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martedì 31 gennaio 2012

Riscoprire i Santi - San Giovanni Bosco

Torna l'appuntamento settimanale, volto alla scoperta dei nostri cari Santi! Oggi la Chiesa Cattolica celebra la memoria di un grande sacerdote, San Giovanni Bosco, noto soprattutto per il suo amore e per la sua dedizione verso il mondo giovanile. Ne riscopriamo la storia attraverso il consueto tratto biografico estratto da Santi & Beati seguito da uno scritto del Santo in cui vi è un bellissimo botta e risposta tra un padre con il figlio su chi è Dio:

San Giovanni Bosco è indubbiamente il più celebre santo piemontese di tutti i tempi, nonché su scala mondiale il più famoso tra i santi dell’epoca contemporanea: la sua popolarità è infatti ormai giunta in tutti i continenti, ove si è diffusa la fiorente Famiglia Salesiana da lui fondata, portatrice del suo carisma e della sua operosità, che ad oggi è la congregazione religiosa più diffusa tra quelle di recente fondazione.
Don Bosco fu l’allievo che diede maggior lustro al suo grande maestro di vita sacerdotale, nonché suo compaesano, San Giuseppe Cafasso: queste due perle di santità sbocciarono nel Convitto Ecclesiastico di San Francesco d’Assisi in Torino.
Giovanni Bosco nacque presso Castelnuovo d’Asti (oggi Castelnuovo Don Bosco) in regione Becchi, il 16 agosto 1815, frutto del matrimonio tra Francesco e la Serva di Dio Margherita Occhiena. Cresciuto nella sua modesta famiglia, dalla santa madre fu educato alla fede ed alla pratica coerente del messaggio evangelico. A soli nove anni un sogno gli rivelò la sua futura missione volta all’educazione della gioventù. Ragazzo dinamico e concreto, fondò fra i coetanei la “società dell’allegria”, basata sulla “guerra al peccato”.
Entrò poi nel seminario teologico di Chieri e ricevette l’ordinazione presbiterale nel 1841. Iniziò dunque il triennio di teologia morale pratica presso il suddetto convitto, alla scuola del teologo Luigi Guala e del santo Cafasso. Questo periodo si rivelò occasione propizia per porre solide basi alla sua futura opera educativa tra i giovani, grazie a tre provvidenziali fattori: l’incontro con un eccezionale educatore che capì le sue doti e stimolo le sue potenzialità, l’impatto con la situazione sociale torinese e la sua straordinaria genialità, volta a trovare risposte sempre nuove ai numerosi problemi sociali ed educativi sempre emergenti.
Come succede abitualmente per ogni congregazione, anche la grande opera salesiana ebbe inizi alquanto modesti: l’8 dicembre 1841, dopo l’incontro con il giovane Bartolomeo Garelli, il giovane Don Bosco iniziò a radunare ragazzi e giovani presso il Convitto di San Francesco per il catechismo. Torino era a quel tempo una città in forte espansione su vari aspetti, a causa della forte immigrazione dalle campagne piemontesi, ed il mondo giovanile era in preda a gravi problematiche: analfabetismo, disoccupazione, degrado morale e mancata assistenza religiosa. Fu infatti un grande merito donboschiano l’intuizione del disagio sociale e spirituale insito negli adolescenti, che subivano il passaggio dal mondo agricolo a quello preindustriale, in cui si rivelava solitamente inadeguata la pastorale tradizionale.
Strada facendo, Don Bosco capì con altri giovani sacerdoti che l’oratorio potesse costituire un’adeguata risposta a tale critica situazione. Il primo tentativo in tal senso fu compiuto dal vulcanico Don Giovanni Cocchi, che nel 1840 aveva aperto in zona Vanchiglia l’oratorio dell’Angelo Custode. Don Bosco intitolò invece il suo primo oratorio a San Francesco di Sales, ospite dell’Ospedaletto e del Rifugio della Serva di Dio Giulia Colbert, marchesa di Barolo, ove dal 1841 collaborò con il teologo Giovanni Battista Borel. Quattro anni dopo trasferì l’oratorio nella vicina Casa Pinardi, dalla quale si sviluppò poi la grandiosa struttura odierna di Valdocco, nome indelebilmente legato all’opera salesiana.
Pietro Stella, suo miglior biografo, così descrisse il giovane sacerdote: “Prete simpatico e fattivo, bonario e popolano, all’occorrenza atleta e giocoliere, ma già allora noto come prete straordinario che ardiva fare profezie di morti che poi si avveravano, che aveva già un discreto alone di venerazione perché aveva in sé qualcosa di singolare da parte del Signore, che sapeva i segreti delle coscienze, alternava facezie e confidenze sconvolgenti e portava a sentire i problemi dell’anima e della salvezza eterna”.
Spinto dal suo innato zelo pastorale, nel 1847 Don Bosco avviò l’oratorio di San Luigi presso la stazione ferroviaria di Porta Nuova. Nel frattempo il cosiddetto Risorgimento italiano, con le sue articolate vicende politiche, provocò anche un chiarimento nell’esperienza degli oratori torinesi, evidenziando due differenti linee seguite dai preti loro responsabili: quella apertamente politicizzata di cui era fautore Don Cocchi, che nel 1849 aveva tentato di coinvolgere i suoi giovani nella battaglia di Novara, e quella più religiosa invece sostenuta da Don Bosco, che prevalse quando nel 1852 l’arcivescovo mons. Luigi Fransoni lo nominò responsabile dell’Opera degli Oratori, affidando così alle sue cure anche quello dell’Angelo Custode.
La principale preoccupazione di Don Bosco, concependo l’oratorio come luogo di formazione cristiana, era infatti sostanzialmente di tipo religioso-morale, volta a salvare le anime della gioventù. Il santo sacerdote però non si accontentò mai di accogliere quei ragazzi che spontaneamente si presentavano da lui, ma si organizzò al fine di raggiungerli ed incontrarli ove vivevano.
Se la salvezza dell’anima era l’obiettivo finale, la formazione di “buoni cristiani ed onesti cittadini” era invece quello immediato, come Don Bosco soleva ripetere. In tale ottica concepì gli oratori quali luoghi di aggregazione, di ricreazione, di evangelizzazione, di catechesi e di promozione sociale, con l’istituzione di scuole professionali.
L’amorevolezza costituì il supremo principio pedagogico adottato da Don Bosco, che faceva notare come non bastasse però amare i giovani, ma occorreva che essi percepissero di essere amati. Ma della sua pedagogia un grande frutto fu il cosiddetto “metodo preventivo”, nonché l’invito alla vera felicità insito nel detto: “State allegri, ma non fate peccati”.
Don Bosco, sempre attento ai segni dei tempi, individuò nei collegi un valido strumento educativo, in particolare dopo che nel 1849 furono regolamentati da un’opportuna legislazione: fu così che nel 1863 fu aperto un piccolo seminario presso Mirabello, nella diocesi di Casale Monferrato.
Altra svolta decisiva nell’opera salesiana avvenne quando Don Bosco si sentì coinvolto dalla nuova sensibilità missionaria propugnata dal Concilio Ecumenico Vaticano I e, sostenuto dal pontefice Beato Pio IX e da vari vescovi, nel 1875 inviò i suoi primi salesiani in America Latina, capeggiati dal Cardinale Giovanni Cagliero, con il principale compito di apostolato tra gli emigrati italiani. Ben presto però i missionari estesero la loro attività dedicandosi all’evangelizzazione delle popolazioni indigene, culminata con il battesimo conferito da Padre Domenico Milanesio al Venerabile Zeffirino Namuncurà, figlio dell’ultimo grande cacico delle tribù indios araucane.
Uomo versatile e dotato di un’intelligenza eccezionale, con il suo fiuto imprenditoriale Don Bosco considerò la stampa un fondamentale strumento di divulgazione culturale, pedagogica e cristiana. Scrittore ed editore, tra le principali sue opere si annoverano la “Storia d’Italia”, “Il sistema metrico decimale” e la collana “Letture Cattoliche”. Non mancarono alcune biografie,tra le quali spicca quella del più bel frutto della sua pedagogia, il quindicenne San Domenico Savio, che aveva ben compreso la sua lezione: “Noi, qui, alla scuola di Don Bosco, facciamo consistere la santità nello stare molto allegri e nell’adempimento perfetto dei nostri doveri”. Scrisse inoltre le vite di altri due ragazzi del suo oratorio, Francesco Besucco e Michele Magone, nonché quella di un suo indimenticabile compagno di scuola, Luigi Comollo.
Pur essendo straordinariamente attivo, Don Bosco non avrebbe comunque potuto realizzare personalmente dal nulla tutta questa immane opera ed infatti sin dall’inizio godette del prezioso ausilio di numerosi sacerdoti e laici, uomini e donne. Al fine di garantire però una certa continuità e stabilità a ciò che aveva iniziato, fondò a Torino la Società di San Francesco di Sales (detti “Salesiani”), congregazione composta di sacerdoti, e nel 1872 a Mornese con Santa Maria Domenica Mazzarello le Figlie di Maria Ausiliatrice.
L’opinione pubblica contemporanea apprezzò molto la preziosa opera di promozione sociale da lui svolta, anche se la stampa laica gli fu sempre avversa, tanto che alla sua morte la Gazzetta del Popolo si limitò a citarne cognome, nome ed età nell’elenco dei defunti, mentre la Gazzetta Piemontese (l’odierna “La Stampa”) gli riservò l’articolo redazionale dosando accuratamente meriti e demeriti del celebre sacerdote: “Il nome di Don Bosco è quello di un uomo superiore che lascia e suscita dietro di sé un vivo contrasto di apprezzamenti e opposti giudizi e quasi due opposte fame: quello di benefattore insigne, geniale, e quello di prete avveduto e procacciate”.
Personalità forte ed intraprendente, bisognosa di particolare autonomia nella sua azione a tutto campo, non lasciava affatto indifferenti coloro che gli erano per svariati motivi a contatto. Ciò costituisce inoltre una spiegazione ai ripetuti scontri che ebbe con ben due arcivescovi torinesi: Ottaviano Riccardi di Netro e soprattutto Lorenzo Gastaldi. Lo apprezzò e lo appoggiò invece costantemente e senza riserve papa Pio IX, che con la sua potente intercessione permise all’opera salesiana di espandersi non solo a livello locale, sorte invece subita da numerosissime altre minute congregazioni.
Giovanni Bosco morì in Torino il 31 gennaio 1888, giorno in cui è ricordato dal Martyrologium Romanum e la Chiesa latina ne celebra la Memoria liturgica. Alla guida della congregazione gli succedette il Beato Michele Rua, uno dei suoi primi fedeli discepoli. La sua salma fu in un primo tempo sepolta nella chiesa dell’istituto salesiano di Valsalice, per poi essere trasferita nella basilica di Maria Ausiliatrice, da lui fatta edificare. Il pontefice Pio XI, suo grande ammiratore, beatificò Don Bosco il 2 giugno 1929 e lo canonizzò il 1° aprile 1934. La città di Torino ha dedicato alla memoria del santo una strada, una scuola ed un grande ospedale. Nel centenario della morte, nel 1988 Giovanni Paolo II, recatosi in visita ai luoghi donboschiani, lo dichiarò Padre e Maestro della gioventù, “stabilendo che con tale titolo egli sia onorato e invocato, specialmente da quanti si riconoscono suoi figli spirituali”.
La venerazione che Don Bosco ebbe, in vita ed in morte, per sua madre fu trasmessa alla congregazione, che negli anni ’90 del XX secolo ha pensato di introdurre finalmente la causa di beatificazione di Mamma Margherita. Merita infine ricordare la prolifica stirpe di santità generata da Don Bosco, tanto che allo stato attuale delle cause, la Famiglia Salesiana può contare ben 5 santi, 51 beati, 8 venerabili ed 88 servi di Dio.

Scritto tratto da: IL CATTOLICO NEL SECOLO - TRATTENIMENTI FAMIGLIARI DI UN PADRE CO’SUOI FIGLIOLI INTORNO ALLA RELIGIONE



Trattenimento I. Dio Creatore - Argomento metafisico.

P. Tutto viene da Dio, o figliuoli miei, tutto devesi a Dio riferire, perchè tutto da Lui ebbe principio: quindi noi volendo trattare delle cose più importanti, cioè di nostra S. Religione, dobbiamo cominciare da Colui che ne è l’Autore.

F. Benissimo, o padre; noi vi porremo ascolto assai volentieri mentre ci parlate di Dio e delle sue maraviglie: ma ci fareste cosa gratissima, se ci voleste dire in modo chiaro e semplice chi è Dio.

P. Opportuna è la vostra dimanda, o figliuoli, difficile però assai, perchè Dio è tutto, abbraccia tutto, quantunque non si debba confondere col {13 [13]} tutto. Egli pertanto non si può descrivere nè definire; solamente ci è dato di dare qualche idea della sua divinità e de’suoi attributi. Dio si suole appellare uno Spirito perfettissimo, Creatore, Signore del cielo e della terra. Egli non ebbe principio e non avrà mai fine; e non dipende da alcuno, ma tutto dipende da Lui. Non è composto di materia come questo nostro corpo, ma è un purissimo spirito, che diede l’esistenza a tutte le cose spirituali e materiali, visibili ed invisibili. Non ha gli occhi, ma colla sua infinita sapienza Egli vede tutto quello che noi facciamo sia di giorno, sia di notte: penetra perfino in ogni segreto nascondiglio del nostro cuore. È infinitamente sapiente, perciò sa tutto il passato, tutto il presente e l’avvenire. Anzi in Dio non vi ha nè passato, nè avvenire, ma un punto solo che è il presente. Così che Egli conosce ogni desiderio, pensiero e divisamento, che eziandio per un istante ci passi per la mente.

F. Le cose che ci esponete sono belle molto, ma non le comprendiamo con tanta agevolezza. Diteci dunque: se Dio è purissimo spirito, come mai possiamo vederlo e conoscerne l’esistenza cogli occhi del corpo?

P. Noi certo non possiamo veder Dio cogli occhi del corpo, ma sì bene lo vediamo con certezza infallibile col lume della ragione e della fede. {14 [14]} Siccome questo argomento è della massima importanza, così io seguendo le norme che propongono la ragione e la religione farò di darvi la dovuta istruzione.

Volendo argomentare, come usano di fare i filosofi, diciamo: Senza niente si fa niente; ora esisto io che sono creatura, dunque deve esistere Dio Creatore; esistono tutte le cose di questo mondo, dunque avvi una potenza che le ha create. Questa potenza creatrice la si chiami pure Ente supremo, Essere onnipotente, Causa prima, Principio dei principii, Signore e Padrone di tutto e di tutti, si viene però sempre con tali espressioni ad indicare Colui, che creò tutto e a tutte le cose diede l’esistenza.

F. Non potrebbe essere per avventura che qualcuno sconosciuto sia la Causa prima che abbia dato l’esistenza alle cose?

P. Se alcuno volesse supporre uno sconosciuto, il quale abbia creato e dato esistenza alle cose, noi diremo subito che questi è Dio: perciocchè non dandosi effetto senza causa, ne segue, che non può esistere la creatura senza il Creatore; a meno che si volesse asserire che una cosa possa esser causa ed effetto ad un tempo, dare esistenza a sè e poi darla agli altri; la qual cosa è assolutamente assurda, perchè non si vide mai alcuna cosa farsi da sè. Ascoltate un lepido episodio che serve a spiegare {15 [15]} quanto diciamo. Un pollaiuolo andava un giorno al mercato con parecchi altri, tra cui uno il quale, vantandosi grande conoscitore nel fatto della politica e della religione, passò ben presto a sparlare di Dio e della Chiesa Cattolica bestialmente. Siccome il buon pollaiuolo aveva fatto poco studio, così lasciando da parte i ragionamenti si fece a rispondergli col solo buon senso. Tolse in mano una delle sue galline e mostrandola al compagno: - Signore, gli disse, chi ha fatto questa gallina?

- La gallina fu fatta dall’uovo, rispose l’altro sorridendo.

- Chi ha fatto l’uovo?

- Oh quanto siete ingenuo? L’uovo fu fatto dalla gallina.

- Cominciò ad esistere prima l’uovo o la gallina?

- Cominciò ad esistere prima l’uovo, da cui nacque la gallina.

- Ma dunque chi ha fatto questo primo uovo da cui nacque la gallina?

L’altro a questa non seppe più che rispondere: ma tutti quelli che si trovarono presenti ammirarono il discorso del pollaiuolo e ad una voce esclamarono: Andate pure dall’uovo alla gallina finchè volete; ma dovete in fine conchiudere doverci essere un Dio onnipotente che abbia creato l’uovo e la gallina. {16 [16]}

F. Non si potrebbe pensare che tutto si è formato a caso?

P. Il caso è niente, e niente fa niente; il caso non produce nè conserva l’ordine, ma sibbene lo rompe e lo distrugge. Ditemi: Chi mai potrebbe credere e sostenere che questo quadro, che questo palazzo, che questa nostra città siansi formati da se stessi a caso?

F. Sono di parere che per grossa che uno abbia la testa non gli potrebbe giammai entrare dentro cosiffatta sciocchezza.

P. Ora’tanto meno potrà entrare in un capo ragionevole, che questo universo sia stato fatto dal caso. Sì, miei cari figli, l’esistenza di questo mondo dimostra fino alla evidenza che esiste un Essere il quale lo creò, traendolo dal niente colla sua infinita potenza.

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