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martedì 31 gennaio 2012

Vita di Don Bosco

Riscoprire i Santi - San Giovanni Bosco

Torna l'appuntamento settimanale, volto alla scoperta dei nostri cari Santi! Oggi la Chiesa Cattolica celebra la memoria di un grande sacerdote, San Giovanni Bosco, noto soprattutto per il suo amore e per la sua dedizione verso il mondo giovanile. Ne riscopriamo la storia attraverso il consueto tratto biografico estratto da Santi & Beati seguito da uno scritto del Santo in cui vi è un bellissimo botta e risposta tra un padre con il figlio su chi è Dio:

San Giovanni Bosco è indubbiamente il più celebre santo piemontese di tutti i tempi, nonché su scala mondiale il più famoso tra i santi dell’epoca contemporanea: la sua popolarità è infatti ormai giunta in tutti i continenti, ove si è diffusa la fiorente Famiglia Salesiana da lui fondata, portatrice del suo carisma e della sua operosità, che ad oggi è la congregazione religiosa più diffusa tra quelle di recente fondazione.
Don Bosco fu l’allievo che diede maggior lustro al suo grande maestro di vita sacerdotale, nonché suo compaesano, San Giuseppe Cafasso: queste due perle di santità sbocciarono nel Convitto Ecclesiastico di San Francesco d’Assisi in Torino.
Giovanni Bosco nacque presso Castelnuovo d’Asti (oggi Castelnuovo Don Bosco) in regione Becchi, il 16 agosto 1815, frutto del matrimonio tra Francesco e la Serva di Dio Margherita Occhiena. Cresciuto nella sua modesta famiglia, dalla santa madre fu educato alla fede ed alla pratica coerente del messaggio evangelico. A soli nove anni un sogno gli rivelò la sua futura missione volta all’educazione della gioventù. Ragazzo dinamico e concreto, fondò fra i coetanei la “società dell’allegria”, basata sulla “guerra al peccato”.
Entrò poi nel seminario teologico di Chieri e ricevette l’ordinazione presbiterale nel 1841. Iniziò dunque il triennio di teologia morale pratica presso il suddetto convitto, alla scuola del teologo Luigi Guala e del santo Cafasso. Questo periodo si rivelò occasione propizia per porre solide basi alla sua futura opera educativa tra i giovani, grazie a tre provvidenziali fattori: l’incontro con un eccezionale educatore che capì le sue doti e stimolo le sue potenzialità, l’impatto con la situazione sociale torinese e la sua straordinaria genialità, volta a trovare risposte sempre nuove ai numerosi problemi sociali ed educativi sempre emergenti.
Come succede abitualmente per ogni congregazione, anche la grande opera salesiana ebbe inizi alquanto modesti: l’8 dicembre 1841, dopo l’incontro con il giovane Bartolomeo Garelli, il giovane Don Bosco iniziò a radunare ragazzi e giovani presso il Convitto di San Francesco per il catechismo. Torino era a quel tempo una città in forte espansione su vari aspetti, a causa della forte immigrazione dalle campagne piemontesi, ed il mondo giovanile era in preda a gravi problematiche: analfabetismo, disoccupazione, degrado morale e mancata assistenza religiosa. Fu infatti un grande merito donboschiano l’intuizione del disagio sociale e spirituale insito negli adolescenti, che subivano il passaggio dal mondo agricolo a quello preindustriale, in cui si rivelava solitamente inadeguata la pastorale tradizionale.
Strada facendo, Don Bosco capì con altri giovani sacerdoti che l’oratorio potesse costituire un’adeguata risposta a tale critica situazione. Il primo tentativo in tal senso fu compiuto dal vulcanico Don Giovanni Cocchi, che nel 1840 aveva aperto in zona Vanchiglia l’oratorio dell’Angelo Custode. Don Bosco intitolò invece il suo primo oratorio a San Francesco di Sales, ospite dell’Ospedaletto e del Rifugio della Serva di Dio Giulia Colbert, marchesa di Barolo, ove dal 1841 collaborò con il teologo Giovanni Battista Borel. Quattro anni dopo trasferì l’oratorio nella vicina Casa Pinardi, dalla quale si sviluppò poi la grandiosa struttura odierna di Valdocco, nome indelebilmente legato all’opera salesiana.
Pietro Stella, suo miglior biografo, così descrisse il giovane sacerdote: “Prete simpatico e fattivo, bonario e popolano, all’occorrenza atleta e giocoliere, ma già allora noto come prete straordinario che ardiva fare profezie di morti che poi si avveravano, che aveva già un discreto alone di venerazione perché aveva in sé qualcosa di singolare da parte del Signore, che sapeva i segreti delle coscienze, alternava facezie e confidenze sconvolgenti e portava a sentire i problemi dell’anima e della salvezza eterna”.
Spinto dal suo innato zelo pastorale, nel 1847 Don Bosco avviò l’oratorio di San Luigi presso la stazione ferroviaria di Porta Nuova. Nel frattempo il cosiddetto Risorgimento italiano, con le sue articolate vicende politiche, provocò anche un chiarimento nell’esperienza degli oratori torinesi, evidenziando due differenti linee seguite dai preti loro responsabili: quella apertamente politicizzata di cui era fautore Don Cocchi, che nel 1849 aveva tentato di coinvolgere i suoi giovani nella battaglia di Novara, e quella più religiosa invece sostenuta da Don Bosco, che prevalse quando nel 1852 l’arcivescovo mons. Luigi Fransoni lo nominò responsabile dell’Opera degli Oratori, affidando così alle sue cure anche quello dell’Angelo Custode.
La principale preoccupazione di Don Bosco, concependo l’oratorio come luogo di formazione cristiana, era infatti sostanzialmente di tipo religioso-morale, volta a salvare le anime della gioventù. Il santo sacerdote però non si accontentò mai di accogliere quei ragazzi che spontaneamente si presentavano da lui, ma si organizzò al fine di raggiungerli ed incontrarli ove vivevano.
Se la salvezza dell’anima era l’obiettivo finale, la formazione di “buoni cristiani ed onesti cittadini” era invece quello immediato, come Don Bosco soleva ripetere. In tale ottica concepì gli oratori quali luoghi di aggregazione, di ricreazione, di evangelizzazione, di catechesi e di promozione sociale, con l’istituzione di scuole professionali.
L’amorevolezza costituì il supremo principio pedagogico adottato da Don Bosco, che faceva notare come non bastasse però amare i giovani, ma occorreva che essi percepissero di essere amati. Ma della sua pedagogia un grande frutto fu il cosiddetto “metodo preventivo”, nonché l’invito alla vera felicità insito nel detto: “State allegri, ma non fate peccati”.
Don Bosco, sempre attento ai segni dei tempi, individuò nei collegi un valido strumento educativo, in particolare dopo che nel 1849 furono regolamentati da un’opportuna legislazione: fu così che nel 1863 fu aperto un piccolo seminario presso Mirabello, nella diocesi di Casale Monferrato.
Altra svolta decisiva nell’opera salesiana avvenne quando Don Bosco si sentì coinvolto dalla nuova sensibilità missionaria propugnata dal Concilio Ecumenico Vaticano I e, sostenuto dal pontefice Beato Pio IX e da vari vescovi, nel 1875 inviò i suoi primi salesiani in America Latina, capeggiati dal Cardinale Giovanni Cagliero, con il principale compito di apostolato tra gli emigrati italiani. Ben presto però i missionari estesero la loro attività dedicandosi all’evangelizzazione delle popolazioni indigene, culminata con il battesimo conferito da Padre Domenico Milanesio al Venerabile Zeffirino Namuncurà, figlio dell’ultimo grande cacico delle tribù indios araucane.
Uomo versatile e dotato di un’intelligenza eccezionale, con il suo fiuto imprenditoriale Don Bosco considerò la stampa un fondamentale strumento di divulgazione culturale, pedagogica e cristiana. Scrittore ed editore, tra le principali sue opere si annoverano la “Storia d’Italia”, “Il sistema metrico decimale” e la collana “Letture Cattoliche”. Non mancarono alcune biografie,tra le quali spicca quella del più bel frutto della sua pedagogia, il quindicenne San Domenico Savio, che aveva ben compreso la sua lezione: “Noi, qui, alla scuola di Don Bosco, facciamo consistere la santità nello stare molto allegri e nell’adempimento perfetto dei nostri doveri”. Scrisse inoltre le vite di altri due ragazzi del suo oratorio, Francesco Besucco e Michele Magone, nonché quella di un suo indimenticabile compagno di scuola, Luigi Comollo.
Pur essendo straordinariamente attivo, Don Bosco non avrebbe comunque potuto realizzare personalmente dal nulla tutta questa immane opera ed infatti sin dall’inizio godette del prezioso ausilio di numerosi sacerdoti e laici, uomini e donne. Al fine di garantire però una certa continuità e stabilità a ciò che aveva iniziato, fondò a Torino la Società di San Francesco di Sales (detti “Salesiani”), congregazione composta di sacerdoti, e nel 1872 a Mornese con Santa Maria Domenica Mazzarello le Figlie di Maria Ausiliatrice.
L’opinione pubblica contemporanea apprezzò molto la preziosa opera di promozione sociale da lui svolta, anche se la stampa laica gli fu sempre avversa, tanto che alla sua morte la Gazzetta del Popolo si limitò a citarne cognome, nome ed età nell’elenco dei defunti, mentre la Gazzetta Piemontese (l’odierna “La Stampa”) gli riservò l’articolo redazionale dosando accuratamente meriti e demeriti del celebre sacerdote: “Il nome di Don Bosco è quello di un uomo superiore che lascia e suscita dietro di sé un vivo contrasto di apprezzamenti e opposti giudizi e quasi due opposte fame: quello di benefattore insigne, geniale, e quello di prete avveduto e procacciate”.
Personalità forte ed intraprendente, bisognosa di particolare autonomia nella sua azione a tutto campo, non lasciava affatto indifferenti coloro che gli erano per svariati motivi a contatto. Ciò costituisce inoltre una spiegazione ai ripetuti scontri che ebbe con ben due arcivescovi torinesi: Ottaviano Riccardi di Netro e soprattutto Lorenzo Gastaldi. Lo apprezzò e lo appoggiò invece costantemente e senza riserve papa Pio IX, che con la sua potente intercessione permise all’opera salesiana di espandersi non solo a livello locale, sorte invece subita da numerosissime altre minute congregazioni.
Giovanni Bosco morì in Torino il 31 gennaio 1888, giorno in cui è ricordato dal Martyrologium Romanum e la Chiesa latina ne celebra la Memoria liturgica. Alla guida della congregazione gli succedette il Beato Michele Rua, uno dei suoi primi fedeli discepoli. La sua salma fu in un primo tempo sepolta nella chiesa dell’istituto salesiano di Valsalice, per poi essere trasferita nella basilica di Maria Ausiliatrice, da lui fatta edificare. Il pontefice Pio XI, suo grande ammiratore, beatificò Don Bosco il 2 giugno 1929 e lo canonizzò il 1° aprile 1934. La città di Torino ha dedicato alla memoria del santo una strada, una scuola ed un grande ospedale. Nel centenario della morte, nel 1988 Giovanni Paolo II, recatosi in visita ai luoghi donboschiani, lo dichiarò Padre e Maestro della gioventù, “stabilendo che con tale titolo egli sia onorato e invocato, specialmente da quanti si riconoscono suoi figli spirituali”.
La venerazione che Don Bosco ebbe, in vita ed in morte, per sua madre fu trasmessa alla congregazione, che negli anni ’90 del XX secolo ha pensato di introdurre finalmente la causa di beatificazione di Mamma Margherita. Merita infine ricordare la prolifica stirpe di santità generata da Don Bosco, tanto che allo stato attuale delle cause, la Famiglia Salesiana può contare ben 5 santi, 51 beati, 8 venerabili ed 88 servi di Dio.

Scritto tratto da: IL CATTOLICO NEL SECOLO - TRATTENIMENTI FAMIGLIARI DI UN PADRE CO’SUOI FIGLIOLI INTORNO ALLA RELIGIONE



Trattenimento I. Dio Creatore - Argomento metafisico.

P. Tutto viene da Dio, o figliuoli miei, tutto devesi a Dio riferire, perchè tutto da Lui ebbe principio: quindi noi volendo trattare delle cose più importanti, cioè di nostra S. Religione, dobbiamo cominciare da Colui che ne è l’Autore.

F. Benissimo, o padre; noi vi porremo ascolto assai volentieri mentre ci parlate di Dio e delle sue maraviglie: ma ci fareste cosa gratissima, se ci voleste dire in modo chiaro e semplice chi è Dio.

P. Opportuna è la vostra dimanda, o figliuoli, difficile però assai, perchè Dio è tutto, abbraccia tutto, quantunque non si debba confondere col {13 [13]} tutto. Egli pertanto non si può descrivere nè definire; solamente ci è dato di dare qualche idea della sua divinità e de’suoi attributi. Dio si suole appellare uno Spirito perfettissimo, Creatore, Signore del cielo e della terra. Egli non ebbe principio e non avrà mai fine; e non dipende da alcuno, ma tutto dipende da Lui. Non è composto di materia come questo nostro corpo, ma è un purissimo spirito, che diede l’esistenza a tutte le cose spirituali e materiali, visibili ed invisibili. Non ha gli occhi, ma colla sua infinita sapienza Egli vede tutto quello che noi facciamo sia di giorno, sia di notte: penetra perfino in ogni segreto nascondiglio del nostro cuore. È infinitamente sapiente, perciò sa tutto il passato, tutto il presente e l’avvenire. Anzi in Dio non vi ha nè passato, nè avvenire, ma un punto solo che è il presente. Così che Egli conosce ogni desiderio, pensiero e divisamento, che eziandio per un istante ci passi per la mente.

F. Le cose che ci esponete sono belle molto, ma non le comprendiamo con tanta agevolezza. Diteci dunque: se Dio è purissimo spirito, come mai possiamo vederlo e conoscerne l’esistenza cogli occhi del corpo?

P. Noi certo non possiamo veder Dio cogli occhi del corpo, ma sì bene lo vediamo con certezza infallibile col lume della ragione e della fede. {14 [14]} Siccome questo argomento è della massima importanza, così io seguendo le norme che propongono la ragione e la religione farò di darvi la dovuta istruzione.

Volendo argomentare, come usano di fare i filosofi, diciamo: Senza niente si fa niente; ora esisto io che sono creatura, dunque deve esistere Dio Creatore; esistono tutte le cose di questo mondo, dunque avvi una potenza che le ha create. Questa potenza creatrice la si chiami pure Ente supremo, Essere onnipotente, Causa prima, Principio dei principii, Signore e Padrone di tutto e di tutti, si viene però sempre con tali espressioni ad indicare Colui, che creò tutto e a tutte le cose diede l’esistenza.

F. Non potrebbe essere per avventura che qualcuno sconosciuto sia la Causa prima che abbia dato l’esistenza alle cose?

P. Se alcuno volesse supporre uno sconosciuto, il quale abbia creato e dato esistenza alle cose, noi diremo subito che questi è Dio: perciocchè non dandosi effetto senza causa, ne segue, che non può esistere la creatura senza il Creatore; a meno che si volesse asserire che una cosa possa esser causa ed effetto ad un tempo, dare esistenza a sè e poi darla agli altri; la qual cosa è assolutamente assurda, perchè non si vide mai alcuna cosa farsi da sè. Ascoltate un lepido episodio che serve a spiegare {15 [15]} quanto diciamo. Un pollaiuolo andava un giorno al mercato con parecchi altri, tra cui uno il quale, vantandosi grande conoscitore nel fatto della politica e della religione, passò ben presto a sparlare di Dio e della Chiesa Cattolica bestialmente. Siccome il buon pollaiuolo aveva fatto poco studio, così lasciando da parte i ragionamenti si fece a rispondergli col solo buon senso. Tolse in mano una delle sue galline e mostrandola al compagno: - Signore, gli disse, chi ha fatto questa gallina?

- La gallina fu fatta dall’uovo, rispose l’altro sorridendo.

- Chi ha fatto l’uovo?

- Oh quanto siete ingenuo? L’uovo fu fatto dalla gallina.

- Cominciò ad esistere prima l’uovo o la gallina?

- Cominciò ad esistere prima l’uovo, da cui nacque la gallina.

- Ma dunque chi ha fatto questo primo uovo da cui nacque la gallina?

L’altro a questa non seppe più che rispondere: ma tutti quelli che si trovarono presenti ammirarono il discorso del pollaiuolo e ad una voce esclamarono: Andate pure dall’uovo alla gallina finchè volete; ma dovete in fine conchiudere doverci essere un Dio onnipotente che abbia creato l’uovo e la gallina. {16 [16]}

F. Non si potrebbe pensare che tutto si è formato a caso?

P. Il caso è niente, e niente fa niente; il caso non produce nè conserva l’ordine, ma sibbene lo rompe e lo distrugge. Ditemi: Chi mai potrebbe credere e sostenere che questo quadro, che questo palazzo, che questa nostra città siansi formati da se stessi a caso?

F. Sono di parere che per grossa che uno abbia la testa non gli potrebbe giammai entrare dentro cosiffatta sciocchezza.

P. Ora’tanto meno potrà entrare in un capo ragionevole, che questo universo sia stato fatto dal caso. Sì, miei cari figli, l’esistenza di questo mondo dimostra fino alla evidenza che esiste un Essere il quale lo creò, traendolo dal niente colla sua infinita potenza.

lunedì 30 gennaio 2012

Benedetto XVI: l'autorità di Dio non è forza della natura

Angelus di Papa Benedetto XVI - 29 Gennaio 2011

BENEDETTO XVI

ANGELUS

Piazza San Pietro
 Domenica, 29 gennaio 2012


Cari fratelli e sorelle!

Il Vangelo di questa domenica (Mc 1,21-28) ci presenta Gesù che, in giorno di sabato, predica nella sinagoga di Cafarnao, la piccola città sul lago di Galilea dove abitavano Pietro e suo fratello Andrea. Al suo insegnamento, che suscita la meraviglia della gente, segue la liberazione di «un uomo posseduto da uno spirito impuro» (v. 23), che riconosce in Gesù il «santo di Dio», cioè il Messia. In poco tempo, la sua fama si diffonde in tutta la regione, che Egli percorre annunciando il Regno di Dio e guarendo i malati di ogni genere: parola e azione. San Giovanni Crisostomo fa osservare come il Signore «alterni il discorso a beneficio degli ascoltatori, procedendo dai prodigi alle parole e passando di nuovo dall’insegnamento della sua dottrina ai miracoli» (Hom. in Matthæum 25, 1: PG 57, 328).

La parola che Gesù rivolge agli uomini apre immediatamente l’accesso al volere del Padre e alla verità di se stessi. Non così, invece, accadeva agli scribi, che dovevano sforzarsi di interpretare le Sacre Scritture con innumerevoli riflessioni. Inoltre, all’efficacia della parola, Gesù univa quella dei segni di liberazione dal male. Sant’Atanasio osserva che «comandare ai demoni e scacciarli non è opera umana ma divina»; infatti, il Signore «allontanava dagli uomini tutte le malattie e ogni infermità. Chi, vedendo il suo potere … avrebbe ancora dubitato che Egli fosse il Figlio, la Sapienza e la Potenza di Dio?» (Oratio de Incarnatione Verbi 18.19: PG 25, 128 BC.129 B). L’autorità divina non è una forza della natura. È il potere dell’amore di Dio che crea l’universo e, incarnandosi nel Figlio Unigenito, scendendo nella nostra umanità, risana il mondo corrotto dal peccato. Scrive Romano Guardini: «L’intera esistenza di Gesù è traduzione della potenza in umiltà… è la sovranità che qui si abbassa alla forma di servo» (Il Potere, Brescia 1999, 141.142).

Spesso per l’uomo l’autorità significa possesso, potere, dominio, successo. Per Dio, invece, l’autorità significa servizio, umiltà, amore; significa entrare nella logica di Gesù che si china a lavare i piedi dei discepoli (cfr Gv 13,5), che cerca il vero bene dell’uomo, che guarisce le ferite, che è capace di un amore così grande da dare la vita, perché è Amore. In una delle sue Lettere, santa Caterina da Siena scrive: «E’ necessario che noi vediamo e conosciamo, in verità, con la luce della fede, che Dio è l’Amore supremo ed eterno, e non può volere altro se non il nostro bene» (Ep. 13 in: Le Lettere, vol. 3, Bologna 1999, 206).

Cari amici, giovedì prossimo 2 febbraio, celebreremo la festa della Presentazione del Signore al tempio, Giornata Mondiale della Vita Consacrata. Invochiamo con fiducia Maria Santissima, affinché guidi i nostri cuori ad attingere sempre dalla misericordia divina, che libera e guarisce la nostra umanità, ricolmandola di ogni grazia e benevolenza, con la potenza dell’amore.

Dopo l'Angelus

Cari fratelli e sorelle,

oggi, a Vienna, viene proclamata Beata Hildegard Burjan, laica, madre di famiglia, vissuta tra Ottocento e Novecento e fondatrice della Società delle Suore della Caritas socialis. Lodiamo il Signore per questa bella testimonianza del Vangelo!

In questa domenica ricorre la Giornata mondiale dei malati di lebbra. Nel salutare l’Associazione Italiana Amici di Raoul Follereau, vorrei far giungere il mio incoraggiamento a tutte le persone affette da questa malattia, come pure a quanti li assistono e, in diversi modi, si impegnano per eliminare la povertà e l’emarginazione, vere cause del permanere del contagio.

Ricordo inoltre la Giornata internazionale di intercessione per la pace in Terra Santa. In profonda comunione con il Patriarca Latino di Gerusalemme e il Custode di Terra Santa, invochiamo il dono della pace per quella Terra benedetta da Dio.

{Saluti in varie lingue: J’accueille avec joie les pèlerins de langue française. Dans l’Évangile de ce dimanche nous voyons Jésus parler avec autorité, et sa Parole, qui nous délivre de l’esprit du mal, nous révèle l’inlassable fidélité de Dieu pour tout homme. Aujourd’hui encore, cette Parole nous rend libres et elle nous invite à sortir de notre silence. L’Esprit-Saint, que nous avons reçu, fait de nous des prophètes. Notre vocation chrétienne nous pousse donc à accueillir et à annoncer autour de nous la Bonne Nouvelle de Jésus. Que la Vierge Marie nous aide à être des témoins intrépides de l’Évangile ! Bon dimanche à tous !

I offer a warm welcome to the English-speaking pilgrims and visitors present at this Angelus prayer. In this Sunday’s Gospel we hear how the unclean spirit recognizes Jesus as the “Holy One of God”. Let us pray that, despite the distractions of life and the apparent progress of evil, we may continue to put our faith in the Lord Jesus who is “the way, the truth and the life”. I wish all of you a good Sunday. May God bless you!

Ganz herzlich grüße ich die Pilger und Besucher deutscher Sprache und verbinde mich in besonderer Weise mit allen Gläubigen, die heute nachmittag im Wiener Stephansdom an der Seligsprechung von Hildegard Burjan teilnehmen. Sie sagte: „Ich weiß sicher, daß es nur ein wahres Glück gibt, und das ist die Liebe Gottes! Alles andere kann erfreuen, aber Wert hat es nur, wenn es aus dieser Liebe stammt, in ihr begründet ist.“ Aus dieser Liebe hat Hildegard Burjan gelebt. Und als Gründerin der Schwesterngemeinschaft Caritas Socialis hat sie Frauen um sich geschart, die bis heute Quelle dieser Liebe sein wollen, um den notleidenden Menschen Hilfe und Trost und Hilfe zukommen zu lassen. Nach dem Beispiel von Hildegard Burjan versuchen auch wir Boten der helfenden Liebe Gottes zu sein. Einen guten Sonntag euch allen!

Saludo cordialmente a los peregrinos de lengua española presentes en esta oración mariana, en particular a los alumnos del Instituto Diego Sánchez, de Talavera la Real, del Colegio San Atón, de Badajoz, así como a los fieles procedentes de Valencia, Cádiz, Ceuta y Jérez. Con el salmista invito a todos a escuchar la voz de Dios y a no endurecer el corazón. Busquemos tiempo para meditar cuanto el Señor nos propone en la divina Palabra y respondamos a ella con una oración sincera, constante y humilde. De ahí sacaremos fuerzas para afrontar las dificultades de la vida y servir con sencillez a los que nos rodean, sobre todo a quienes pasan por pruebas diversas. Feliz Domingo.

Z serdecznym pozdrowieniem zwracam się do Polaków. W tym tygodniu, w święto Ofiarowania Pańskiego, obchodzimy dzień życia konsekrowanego. Wdzięczni zakonnikom i zakonnicom za ich posługę modlitwy, działalność apostolską i charytatywną w Kościele, módlmy się o nowe powołania. Niech Duch Święty rozpala w wielu sercach pragnienie całkowitego oddania siebie Chrystusowi w ubóstwie, posłuszeństwie i czystości. Niech Bóg wam błogosławi.

 [Con un cordiale saluto mi rivolgo ai polacchi. In questa settimana, nella festa della Presentazione del Signore, celebreremo la Giornata della Vita Consacrata. Grati ai religiosi e alle religiose per il loro ministero di preghiera, per l’attività apostolica e caritativa nella Chiesa, preghiamo per le nuove vocazioni. Lo Spirito Santo susciti in tanti cuori il desiderio della totale dedizione a Cristo nella povertà, nell’obbedienza e nella castità. Dio vi benedica!]}

E saluto con affetto i pellegrini di lingua italiana, in particolare i fedeli venuti da Taranto, Bari e Civitavecchia, e i numerosi ragazzi dell’Azione Cattolica di Roma con i loro educatori e familiari. Cari ragazzi, anche quest’anno avete dato vita alla “Carovana della Pace”. Vi ringrazio e vi incoraggio a portare dappertutto la pace di Gesù. E accanto a me ci sono due di voi. Adesso ascoltiamo il messaggio letto da Noemi.

[lettura del messaggio]

Grazie Noemi, hai fatto molto bene! Ed ora liberiamo le colombe, che i ragazzi hanno portato, come segno di pace per la città di Roma e per il mondo intero.

[lancio delle colombe]

Vogliono stare nella casa del Papa!

 Buona domenica a voi tutti! Buona Domenica!

© Copyright 2012 - Libreria Editrice Vaticana

domenica 29 gennaio 2012

Video Vangelo: IV ordinario 2012

Quando il Maestro sgrida...

4^ Domenica del Tempo Ordinario
(Mc 1,21-28) 

Oggi seguiamo Gesù che va a alla sinagoga di Cafarnao, città fortificata sulla costa occidentale del lago di Tiberiade, a 6 km dallo sbocco del Giordano; fu costruita probabilmente dopo l’esilio perché non è mai citata nell’Antico Testamento. Essendo un’importante città di confine era fornita d’una dogana e d’un presidio militare. Qui c’era la casa di Pietro (di cui furono poi trovati i ruderi) dove spesso dimorava anche Gesù. E in questo Vangelo vediamo un rarissimo atteggiamento di Gesù, che ricorre solo un’altra volta in tutto il Vangelo. Cosa fa il Maestro qui? Qui il Maestro sgrida! Chi? Uno spirito immondo che si era impadronito di un povero malcapitato e lo tormentava.

• …tutti obbediscono

Assistiamo a una scena sul tragicomico perché da una parte c’è il poveretto che grida e, dall’altra, Gesù che sgrida. “Che vuoi da noi Gesù? Sei venuto a rovinarci!”. Gesù: “Taci! Esci da costui!” Questi, non volendo abbandonare la presa, grida ancora più forte, ma poi la sgridata di Gesù si rivela così efficace che il maligno molla la presa e se ne va, lasciando finalmente libero il povero malcapitato. Quando il Maestro sgrida non c’è forza che tenga, naturale o soprannaturale che sia! Tutti obbediscono! Già il vento e la tempesta avevano obbedito quando il Maestro li aveva sgridati, suscitando gran timore negli astanti: ”Ma chi è costui al quale anche il vento e la tempesta obbediscono?”. Lo stesso timore si impadronisce ora dei presenti: “Che è mai questo? Comanda persino agli spiriti immondi e gli obbediscono.” E’ chiaro che se gli elementi naturali e gli spiriti soprannaturali hanno una certa potenza, il Figlio di Dio ha l’onnipotenza contro cui ogni forza subalterna non può che infrangersi. Quando il Maestro dice “Basta!” è basta!

• Liberare e guarire: due cose ben diverse

Qui vediamo Gesù che libera dal maligno. E avevamo visto, in altri episodi, che Gesù guariva dalle malattie. Due cose ben diverse. Non possiamo far coincidere la possessione diabolica con una qualsiasi malattia fosse pure di carattere psichico come l’epilessia o roba del genere. Liberare un ossesso è un’altra cosa che guarire. Un malato può guarirlo anche un medico con delle cure, interventi chirurgici ecc. Ma per liberare un posseduto dal maligno ci vuole QUALCUNO che comandi a UN ALTRO di andarsene: “Taci! Esci!” In quel caso il malcapitato è in balia di qualcuno (non di un male) che gli fa fare cose che esulano anche dalla sua natura, come il ragazzo che si gettava nel fuoco. Sembrava epilessia, ma era ben peggio. Non possiamo quindi ridurre tutto a fenomeni di malfunzionamento psichico e organico. Il maligno esiste e disturba. E Gesù è venuto soprattutto per questo: per liberarci dal maligno: del resto l’unica preghiera che ci ha insegnato è proprio il Padre Nostro in cui c’è l’esplicita richiesta di liberarci dal maligno.

• Che vuoi da noi, Gesù?

Mettiamoci dunque con fiducia sotto la protezione di Gesù perché lui solo è il forte. Le forze del male esistono e hanno una certa potenza, ma Dio ha l’onnipotenza e nessuno può vincerlo.
C’è però una domanda valida anche per noi: “ Che vuoi da noi Gesù?”. L’avete mai fatta questa domanda? Peggio: vi è mai capitato di capire chiaro che voleva proprio quella cosa che non volevate dargli? E avete iniziato a obiettare: “Ma no Gesù, non puoi volere proprio questo!” E Lui: “Ma io, di volontà ne ho solo una , ho solo questa!” Come diceva a un mistico che Gli chiedeva di non guardarlo con quello sguardo: “Ma io, di sguardo, ho solo questo, non ne ho un altro”. Sintonizziamoci dunque sul volere e sullo sguardo di Gesù, che sono gli unici che ci salvano.

Wilma CHASSEUR

sabato 28 gennaio 2012

NO ABORTO

Aborto: lo sterminio silenzioso

Dopo aver terminato l'approfondimento con l'Enciclica del Beato Giovanni Paolo II, vogliamo continuare a soffermarci sul tema della vita contro l'aborto, considerando quanto quest'abominevole pratica si stia diffondendo ai giorni nostri. Lo facciamo oggi leggendo un'approfondita analisi di Roberto De Angelis che affronta il tema dell'aborto dal punto di vista cristiano:



Il punto di vista Cristiano
ABORTO: Lo sterminio silenzioso

di Roberto De Angelis

"E sparsero il sangue innocente, il sangue dei loro figli e delle loro figlie... e il paese fu contaminato dal sangue versato".
(Salmo 106:37)

 Con la legge 194 del '78 anche il nostro Paese si è uniformato alle scelte di altre nazioni, rendendo legale l'aborto (il primo paese a farlo fu la Russia bolscevica di Lenin, che nel 1920 la fece rientrare nel suo programma di scristianizzazione - non senza riguardi per il potenziale dell'aborto quale pratica malthusiana) e dando il via ad uno dei più spaventosi bagni di sangue che la storia abbia mai conosciuto. Non ha arginato minimamente la clandestinità (approssimativamente NOVANTAMILA casi l'anno), ed oggi in Italia si calcolano circa CENTOCINQUANTAMILA interruzioni volontarie della gravidanza ogni anno, dato pressoché invariato dagli anni '60. Nel solo anno 1995, ci sono stati ufficialmente 138.379 interruzioni volontarie di gravidanza: 379 omicidi al giorno, 16 ogni ora, uno ogni quattro minuti. Questo significa che in Italia ogni quattro minuti una mamma commissiona l'assassinio di suo figlio. In totale, dal '78 al '98 sono stati soppressi circa 4 MILIONI di bambini: più o meno il triplo del numero delle vittime italiane delle due guerre mondiali messe assieme. A questi dati bisogna poi aggiungere i numeri dei cosiddetti "aborti terapeutici", che sono stati, mediamente, 200.000 ogni anno (tutti casi assolutamente inevitabili?). Secondo stime recenti, in tutto il mondo le interruzioni volontarie di gravidanza sfiorano i 40 MILIONI di casi ogni anno! Dei 210 milioni di donne in età fertile che ogni anno rimangono incinte, il 38% non vuole la gravidanza, e il 22% abortisce. Soltanto in America, negli ultimi venti anni sono stati uccisi mediante aborto criminoso 31 MILIONI di bambini, ossia una media di 1,5 MILIONI di bambini ogni anno, e come è stato fatto notare, in quattro anni gli americani eguaglieranno la bontà che Hitler ha avuto verso sei milioni di Ebrei. Soltanto che questa volta non vengono usate camere a gas o fucili, ma farmaci e bisturi.

I Metodi di un Eccidio

"L'Eterno odia... le mani che versano sangue innocente".
(Proverbi 6:16,17)


Il mezzo più usato in Italia per l'uccisione del feto è stato fino a poco tempo fa lo svuotamento strumentale della cavità uterina, ossia il raschiamento effettuato con una "curette" (una specie di cucchiaio dai bordi taglienti), che oggi tende ad essere sostituito con il metodo della suzione: questo consiste nell'introdurre nell'utero uno speciale strumento capace di praticare il vuoto pneumatico e di aspirare quindi l'embrione e la membrana mucosa. Negli Stati Uniti si pratica molto l'iniezione intramniotica di una soluzione salina ipertonica, che induce l'espulsione del feto con meccanismo osmotico. Infine l'aborto si può determinare con farmaci: DES (dietilstilbestrolo) per iniezione e prostaglandine per fleboclisi (introduzione continuata nelle vene di una soluzione fisiologica, praticata per favorire l'eliminazione di sostanze tossiche). Non è possibile poi tacere di quella orrenda pratica detta dell'aborto a nascita parziale, che negli Stati Uniti viene effettuato dal quarto mese fino alla fine della gravidanza. Il procedimento è di una violenza raccapricciante: l'aborzionista, dopo aver estratto parzialmente il corpo del bambino, gli perfora il cranio con le forbici, all'altezza del foro occipitale; quindi, dopo aver allargato la ferita, estrae le forbici ed inserisce un tubo collegato ad una pompa aspirante. La morte del bambino è ripugnante: il suo cervello viene risucchiato dalla pompa, ed alla fine il corpicino è rimosso definitivamente! Mi rendo conto che si tratta di cose che possono scioccare, ma ritengo assolutamente necessario fare quanta più luce possibile su di un argomento dalle tali implicazioni etiche. Se la realtà è tanto insopportabile, questo lo dobbiamo soltanto alla legge 194, ed è bene che le conseguenze di quel provvedimento vengano conosciute per quello che realmente sono.

La situazione è terribilmente seria, ed i Cristiani non possono assolutamente permettersi di restare indifferenti.

giovedì 26 gennaio 2012

Benedetto XVI spiega la preghiera sacerdotale di Gesù.

Udienza Generale di Papa Benedetto XVI - 25 Gennaio 2012


BENEDETTO XVI

UDIENZA GENERALE

Aula Paolo VI
Mercoledì, 25 gennaio 2012


Cari fratelli e sorelle,

nella Catechesi di oggi concentriamo la nostra attenzione sulla preghiera che Gesù rivolge al Padre nell'«Ora» del suo innalzamento e della sua glorificazione (cfr Gv 17,1-26). Come afferma il Catechismo della Chiesa Cattolica: «La tradizione cristiana a ragione la definisce la “preghiera sacerdotale” di Gesù. E' quella del nostro Sommo Sacerdote, è inseparabile dal suo Sacrificio, dal suo “passaggio” [pasqua] al Padre, dove egli è interamente “consacrato” al Padre» (n. 2747).

Questa preghiera di Gesù è comprensibile nella sua estrema ricchezza soprattutto se la collochiamo sullo sfondo della festa giudaica dell’espiazione, lo Yom kippùr. In quel giorno il Sommo Sacerdote compie l’espiazione prima per sé, poi per la classe sacerdotale e infine per l’intera comunità del popolo. Lo scopo è quello di ridare al popolo di Israele, dopo le trasgressioni di un anno, la consapevolezza della riconciliazione con Dio, la consapevolezza di essere popolo eletto, «popolo santo» in mezzo agli altri popoli. La preghiera di Gesù, presentata nel capitolo 17 del Vangelo secondo Giovanni, riprende la struttura di questa festa. Gesù in quella notte si rivolge al Padre nel momento in cui sta offrendo se stesso. Egli, sacerdote e vittima, prega per sé, per gli apostoli e per tutti coloro che crederanno in Lui, per la Chiesa di tutti i tempi (cfr Gv 17,20).

La preghiera che Gesù fa per se stesso è la richiesta della propria glorificazione, del proprio «innalzamento» nella sua «Ora». In realtà è più di una domanda e della dichiarazione di piena disponibilità ad entrare, liberamente e generosamente, nel disegno di Dio Padre che si compie nell’essere consegnato e nella morte e risurrezione. Questa “Ora” è iniziata con il tradimento di Giuda (cfr Gv 13,31) e culminerà nella salita di Gesù risorto al Padre (Gv 20,17). L’uscita di Giuda dal cenacolo è commentata da Gesù con queste parole: «Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui» (Gv 13,31). Non a caso, Egli inizia la preghiera sacerdotale dicendo: «Padre, è venuta l’ora: glorifica il Figlio tuo perché il Figlio glorifichi te» (Gv 17,1). La glorificazione che Gesù chiede per se stesso, quale Sommo Sacerdote, è l'ingresso nella piena obbedienza al Padre, un'obbedienza che lo conduce alla sua più piena condizione filiale: «E ora, Padre, glorificami davanti a te con quella gloria che io avevo presso di te prima che il mondo fosse» (Gv 17,5). Sono questa disponibilità e questa richiesta il primo atto del sacerdozio nuovo di Gesù che è un donarsi totalmente sulla croce, e proprio sulla croce - il supremo atto di amore – Egli è glorificato, perché l'amore è la gloria vera, la gloria divina.

Il secondo momento di questa preghiera è l’intercessione che Gesù fa per i discepoli che sono stati con Lui. Essi sono coloro dei quali Gesù può dire al Padre: «Ho manifestato il tuo nome agli uomini che mi hai dato dal mondo. Erano tuoi e li hai dati a me, ed essi hanno osservato la tua parola» (Gv 17,6). «Manifestare il nome di Dio agli uomini» è la realizzazione di una presenza nuova del Padre in mezzo al popolo, all’umanità. Questo “manifestare” è non solo una parola, ma è realtà in Gesù; Dio è con noi, e così il nome - la sua presenza con noi, l’essere uno di noi - è “realizzato”. Quindi questa manifestazione si realizza nell’incarnazione del Verbo. In Gesù Dio entra nella carne umana, si fa vicino in modo unico e nuovo. E questa presenza ha il suo vertice nel sacrificio che Gesù realizza nella sua Pasqua di morte e risurrezione.

Al centro di questa preghiera di intercessione e di espiazione a favore dei discepoli sta la richiesta di consacrazione; Gesù dice al Padre: «Essi non sono del mondo, come io non sono del mondo. Consacrali nella verità. La tua parola è verità. Come tu hai mandato me nel mondo, anche io ho mandato loro nel mondo; per loro io consacro me stesso, perché siano anch’essi consacrati nella verità» (Gv 17,16-19). Domando: cosa significa «consacrare» in questo caso? Anzitutto bisogna dire che «Consacrato» o «Santo», è propriamente solo Dio. Consacrare quindi vuol dire trasferire una realtà – una persona o cosa – nella proprietà di Dio. E in questo sono presenti due aspetti complementari: da una parte togliere dalle cose comuni, segregare, “mettere a parte” dall’ambiente della vita personale dell’uomo per essere donati totalmente a Dio; e dall’altra questa segregazione, questo trasferimento alla sfera di Dio, ha il significato proprio di «invio», di missione: proprio perché donata a Dio, la realtà, la persona consacrata esiste «per» gli altri, è donata agli altri. Donare a Dio vuol dire non essere più per se stessi, ma per tutti. E’ consacrato chi, come Gesù, è segregato dal mondo e messo a parte per Dio in vista di un compito e proprio per questo è pienamente a disposizione di tutti. Per i discepoli, sarà continuare la missione di Gesù, essere donato a Dio per essere così in missione per tutti. La sera di Pasqua, il Risorto, apparendo ai suoi discepoli, dirà loro: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi» (Gv 20,21).

Il terzo atto di questa preghiera sacerdotale distende lo sguardo fino alla fine del tempo. In essa Gesù si rivolge al Padre per intercedere a favore di tutti coloro che saranno portati alla fede mediante la missione inaugurata dagli apostoli e continuata nella storia: «Non prego solo per questi, ma anche per quelli che crederanno in me mediante la loro parola». Gesù prega per la Chiesa di tutti i tempi, prega anche per noi (Gv 17,20). Il Catechismo della Chiesa Cattolica commenta: «Gesù ha portato a pieno compimento l'opera del Padre, e la sua preghiera, come il suo Sacrificio, si estende fino alla consumazione dei tempi. La preghiera dell'Ora riempie gli ultimi tempi e li porta verso la loro consumazione» (n. 2749).

La richiesta centrale della preghiera sacerdotale di Gesù dedicata ai suoi discepoli di tutti i tempi è quella della futura unità di quanti crederanno in Lui. Tale unità non è un prodotto mondano. Essa proviene esclusivamente dall'unità divina e arriva a noi dal Padre mediante il Figlio e nello Spirito Santo. Gesù invoca un dono che proviene dal Cielo, e che ha il suo effetto – reale e percepibile – sulla terra. Egli prega «perché tutti siano una sola cosa; come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi, perché il mondo creda che tu mi hai mandato» (Gv 17,21). L'unità dei cristiani da una parte è una realtà segreta che sta nel cuore delle persone credenti. Ma, al tempo stesso, essa deve apparire con tutta la chiarezza nella storia, deve apparire perché il mondo creda, ha uno scopo molto pratico e concreto deve apparire perchè tutti siano realmente una sola cosa. L'unità dei futuri discepoli, essendo unità con Gesù - che il Padre ha mandato nel mondo -, è anche la fonte originaria dell'efficacia della missione cristiana nel mondo.

«Possiamo dire che nella preghiera sacerdotale di Gesù si compie l'istituzione della Chiesa ... Proprio qui, nell'atto dell'ultima cena, Gesù crea la Chiesa. Perché, che altro è la Chiesa se non la comunità dei discepoli che, mediante la fede in Gesù Cristo come inviato del Padre, riceve la sua unità ed è coinvolta nella missione di Gesù di salvare il mondo conducendolo alla conoscenza di Dio? Qui troviamo realmente una vera definizione della Chiesa. La Chiesa nasce dalla preghiera di Gesù. E questa preghiera non è soltanto parola: è l'atto in cui egli «consacra» se stesso e cioè «si sacrifica» per la vita del mondo (cfr Gesù di Nazaret, II, 117s).

Gesù prega perché i suoi discepoli siano una cosa sola. In forza di tale unità, ricevuta e custodita, la Chiesa può camminare «nel mondo» senza essere «del mondo» (cfr Gv 17,16) e vivere la missione affidatale perché il mondo creda nel Figlio e nel Padre che lo ha mandato. La Chiesa diventa allora il luogo in cui continua la missione stessa di Cristo: condurre il «mondo» fuori dall’alienazione dell’uomo da Dio e da se stesso, fuori dal peccato, affinché ritorni ad essere il mondo di Dio.

Cari fratelli e sorelle, abbiamo colto qualche elemento della grande ricchezza della preghiera sacerdotale di Gesù, che vi invito a leggere e a meditare, perché ci guidi nel dialogo con il Signore, ci insegni a pregare. Anche noi, allora, nella nostra preghiera, chiediamo a Dio che ci aiuti ad entrare, in modo più pieno, nel progetto che ha su ciascuno di noi; chiediamoGli di essere «consacrati» a Lui, di appartenerGli sempre di più, per poter amare sempre di più gli altri, i vicini e i lontani; chiediamoGli di essere sempre capaci di aprire la nostra preghiera alle dimensioni del mondo, non chiudendola nella richiesta di aiuto per i nostri problemi, ma ricordando davanti al Signore il nostro prossimo, apprendendo la bellezza di intercedere per gli altri; chiediamoGli il dono dell’unità visibile tra tutti i credenti in Cristo - lo abbiamo invocato con forza in questa Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani - preghiamo per essere sempre pronti a rispondere a chiunque ci domandi ragione della speranza che è in noi (cfr 1Pt 3,15). Grazie.

{Saluti in varie lingue: Je salue les pèlerins francophones, particulièrement le groupe Notre Dame de l’Écoute de Paris. Chers amis, puisse la méditation de la Prière sacerdotale de Jésus nous aider à entrer, comme lui, dans le projet de Dieu sur nous et à élargir notre prière aux dimensions du monde. Demandons-lui de lui appartenir toujours plus pour pouvoir aimer les autres et témoigner de l’espérance qui est en nous. Bon pèlerinage à tous !

I offer a warm welcome to the students of the Bossey Graduate School of Ecumenical Studies in Switzerland, and I offer prayerful good wishes for their work. Upon all the English-speaking pilgrims and visitors present at today’s Audience I cordially invoke God’s blessings of joy and peace!

Ganz herzlich grüße ich alle Pilger und Besucher deutscher Sprache. Nehmen wir Christus als unseren Herrn und Bruder an, von dem wir unsere Einheit empfangen und der uns hinausführt, um der Welt die Liebe und die Treue Gottes zu bezeugen. Der Herr schenke euch gesegnete Tage hier in Rom.

Saludo cordialmente a los peregrinos de lengua española, en particular, a los grupos provenientes de España, México, Chile y otros países latinoamericanos. Invito a todos a orar como nos enseña Jesús, pidiendo a Dios que manifieste su voluntad en nuestras vidas, nos consagre y abra nuestro corazón al mundo y a la misión. Que el don de la unidad que esta Semana hemos suplicado con insistencia nos ayude a dar razón de nuestra esperanza ante los que nos rodean. Muchas gracias.

A minha saudação amiga para os fiéis de Santa Maria dos Pobres de Paranoá e demais peregrinos de língua portuguesa, propondo-vos como modelo de vida o Apóstolo São Paulo, cuja conversão hoje recordamos num abraço ideal que se alarga a todos os cristãos na conclusão do Oitavário de Oração pela sua Unidade. Que os vossos corações, fortes na fé, possam servir sempre os amorosos desígnios de Deus. Sobre vós e vossas famílias, desça a minha Bênção.

Saluto in lingua polacca:

Pozdrawiam serdecznie pielgrzymów polskich. Dzisiaj w święto Nawrócenia Świętego Pawła Apostoła kończymy Tydzień Modlitw o Jedność Chrześcijan. Nawrócenie Apostoła Narodów pod Damaszkiem jest dowodem, że ostatecznie Bóg sam decyduje o losach swego Kościoła. Prośmy Go o łaskę jedności, która domaga się także naszego nawrócenia, dochowania wierności prawdzie i miłości Boga. Z serca wam błogosławię.

Traduzione italiana:

Saluto cordialmente i pellegrini polacchi. Oggi, con la Festa della Conversione di San Paolo, chiudiamo la Settimana di Preghiera per l’unità dei Cristiani. La conversione, nei pressi di Damasco, dell’Apostolo delle Genti è la prova che, in definitiva, è Dio stesso a decidere delle sorti della Sua Chiesa. Invochiamolo per ottenere la grazia dell’unità, la quale esige anche la nostra conversione personale, rimanendo fedeli alla verità e all’amore di Dio. Vi benedico di cuore.

Saluto in lingua slovacca:

Zo srdca pozdravujem slovenských pútnikov, osobitne z Bardejova, z Prešova a z Univerzity Komenského z Bratislavy.
Bratia a sestry, dnes sa končí Oktáva modlitieb za jednotu kresťanov. Pozývam vás k intenzívnym modlitbám k Pánovi, aby sa naplnili Kristove slová „Aby všetci boli jedno“.
Rád vás žehnám.
Pochválený buď Ježiš Kristus!

Traduzione italiana:

Saluto di cuore i pellegrini slovacchi, particolarmente quelli provenienti da Bardejov, Prešov e dall’Università Komenský di Bratislava.
Fratelli e sorelle, oggi termina l’Ottavario di preghiera per l’unità dei cristiani. Vi invito ad elevare intense preghiere al Signore affinché si realizzi la parola di Cristo “Perché siano una cosa sola”.
Volentieri vi benedico.
 Sia lodato Gesù Cristo!}

* * *

Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. Saluto le associazioni, i cori e gli studenti, in particolare quelli dell’Istituto Ecumenico Universitario di Bossey presenti per la visita di studio a Roma. Un caloroso saluto ai gruppi parrocchiali, in particolare a quello di San Nicola in Ozieri, dove viene intitolata una Piazza a Don Luigi Giussani e inaugurato oggi un Centro Culturale di educazione alla fede cristiana. A tutti l’auspicio che l’odierna Festa della Conversione di San Paolo stimoli ciascuno ad approfondire la Parola di Dio per poter annunciare, con il dialogo e con la testimonianza, che Gesù è il Salvatore.

Infine, un pensiero affettuoso ai giovani, ai malati e agli sposi novelli. La Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, che oggi si conclude, ci offre l’opportunità di riflettere sulla nostra appartenenza a Cristo e alla Chiesa. Cari giovani, fidatevi degli insegnamenti della Chiesa, finalizzati alla vostra crescita integrale. Cari ammalati, offrite le vostre sofferenze per la causa dell’unità della Chiesa di Cristo. E voi, cari sposi novelli, educate i vostri figli secondo la logica dell’amore gratuito, sul modello dell’amore di Dio per l’umanità.

© Copyright 2012 - Libreria Editrice Vaticana

mercoledì 25 gennaio 2012

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La Summa Teologica - Cinquantaduesima parte

Torniamo ad addentrarci nella Summa Teologica di San Tommaso d'Aquino, un'opera che diede un fondamento scientifico, filosofico e teologico alla dottrina cristiana. Continuiamo a scoprire la parte dedicata al Trattato relativo all'essenza di Dio ed in particolare la parte relativa all'unità di Dio:

Prima parte
Trattato relativo all'essenza di Dio

L'unità di Dio > Se ci sia opposizione tra l'uno e i molti

Prima parte
Questione 11
Articolo 2

SEMBRA che l'uno e i molti non si oppongano. Infatti:
1. Nessun contrario si afferma del suo contrario. Ora, secondo il già detto, ogni molteplice è in qualche modo uno. Dunque l'uno non si oppone ai molti.

2. Nessuna cosa è costituita dal suo opposto. Ora, l'unità costituisce la moltitudine. Dunque non si oppone ad essa.

3. Ad una cosa se ne oppone un'altra sola. Ora, al molto si oppone il poco. Dunque non gli si oppone l'uno.

4. Se l'uno si oppone alla moltitudine, le si oppone come l'indiviso al diviso: e così le si oppone come la privazione alla qualità corrispondente. Ora, ciò sembra che ripugni, perché ne verrebbe che l'unità sia posteriore alla moltitudine e che si definisca per mezzo di essa, mentre invece la moltitudine si definisce per mezzo dell'unità. Vi sarebbe quindi un circolo vizioso nella definizione: il che non si può ammettere. Dunque l'uno e i molti non sono tra loro opposti.

IN CONTRARIO: Opposte tra loro sono quelle cose le cui nozioni sono contrastanti. Ora, la nozione dell'uno consiste nella indivisibilità, mentre quella della moltitudine contiene in sé la divisione. Dunque l'uno e i molti sono tra loro opposti.

RISPONDO: L'uno si oppone ai molti, ma in maniere diverse. L'uno, infatti, che è principio del numero, si oppone alla pluralità numerica, come la misura al misurato; poiché uno include il concetto di prima misura, e il numero è la moltitudine misurata dall'uno, come dimostra Aristotele. L'uno, invece, che si identifica con l'ente, si oppone alla molteplicità a modo di privazione, cioè come l'indiviso si oppone a ciò che è diviso.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Nessuna privazione toglie completamente l'essere, perché la privazione è negazione ma in un soggetto, come dice Aristotele. Tuttavia ogni privazione toglie una qualche entità. Perciò, se si tratta dell'ente stesso, avviene, a causa dell'universalità del termine, che la privazione di entità si determini sull'ente medesimo: il che non accade invece nelle privazioni di forme particolari: della vista, della bianchezza e simili. E come per l'ente, così è per l'uno e per il bene, che si identificano con l'ente: infatti la privazione del bene si fonda su qualche bene, e parimente la privazione dell'unità si fonda su qualche unità. Di qui può capitare che la moltitudine sia una certa unità, e il male un certo bene, e che il non-ente sia un certo ente. Tuttavia un contrario non si può predicare del suo contrario; perché l'uno si prende in senso assoluto, l'altro in senso relativo. Ciò infatti che è ente in un certo qual modo, perché in potenza, è non-ente in senso assoluto, cioè in atto: così ciò che è ente in senso assoluto, come sostanza, sotto un certo aspetto può essere non-ente, rispetto cioè a qualche entità accidentale. Parimente dunque, ciò che è bene (soltanto) sotto un certo aspetto può essere male assolutamente parlando; o viceversa. Così anche ciò che in senso pieno e assoluto è uno può essere molteplice sotto un certo aspetto; e viceversa.

2. Il tutto è di due specie: c'è il tutto omogeneo, il quale si compone di parti simili, e c'è il tutto eterogeneo, che si compone di parti dissimili. In un tutto omogeneo, le parti che lo costituiscono hanno la forma (e la natura) del tutto, come ciascuna parte di acqua è acqua: e in tal modo è costituito il continuo dalle sue parti. In ogni tutto eterogeneo invece, qualsiasi parte manca della forma del tutto: nessuna parte della casa infatti è casa, e nessuna parte dell'uomo, è uomo. E un tale tutto è la moltitudine. Ora dunque, proprio in quanto la parte della moltitudine non ha la forma di essa, la moltitudine si compone di unità, come la casa è formata di non-case; non già che le unità costituiscano la moltitudine per la loro indivisibilità, per cui le si contrappongono, ma per la loro entità: come le parti della casa costituiscono la casa in quanto sono dei corpi, non già perché sono non-case.

3. Il termine "molto" si può prendere in due sensi. Per primo, in modo assoluto: e così si oppone all'uno. In secondo luogo in quanto implica un certo eccesso; e così si oppone al poco. Quindi nel primo senso, due son già molti; ma non nel secondo.

4. L'uno si oppone ai molti come privazione, in quanto nel loro concetto i molti implicano l'idea di divisione. Quindi che la divisione sia prima dell'unità è necessario non assolutamente, ma secondo il nostro modo di conoscere. Perché noi conosciamo le cose semplici mediante le composte, tanto che definiamo il punto: "ciò che non ha parti", oppure: "il principio della linea". Ma la moltitudine, anche logicamente, è posteriore all'unità; perché noi non possiamo intendere come due cose tra loro divise costituiscano una moltitudine se non perché attribuiamo all'una e all'altra l'unità. Ed è per questo che l'uno si mette nella definizione della moltitudine, e non già la moltitudine nella definizione dell'unità. Ma appena negato l'ente l'intelletto concepisce la divisione. Cosicché prima di tutto si presenta alla nostra intelligenza l'ente; in secondo luogo, (riflettendo) che questo ente non è quell'altro ente, si apprende la divisione; in terzo luogo, l'uno; in quarto luogo, la moltitudine.

martedì 24 gennaio 2012

San Francesco di Sales

Riscoprire i Santi - San Francesco di Sales

Dopo un giorno di lutto che abbiamo voluto dedicare alla nostra Patrizia, torniamo a fare quello che lei ci ha sempre spinti a fare.
Torna l'appuntamento settimanale, volto alla scoperta dei nostri cari Santi! Oggi andiamo ad approfondire la conoscenza di San Francesco di Sales, celebrato oggi dalla Chiesa Cattolica e recentemente al centro della nostra attenzione (e di quella di Papa Benedetto XVI!), grazie alle sue profonde riflessioni contenute nell'opera "Filotea - Introduzione alla vita devota". Ciò che più contraddistingue la figura di quest'uomo santificato da Dio è sicuramente la sua saggezza di cui Filotea ne rappresenta una delle più grandi espressioni. Proprio da quest'opera leggeremo un passo, subito dopo l'analisi biografica tratta, come di consueto, dal sito Santi e Beati:

San Francesco di Sales, vescovo di Ginevra e dottore della Chiesa, è sicuramente il più importante e celebre fiore di santità sbocciato in Savoia, sul versante alpino francese.
Figlio primogenito, Francois nacque il 21 agosto 1567 in Savoia nel castello di Sales presso Thorens, appartenente alla sua antica nobile famiglia. Ricevette sin dalla più tenera età un’accurata educazione, coronata dagli studi universitari di giurisprudenza a Parigi e a Padova. Qui ricevette con grande lode il berretto dottorale e ritornato in patria fu nominato avvocato del Senato di Chambéry. Ma sin dalla sua frequentazione accademica erano iniziati ad emergere i suoi preminenti interessi teologici, culminati poi nelle scoperta della vocazione sacerdotale, che deluse però le aspettative paterne. Nel 1593 ricevette l’ordinazione presbiterale ed il 21 dicembre celebrò la sua prima Messa.
Fu sacerdote zelante ed instancabile lavoratore nella vigna del Signore. Visti gli scarsi frutti che ottenuti dal pulpito, si diede alla pubblicazione di fogli volanti, che egli stesso faceva scivolare sotto gli usci delle case o affiggeva ai muri, meritandosi per questa originale attività pubblicitaria il titolo di patrono dei giornalisti e di quanti diffondono la verità cristiana servendosi dei mezzi di comunicazione sociale. Ma anche quei foglietti, che egli cacciava sotto le porte delle case, ebbero scarsa efficacia.
Spinto da un enorme desiderio di salvaguardare l’ortodossia cristiana, mentre imperversava la Riforma calvinista, Francois chiese volontariamente udienza al vescovo di Ginevra affinché lo destinasse a quella città, simbolo supremo del calvinismo e massima sede dei riformatori, per la difficile missione di predicatore cattolico. Stabilitosi a Ginevra, non si fece remore a discutere di teologia con i protestanti, ardendo dal desiderio di recuperare quante più anime possibili alla Chiesa, ma soprattutto alla causa di Cristo da lui ritenuta più genuina. Il suo costante pensiero era rivolto inoltre alla condizione dei laici, preoccupato di sviluppare una predicazione e un modello di vita cristiana alla portata anche delle persone comuni, immerse nella difficile vita quotidiana. Proverbiali divennero i suoi insegnamenti, pervasi di comprensione e di dolcezza, permeati dalla ferma convinzione che a supporto delle azioni umane vi fosse sempre la provvidenziale presenza divina. Molti dei suoi insegnamenti sono infatti intrisi di misticismo e di nobile elevazione spirituale.I suoi enormi sforzi ed i grandi successi ottenuti in termini pastorali gli meritarono la nomina a vescovo coadiutore di Ginevra già nel 1599, a trentadue anni di età e dopo soli sei anni di sacerdozio. Dopo altri tre anni divenne vescovo a pieno titolo e si spese per l’introduzione nella sua diocesi delle riforme promulgate dal Concilio di Trento. La città rimase comunque nel suo complesso in mano ai riformati ed il novello vescovo dovette trasferire la sua sede nella cittadina savoiarda di Annecy, “Venezia delle Alpi”, sulle rive del lago omonimo.
Fu direttore spirituale di San Vincenzo de’ Paoli. Nel corso della sua missione di predicatore, nel 1604 conobbe poi a Dijon la nobildonna Giovanna Francesca Frèmiot, vedova del barone de Chantal, con cui iniziò una corrispondenza epistolare ed una profonda amicizia che sfociarono nella fondazione dell’Ordine della Visitazione.
“Se sbaglio, voglio sbagliare piuttosto per troppa bontà che per troppo rigore”: in questa affermazione di Francois de Sales sta il segreto della simpatia che egli seppe suscitare tra i suoi contemporanei.
Il duca di Savoia, dal quale Francesco dipendeva politicamente, sostenne l’opera dell’inascoltato apostolo con la maniera forte, ma non addicendosi l’intolleranza al temperamento del santo, quest’ultimo preferì portare avanti la sua battaglia per l’ortodossia con il metodo della carità, illuminando le coscienze con gli scritti, per i quali ha avuto il titolo di dottore della Chiesa. Le sue principali opere furono dunque “Introduzione alla vita devota” e “Trattato dell'amore di Dio”, testi fondamentali della letteratura religiosa di tutti i tempi. Quello dell’amore di Dio fu l’argomento con il quale convinse i recalcitranti ugonotti a tornare in seno alla Chiesa Cattolica.
L’11 dicembre 1622 a Lione ebbe l’ultimo colloquio con la sua penitente e qui morì per un attacco di apoplessia il 28 dello stesso mese nella stanzetta del cappellano delle Suore della Visitazione presso il monastero. Il 24 gennaio 1623 il corpo mortale del santo fu traslato ad Annecy, nella chiesa oggi a lui dedicata, ma in seguito fu posto alla venerazione dei fedeli nella basilica della Visitation, sulla collina adiacente alla città, accanto a Santa Giovanna Francesca di Chantal.Francesco di Sales fu presto beatificato il 8 gennaio 1662 e già tre anni dopo venne canonizzato il 19 aprile 1665 dal pontefice Alessandro VII. Successivamente fu proclamato Dottore della Chiesa nel 1877, nonché patrono dei giornalisti nel 1923.
Il Martyrologium Romanum riporta la sua commemorazione nell’anniversario della morte, cioè al 28 dicembre, ma per l’inopportuna coincidenza con il tempo di Natale, il calendario liturgico della Chiesa universale ha fissato la sua memoria obbligatoria al 24 gennaio, anniversario della traslazione delle reliquie.
San Francesco di Sales, considerato quale padre della spiritualità moderna, ha avuto il merito di influenzare le maggiori figure non solo del “grand siècle” francese, ma anche di tutto il Seicento europeo, riuscendo a convertire al cattolicesimo addirittura alcuni esponenti del calvinismo. Francesco di Sales a ragione può essere considerato uno dei principali rappresentanti dell’umanesimo devoto di tipica marca francese. Fu un vescovo santo, innamorato della bellezza e della bontà di Dio.
E’ infine doveroso ricordare come al suo nome si siano ispirate parecchie congregazioni, tra le quali la più celebre è indubbiamente la Famiglia Salesiana fondata da San Giovanni Bosco, la cui attenzione si rivolge più che altro alla crescita ed all’educazione delle giovani generazioni, con un’attenzione tutta particolare alla cura dei figli delle classi meno abbienti.

Autore: Fabio Arduino


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DA “ FILOTEA - INTRODUZIONE ALLA VITA DEVOTA”


Nella creazione Dio comandò alle piante di produrre i loro frutti, ognuna “secondo la propria specie” (Gn 1, 11). Lo stesso comando rivolge ai cristiani, che sono le piante vive della sua Chiesa, perché producano frutti di devozione, ognuno secondo il suo stato e la sua condizione.
La devozione deve essere praticata in modo diverso dal gentiluomo, dall’artigiano, dal domestico, dal principe, dalla vedova, dalla donna non sposata e da quella coniugata. Ciò non basta, bisogna anche accordare la pratica della devozione alle forze, agli impegni e ai doveri di ogni persona.
Dimmi, Filotea, sarebbe conveniente se il vescovo volesse vivere in una solitudine simile a quella dei certosini? E se le donne sposate non volessero possedere nulla come i cappuccini? Se l’artigiano passasse tutto il giorno in chiesa come il religioso, e il religioso si esponesse a qualsiasi incontro per servire il prossimo come è dovere del vescovo? Questa devozione non sarebbe ridicola, disordinata e inammissibile? Questo errore si verifica tuttavia molto spesso. No, Filotea, la devozione non distrugge nulla quando è sincera, ma anzi perfeziona tutto e, quando contrasta con gli impegni di qualcuno, è senza dubbio falsa.
L’ape trae il miele dai fiori senza sciuparli, lasciandoli intatti e freschi come li ha trovati. La vera devozione fa ancora meglio, perché non solo non reca pregiudizio ad alcun tipo di vocazione o di occupazione, ma al contrario vi aggiunge bellezza e prestigio.
Tutte le pietre preziose, gettate nel miele, diventano più splendenti, ognuna secondo il proprio colore, così ogni persona si perfeziona nella sua vocazione, se l’unisce alla devozione. La cura della famiglia è rèsa più leggera, l’amore fra marito e moglie più sincero, il servizio del principe più fedele, e tutte le altre occupazioni più soavi e amabili.
E’ un errore, anzi un’eresia, voler escludere l’esercizio della devozione dall’ambiente militare, dalla bottega degli artigiani, dalla corte dei principi, dalle case dei coniugati. E’ vero, Filotea, che la devozione puramente contemplativa, monastica e religiosa può essere vissuta solo in questi stati, ma oltre a questi tre tipi di devozione, ve ne sono molti altri capaci di rendere perfetti coloro che vivono in condizioni secolari. Perciò dovunque ci troviamo, possiamo e dobbiamo aspirare alla vita perfetta.

domenica 22 gennaio 2012

Video Vangelo: III ordinario (B)

La risposta

Carissimi, il nostro cuore oggi è triste perché ci ha lasciati la nostra cara Patrizia; ma noi siamo certi che lei non ci avrebbe voluti tristi e avrebbe voluto vederci continuare a rendere testimonianza alla nostra fede. La ricordiamo riflettendo sul Vangelo di oggi attraverso le parole della sua e nostra amica Wilma Chasseur:


3^ Domenica T. O. (Mc 1,14-20)

Ancora il tema della chiamata. E della risposta. Nella prima lettura vediamo il profeta Giona che per la seconda volta viene mandato a Ninive. E questa volta non cerca più di squagliarsela come aveva fatto prima.

• Niente vie di scampo…

Ha finalmente capito che quando il Signore chiama, è meglio non cercare vie di scampo, se no lo aspettano le fauci spalancate di una balena. L’unico modo per scampare al pericolo è non cercare vie di scampo. Questo – sia detto en passant – vale anche per noi: chissà quante volte abbiamo preferito “vie di scampo” alle vie che ci proponeva il Signore, e siamo finiti dritti dritti, nella gola oscura di qualche balena. Affiniamo l’udito spirituale, e appena rinnoverà l’invito, fidiamoci subito di Dio e non corriamo dietro alle balene… Adeguiamoci al Suo progetto e non perseguiamo ostinatamente progetti solo nostri: eviteremo così innumerevoli capitomboli!
Il Vangelo ci invita a seguire Gesù che, lasciata Nazaret, va a stabilirsi a Cafarnao, in quella Galilea delle genti – come dice la profezia di Isaia – oltre il fiume Giordano, sulla quale “si levò una grande luce”. Il tempo del silenzio e del nascondimento è terminato. Per Gesù inizia il tempo dell’annuncio. E sceglie proprio la Galilea, situata ai confini tra il mondo ebraico e quello pagano, per proclamare l’universalità della salvezza. Il Messia è dunque un Galileo e per gli uomini di Galilea inizia qualcosa di radicalmente nuovo che cambierà totalmente la loro vita.

• Passando lungo il mare di Galilea…

Gesù inizia dunque ad annunciare la buona novella e si stabilisce presso il mare di Galilea o lago di Tiberiade. Quello è proprio il lago di Gesù, rimasto – più di 2000 anni dopo – tale e quale. Se esigenze di difesa e di custodia indussero i cristiani a trasformare i luoghi sacri della Palestina, costruendovi sopra e mutandone l’aspetto naturale di modo che oggi non si possono più vedere com’erano ai tempi di Gesù, sullo splendido lago di Tiberiade, nessuno ha potuto apportare cambiamenti di sorta. E’ sempre il lago di Gesù. Chi vi è stato dice che lo si vede oggi come Egli lo vide, si possono toccarne le acque come Egli le toccò, lo si può attraversare come Egli lo attraversò e camminare sulle sue sponde come Egli vi camminò. Le acque sono sempre quelle, e forse conservano ancora nelle loro profondità, l’eco delle parole di Gesù che chiamò i primi discepoli, in quel memorabile giorno in cui “passando lungo il mare della Galilea vide Simone e Andrea mentre gettavano le reti. Gesù disse loro: seguitemi, vi farò diventare pescatori di uomini. Ed essi subito lasciate le reti lo seguirono”.

• Dio entra nella storia degli uomini

Ecco Dio che entra nella storia degli uomini. E vi entra mentre stanno svolgendo il loro lavoro di sempre; si presenta alla loro riva in un giorno qualunque. E si presenta alla nostra riva, a noi discepoli di oggi, per rinnovare la sua proposta. E’ sempre Lui che si presenta per primo, ieri come oggi (“non voi avete scelto Me ma io ho scelto voi”), ma siamo sempre noi che dobbiamo lasciare le nostre reti per seguirlo, “lasciare che il mondo vada per la sua strada e che accumuli la sua fortuna”. La nostra fortuna è ben altro: è seguire Lui. Se accetteremo di seguirLo e di fare la Sua volontà, riusciremo a diminuire un po’ quella sproporzione che avvertiamo, tra ciò che siamo e ciò che vorremmo essere. Perché solo Lui può renderci capaci di realizzare TOTALMENTE quel bene che vorremmo essere e far brillare quella luce che abita perennemente nei nostri cuori.

Wilma Chasseur

sabato 21 gennaio 2012

Apocalisse: La donna vestita di sole contro il drago rosso

In difesa della vita - Evangelium Vitae - Conclusione

Si conclude oggi l'appuntamento con la Lettera Enciclica "Evangelium vitae", in difesa della vita: il Beato Giovanni Paolo II ci ha lasciato davvero un importante tesoro che arricchisce la cultura della vita e che mostra gli inganni e gli orrori della cultura della morte. In questa conclusione una grande immagine viene evocata, un immagine non sconosciuta a chi ha letto e meditato il libro dell'Apocalisse:


CONCLUSIONE

102. Al termine di questa Enciclica, lo sguardo ritorna spontaneamente al Signore Gesù, il «Bambino nato per noi» (cf. Is 9, 5) per contemplare in lui «la Vita» che «si è manifestata» (1 Gv 1, 2). Nel mistero di questa nascita si compie l'incontro di Dio con l'uomo e ha inizio il cammino del Figlio di Dio sulla terra, un cammino che culminerà nel dono della vita sulla Croce: con la sua morte Egli vincerà la morte e diventerà per l'umanità intera principio di vita nuova.

Ad accogliere «la Vita» a nome di tutti e a vantaggio di tutti è stata Maria, la Vergine Madre, la quale ha quindi legami personali strettissimi con il Vangelo della vita. Il consenso di Maria all'Annunciazione e la sua maternità si trovano alla sorgente stessa del mistero della vita che Cristo è venuto a donare agli uomini (cf. Gv 10, 10). Attraverso la sua accoglienza e la sua cura premurosa per la vita del Verbo fatto carne, la vita dell'uomo è stata sottratta alla condanna della morte definitiva ed eterna.

Per questo Maria «è madre di tutti coloro che rinascono alla vita, proprio come la Chiesa di cui è modello. È madre di quella vita di cui tutti vivono. Generando la vita, ha come rigenerato coloro che di questa vita dovevano vivere».138

Contemplando la maternità di Maria, la Chiesa scopre il senso della propria maternità e il modo con cui è chiamata ad esprimerla. Nello stesso tempo l'esperienza materna della Chiesa dischiude la prospettiva più profonda per comprendere l'esperienza di Maria quale incomparabile modello di accoglienza e di cura della vita.

«Nel cielo apparve un segno grandioso: una donna vestita di sole» (Ap 12, 1): la maternità di Maria e della Chiesa

103. Il rapporto reciproco tra il mistero della Chiesa e Maria si manifesta con chiarezza nel «segno grandioso» descritto nell'Apocalisse: «Nel cielo apparve poi un segno grandioso: una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e sul suo capo una corona di dodici stelle» (12,1). In questo segno la Chiesa riconosce una immagine del proprio mistero: immersa nella storia, essa è consapevole di trascenderla, in quanto costituisce sulla terra il «germe e l'inizio» del Regno di Dio.139 Questo mistero la Chiesa lo vede realizzato in modo pieno ed esemplare in Maria. È Lei la donna gloriosa, nella quale il disegno di Dio si è potuto attuare con somma perfezione.

La «donna vestita di sole» — rileva il Libro dell'Apocalisse — «era incinta» (12, 2). La Chiesa è pienamente consapevole di portare in sé il Salvatore del mondo, Cristo Signore, e di essere chiamata a donarlo al mondo, rigenerando gli uomini alla vita stessa di Dio. Non può però dimenticare che questa sua missione è stata resa possibile dalla maternità di Maria, che ha concepito e dato alla luce colui che è «Dio da Dio», «Dio vero da Dio vero». Maria è veramente Madre di Dio, la Theotokos nella cui maternità è esaltata al sommo grado la vocazione alla maternità inscritta da Dio in ogni donna. Così Maria si pone come modello per la Chiesa, chiamata ad essere la «nuova Eva», madre dei credenti, madre dei «viventi» (cf. Gn 3, 20).

La maternità spirituale della Chiesa non si realizza — anche di questo la Chiesa è consapevole — se non in mezzo alle doglie e al «travaglio del parto» (Ap 12, 2), cioè nella perenne tensione con le forze del male, che continuano ad attraversare il mondo ed a segnare il cuore degli uomini, facendo resistenza a Cristo: «In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l'hanno accolta» (Gv 1, 4-5).

Come la Chiesa, anche Maria ha dovuto vivere la sua maternità nel segno della sofferenza: «Egli è qui... segno di contraddizione perché siano svelati i pensieri di molti cuori. E anche a te una spada trafiggerà l'anima» (Lc 2, 34-35). Nelle parole che, agli albori stessi dell'esistenza del Salvatore, Simeone rivolge a Maria è sinteticamente raffigurato quel rifiuto nei confronti di Gesù, e con Lui di Maria, che giungerà al suo vertice sul Calvario. «Presso la croce di Gesù» (Gv 19, 25), Maria partecipa al dono che il Figlio fa di sé: offre Gesù, lo dona, lo genera definitivamente per noi. Il «sì» del giorno dell'Annunciazione matura in pienezza nel giorno della Croce, quando per Maria giunge il tempo di accogliere e di generare come figlio ogni uomo divenuto discepolo, riversando su di lui l'amore redentore del Figlio: «Gesù allora, vedendo la madre e lì accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: "Donna, ecco il tuo figlio"«(Gv 19, 26).

«Il drago si pose davanti alla donna... per divorare il bambino appena nato» (Ap 12, 4): la vita insidiata dalle forze del male

104. Nel Libro dell'Apocalisse il «segno grandioso» della «donna» (12, 1) è accompagnato da «un altro segno nel cielo»: «un enorme drago rosso» (12, 3), che raffigura Satana, potenza personale malefica, e insieme tutte le forze del male che operano nella storia e contrastano la missione della Chiesa.

Anche in questo Maria illumina la Comunità dei Credenti: l'ostilità delle forze del male è, infatti, una sorda opposizione che, prima di toccare i discepoli di Gesù, si rivolge contro sua Madre. Per salvare la vita del Figlio da quanti lo temono come una pericolosa minaccia, Maria deve fuggire con Giuseppe e il Bambino in Egitto (cf. Mt 2, 13-15).

Maria aiuta così la Chiesa a prendere coscienza che la vita è sempre al centro di una grande lotta tra il bene e il male, tra la luce e le tenebre. Il drago vuole divorare «il bambino appena nato» (Ap 12, 4), figura di Cristo, che Maria genera nella «pienezza del tempo» (Gal 4, 4) e che la Chiesa deve continuamente offrire agli uomini nelle diverse epoche della storia. Ma in qualche modo è anche figura di ogni uomo, di ogni bambino, specie di ogni creatura debole e minacciata, perché — come ricorda il Concilio — «con la sua incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo a ogni uomo».140 Proprio nella «carne» di ogni uomo, Cristo continua a rivelarsi e ad entrare in comunione con noi, così che il rifiuto della vita dell'uomo, nelle sue diverse forme, è realmente rifiuto di Cristo. È questa la verità affascinante ed insieme esigente che Cristo ci svela e che la sua Chiesa ripropone instancabilmente: «Chi accoglie anche uno solo di questi bambini in nome mio, accoglie me» (Mt 18, 5); «In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me» (Mt 25, 40).

«Non ci sarà più la morte» (Ap 21, 4): lo splendore della risurrezione

105. L'annunciazione dell'angelo a Maria è racchiusa tra queste parole rassicuranti: «Non temere, Maria» e «Nulla è impossibile a Dio» (Lc 1, 30.37). In verità, tutta l'esistenza della Vergine Madre è avvolta dalla certezza che Dio le è vicino e l'accompagna con la sua provvidente benevolenza. Così è anche della Chiesa, che trova «un rifugio» (Ap 12, 6) nel deserto, luogo della prova ma anche della manifestazione dell'amore di Dio verso il suo popolo (cf. Os 2, 16). Maria è vivente parola di consolazione per la Chiesa nella sua lotta contro la morte. Mostrandoci il Figlio, ella ci assicura che in lui le forze della morte sono già state sconfitte: «Morte e vita si sono affrontate in un prodigioso duello. Il Signore della vita era morto; ma ora, vivo, trionfa».141

L'Agnello immolato vive con i segni della passione nello splendore della risurrezione. Solo lui domina tutti gli eventi della storia: ne scioglie i «sigilli» (cf. Ap 5, 1-10) e afferma, nel tempo e oltre il tempo, il potere della vita sulla morte. Nella «nuova Gerusalemme», ossia nel mondo nuovo, verso cui tende la storia degli uomini, «non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno, perché le cose di prima sono passate» (Ap 21, 4).

E mentre, come popolo pellegrinante, popolo della vita e per la vita, camminiamo fiduciosi verso «un nuovo cielo e una nuova terra» (Ap 21, 1), volgiamo lo sguardo a Colei che è per noi «segno di sicura speranza e di consolazione».142

O Maria,
aurora del mondo nuovo,
Madre dei viventi,
affidiamo a Te la causa della vita:
guarda, o Madre, al numero sconfinato
di bimbi cui viene impedito di nascere,
di poveri cui è reso difficile vivere,
di uomini e donne vittime di disumana violenza,
di anziani e malati uccisi dall'indifferenza
o da una presunta pietà.
Fa' che quanti credono nel tuo Figlio
sappiano annunciare con franchezza e amore
agli uomini del nostro tempo
il Vangelo della vita.
Ottieni loro la grazia di accoglierlo
come dono sempre nuovo,
la gioia di celebrarlo con gratitudine
in tutta la loro esistenza
e il coraggio di testimoniarlo
con tenacia operosa, per costruire,
insieme con tutti gli uomini di buona volontà,
la civiltà della verità e dell'amore
a lode e gloria di Dio creatore e amante della vita.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 25 marzo, solennità dell'Annunciazione del Signore, dell'anno 1995, decimosettimo di Pontificato.

IOANNES PAULUS PP. II


venerdì 20 gennaio 2012

Commento di Padre Giancarlo Paris: Siederà sul trono della sua gloria e separerà gli uni dagli altri.

Elvira - Figlia spirituale di Padre Pio - XVIII

Continuiamo a scoprire la figura di Elvira, figlia spirituale di San Pio da Pietrelcina; di Elvira oggi vedremo due casi particolari da dove si evince il suo spirito amorevole e caritatevole:

CAPITOLO III

AMARE CON LE OPERE


TUTTO QUELLO CHE AVRETE FATTO AL PIU’ PICCOLO...

Se le sofferenze degli adulti trovano sempre il cuore di Mamma Elvira aperto alla compassione, che dire di quelle dei bambini?

Per i piccoli ella ha sempre dimostrato una tenerezza particolare ed essi si sentono attratti da lei, affascinati dalla sua dolcezza. Le si mettono accanto felici di una sua carezza, fieri quando possono eseguire un suo ordine. Elvira offre loro spesso confetti e biscotti e gode nel vederli mangiare. Dice sempre che quando è coi bambini si sente rinascere e dimentica ogni amarezza.

Quando un bambino soffre ella ne è straziata ed è capace di sobbarcarsi a qualsiasi sacrificio pur di sottrarlo al male. Si è potuto vederla per ore ed ore reggere fra le braccia una povera bambina spastica che la madre le portava ogni estate da Napoli, perché soltanto fra le sue braccia la povera creatura trovava un po' di tranquillità. Per lei Elvira si rassegnava ogni anno allo spossante viaggio in treno fino a Napoli in piena calura estiva, per accompagnare poi mamma e figlia a Lourdes a implorare ostinatamente una grazia che il cielo sembrava non voler concedere.

Nel suo ricordo le piste di cemento degli aeroporti, battuti dal sole diventavano poi un incubo. Ciò nonostante era sempre pronta a ricominciare da capo.

Però se Elvira sente pietà per le miserie fisiche dei bambini, più ancora la commuovono le loro carenze affettive, lo stato di abbandono in cui molti di essi vengono a trovarsi.

È particolarmente sensibile alla sorte degli orfani e dei poveri bambini abbandonati; lo è sempre stata. Davanti a certi casi è davvero capace di smuovere cielo e terra. Quando era ancora vivo suo marito egli le era di validissimo aiuto nello svolgimento di ogni prassi burocratica e fu cosa che molte creature poterono trovare un'assistenza e un rifugio. Citeremo solo un episodio che illustra sufficientemente questo delicato settore dell'apostolato di Elvira.

ARGENTINA

Argentina era ammalata, all'Ospedale. Aveva quattro figli e il marito in America. Il marito le mandava abbastanza per mantenere la famiglia, ma lei era sempre in miseria perché non sapeva amministrare il denaro.

Elvira la curò finché la vide tornare a casa guarita, per quanto ancora sotto il controllo del Dottor Malatesta. Un bel giorno il Dottore mandò a chiamare la signora Elvira e le disse:

"Signora, vada a vedere di questa donna, perché ho saputo che vuol scappare via. "

Quando Elvira arrivò a casa sua, Argentina era già scappata abbandonando i quattro figli. C'erano, sì degli zii che abitavano vicino alla loro casa, ma non si curavano di loro. Elvira senti tanta compassione per questi poveri orfanelli che un giorno chiese a un loro zio il permesso di fare la domanda per metterli in collegio. Lo zio rifiutò.

Elvira però non si dette per vinta e, avendo avuto l'indirizzo della madre, le scrisse per avere il consenso. Come l'ebbe ottenuto, cominciò a bussare alle porte di tutti i collegi per sistemare quei quattro fratellini. La femmina, più grandicella, fu accolta dalle Stimmatine, gli altri dalla "Mater Dei". Anzi, le Suore, avendo saputo il caso, si dissero disposte ad accogliere anche la madre. Elvira corse allora a Bologna per rintracciarla all'indirizzo che aveva avuto, ma non la trovò. Quella sciagurata chiedeva, si, ogni tanto notizie dei figli, ma non si fece più vedere.

Elvira continuò a visitare regolarmente questi bambini, ai quali portava sempre qualche cosa, finché arrivò il momento che Bruna, la bambina più grande, dovette passare alla Comunione.

Emozionata come se si trattasse di una sua figliuola. Elvira la portò a casa sua per farle fare la Confessione generale, ma dopo la Confessione la vide triste e pensierosa. Alle sue domande la bambina rispose che non si era confessata bene, perché aveva una cosa che non poteva dire. Sollecitata amorevolmente alla confidenza, raccontò poi come un suo zio l'avesse violentata. Elvira ne fu sconvolta e, avendole frattanto trovato un posto a servizio presso una signora, perché in collegio non potevano più tenerla, raccomandò vivamente alla signora di non mandarla fuori da sola, di aver cura di lei come si farebbe con una figlia, ma si ebbe come risposta: "Signora, io la prendo come donna di servizio, non come figlia!"

Allora, come solo il suo grande cuore poteva suggerirle, Elvira se la prese in casa con se, finchè la Madonna provvide a farla ricongiungere coi fratelli.

giovedì 19 gennaio 2012

Benedetto XVI: Dio salva dalle divisioni

Udienza Generale di Papa Benedetto XVI - 18 Gennaio 2012

BENEDETTO XVI

UDIENZA GENERALE

Aula Paolo VI
Mercoledì, 18 gennaio 2012


Settimana di Preghiera per l'Unità dei Cristiani 

Cari fratelli e sorelle!

Inizia oggi la Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani che, da oltre un secolo, viene celebrata ogni anno da cristiani di tutte le Chiese e Comunità ecclesiali, per invocare quel dono straordinario per cui lo stesso Signore Gesù ha pregato durante l’Ultima Cena, prima della sua passione: “Perché tutti siano una sola cosa; come tu, Padre, sei in me ed io in te, siano anch’essi in noi, perché il mondo creda che tu mi hai mandato” (Gv 17,21). La pratica della Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani fu introdotta nel 1908 da Padre Paul Wattson, fondatore di una comunità religiosa anglicana che entrò in seguito nella Chiesa cattolica. L’iniziativa ricevette la benedizione del Papa san Pio X e fu poi promossa dal Papa Benedetto XV, che ne incoraggiò la celebrazione in tutta la Chiesa cattolica con il Breve Romanorum Pontificum, del 25 febbraio 1916.

L’ottavario di preghiera fu sviluppato e perfezionato negli anni trenta del secolo scorso dall’Abbé Paul Couturier di Lione, che sostenne la preghiera “per l’unità della Chiesa così come vuole Cristo e conformemente agli strumenti che Lui vuole”. Nei suoi ultimi scritti, l’Abbé Couturier vede tale Settimana come un mezzo che permette alla preghiera universale di Cristo di “entrare e penetrare nell’intero Corpo cristiano”; essa deve crescere fino a diventare “un immenso, unanime grido di tutto il Popolo di Dio”, che chiede a Dio questo grande dono. Ed è precisamente nella Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani che l’impulso impresso dal Concilio Vaticano II alla ricerca della piena comunione tra tutti i discepoli di Cristo trova ogni anno una delle sue più efficaci espressioni. Questo appuntamento spirituale, che unisce cristiani di tutte le tradizioni, accresce la nostra consapevolezza del fatto che l’unità verso cui tendiamo non potrà essere solo il risultato dei nostri sforzi, ma sarà piuttosto un dono ricevuto dall’alto, da invocare sempre.

Ogni anno i sussidi per la Settimana di Preghiera vengono preparati da un gruppo ecumenico di una diversa regione del mondo. Vorrei soffermarmi su questo punto. Quest’anno, i testi sono stati proposti da un gruppo misto composto da rappresentanti della Chiesa cattolica e del Consiglio Ecumenico Polacco, che comprende varie Chiese e Comunità ecclesiali del Paese. La documentazione è stata poi rivista da un comitato composto da membri del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani e della Commissione Fede e Costituzione del Consiglio Ecumenico delle Chiese. Anche questo lavoro fatto insieme in due tappe è un segno del desiderio di unità che anima i cristiani e della consapevolezza che la preghiera è la via primaria per raggiungere la piena comunione, perché uniti verso il Signore andiamo verso l'unità. Il tema della Settimana di quest’anno - come abbiamo sentito - è preso dalla Prima Lettera ai Corinzi: - “Tutti saremo trasformati dalla vittoria di Gesù Cristo, nostro Signore” (cfr 1 Cor 15,51-58), la sua vittoria ci trasformerà. E questo tema è stato suggerito dall’ampio gruppo ecumenico polacco che ho citato, il quale, riflettendo sulla propria esperienza come nazione, ha voluto sottolineare quanto forte sia il sostegno della fede cristiana in mezzo a prove e sconvolgimenti, come quelli che hanno caratterizzato la storia della Polonia. Dopo ampie discussioni è stato scelto un tema incentrato sul potere trasformante della fede in Cristo, in particolare alla luce dell’importanza che essa riveste per la nostra preghiera in favore dell’unità visibile della Chiesa, Corpo di Cristo. Ad ispirare questa riflessione sono state le parole di san Paolo che, rivolgendosi alla Chiesa in Corinto, parla della natura temporanea di ciò che appartiene alla nostra vita presente, segnata anche dall’esperienza di “sconfitta” del peccato e della morte, in confronto a ciò che porta a noi la “vittoria” di Cristo sul peccato e sulla morte nel suo Mistero pasquale.

La storia particolare della nazione polacca, che ha conosciuto periodi di convivenza democratica e di libertà religiosa, come nel XVI secolo, è stata segnata, negli ultimi secoli, da invasioni e disfatte, ma anche dalla costante lotta contro l’oppressione e dalla sete di libertà. Tutto questo ha indotto il gruppo ecumenico a riflettere in maniera più approfondita sul vero significato di “vittoria” - che cosa è la vittoria - e di “sconfitta”. Rispetto alla “vittoria” intesa in termini trionfalistici, Cristo ci suggerisce una strada ben diversa, che non passa attraverso il potere e la potenza. Egli infatti afferma: “Se uno vuol essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servo di tutti” (Mc 9,35). Cristo parla di una vittoria attraverso l’amore sofferente, attraverso il servizio reciproco, l’aiuto, la nuova speranza e il concreto conforto donati agli ultimi, ai dimenticati, ai rifiutati. Per tutti i cristiani, la più alta espressione di tale umile servizio è Gesù Cristo stesso, il dono totale che fa di Se stesso, la vittoria del suo amore sulla morte, nella croce, che splende nella luce del mattino di Pasqua. Noi possiamo prendere parte a questa “vittoria” trasformante se ci lasciamo noi trasformare da Dio, solo se operiamo una conversione della nostra vita e la trasformazione si realizza in forma di conversione. Ecco il motivo per cui il gruppo ecumenico polacco ha ritenuto particolarmente adeguate per il tema della propria meditazione le parole di San Paolo: “Tutti saremo trasformati” dalla vittoria di Cristo, nostro Signore” (cfr 1 Cor 15,51-58).

La piena e visibile unità dei cristiani, a cui aneliamo, esige che ci lasciamo trasformare e conformare, in maniera sempre più perfetta, all’immagine di Cristo. L’unità per la quale preghiamo richiede una conversione interiore, sia comune che personale. Non si tratta semplicemente di cordialità o di cooperazione, occorre soprattutto rafforzare la nostra fede in Dio, nel Dio di Gesù Cristo, che ci ha parlato e si è fatto uno di noi; occorre entrare nella nuova vita in Cristo, che è la nostra vera e definitiva vittoria; occorre aprirsi gli uni agli altri, cogliendo tutti gli elementi di unità che Dio ha conservato per noi e sempre nuovamente ci dona; occorre sentire l’urgenza di testimoniare all’uomo del nostro tempo il Dio vivente, che si è fatto conoscere in Cristo.

Il Concilio Vaticano II ha posto la ricerca ecumenica al centro della vita e dell’operato della Chiesa: “Questo santo Concilio esorta tutti i fedeli cattolici perché, riconoscendo i segni dei tempi, partecipino con slancio all’opera ecumenica” (Unitatis redintegratio, 4). Il beato Giovanni Paolo II ha sottolineato la natura essenziale di tale impegno, dicendo: “Questa unità, che il Signore ha donato alla sua Chiesa e nella quale egli vuole abbracciare tutti, non è un accessorio, ma sta al centro stesso della sua opera. Né essa equivale ad un attributo secondario della comunità dei suoi discepoli. Appartiene invece all’essere stesso di questa comunità” (Enc. Ut unum sint, 9). Il compito ecumenico è dunque una responsabilità dell’intera Chiesa e di tutti i battezzati, che devono far crescere la comunione parziale già esistente tra i cristiani fino alla piena comunione nella verità e nella carità. Pertanto, la preghiera per l’unità non è circoscritta a questa Settimana di Preghiera, ma deve diventare parte integrante della nostra orazione, della vita orante di tutti i cristiani, in ogni luogo e in ogni tempo, soprattutto quando persone di tradizioni diverse s’incontrano e lavorano insieme per la vittoria, in Cristo, su tutto ciò che è peccato, male, ingiustizia, violazione della dignità dell’uomo.

Da quando il movimento ecumenico moderno è nato, oltre un secolo fa, vi è sempre stata una chiara consapevolezza del fatto che la mancanza di unità tra i cristiani impedisce un annuncio più efficace del Vangelo, perché mette in pericolo la nostra credibilità. Come possiamo dare una testimonianza convincente se siamo divisi? Certamente, per quanto riguarda le verità fondamentali della fede, ci unisce molto più di quanto ci divide. Ma le divisioni restano, e riguardano anche varie questioni pratiche ed etiche, suscitando confusione e diffidenza, indebolendo la nostra capacità di trasmettere la Parola salvifica di Cristo. In questo senso, dobbiamo ricordare le parole del beato Giovanni Paolo II, che nella sua Enciclica Ut unum sint parla del danno causato alla testimonianza cristiana e all’annuncio del Vangelo dalla mancanza di unità (cfr nn. 98, 99). E’ una grande sfida questa per la nuova evangelizzazione, che può essere più fruttuosa se tutti i cristiani annunciano insieme la verità del Vangelo di Gesù Cristo e danno una risposta comune alla sete spirituale dei nostri tempi.

Il cammino della Chiesa, come quello dei popoli, è nelle mani del Cristo risorto, vittorioso sulla morte e sull’ingiustizia che Egli ha portato e ha sofferto a nome di tutti. Egli ci fa partecipi della sua vittoria. Solo Lui è capace di trasformarci e renderci, da deboli e titubanti, forti e coraggiosi nell’operare il bene. Solo Lui può salvarci dalle conseguenze negative delle nostre divisioni. Cari fratelli e sorelle, invito tutti ad unirsi in preghiera in modo più intenso durante questa Settimana per l’Unità, perché cresca la testimonianza comune, la solidarietà e la collaborazione tra i cristiani, aspettando il giorno glorioso in cui potremo professare insieme la fede trasmessa dagli Apostoli e celebrare insieme i Sacramenti della nostra trasformazione in Cristo. Grazie.

{Saluti in varie lingue: Je salue les pèlerins francophones, particulièrement les élèves du Collège Notre Dame des Missions de Charenton le Pont et ceux du Collège Rocroy Saint Vincent de Paul de Paris. Je vous invite à être des semeurs d’unité là où vous êtes, dans vos familles et dans vos communautés, pour que l’amour du Christ puisse porter à tous la paix et la joie. Je vous bénis de grand cœur !

I offer a cordial welcome to all the English-speaking pilgrims and visitors present at today’s Audience. My special greeting goes to the Lutheran pilgrims from Finland. I also greet the group of sailors and marines from the United States. Upon all of you and your families I cordially invoke God’s abundant blessings!

Von Herzen grüße ich alle deutschsprachigen Pilger, heute besonders eine Delegation von österreichischen Pfarrgemeinderatsmitgliedern in Begleitung von Bischof Alois Schwarz sowie eine Delegation der Mainzer Ranzengarde. Herzlich Willkommen! Beten wir in dieser Woche um die Einheit aller Christen, damit das gemeinsame Zeugnis, die Solidarität und die Zusammenarbeit wachse und wir dann wirklich dem Tag entgegengehen dürfen, an dem wir miteinander den von den Aposteln überlieferten Glauben bekennen und die Sakramente der Umgestaltung in Christus feiern dürfen. Danke für Ihre Aufmerksamkeit.

Saludo a los peregrinos de lengua española, en particular a los miembros del Patronato de la Fundación “Santa Teresa de Ávila” de la Universidad Católica de Ávila, acompañados por el Gran Canciller de la misma, así como a los demás grupos de España y de los países latinoamericanos. Os invito a implorar de Dios el don de la unidad de los cristianos, para que crezca el testimonio común y la colaboración, y podamos un día profesar todos juntos la fe transmitida por los Apóstoles y celebrar los sacramentos de nuestra transformación en Cristo. Muchas gracias.

Amados peregrinos de língua portuguesa, nomeadamente os brasileiros vindos de São Paulo, Recife, Belo Horizonte e Rio de Janeiro, sede bem-vindos! A todos saúdo com grande afeto e alegria, exortando-vos a perseverar na oração, nesta Semana pela Unidade, para que possa crescer entre os cristãos o testemunho comum, a solidariedade e a colaboração! E que Deus vos abençoe!

Saluto in lingua polacca:

Witam serdecznie obecnych tu Polaków. Dzisiaj pragnę zachęcić was do ufnej modlitwy o jedność chrześcijan. Niech nie zabraknie też gestów wzajemnego zrozumienia, pojednania i gotowości do dialogu. Niech będą one, zgodnie z hasłem tego Tygodnia modlitw, świadectwem przemiany i zwycięstwa Chrystusa w naszym życiu. Waszym ekumenicznym dążeniom z serca błogosławię.

Traduzione italiana:

Saluto cordialmente tutti i Polacchi qui presenti. Oggi voglio esortarvi alla fiduciosa preghiera per l’unita dei cristiani, affinché non manchino gesti di reciproca comprensione, di riconciliazione e di apertura al dialogo. Secondo il motto di questa Settimana di preghiera, tali gesti siano il segno della nostra trasformazione e della vittoria di Cristo nella nostra vita. Benedico di cuore i vostri sforzi ecumenici.}

* * *

Cari fratelli e sorelle,

Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare saluto i sacerdoti aderenti al Movimento dei Focolari ed auspico che le giornate di studio di questi giorni li aiutino a perseverare nella generosa sequela di Cristo e nella gioiosa testimonianza del suo Vangelo. Saluto gli studenti della diocesi di Caserta accompagnati dal loro Vescovo Mons. Pietro Farina: questo incontro rafforzi in ciascuno la fede e l’impegno di vita cristiana. Saluto con affetto i piccoli degenti dell’Istituto nazionale per la ricerca e la cura dei tumori di Milano ed assicuro la mia fervida preghiera affinché il Signore sostenga ognuno con la sua grazia. Saluto la folta rappresentanza dell’Ordine degli Avvocati di Roma e, mentre li ringrazio per la loro presenza, desidero incoraggiarli a svolgere la loro delicata professione mantenendosi sempre fedeli alla verità, presupposto fondamentale per l’attuazione della giustizia.

Porgo, inoltre, un cordiale saluto ai giovani, ai malati ed agli sposi novelli. Invito voi, cari giovani, a testimoniare sempre con generosità la vostra fede in Cristo, che illumina il cammino della vita. Sia la fede un costante conforto nella sofferenza di tutti voi, cari malati. E per voi, cari sposi novelli, la luce di Cristo sia guida efficace nella vostra esistenza familiare.

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