Cristo. Santa Teresa d’Avila scrive che «non dobbiamo allontanarci da ciò che costituisce tutto il nostro bene e il nostro rimedio, cioè dalla santissima umanità di nostro Signore Gesù Cristo» (Castello interiore, 7, 6: Opere Complete, Milano 1998, 1001). Quindi solo credendo in Cristo, rimanendo uniti a Lui, i discepoli, tra i quali siamo anche noi, possono continuare la sua azione permanente nella storia: «In verità, in verità io vi dico – dice il Signore –: chi crede in me, anch’egli compirà le opere che io compio» (Gv 14,12).

La fede in Gesù comporta seguirlo quotidianamente, nelle semplici azioni che compongono la nostra giornata. «È proprio del mistero di Dio agire in modo sommesso. Solo pian piano Egli costruisce nella grande storia dell’umanità la sua storia. Diventa uomo ma in modo da poter essere ignorato dai contemporanei, dalle forze autorevoli della storia. Patisce e muore e, come Risorto, vuole arrivare all’umanità soltanto attraverso la fede dei suoi ai quali si manifesta. Di continuo Egli bussa sommessamente alle porte dei nostri cuori e, se gli apriamo, lentamente ci rende capaci di “vedere”» (Gesù di Nazareth II, 2011, 306). Sant’Agostino afferma che «era necessario che Gesù dicesse: “Io sono la via, la verità e la vita” (Gv 14,6), perché una volta conosciuta la via, restava da conoscere la meta» (Tractatus in Ioh., 69, 2: CCL 36, 500), e la meta è il Padre. Per i cristiani, per ciascuno di noi, dunque, la Via al Padre è lasciarsi guidare da Gesù, dalla sua parola di Verità, e accogliere il dono della sua Vita. Facciamo nostro l’invito di San Bonaventura: «Apri dunque gli occhi, tendi l’orecchio spirituale, apri le tue labbra e disponi il tuo cuore, perché tu possa in tutte le creature vedere, ascoltare, lodare, amare, venerare, glorificare, onorare il tuo Dio» (Itinerarium mentis in Deum, I, 15).

Cari amici, l’impegno di annunciare Gesù Cristo, “la via, la verità e la vita” (Gv 14,6), costituisce il compito principale della Chiesa. Invochiamo la Vergine Maria perché assista sempre i Pastori e quanti nei diversi ministeri annunciano il lieto Messaggio di salvezza, affinché la Parola di Dio si diffonda e il numero dei discepoli si moltiplichi (cfr At 6,7).

Dopo il Regina Caeli

Cari fratelli e sorelle!

Mi unisco alla gioia della Chiesa in Portogallo, per la beatificazione di Madre Maria Chiara di Gesù Bambino, avvenuta ieri a Lisbona; e a quella in Brasile, dove oggi, a Salvador Bahia, viene proclamata beata Suor Dulce Lopes Pontes. Due donne consacrate, in Istituti posti entrambi sotto la protezione di Maria Immacolata. Siano lodati il Signore e la sua santa Madre!

[[Saluti in varie lingue: Je salue avec joie les pèlerins francophones. Dans l’élan apporté à l’Eglise par la béatification du Pape Jean-Paul II, je vous invite à prier le chapelet en méditant sur les Mystères lumineux, ainsi qu’il nous y a invités. En suivant les étapes de la mission du Christ avec la Vierge Marie, nous devenons capables, comme elle, de voir l’amour du Père à l’œuvre dans la vie et l’enseignement de son Fils. Puissions-nous ainsi devenir des adorateurs en esprit et en vérité et des témoins! Je vous bénis de grand cœur, ainsi que vos familles!

I welcome all the English-speaking visitors who join us for this Regina Cœli prayer. In a special way I greet the participants in the leadership training course offered by the Saint Egidio community, assuring them of my prayers for their efforts to proclaim the Gospel and serve the poor and needy in their native countries. Also in these days the International Ecumenical Peace Convocation, organized by the World Council of Churches, is meeting in Kingston, Jamaica. The Convocation is the culmination of a decade-long programme aimed at combating all forms of violence. Let us join in prayer for this noble intention, and recommit ourselves to eliminating violence in families, in society and in the international community. Dear friends, in the joy of this Easter season, may we be strengthened by the Risen Lord to follow him faithfully and to share in his life. Upon you and your families I invoke God’s abundant blessings.

Ganz herzlich heiße ich alle Pilger und Besucher deutscher Sprache willkommen. Im Evangelium des heutigen Sonntags antwortet der Herr auf das Unwissen und die Richtungslosigkeit der Jünger mit der Zusicherung: „Ich bin der Weg und die Wahrheit und das Leben“ (Joh 14,6). Er gibt ihnen damit mehr als einen Wegweiser und ein orientierendes Wort. Er begegnet ihnen als Person, der sie sich anvertrauen können. Auch uns lädt er ein, ihn in unser Leben und in unsere Welt einzulassen und aufzunehmen. Dann empfangen wir von ihm die Einsicht in das Wahre und in das Gute und die Anleitung zu einem wirklich gelungenen Leben. Ich wünsche Euch allen einen gesegneten Sonntag und eine gute Woche!

Saludo con afecto a los peregrinos de lengua española, en particular a los fieles de San Fernando de Henares. En este tiempo de Pascua, el ejemplo de la comunidad apostólica nos llama a manifestar con la palabra y el testimonio de vida la Verdad de Jesucristo, según la propia vocación. El Evangelio de hoy nos muestra el ideal de los diáconos y de los que son llamados al servicio de la comunidad: imbuirse plenamente de la Palabra de Dios y del amor a Jesucristo, para reflejar con sus buenas obras la bondad de Dios. Feliz domingo!

Ao saudar os peregrinos de língua portuguesa, desejo também associar-me à alegria dos Pastores e fiéis congregados em São Salvador da Bahia para a beatificação da Irmã Dulce Lopes Pontes, que deixou atrás de si um prodigioso rasto de caridade ao serviço dos últimos, levando o Brasil inteiro a ver nela «a mãe dos desamparados». Idêntica celebração teve lugar ontem, em Lisboa, ficando inscrita no álbum dos Beatos a Irmã Maria Clara do Menino Jesus; ela fundou as Franciscanas Hospitaleiras da Imaculada Conceição, que ensinou «a alumiar e aquecer» a multidão de pobres e esquecidos da sociedade, vendo e acolhendo neles o próprio Deus. Enquanto confio à intercessão das novas Beatas os seus familiares e devotos, as suas filhas e irmãs espirituais e as comunidades eclesiais de Lisboa e São Salvador da Bahia, de coração concedo-lhes a Bênção Apostólica.

Serdeczne pozdrowienie kieruję do Polaków. Jednoczę się duchowo z Biskupami, Duchowieństwem i Wiernymi, którzy dziś dziękują Bogu za 850 (osiemset pięćdziesiąt) lat istnienia Archikolegiaty Najświętszej Maryi Panny Królowej i św. Aleksego w Tumie koło Łęczycy. Wszystkim z serca błogosławię.

[Un cordiale saluto rivolgo ai polacchi. Mi unisco spiritualmente ai Vescovi, al clero e ai fedeli che oggi ringraziano Dio per gli 850 anni dell’Arcicollegiata della Santissima Maria Vergine Regina e di Sant’Alessio a Tum presso Leczyca. Vi benedico tutti di cuore.]]]

Rivolgo il mio cordiale saluto ai pellegrini di lingua italiana, in particolare ai numerosi cresimandi della Diocesi di Genova, guidati dal Cardinale Bagnasco. Un pensiero va poi al folto gruppo del Movimento per la Vita: cari amici, mi congratulo con voi, in particolare per l’impegno con cui aiutate le donne che affrontano gravidanze difficili, i fidanzati e i coniugi che desiderano una procreazione responsabile; così voi operate concretamente per la cultura della vita. Chiedo al Signore che, grazie anche al vostro contributo, il “sì alla vita” sia motivo di unità in Italia e in ogni Paese del mondo. Benedico i bambini accompagnati dall’UNITALSI, i quali superando i disagi della malattia si fanno testimoni di pace. Incoraggio i malati e i volontari presenti in occasione della Settimana nazionale della sclerosi multipla. Saluto i membri dell’Istituzione Teresiana, nel centenario dell’Associazione; i fedeli provenienti da Saiano, da Montegranaro e da alcune parrocchie di Roma; le scolaresche di Verona e i ragazzi di Torano Nuovo. A tutti auguro una buona domenica, una buona settimana. Grazie per la vostra presenza. Buona domenica.

© Copyright 2011 - Libreria Editrice Vaticana

domenica 22 maggio 2011

Video Vangelo: V domenica Pasqua (A)

Video Vangelo: V domenica Pasqua (A)

Video Vangelo: V domenica Pasqua (A)

Video Vangelo: V domenica Pasqua (A)

La carta d'identità di Gesù Cristo


V domenica di Pasqua 
(Gv 14,1-12) 

“IO sono la via, la verità e la vita”. Ecco la carta d’identità di Gesù Cristo e di Lui solo!
Nessun altro profeta prima di Lui, anche se divinamente ispirato, aveva mai avuto l’audacia di dichiararsi via, verità e vita. E nessun altro fondatore di religioni, prima o dopo di Lui, si era mai definito così. Al massimo si diceva un illuminato (Budda), un ispirato (Maometto), o un avatar (= una manifestazione della divinità presso gli induisti), ma non certo via, verità e vita! Essere questo, appartiene solo a Gesù Cristo e non è solo la sua carta d’identità, ma è altissima rivelazione del suo mistero e della Sua Persona.

• Quando l’ha rivelata?

E il seguito di questo Vangelo ci permette anche di intravedere il mistero della Sua vita trinitaria: “Chi ha visto me ha visto il Padre”. Fino ad allora, Gesù non aveva rivelato a chiare lettere la sua identità , anzi raccomandava sia agli ammalati che guariva che agli ossessi che liberava, di non dire niente a nessuno. Anche agli apostoli aveva chiesto: “La gente chi dice che io sia? E voi chi dite che io sia?” E lasciava che la risposta sulla sua vera identità di Figlio di DIO, venisse dagli interlocutori, senza esprimerla Lui per primo. Ma qui rivela solennemente chi veramente è (del resto è nello stile dell’evangelista Giovanni di riportare i discorsi solenni di Gesù, più che le parabole o i gesti concreti)! E rivela anche l’identità e l’unità totale che c’è tra Lui e il Padre: “Credetemi, io sono nel Padre e il Padre è in me”. Guardiamo dunque un po’ da vicino, questa frase dal contenuto densissimo “Io sono la via , la verità e la vita”.
“Io sono”. Ci fa pensare a Mosè presso il roveto ardente, quando DIO gli si presentò dicendogli: ”Io sono Colui che sono“. Non ’ero’ o ‘sarò’, ma “Colui che sono”, cioè che ha in sé stesso la causa della sua esistenza.

• Cosa dovremo rendere?

Noi non siamo la causa del nostro esistere, non siamo la vita, ma passiamo nella vita come il treno passa sui binari. E quando questi binari finiranno, la nostra corsa cesserà e allora – come si dice con quell’espressione molto appropriata – “renderemo” l’anima a Dio e renderemo anche il corpo alla terra. Questo “rendere” spiega oltretutto, perché della vita non possiamo farne ciò che vogliamo dicendo ‘la vita è mia e ne faccio quel che voglio’. La vita non è mia, mi è stata imprestata; e se qualcuno mi impresta un libro o qualsiasi altra cosa, non lo distruggo e ‘non ne faccio quel che voglio’, ma lo tengo bene per restituirlo in buono stato.
Quindi solo Lui può dire “Io sono la vita”. Solo Lui è l’Essere necessario (come si dice in filosofia), noi siamo esseri contingenti, esseri cioè che – siccome non hanno in sé stessi l’esistenza – potrebbero benissimo non esistere, se Colui che è la vita, non avesse deciso un bel giorno, di tirarci fuori dal nulla! Dunque Lui solo è la vita: vita in sé stesso, ma vita anche per noi. Ci fa rinascere a vita nuova, ogni volta che il Suo sguardo ci raggiunge nel profondo del nostro male e della nostra miseria. Solo allora sorgiamo dai nostri sepolcri e risorgiamo a vita nuova.

• Via o parcheggio?

E’ verità. Verità in sé stesso perché annuncia la parola del Padre, anzi è il Verbo del Padre, l’unico che salva e distrugge il peccato, ma è verità anche per noi! Se ci lasciamo guardare dentro, ci svela a noi stessi e ci rivela la sua misericordia che ci rinnova ogni momento e può – in un istante – renderci nuovi fiammanti e splendenti di candore!
Ed è via. “Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me”. E: “Quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, ritornerò e vi prenderò con me perché siate anche voi dove sono io”. Gesù è la via, “non è il parcheggio”. Seguire Lui significa camminare, sudare, arrancare perché la via oltretutto è sempre in salita. Gesù è il capo-cordata che è andato in avanscoperta a prepararci la via. E QUESTA VIA LA CONOSCE LUI; se vogliamo essere certi di imboccare la via giusta e di arrivare al porto sospirato dobbiamo nominare Gesù capitano della nostra vita affinché ci guidi infallibilmente in quell’alta e rischiosa via. Solo così, raggiungeremo quel posto che è andato a prepararci, dove ci attende l’amore del Padre e una gioia infinita ed eterna.

Wilma Chasseur

sabato 21 maggio 2011

Gesù Cristo, Uomo-Dio nel catechismo della Chiesa Cattolica

In difesa della vita - Evangelium vitae - XIII

Torna l'appuntamento con la Lettera Enciclica "Evangelium vitae", in difesa della vita. Continuiamo a meditare il capolavoro di Dio che si è manifestato nella e con la creazione dell'essere umano in cui è stato soffiato l'alito della vita; Giovanni Paolo II usa parole straordinarie per farci meditare il senso della vita che tanti cercano disperatamente, ma che è dinanzi ai nostri occhi:

SONO VENUTO PERCHE’ ABBIANO LA VITA

«Chiamati... ad essere conformi all'immagine del Figlio suo» (Rm 8, 28-29): la gloria di Dio risplende sul volto dell'uomo 

35. Anche il racconto jahvista delle origini esprime la stessa convinzione. L'antica narrazione, infatti, parla di un soffio divino che viene inalato nell'uomo perché questi entri nella vita: «Il Signore Dio plasmò l'uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l'uomo divenne un essere vivente» (Gn 2, 7).

L'origine divina di questo spirito di vita spiega la perenne insoddisfazione che accompagna l'uomo nei suoi giorni. Fatto da Dio, portando in sé una traccia indelebile di Dio, l'uomo tende naturalmente a lui. Quando ascolta l'aspirazione profonda del suo cuore, ogni uomo non può non fare propria la parola di verità espressa da sant'Agostino: «Tu ci hai fatti per te, o Signore, e il nostro cuore è inquieto sino a quando non riposa in Te».25

Quanto mai eloquente è l'insoddisfazione di cui è preda la vita dell'uomo nell'Eden fin quando il suo unico riferimento rimane il mondo vegetale e animale (cf. Gn 2, 20). Solo l'apparizione della donna, di un essere cioè che è carne dalla sua carne e osso dalle sue ossa (cf. Gn 2, 23), e in cui ugualmente vive lo spirito di Dio Creatore, può soddisfare l'esigenza di dialogo inter-personale che è così vitale per l'esistenza umana. Nell'altro, uomo o donna, si riflette Dio stesso, approdo definitivo e appagante di ogni persona.

«Che cosa è l'uomo perché te ne ricordi, il figlio dell'uomo perché te ne curi?», si chiede il Salmista (Sal 8, 5). Di fronte all'immensità dell'universo, egli è ben piccola cosa; ma proprio questo contrasto fa emergere la sua grandezza: «Lo hai fatto poco meno degli angeli (ma si potrebbe tradurre anche: «poco meno di Dio»), di gloria e di onore lo hai coronato» (Sal 8, 6). La gloria di Dio risplende sul volto dell'uomo. In lui il Creatore trova il suo riposo, come commenta stupito e commosso sant'Ambrogio: «È finito il sesto giorno e si è conclusa la creazione del mondo con la formazione di quel capolavoro che è l'uomo, il quale esercita il dominio su tutti gli esseri viventi ed è come il culmine dell'universo e la suprema bellezza di ogni essere creato. Veramente dovremmo mantenere un reverente silenzio, poiché il Signore si riposò da ogni opera del mondo. Si riposò poi nell'intimo dell'uomo, si riposò nella sua mente e nel suo pensiero; infatti aveva creato l'uomo dotato di ragione, capace d'imitarlo, emulo delle sue virtù, bramoso delle grazie celesti. In queste sue doti riposa Iddio che ha detto: "O su chi riposerò, se non su chi è umile, tranquillo e teme le mie parole?" (Is 66, 1-2). Ringrazio il Signore Dio nostro che ha creato un'opera così meravigliosa nella quale trovare il suo riposo».26

36. Purtroppo lo stupendo progetto di Dio viene offuscato dalla irruzione del peccato nella storia. Con il peccato l'uomo si ribella al Creatore, finendo con l'idolatrare le creature: «Hanno venerato e adorato la creatura al posto del Creatore» (Rm 1, 25). In questo modo l'essere umano non solo deturpa in se stesso l'immagine di Dio, ma è tentato di offenderla anche negli altri, sostituendo ai rapporti di comunione atteggiamenti di diffidenza, di indifferenza, di inimicizia, fino all'odio omicida. Quando non si riconosce Dio come Dio, si tradisce il senso profondo dell'uomo e si pregiudica la comunione tra gli uomini.

Nella vita dell'uomo, l'immagine di Dio torna a risplendere e si manifesta in tutta la sua pienezza con la venuta nella carne umana del Figlio di Dio: «Egli è immagine del Dio invisibile» (Col 1, 15), «irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza» (Eb 1, 3). Egli è l'immagine perfetta del Padre.

Il progetto di vita consegnato al primo Adamo trova finalmente in Cristo il suo compimento. Mentre la disobbedienza di Adamo rovina e deturpa il disegno di Dio sulla vita dell'uomo e introduce la morte nel mondo, l'obbedienza redentrice di Cristo è fonte di grazia che si riversa sugli uomini spalancando a tutti le porte del regno della vita (cf. Rm 5, 12-21). Afferma l'apostolo Paolo: «Il primo uomo, Adamo, divenne un essere vivente, ma l'ultimo Adamo divenne spirito datore di vita» (1 Cor 15, 45).

A quanti accettano di porsi alla sequela di Cristo viene donata la pienezza della vita: in loro l'immagine divina viene restaurata, rinnovata e condotta alla perfezione. Questo è il disegno di Dio sugli esseri umani: che divengano «conformi all'immagine del Figlio suo» (Rm 8, 29). Solo così, nello splendore di questa immagine, l'uomo può essere liberato dalla schiavitù dell'idolatria, può ricostruire la fraternità dispersa e ritrovare la sua identità.