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lunedì 31 ottobre 2011

Papa: Gesù è il nostro vero e unico Maestro

Angelus di Papa Benedetto XVI - 30 Ottobre 2011

BENEDETTO XVI

ANGELUS

Piazza San Pietro
 Domenica, 30 ottobre 2011



Cari fratelli e sorelle!

Nella liturgia di questa domenica, l’apostolo Paolo ci invita ad accostare il Vangelo «non come parola di uomini, ma come è veramente, quale Parola di Dio» (1 Ts 2,13). In questo modo possiamo accogliere con fede gli ammonimenti che Gesù rivolge alla nostra coscienza, per assumere un comportamento conforme ad essi. Nel brano odierno, Egli rimprovera gli scribi e i farisei, che avevano nella comunità un ruolo di maestri, perché la loro condotta era apertamente in contrasto con l’insegnamento che proponevano agli altri con rigore. Gesù sottolinea che costoro «dicono e non fanno» (Mt 23,3); anzi, «legano fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito» (Mt 23,4). La buona dottrina va accolta, ma rischia di essere smentita da una condotta incoerente. Per questo Gesù dice: «Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere» (Mt 23,3). L’atteggiamento di Gesù è esattamente l’opposto: Egli pratica per primo il comandamento dell’amore, che insegna a tutti, e può dire che esso è un peso leggero e soave proprio perché ci aiuta a portarlo insieme con Lui (cfr Mt 11,29-30).

Pensando ai maestri che opprimono la libertà altrui in nome della propria autorità, San Bonaventura indica chi è l’autentico Maestro, affermando: «Nessuno può insegnare e nemmeno operare, né raggiungere le verità conoscibili senza che sia presente il Figlio di Dio» (Sermo I de Tempore, Dom. XXII post Pentecosten, Opera omnia, IX, Quaracchi, 1901, 442). «Gesù siede sulla “cattedra” come il Mosè più grande, che estende l’Alleanza a tutti i popoli» (Gesù di Nazaret, Milano 2007, 89). È Lui il nostro vero e unico Maestro! Siamo, pertanto, chiamati a seguire il Figlio di Dio, il Verbo incarnato, che esprime la verità del suo insegnamento attraverso la fedeltà alla volontà del Padre, attraverso il dono di se stesso. Scrive il beato Antonio Rosmini: «Il primo maestro forma tutti gli altri maestri, come pure forma gli stessi discepoli, perché [sia gli uni che gli altri] esistono soltanto in virtù di quel primo tacito, ma potentissimo magistero» (Idea della Sapienza, 82, in: Introduzione alla filosofia, vol. II, Roma 1934, 143). Gesù condanna fermamente anche la vanagloria e osserva che operare «per essere ammirati dalla gente» (Mt 23,5) pone in balia dell’approvazione umana, insidiando i valori che fondano l’autenticità della persona.

Cari amici, il Signore Gesù si è presentato al mondo come servo, spogliando totalmente se stesso e abbassandosi fino a dare sulla croce la più eloquente lezione di umiltà e di amore. Dal suo esempio scaturisce la proposta di vita: «Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo» (Mt 23,11). Invochiamo l’intercessione di Maria Santissima e preghiamo, in particolare, per quanti nella comunità cristiana sono chiamati al ministero dell’insegnamento, affinché possano sempre testimoniare con le opere le verità che trasmettono con la parola.


Dopo l'Angelus

Cari fratelli e sorelle,

vorrei esprimere la mia vicinanza alle popolazioni della Thailandia colpite da gravi inondazioni, come pure, in Italia, a quelle della Liguria e della Toscana, recentemente danneggiate dalle conseguenze di forti piogge. Assicuro per loro la mia preghiera.

{Saluti in varie lingue: Je suis heureux de saluer ce matin les pèlerins de langue française, particulièrement la paroisse Saint-Nicolas, de la Principauté de Monaco. Alors que s’achève le mois du Rosaire, je vous invite à vous tourner avec confiance vers la Vierge Marie. À son école, apprenons à connaître Jésus, son Fils, afin de marcher à sa suite sur les chemins de l’Évangile. Que la tendresse maternelle de la Mère du Seigneur apporte à chacun réconfort et soutien, en particulier aux personnes qui souffrent ou qui sont dans l’épreuve ! Bon dimanche à tous !

I am pleased to greet the English-speaking visitors and pilgrims present. In the Gospel of today’s liturgy, Christ urges us to combine humility with our charitable service towards our brothers and sisters. Indeed, may we always imitate his perfect example of service in our daily lives. I invoke God’s blessings upon all of you!

Von Herzen grüße ich alle Pilger und Besucher deutscher Sprache. Im heutigen Evangelium verbindet der Herr wahre menschliche Größe mit der Haltung des Dienens. Der Dienende macht deutlich, wie wir auf Gottes Liebe antworten können. Im Dienen öffnen wir unser Herz für den Herrn, der selbst gekommen ist, nicht um bedient zu werden, sondern um zu dienen. Zugleich werden wir zu den Menschen gesandt, um auch ihnen mit unserer Liebe zu dienen. Gott befähigt uns dazu, daß in allem, was wir tun, seine Liebe zu uns durchscheinen kann. Bitten wir darum, Diener Gottes und damit Diener der Menschen sein zu können. – Dazu schenke der Herr euch allen seinen Segen.

Saludo con afecto a los peregrinos de lengua española, en particular a los fieles de la parroquia de Santa María Magdalena, de La Nou de Gaià. En el Evangelio de este domingo, el Señor nos exhorta a comportarnos siempre con rectitud de espíritu, entregándonos de corazón al servicio de nuestros hermanos como verdaderos hijos de Dios. Pidamos a la Virgen María, nuestra Madre celestial, que interceda por nosotros para que, cada vez más unidos interiormente a Cristo, sepamos dar un testimonio eficaz de su amor. Feliz domingo.

Saúdo agora os peregrinos de língua portuguesa, de modo especial os fiéis brasileiros da Paróquia de São Cristovão, da Diocese de São João da Boa Vista. Possa esta visita a Roma confirmar a vossa fé, como os Apóstolos Pedro e Paulo, na Boa Nova de Jesus Cristo! Por ela, sabemos que somos filhos no Filho e entramos no seio da Santíssima Trindade. Desça, sobre vós e vossas famílias, a minha Bênção Apostólica.

Pozdrawiam serdecznie wszystkich Polaków. W dzisiejszej Ewangelii słyszymy: „Jeden jest Ojciec wasz, Ten w niebie i jeden jest wasz Nauczyciel, Chrystus” (por. Mt 23, 8-9). To On uczy nas jak żyć miłością Ojca. Dlatego pochodzące od Ojca zasady moralne Ewangelii, nie mogą być przedmiotem wątpliwości, przetargów, dyskusji. Ewangelia wiedzie nas do konkretnych czynów, w których przejawia się miłość pochodząca od Boga Ojca. Na ich wypełnianie z serca wam błogosławię.

 [Saluto cordialmente tutti i Polacchi. Nel Vangelo odierno abbiamo sentito: “Uno solo è il Padre vostro, quello celeste e uno solo è il vostro Maestro, il Cristo (cfr. Mt 23, 8-9). È Lui che ci insegna come vivere l’amore del Padre. Per questo i principi morali provenienti dal Padre non possono essere oggetto di dubbio, di contrattazione, di discussione. Il Vangelo ci conduca alle opere concrete, nelle quali si manifesta l’amore che proviene da Dio Padre. Per questo impegno vi benedico di cuore.]}

***

Rivolgo un cordiale saluto alle Religiose Figlie di Cristo Re, insieme con i collaboratori laici che condividono il loro carisma e la loro missione. Saluto con affetto i pellegrini di lingua italiana, in particolare i fedeli provenienti da Commessaggio, i ragazzi dell’Oratorio di Petosino, il gruppo di anziani di Brunello e gli alunni della Scuola “Settanni” di Rutigliano. A tutti auguro una buona domenica, una buona settimana. Grazie. Buona domenica!

© Copyright 2011 - Libreria Editrice Vaticana

domenica 30 ottobre 2011

Video Vangelo: XXXI ordinario (A)

Molte cattedre, ma un solo maestro

(Mt 23,1-12) 
31^ Domenica Tempo Ordinario

Questa volta sono guai per scribi e farisei; guai per davvero, senza sconti e senza appello.
Il capitolo XXIII di Matteo è tutta una serie di “guai”, dall’inizio fino alla fine.

• Carta d’identità dei “dottori” 

Dopo il susseguirsi di attacchi e contrattacchi sferrati le volte scorse a Gesù con l’intento di “metterlo alla prova”, oggi sembra quasi che il Signore voglia prendersi una rivincita alla grande e stigmatizza l’agire di scribi e farisei - di quelli cioè che sedevano sulla cattedra di Mosè, nientemeno - stilando loro questa terribile carta d’identità i cui dati salienti sono:
- dicono e non fanno
- legano pesanti fardelli sulle spalle degli altri, ma loro non li toccano neppure con un dito
- vogliono essere chiamati maestri ed essere applauditi ed ammirati
- fanno proseliti per renderli poi figli dell’inferno (tremendo!).
E poi arriva a raffica la scarica dei “guai a voi scribi e farisei ipocriti che chiudete il regno dei cieli in faccia agli uomini e così non vi entrate neppure voi” a cui segue tutto un elenco delle loro altre nefandezze. Di che rimanere tramortiti! Poveri dottori che la sapevano lunga e ci tenevano tanto al loro titolo cattedratico…

• Cos’è che grida più forte? 

Mi viene in mente un proverbio indiano che dice: ”Ciò che fai grida così forte da impedirmi di udire ciò che dici”. E’ questa l’unica verità uguale per tutti, l’unico documento valido come lasciapassare per il Regno: i fatti! “Venite benedetti, avevo fame, mi avete dato da mangiare, avevo sete mi avete dato da bere, ero triste, mi avete consolato…”.
Saremo giudicati su ciò che avremo fatto. “Alla sera della vita saremo giudicati sull’amore” (san Giovanni della Croce). L’amore effettivo non quello solo affettivo, fatto di belle parole e di buone intenzioni. In francese si dice che “ l’enfer est pavé de bonnes intentions” (l’inferno è piastrellato di buone intenzioni)…
Stiamo per celebrare le ricorrenze dei Santi e dei Morti e siamo invitati a riflettere su quest’ultimo traguardo che dovremo varcare tutti, volenti o nolenti. Dovremmo abituarci fin da ora a considerarlo come un ritorno in Patria; un incontrare il Padre che ci aspetta a braccia spalancate, e non considerarlo come la caduta in un buco nero di cui non sappiamo niente e in cui tutto finisce. E’esattamente il contrario! Sarà allora che tutto comincerà e sarà un’esplosione di vita rispetto alla quale, questa esistenza che viviamo quaggiù, è solo un pallido abbozzo. “ E’ l’unica vera vita, la sola beata perché in essa si godono le delizie del Signore per l’eternità, dopo di essere diventati immortali ed incorruttibili nel corpo e nell’anima. Chiunque avrà conseguito questa vita avrà tutto ciò che vuole, né potrà desiderare di più” (S. Agostino). Anzi, la visione di Dio colmerà all’infinito tutti i nostri desideri di felicità, dice San Tommaso d’Aquino.

• L’umiltà ci fa andare “oltre”… 

Il Vangelo odierno conclude: “Chi si innalza sarà abbassato e chi si abbassa sarà innalzato”. L’umiltà oggi non è certamente gridata sui tetti, ma questo vangelo ci dimostra come essa sia la virtù più importante, dopo la carità, per entrare nel Regno. I farisei erano i “puri”, quelli che osservavano un’infinità di prescrizioni rituali e di precetti, ma “i peccatori e i pubblicani vi passano avanti nel Regno dei Cieli”. Tutte le altre miserie, il Signore ce le perdona, ma la mancanza di umiltà è la più grande barriera che ci impedisce di entrare in comunione con Dio perché ci blocca su noi stessi. Ci ferma lì e ci impedisce di alzare lo sguardo e riconoscere Lui come nostro unico Dio e Signore, dal quale ci viene ogni dono perfetto. L’umiltà è come una luce che si accende nella notte e, dissipando le tenebre dell’orgoglio, ci permetterà di vedere la Stella lucente, l’astro divino che inonderà anche noi di luce gloriosa rendendoci simili a Lui per i secoli eterni.

Wilma Chasseur

sabato 29 ottobre 2011

Benedetto XVI: annunciare senza cedere alla secolarizzazione

In difesa della vita - Evangelium vitae - XXXV

Torna l'appuntamento con la Lettera Enciclica "Evangelium vitae", in difesa della vita. La scorsa volta il Beato Giovanni Paolo II ci ha ricordato che noi siamo il popolo della vita poiché Dio ci ha donato il Vangelo della vita: oggi possiamo vedere come egli ci ricordi soprattutto che noi siamo chiamati ad annunciare questo Vangelo della Vita che abbiamo conosciuto e lo dobbiamo fare senza timore di andare controcorrente:

«Quello che abbiamo veduto e udito noi lo annunziamo anche a voi» (1 Gv 1, 3): annunciare il Vangelo della vita

80. «Ciò che era fin da principio, ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita... noi lo annunziamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi» (1 Gv 1, 1.3). Gesù è l'unico Vangelo: noi non abbiamo altro da dire e da testimoniare.

È proprio l'annuncio di Gesù ad essere annuncio della vita. Egli, infatti, è «il Verbo della vita» (1 Gv 1, 1). In lui «la vita si è fatta visibile» (1 Gv 1, 2); anzi lui stesso è «la vita eterna, che era presso il Padre e si è resa visibile a noi» (ivi). Questa stessa vita, grazie al dono dello Spirito, è stata comunicata all'uomo. Ordinata alla vita in pienezza, la «vita eterna», anche la vita terrena di ciascuno acquista il suo senso pieno.

Illuminati da questo Vangelo della vita, sentiamo il bisogno di proclamarlo e di testimoniarlo nella novità sorprendente che lo contraddistingue: poiché si identifica con Gesù stesso, apportatore di ogni novità 103 e vincitore della «vecchiezza» che deriva dal peccato e porta alla morte,104 tale Vangelo supera ogni aspettativa dell'uomo e svela a quali sublimi altezze viene elevata, per grazia, la dignità della persona. Così la contempla san Gregorio di Nissa: «L'uomo che, tra gli esseri, non conta nulla, che è polvere, erba, vanità, una volta che è adottato dal Dio dell'universo come figlio, diventa familiare di questo Essere, la cui eccellenza e grandezza nessuno può vedere, ascoltare e comprendere. Con quale parola, pensiero o slancio dello spirito si potrà esaltare la sovrabbondanza di questa grazia? L'uomo sorpassa la sua natura: da mortale diventa immortale, da perituro imperituro, da effimero eterno, da uomo diventa dio».105

La gratitudine e la gioia per l'incommensurabile dignità dell'uomo ci spinge a rendere tutti partecipi di questo messaggio: «Quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunciamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi» (1 Gv 1, 3). È necessario far giungere il Vangelo della vita al cuore di ogni uomo e donna e immetterlo nelle pieghe più recondite dell'intera società.

81. Si tratta di annunciare anzitutto il centro di questo Vangelo. Esso è annuncio di un Dio vivo e vicino, che ci chiama a una profonda comunione con sé e ci apre alla speranza certa della vita eterna; è affermazione dell'inscindibile legame che intercorre tra la persona, la sua vita e la sua corporeità; è presentazione della vita umana come vita di relazione, dono di Dio, frutto e segno del suo amore; è proclamazione dello straordinario rapporto di Gesù con ciascun uomo, che consente di riconoscere in ogni volto umano il volto di Cristo; è indicazione del «dono sincero di sé» quale compito e luogo di realizzazione piena della propria libertà.

Nello stesso tempo, si tratta di additare tutte le conseguenze di questo stesso Vangelo, che così si possono riassumere: la vita umana, dono prezioso di Dio, è sacra e inviolabile e per questo, in particolare, sono assolutamente inaccettabili l'aborto procurato e l'eutanasia; la vita dell'uomo non solo non deve essere soppressa, ma va protetta con ogni amorosa attenzione; la vita trova il suo senso nell'amore ricevuto e donato, nel cui orizzonte attingono piena verità la sessualità e la procreazione umana; in questo amore anche la sofferenza e la morte hanno un senso e, pur permanendo il mistero che le avvolge, possono diventare eventi di salvezza; il rispetto per la vita esige che la scienza e la tecnica siano sempre ordinate all'uomo e al suo sviluppo integrale; l'intera società deve rispettare, difendere e promuovere la dignità di ogni persona umana, in ogni momento e condizione della sua vita.

82. Per essere veramente un popolo al servizio della vita dobbiamo, con costanza e coraggio, proporre questi contenuti fin dal primo annuncio del Vangelo e, in seguito, nella catechesi e nelle diverse forme di predicazione, nel dialogo personale e in ogni azione educativa. Agli educatori, insegnanti, catechisti e teologi, spetta il compito di mettere in risalto le ragioni antropologiche che fondano e sostengono il rispetto di ogni vita umana. In tal modo, mentre faremo risplendere l'originale novità del Vangelo della vita, potremo aiutare tutti a scoprire anche alla luce della ragione e dell'esperienza, come il messaggio cristiano illumini pienamente l'uomo e il significato del suo essere ed esistere; troveremo preziosi punti di incontro e di dialogo anche con i non credenti, tutti insieme impegnati a far sorgere una nuova cultura della vita.

Circondati dalle voci più contrastanti, mentre molti rigettano la sana dottrina intorno alla vita dell'uomo, sentiamo rivolta anche a noi la supplica indirizzata da Paolo a Timoteo: «Annunzia la parola, insisti in ogni occasione opportuna e non opportuna, ammonisci, rimprovera, esorta con ogni magnanimità e dottrina» (2 Tm 4, 2). Questa esortazione deve risuonare con particolare vigore nel cuore di quanti, nella Chiesa, partecipano più direttamente, a diverso titolo, alla sua missione di «maestra» della verità. Risuoni innanzitutto per noi Vescovi: a noi per primi è chiesto di farci annunciatori instancabili delVangelo della vita; a noi è pure affidato il compito di vigilare sulla trasmissione integra e fedele dell'insegnamento riproposto in questa Enciclica e di ricorrere alle misure più opportune perché i fedeli siano preservati da ogni dottrina ad esso contraria. Una speciale attenzione dobbiamo porre perché nelle facoltà teologiche, nei seminari e nelle diverse istituzioni cattoliche venga diffusa, illustrata e approfondita la conoscenza della sana dottrina.106 L'esortazione di Paolo risuoni per tutti i teologi, per i pastori e per quanti altri svolgono compiti diinsegnamento, catechesi e formazione delle coscienze: consapevoli del ruolo ad essi spettante, non si assumano mai la grave responsabilità di tradire la verità e la loro stessa missione esponendo idee personali contrarie al Vangelo della vita quale il Magistero fedelmente ripropone e interpreta.

Nell'annunciare questo Vangelo, non dobbiamo temere l'ostilità e l'impopolarità, rifiutando ogni compromesso ed ambiguità, che ci conformerebbero alla mentalità di questo mondo (cf. Rm 12, 2). Dobbiamo essere nel mondo ma non del mondo (cf. Gv 15, 19; 17, 16), con la forza che ci viene da Cristo, che con la sua morte e risurrezione ha vinto il mondo (cf. Gv 16, 33).

venerdì 28 ottobre 2011

Bilocazione Padre Pio - II parte

Elvira - Figlia spirituale di Padre Pio - VIII

Continuiamo a scoprire la figura di Elvira, figlia spirituale di San Pio da Pietrelcina: oggi vediamo come si sono incrociate le strade di Elvira con quelle del Cardinal Roncalli, che tutti noi conosciamo come Papa Giovanni XXIII:


L'INCONTRO COL PATRIARCA RONCALLI

San Giovanni Rotondo era davvero un centro di smistamento, un luogo di incontri provvidenziali e di amicizie destinate a durare per sempre. Fu laggiù che Elvira conobbe, nel 1957, una signora di Carpanedo di Mestre che le dimostrò subito grande affetto e stima, tanto da invitarla, un giorno, a casa sua. Aveva radunato, per quella circostanza, una cinquantina di persone ed Elvira parlò, come ispirata, di Padre Pio, dell'apostolato che le faceva svolgere, del Gruppo di Preghiera che si sarebbe dovuto costituire a Carpanedo e che il Vescovo pareva non approvare. C'era presente anche un sacerdote che, dopo che l'ebbe sentita parlare, disse: "Anch'io non ero propenso a questi Gruppi di Preghiera, perché mi sembrava che ci fosse del fanatismo, ma ora mi sono ricreduto e capisco che è una cosa buona".

Egli stesso poi cominciò a darsi da fare per raccogliere gli aderenti. Certo Elvira, col suo contegno così misurato e prudente, col suo straordinario equilibrio, sapeva subito far cadere ogni sospetto di fanatismo.

Fra quelle persone che l'ascoltavano come rapite, c'era una signora che conosceva molto bene il patriarca di Venezia, Mons. Roncalli. Lo frequentava da tempo, perchè c'era un'amicizia di famiglia. Fu tanto colpita dall'eloquenza di Elvira, dalla sua fede ardente, dallo zelo che l'animava, che sentì il desiderio di presentarla al Patriarca, se lei avesse acconsentito a trattenersi un giorno ancora.

Elvira, che sentiva istintivamente una grande attrazione verso questo Cardinale, non se lo fece ripetere due volte. Fu dunque condotta alla presenza del futuro Papa, in un salottino privato dove lui fece poi portare il tè.

Elvira si rendeva conto dell'enorme distanza che li separava e nel parlargli non sapeva che titolo rivolgergli, ma questo non la metteva in imbarazzo, anzi, si sentiva piena di gioia confidenziale, perchè vedeva in lui un'anima santa. Egli la interrogò amabilmente su Padre Pio e sul lavoro che le faceva svolgere ed Elvira gli parlò del suo apostolato.

"Vedi, figliuolina - la incoraggiò lui - è un dono grande che tu hai. Sì, c'è l'aiuto di Gesù, della Madonnina..."

Infine la benedisse assicurandole la sua preghiera e lei tornò a casa felice.

Qualche tempo dopo si trovava per caso in un bar di Rimini, quando apprese, dalla televisione, che era stato fatto Papa il Cardinal Roncalli.

La sua contentezza fu incontenibile. In seguito, per ben due volte, fu ricevuta in udienza da questo Papa a cui potè parlare apertamente della sua missione.

Egli le diceva: "dì ai tuoi malati che Papa Giovanni, stassera, recita il Rosario per loro".

E nel dir così batteva il pugno sul bracciolo della poltrona come per dar più forza alla sua promessa.

giovedì 27 ottobre 2011

Udienza Generale di Papa Bendetto XVI - 26 Ottobre 2011

BENEDETTO XVI

UDIENZA GENERALE

Aula Paolo VI
 Mercoledì, 26 ottobre 2011




Preghiera in preparazione all'Incontro di Assisi
Pellegrini della Verità, Pellegrini della Pace

Cari fratelli e sorelle!

Sono lieto di accogliervi nella Basilica di San Pietro e di rivolgere il mio cordiale benvenuto a tutti voi che purtroppo non avete trovato posto nell’Aula Paolo VI. Vi incoraggio a rafforzare la vostra adesione al Vangelo per essere sempre disponibili e pronti a compiere la volontà del Signore. Con questi voti, di cuore imparto a tutti voi la mia Benedizione, che volentieri estendo alle vostre famiglie e alle persone care.

* * *

Cari fratelli e sorelle,

oggi il consueto appuntamento dell’Udienza generale assume un carattere particolare, poiché siamo alla vigilia della Giornata di riflessione, dialogo e preghiera per la pace e la giustizia nel mondo, che si terrà domani ad Assisi, a venticinque anni dal primo storico incontro convocato dal Beato Giovanni Paolo II. Ho voluto dare a questa giornata il titolo “Pellegrini della verità, pellegrini della pace”, per significare l’impegno che vogliamo solennemente rinnovare, insieme con i membri di diverse religioni, e anche con uomini non credenti ma sinceramente in ricerca della verità, nella promozione del vero bene dell’umanità e nella costruzione della pace. Come ho già avuto modo di ricordare, “Chi è in cammino verso Dio non può non trasmettere pace, chi costruisce pace non può non avvicinarsi a Dio”.

Come cristiani, siamo convinti che il contributo più prezioso che possiamo dare alla causa della pace è quello della preghiera. Per questo motivo ci ritroviamo oggi, come Chiesa di Roma, insieme ai pellegrini presenti nell’Urbe, nell’ascolto della Parola di Dio, per invocare con fede il dono della pace. Il Signore può illuminare la nostra mente e i nostri cuori e guidarci ad essere costruttori di giustizia e di riconciliazione nelle nostre realtà quotidiane e nel mondo.

Nel brano del profeta Zaccaria che abbiamo appena ascoltato è risuonato un annuncio pieno di speranza e di luce (cfr Zc 9,10). Dio promette la salvezza, invita ad “esultare grandemente” perché questa salvezza si sta per concretizzare. Si parla di un re: “Ecco, a te viene il tuo re. Egli è giusto e vittorioso” (v. 9), ma quello che viene annunciato non è un re che si presenta con la potenza umana, la forza delle armi; non è un re che domina con il potere politico e militare; è un re mansueto, che regna con l’umiltà e la mitezza di fronte a Dio e agli uomini, un re diverso rispetto ai grandi sovrani del mondo: “cavalca un asino, un puledro figlio d’asina”, dice il profeta (ibidem). Egli si manifesta cavalcando l’animale della gente comune, del povero, in contrasto con i carri da guerra degli eserciti dei potenti della terra. Anzi, è un re che farà sparire questi carri, spezzerà gli archi di battaglia, annuncerà la pace alle nazioni (cfr v. 10).

Ma chi è questo re di cui parla il profeta Zaccaria? Andiamo per un momento a Betlemme e riascoltiamo ciò che l’Angelo dice ai pastori che vegliavano di notte facendo guardia al proprio gregge. L’Angelo annuncia una gioia che sarà di tutto il popolo, legata ad un segno povero: un bambino avvolto in fasce, posto in una mangiatoia (cfr Lc 2,8-12). E la moltitudine celeste canta “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli ama” (v. 14), agli uomini di buona volontà. La nascita di quel bambino, che è Gesù, porta un annuncio di pace per tutto il mondo. Ma andiamo anche ai momenti finali della vita di Cristo, quando Egli entra in Gerusalemme accolto da una folla festante. L’annuncio del profeta Zaccaria dell’avvento di un re umile e mansueto tornò alla mente dei discepoli di Gesù in modo particolare dopo gli eventi della passione, morte e risurrezione, del Mistero pasquale, quando riandarono con gli occhi della fede a quel gioioso ingresso del Maestro nella Città Santa. Egli cavalca un asina, presa in prestito (cfr Mt 21,2-7): non è su di una ricca carrozza, non è a cavallo come i grandi. Non entra in Gerusalemme accompagnato da un potente esercito di carri e di cavalieri. Egli è un re povero, il re di coloro che sono i poveri di Dio. Nel testo greco appare il termine praeîs, che significa i mansueti, i miti; Gesù è il re degli anawim, di coloro che hanno il cuore libero dalla brama di potere e di ricchezza materiale, dalla volontà e dalla ricerca di dominio sull’altro. Gesù è il re di quanti hanno quella libertà interiore che rende capaci di superare l’avidità, l’egoismo che c’è nel mondo, e sanno che Dio solo è la loro ricchezza. Gesù è re povero tra i poveri, mite tra quelli che vogliono essere miti. In questo modo Egli è re di pace, grazie alla potenza di Dio, che è la potenza del bene, la potenza dell’amore. E’ un re che farà sparire i carri e i cavalli da battaglia, che spezzerà gli archi da guerra; un re che realizza la pace sulla Croce, congiungendo la terra e il cielo e gettando un ponte fraterno tra tutti gli uomini. La Croce è il nuovo arco di pace, segno e strumento di riconciliazione, di perdono, di comprensione, segno che l’amore è più forte di ogni violenza e di ogni oppressione, più forte della morte: il male si vince con il bene, con l’amore.

E’ questo il nuovo regno di pace in cui Cristo è il re; ed è un regno che si estende su tutta la terra. Il profeta Zaccaria annuncia che questo re mansueto, pacifico, dominerà “da mare a mare e dal Fiume fino ai confini della terra” (Zc 9,10). Il regno che Cristo inaugura ha dimensioni universali. L’orizzonte di questo re povero, mite non è quello di un territorio, di uno Stato, ma sono i confini del mondo; al di là di ogni barriera di razza, di lingua, di cultura, Egli crea comunione, crea unità. E dove vediamo realizzarsi nell’oggi questo annuncio? Nella grande rete delle comunità eucaristiche che si estende su tutta la terra riemerge luminosa la profezia di Zaccaria. E’ un grande mosaico di comunità nelle quali si rende presente il sacrificio di amore di questo re mansueto e pacifico; è il grande mosaico che costituisce il “Regno di pace” di Gesù da mare a mare fino ai confini del mondo; è una moltitudine di “isole della pace”, che irradiano pace. Dappertutto, in ogni realtà, in ogni cultura, dalle grandi città con i loro palazzi, fino ai piccoli villaggi con le umili dimore, dalle possenti cattedrali alle piccole cappelle, Egli viene, si rende presente; e nell’entrare in comunione con Lui anche gli uomini sono uniti tra di loro in un unico corpo, superando divisione, rivalità, rancori. Il Signore viene nell’Eucaristia per toglierci dal nostro individualismo, dai nostri particolarismi che escludono gli altri, per formare di noi un solo corpo, un solo regno di pace in un mondo diviso.

Ma come possiamo costruire questo regno di pace di cui Cristo è il re? Il comando che Egli lascia ai suoi Apostoli e, attraverso di loro, a tutti noi è: “Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli… Ed ecco io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28,19). Come Gesù, i messaggeri di pace del suo regno devono mettersi in cammino, devono rispondere al suo invito. Devono andare, ma non con la potenza della guerra o con la forza del potere. Nel brano del Vangelo che abbiamo ascoltato Gesù invia settantadue discepoli alla grande messe che è il mondo, invitandoli a pregare il Signore della messe perché non manchino mai operai nella sua messe (cfr Lc 10,1-3); ma non li invia con mezzi potenti, bensì “come agnelli in mezzo ai lupi” (v. 3), senza borsa, bisaccia, né sandali (cfr v. 4). San Giovanni Crisostomo, in una delle sue Omelie, commenta: “Finché saremo agnelli, vinceremo e, anche se saremo circondati da numerosi lupi, riusciremo a superarli. Ma se diventeremo lupi, saremo sconfitti, perché saremo privi dell’aiuto del pastore” (Omelia 33, 1: PG 57, 389). I cristiani non devono mai cedere alla tentazione di diventare lupi tra i lupi; non è con il potere, con la forza, con la violenza che il regno di pace di Cristo si estende, ma con il dono di sé, con l’amore portato all’estremo, anche verso i nemici. Gesù non vince il mondo con la forza delle armi, ma con la forza della Croce, che è la vera garanzia della vittoria. E questo ha come conseguenza per chi vuole essere discepolo del Signore, suo inviato, l’essere pronto anche alla passione e al martirio, a perdere la propria vita per Lui, perché nel mondo trionfino il bene, l’amore, la pace. E’ questa la condizione per poter dire, entrando in ogni realtà: “Pace a questa casa” (Lc 10,5).

Davanti alla Basilica di San Pietro, si trovano due grandi statue dei santi Pietro e Paolo, facilmente identificabili: san Pietro tiene in mano le chiavi, san Paolo invece tiene nelle mani una spada. Per chi non conosce la storia di quest’ultimo potrebbe pensare che si tratti di un grande condottiero che ha guidato possenti eserciti e con la spada ha sottomesso popoli e nazioni, procurandosi fama e ricchezza con il sangue altrui. Invece è esattamente il contrario: la spada che tiene tra le mani è lo strumento con cui Paolo venne messo a morte, con cui subì il martirio e sparse il suo proprio sangue. La sua battaglia non fu quella della violenza, della guerra, ma quella del martirio per Cristo. La sua unica arma fu proprio l’annuncio di “Gesù Cristo e Cristo crocifisso” (1Cor 2,2). La sua predicazione non si basò “su discorsi persuasivi di sapienza, ma sulla manifestazione dello Spirito e della sua potenza” (v. 4). Dedicò la sua vita a portare il messaggio di riconciliazione e di pace del Vangelo, spendendo ogni sua energia per farlo risuonare fino ai confini della terra. E questa è stata la sua forza: non ha cercato una vita tranquilla, comoda, lontana dalle difficoltà, dalle contrarietà, ma si è consumato per il Vangelo, ha dato tutto se stesso senza riserve, e così è diventato il grande messaggero della pace e della riconciliazione di Cristo. La spada che san Paolo tiene nelle mani richiama anche la potenza della verità, che spesso può ferire, può far male; l’Apostolo è rimasto fedele fino in fondo a questa verità, l’ha servita, ha sofferto per essa, ha consegnato la sua vita per essa. Questa stessa logica vale anche per noi, se vogliamo essere portatori del regno di pace annunciato dal profeta Zaccaria e realizzato da Cristo: dobbiamo essere disposti a pagare di persona, a soffrire in prima persona l’incomprensione, il rifiuto, la persecuzione. Non è la spada del conquistatore che costruisce la pace, ma la spada del sofferente, di chi sa donare la propria vita.

Cari fratelli e sorelle, come cristiani vogliamo invocare da Dio il dono della pace, vogliamo pregarlo che ci renda strumenti della sua pace in un mondo ancora lacerato da odio, da divisioni, da egoismi, da guerre, vogliamo chiedergli che l’incontro di domani ad Assisi favorisca il dialogo tra persone di diversa appartenenza religiosa e porti un raggio di luce capace di illuminare la mente e il cuore di tutti gli uomini, perché il rancore ceda il posto al perdono, la divisione alla riconciliazione, l’odio all’amore, la violenza alla mitezza, e nel mondo regni la pace. Amen.

APPELLO

Cari fratelli e sorelle, prima di salutarvi nelle diverse lingue, comincio con un appello. In questo momento, il pensiero va alle popolazioni della Turchia duramente colpite dal terremoto, che ha causato gravi perdite di vite umane, numerosi dispersi e ingenti danni. Vi invito ad unirvi a me nella preghiera per coloro che hanno perso la vita e ad essere spiritualmente vicini a tante persone così duramente provate. L’Altissimo dia sostegno a tutti coloro che sono impegnati nell’opera di soccorso. Adesso saluto nelle diverse lingue.

{Saluti in varie lingue: Je salue cordialement les pèlerins francophones, en particulier les membres de l’Association internationale Foi et Lumière, ainsi que le groupe de Cambrai avec l’archevêque, Monseigneur François Garnier, les paroisses et les jeunes venant de France et de Suisse. Je vous invite à prier pour la rencontre qui aura lieu demain à Assise avec des représentants des communautés chrétiennes, de diverses religions et des personnalités du monde de la culture et de la science. Puisse ce pèlerinage de la vérité et de la paix nous encourager à marcher toujours vers Dieu, et renforcer notre engagement au service de la paix. Bon séjour à tous !

I am happy to welcome all the English-speaking pilgrims and visitors here today. I ask you to accompany me in prayer as I journey tomorrow to Assisi for the celebration of the Day of Reflection, Dialogue and Prayer for Peace and Justice in the World, together with representatives of different religions. I extend special greetings to the pilgrims from the Diocese of Niigata in Japan celebrating their centenary. I also welcome those present from England, Denmark, Indonesia, the Philippines, South Korea, Vietnam and the United States. May Almighty God bless all of you!

Liebe Brüder und Schwestern aus den Ländern deutscher Sprache! Danke! Einen herzlichen Gruß richte ich zunächst an die Teilnehmer der Romwallfahrt des Internationalen Kolpingwerks. Seit der Seligsprechung von Adolph Kolping sind zwanzig Jahre vergangen. Wir hoffen alle, daß die Heiligsprechung nahe ist, aber wir brauchen noch Gebet dazu, damit wir das Wunder erhalten, das nötig ist. Aber ich freue mich, daß so viele gekommen sind, und ich sehe darin doch die Kraft des Kolpingwerks, welche eine Kraft des Glaubens in unserem Land ist. Wie ihr wißt und soeben gehört habt, werde ich morgen in Assisi zusammen mit Vertretern verschiedener Religionen einen Tag der Reflexion, des Gesprächs und des Gebets für den Frieden und die Gerechtigkeit in der Welt halten. Ich möchte euch einladen, euch im Gebet mit mir zu verbinden und den Herrn um seinen Segen für ein friedliches Miteinander aller Menschen und Völker zu bitten. Der dreifaltige Gott begleite uns bei unserem Reden und Tun und lasse uns stets seiner Nähe gewiß sein. Euch allen wünsche ich einen frohen Aufenthalt in Rom.

Saludo con afecto a los peregrinos de lengua española, en particular a los venidos de España, México, Costa Rica, Argentina y otros países latinoamericanos. Invito a todos a ser incansables en construir la paz, y pedir al Señor que este don de su gracia reine en las naciones y en el corazón de todos los hombres.

Uma saudação amiga e encorajadora para todos os peregrinos de língua portuguesa, com menção especial dos grupos brasileiros de Aracajú, Cachoeira Paulista, Gama, Recife e Rio de Janeiro. Conto com a vossa oração pelos Representantes das várias Religiões que amanhã se reúnem em Assis, a bem da justiça e da paz sobre a terra. Sobre vós e vossos familiares, desça a minha Bênção.

Saluto in lingua polacca:

Drodzy Polacy, Bracia i Siostry. Serdecznie pozdrawiam was obecnych tu w Bazylice Świętego Piotra przy grobach apostolskich, przy ołtarzu błogosławionego Jana Pawła II. Niech waszą wiarę umocni spotkanie w tym świętym miejscu. Z serca wam błogosławię.

[Cari fratelli e sorelle polacchi. Saluto cordialmente voi qui presenti nella Basilica di San Pietro accanto ai sepolcri degli apostoli e all’altare del beato Giovanni Paolo II. Che la presenza in questo santo posto rafforzi la vostra fede. Vi benedico di cuore.]

Słowa pozdrowienia kieruję do polskich pielgrzymów. Jutro w Asyżu odbędzie się spotkanie z przedstawicielami religii świata na rzecz pokoju. W związku z tym organizowane jest w Polsce, w Bydgoszczy, sympozjum europejskich ekspertów na temat dialogu pomiędzy kulturami, cywilizacjami i religiami. Życzę im owocnej refleksji. Wam wszystkim tu obecnym i waszym bliskim z serca błogosławię.

Traduzione italiana:

Rivolgo una parola di saluto ai pellegrini polacchi. Domani ad Assisi si svolgerà l’incontro con i rappresentanti delle religioni del mondo per la causa della pace. In concomitanza viene organizzato in Polonia, a Bydgoszcz, un simposio degli esperti europei sul tema del dialogo tra culture, civiltà e religioni. Auguro loro una fruttuosa riflessione. Benedico di cuore voi, qui presenti, e i vostri cari.

Saluto in lingua croata:

Od srca pozdravljam sve hrvatske hodočasnike. Dragi prijatelji, okupljeni na nedjeljnom euharistijskom slavlju oko stola Gospodnjeg, hranite se Njegovim tijelom i krvlju kako biste živjeli u zajedništvu s Njime. Hvaljen Isus i Marija!

Traduzione italiana:

Saluto di cuore i pellegrini Croati. Cari amici, radunati intorno all’altare del Signore per l’Eucaristia domenicale, nutritevi con il Suo Corpo e Sangue affinché viviate in comunione con Lui. Siano lodati Gesù e Maria!

Saluto in lingua ceca:

Srdečně zdravím české poutníky. Drazí přátelé, žádám i vás, abyste duchovně provázeli Den reflexí, dialogu a modlitby za pokoj a spravedlnost ve světě, který se zítra bude konat v Assisi. Všem vám žehnám. Chvála Kristu.

Traduzione italiana:

Rivolgo un cordiale saluto ai pellegrini di lingua ceca. Cari amici, anche a voi chiedo di accompagnare spiritualmente la Giornata di riflessione, dialogo e preghiera per la pace e la giustizia nel mondo che si terrà domani ad Assisi. A tutti la mia Benedizione. Sia lodato Gesù Cristo.

Saluto in lingua slovacca:

Srdečne pozdravujem slovenských pútnikov, osobitne zo Skalice, Blatného, Bystričian, Turčianskeho Petra, Trnavy a Žiliny.
Bratia a sestry, pozývam vás zjednotiť sa duchovne v modlitbe za Deň reflexie a dialógu, ktorý sa bude konať zajtra v Assisi. S láskou žehnám vás i vašich drahých.
Pochválený buď Ježiš Kristus!

Traduzione italiana:

Saluto cordialmente i pellegrini slovacchi, specialmente quelli provenienti da Skalica, Blatné, Bystričany, Turčiansky Peter, Trnava e Žilina.
Fratelli e sorelle, vi invito ad unirvi spiritualmente alla preghiera per la Giornata di riflessione e dialogo che si svolgerà domani ad Assisi. Con affetto benedico voi ed i vostri cari.
Sia lodato Gesù Cristo!

Saluto in lingua slovena:

Lepo pozdravljam romarje iz Martjancev v Sloveniji!
Naj vam sveta apostola Peter in Pavel, ki sta svoje zaupanje v Gospoda Jezusa ohranila vse do mučeniške smrti, izprosita tako močno vero, da je ne bodo omajale nobene preizkušnje. Naj bo z vami moj blagoslov!

Traduzione italiana:

Rivolgo un caro saluto ai pellegrini provenienti da Martjanci in Slovenia!
 I santi Apostoli Pietro e Paolo che conservarono la loro fiducia nel Signore Gesù fino al loro martirio, intercedano per voi affinché otteniate una fede così salda che nessuna prova potrà mai far vacillare. Vi accompagni la mia benedizione!}

* * *

E infine rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto i giovani dell’Arcidiocesi di Trani-Barletta-Bisceglie, accompagnati dal loro Pastore Mons. Giovan Battista Pichierri, e gli alunni della scuola “Sacro Cuore” di Roma. Su tutti invoco, per intercessione della Vergine Maria, ogni desiderato bene e formulo fervidi voti che ciascuno possa rendere una generosa testimonianza cristiana.

Saluto, infine, i giovani, i malati e gli sposi novelli. L’esempio di San Francesco d’Assisi, sulla cui tomba sosterò domani in preghiera, sostenga voi, cari giovani, nell'impegno di quotidiana fedeltà a Cristo; incoraggi voi, cari ammalati, a seguire sempre Gesù nel cammino della prova e della sofferenza; aiuti voi, cari sposi novelli, a fare della vostra famiglia il luogo del costante incontro con l'amore di Dio e dei fratelli. Grazie a voi tutti. Buona giornata.

© Copyright 2011 - Libreria Editrice Vaticana

Benedetto XVI: Assisi appuntamento per la pace

mercoledì 26 ottobre 2011

Fede e scienza: ascoltiamo 1

La Summa Teologica - Quarantaduesima parte

Torniamo ad addentrarci nella Summa Teologica di San Tommaso d'Aquino, un'opera che diede un fondamento scientifico, filosofico e teologico alla dottrina cristiana. Continuiamo a scoprire la parte dedicata al Trattato relativo all'essenza di Dio e scopriamo le risposte di San Tommaso ai dubbi e alle questioni; in particolare oggi entriamo nella parte relativa alla domanda teologica sulla presenza di Dio nelle cose:

Prima parte
Trattato relativo all'essenza di Dio

La presenza di Dio nelle cose > Se sia proprio di Dio essere dappertutto

Prima parte
Questione 8
Articolo 4

SEMBRA che essere dappertutto non sia proprio di Dio. Infatti: 1. L'universale, secondo Aristotele, è dovunque e sempre: parimente, la materia prima è dovunque, perché è in tutti i corpi. Ora, Dio non è nessuna delle due cose, come appare da ciò che abbiamo detto. Dunque essere dovunque non è proprio di Dio.

2. Nelle cose numerate c'è il numero. Ma tutto l'universo è stato costituito in numero (cioè è numerato), come appare dalla Scrittura. Vi è dunque un numero in tutto l'universo, e così (il numero) è dappertutto.

3. L'universo intero al dire di Aristotele è come tutto un corpo perfetto. Ora, l'universo è dappertutto, perché fuori di esso non vi è luogo alcuno. Dunque non il solo Dio è dappertutto.

4. Se qualche corpo fosse infinito, non vi sarebbe nessun luogo fuori di esso. Dunque sarebbe dovunque. E, così, pare che l'essere dovunque non sia proprio di Dio.

5. L'anima, dice S. Agostino, "è tutta in tutto il corpo e tutta in ciascuna delle sue parti". Se dunque nel mondo non esistesse che un solo animale, l'anima di esso sarebbe dappertutto. E così, essere dovunque non è proprio di Dio.

6. Dice S. Agostino: "L'anima dove vede, sente; dove sente, vive; dove vive, è". Ora, l'anima vede quasi dappertutto, perché successivamente vede tutto il cielo. Dunque l'anima è dappertutto.

IN CONTRARIO: Dice S. Ambrogio: "Chi oserà dire creatura lo Spirito Santo, il quale è sempre in tutte le cose e dovunque, il che certamente è proprio della divinità?".

RISPONDO: Essere dappertutto primo et per se è proprio di Dio. Ora, io dico che è dappertutto primo ciò che è dappertutto nella sua totalità. Infatti se qualche cosa fosse ovunque col trovarsi in diversi luoghi secondo le sue varie parti, non sarebbe dappertutto in questo modo (primo); perché ciò che conviene ad una cosa in ragione d'una sua parte, non le conviene primo: come se un uomo è bianco a motivo dei denti, la bianchezza non appartiene primo all'uomo, ma ai denti. Dico poi che è dappertutto per se quello a cui non conviene essere dovunque accidentalmente, a motivo di una data supposizione; ché altrimenti un granello di miglio, supposto che non esistesse nessun altro corpo, sarebbe dappertutto. Essere dunque dappertutto per se conviene a quel tale essere che, in qualunque ipotesi, debba necessariamente essere dappertutto. Ed in questo senso è proprio di Dio, perché, per quanti altri luoghi si ammettano, oltre quelli esistenti, anche in numero infinito, bisognerebbe che Dio fosse in tutti, poiché niente può esistere se non per opera di lui. Così, dunque, essere dappertutto primo et per se appartiene a Dio in modo esclusivo, perché, per quanti luoghi si ammettano, è necessario che Dio sia in ciascuno di essi, non parzialmente, ma secondo tutto se stesso.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. L'universale e la materia prima sono dappertutto, ma non secondo un identico essere reale.

2. Il numero, essendo un accidente, non è di suo in un luogo, ma indirettamente; e non è tutto in ciascuno dei numerati, ma in distinte unità. E così non segue che sia dappertutto primo et per se.

3. L'universo intero è sì dappertutto, non però primo, perché non è tutto in ciascun luogo, ma secondo le sue varie parti; e neppure vi è per se, perché, ove si supponessero altri luoghi, non sarebbe in essi.

4. Se esistesse un corpo infinito sarebbe certo dovunque, però (soltanto) secondo le sue parti.

5. Se ci fosse un solo animale al mondo, l'anima sua sarebbe dovunque primo, ma accidentalmente (cioè soltanto a motivo della supposiziorne fatta).

6. L'espressione "l'anima vede in qualche luogo", si può intendere in due modi. Primo modo, l'espressione in qualche luogo può determinare l'atto del vedere dal lato dell'oggetto, e allora è vero che se l'anima vede il cielo, vede nel cielo, e per la stessa ragione sente in cielo; ma non ne segue che essa viva o sta in cielo, perché vivere e essere non importano un atto che passi nell'oggetto esterno. Secondo modo, quell'espressione può determinare l'atto del vedere, dal lato del soggetto che vede. E così, secondo questo modo di parlare, è vero che l'anima dove sente e vede, ivi è e vive. Non ne segue però che sia dappertutto.

martedì 25 ottobre 2011

Papa: "La santità è la misura stessa della vita cristiana".

Riscoprire i Santi - I tre nuovi Santi

Torna l'appuntamento settimanale, volto alla scoperta dei nostri cari Santi! Oggi vogliamo ricordare tre beati che hanno varcato la soglia della santità proprio Domenica scorsa, a seguito della Messa di Canonizzazione celebrata da Papa Benedetto XVI: mons. Guido Maria Conforti, don Luigi Guanella e suor Bonifacia Rodríguez de Castro ( i loro tratti biografici sono estratti dal sito Santi & Beati):


San Guido Maria Conforti Fondatore dei Miss. Saveriani
Volontà molta, salute poca. Supera qualche difficoltà familiare entrando in seminario, ma a 17 anni comincia a soffrire di epilessia e sonnambulismo. Gli fa coraggio il rettore don Andrea Ferrari (futuro arcivescovo di Milano) e a 23 anni viene ordinato sacerdote. A 28 è già vicario generale della diocesi parmense. Ma sogna la missione. In Oriente, sull’esempio del pioniere Francesco Saverio.
Ma la salute è fragile: nessun istituto missionario lo accetta. E lui, nel 1895, ne fonda uno per conto suo, la “Congregazione di san Francesco Saverio per le Missioni estere”. Lo fonda, lo guida, con pochi alunni al principio, e con l’aiuto di un solo prete. Spenderà poi l’eredità paterna per consolidarlo. E nel 1896 ecco già in partenza per la Cina i primi due Saveriani.
Guido Maria Conforti in questo momento si trova a essere una figura insolita nella Chiesa italiana: impegnato come vicario nel governo di una diocesi “domestica”, e proiettato al tempo stesso verso la missione lontana. E polemico con quanti in Italia ignorano la missione o sembrano temerla ("Ruba sacerdoti alle diocesi!"). Nominato arcivescovo di Ravenna a 37 anni, lascerà l’incarico un anno dopo, ancora per malattia. Muore in Cina uno dei suoi missionari; lui richiama l’altro e si concentra tutto sull’Istituto. Ma nel 1907 eccolo poi “richiamato” in diocesi, come coadiutore del vescovo di Parma e poi come successore. Reggerà la diocesi per 25 anni, attivissimo: due sinodi, cinque visite pastorali a 300 parrocchie. E intanto i suoi Saveriani ritornano in Cina.
Nel 1912 uno di essi, padre Luigi Calza, è nominato vescovo di Cheng-chow, e riceve la consacrazione da lui nella cattedrale di Parma. Sempre nel 1912, si associa vigorosamente all’iniziativa di un appello al Papa, perché richiami energicamente la Chiesa italiana al dovere di sostenere l’evangelizzazione nel mondo. L’idea è partita da don Giuseppe Allamano, fondatore a Torino dei Missionari della Consolata. La Giornata missionaria mondiale, istituita poi nel 1926 da papa Pio XI, realizzerà una proposta contenuta già in quell’appello del 1912.
Infine arriva il momento più bello per Guido Maria: nel 1928 eccolo in Cina per visitare i suoi Saveriani. Ecco avverato il sogno di una vita: conoscere i nuovi cristiani, la giovane Chiesa cresciuta tra dure difficoltà, sentirsi realizzatore, con i suoi, del sogno di Francesco Saverio... E, insieme, quest’uomo proiettato verso continenti lontani, è pienamente e vigorosamente pastore della sua diocesi nativa, partendo dal lavoro di rievangelizzazione attraverso il movimento catechistico e dalla fraternità praticata in tutte le direzioni, soprattutto con l’opera di assistenza alle famiglie durante la prima guerra mondiale, riconosciuta anche dal governo italiano, con un’alta onorificenza civile.
 Il suo fisico sempre sofferente, e tanto spesso trascinato dalla volontà, cede irrimediabilmente nel 1931. Nel 1995 Giovanni Paolo II lo proclama beato ed è stato canonizzato a Roma da Papa Benedetto XVI il 23 ottobre 2011. La salma riposa nella sede dei Missionari Saveriani a Parma. (Autore: Domenico Agasso)

San Luigi Guanella Sacerdote

1. Biografia

Luigi Guanella nacque a Fraciscio di Campodolcino in Val San Giacomo (Sondrio) il 19 dicembre 1842. Morì a Como il 24 ottobre 1915.
La sua valle e il paese (m. 1350 sul mare) sono nelle Alpi Retiche. Fin dall'antichità vi si stabilirono delle comunità vissute, con fatica e stento, di agricoltura alpina e di allevamento e la cui storia, economia e struttura sociale fino al 1800 sono segnate dalla posizione geografica della valle chiusa sui due lati da due catene di monti altissimi, ma soggetta a invasioni di transito. La valle segna la via più breve di comunicazione tra il sud e il nord delle Alpi centrali, conferendo qualche vantaggio, soprattutto i privilegi di una certa libertà comunale concessa perché gli abitanti non ostacolassero le comunicazioni commerciali o militari. Fieri di questa libertà, fervidamente attaccati alla religione cattolica in contrasto col confinante canton Grigioni riformato, vivevano in povertà, dediti ai più duri lavori per garantirsi il minimo di sopravvivenza. Le qualità che ne riportò il G. furono l'abitudine al sacrificio e al lavoro, l'autonomia, la pazienza e la fermezza nelle decisioni, insieme a grande fede.
Queste qualità si rafforzarono nella famiglia: il padre Lorenzo, per 24 anni sindaco di Campodolcino sotto il governo austriaco e dopo l'unificazione (1859), severo e autoritario, la madre Maria Bianchi, dolce e paziente, e 13 figli quasi tutti arrivati all'età adulta.
A dodici anni ottenne un posto gratuito nel collegio Gallio di Como e proseguì poi gli studi nei seminari diocesani (1854-1866). La sua formazione culturale e spirituale è quella comune ai seminari nel Lombardo-Veneto, per lungo periodo sotto il controllo dei governanti austriaci; il corso teologico era povero di contenuto culturale, ma attento agli aspetti pastorali e pratici: teologia morale, riti, predicazione e, di più, alla formazione personale: pietà, santità, fedeltà. La vita cristiana e sacerdotale si alimentava alla devozione comune fra la popolazione cristiana. Questa impostazione concreta pose il giovane seminarista e sacerdote assai vicino al popolo e a contatto con la vita che esso conduceva. Quando tornava al paese per le vacanze autunnali si immergeva nella povertà delle valli alpine; si interessava dei bambini e degli anziani e ammalati del paese, passando i mesi nella cura di questi, e nei ritagli si appassionava alla questione sociale (Taparelli), raccoglieva e studiava erbe medicinali (Mattioli), si infervorava leggendo la storia della Chiesa (Rohrbacher). In seminario teologico entrò in familiarità col vescovo di Foggia, Bernardino Frascolla, rinchiuso nel carcere di Como, poi a domicilio coatto in seminario (1864-66), e si rese conto della ostilità che dominava le relazioni dello stato unitario verso la Chiesa. Questo vescovo ordinò G. sacerdote il 26 maggio 1866.
Entrò con entusiasmo nella vita pastorale in Valchiavenna (Prosto, 1866 e Savogno, 1867-1875) e, dopo un triennio salesiano, fu di nuovo in parrocchia in Valtellina (Traona, 1878-1881), per pochi mesi a Olmo e infine a Pianello Lario (Como, 1881-1890).
Fin dagli inizi a Savogno rivelò i suoi interessi pastorali: l'istruzione dei ragazzi e degli adulti, l'elevazione religiosa, morale e sociale dei suoi parrocchiani, con la difesa del popolo dagli assalti del liberalismo e con l'attenzione privilegiata ai più poveri. Non disdegnava interventi battaglieri, quando si vedeva ingiustamente frenato o contraddetto dalle autorità civili nel suo ministero, così che venne presto segnato fra i soggetti pericolosi ("legge dei sospetti"), specialmente dal momento che pubblicò un libretto polemico. Nel frattempo a Savogno approfondiva la conoscenza di don Bosco e dell'opera del Cottolengo; invitò don Bosco ad aprire un collegio in valle; ma, non potendo realizzare il progetto, il G. ottenne di andare per un certo periodo da don Bosco.
Richiamato in diocesi dal Vescovo, aprì in Traona un collegio di tipo salesiano; ma anche qui venne ostacolato; si andò a rimestare le controversie di Savogno e gli fu imposto di chiudere il collegio. Si mise a disposizione del vescovo con obbedienza eroica. Mandato a Pianello poté dedicarsi all'attività di assistenza ai poveri, rilevando l'Ospizio fondato dal predecessore don Carlo Coppini, con alcune orsoline che organizzò in congregazione religiosa (Figlie di S. Maria della Provvidenza) e con queste avviò la Casa della Divina Provvidenza in Como (1886), con la collaborazione di suor Marcellina Bosatta e della sorella Beata Chiara. La Casa ebbe subito un rapido sviluppo, allargando l'assistenza dal ramo femminile a quello maschile (congregazione dei Servi della Carità), benedetta e sostenuta dal Vescovo B. Andrea Ferrari. L'opera si estese ben presto anche fuori città: nelle province di Milano (1891), Pavia, Sondrio, Rovigo, Roma (1903), a Cosenza e altrove, in Svizzera e negli Stati Uniti d'America (1912), sotto la protezione e l'amicizia di S. Pio X. Nell'opera maschile ebbe come collaboratori esimi don Aurelio Bacciarini, poi vescovo di Lugano, e don Leonardo Mazzucchi.
Le opere e gli scopi che cadono sotto l'attenzione del G. (e gli impedirono di fermarsi con don Bosco) sono quelli tipici della sua terra di origine. Molti i bisognos: bambini e giovani, anziani lasciati soli, emarginati, handicappati psichici (ma anche ciechi, sordomuti, storpi): tutta la fascia intermedia tra i giovani di don Bosco e gli inabili del Cottolengo, persone ancora capaci di una ripresa: terreno duro e arido come la sua terra natale, ma che, lavorato con amore (nelle scuole, laboratori, colonie agricole) può dare frutti insperati.

2. Il carisma e messaggio - la santità

Il carisma suo è l'annuncio biblico della paternità di Dio che per il G. costituisce un'esperienza personale profonda, di carattere mistico e profetico, e dà alla sua santità e missione una dimensione tipica e qualificata; esperienza che vuole partecipare specialmente ai più poveri e abbandonati: Dio è padre di tutti e non dimentica né emargina i suoi figli. Notevoli i suoi due scritti: Andiamo al Padre (1880) e Il Fondamento (1885). Le sue case si organizzano coerentemente in strutture a misura d'uomo, con spirito di famiglia e adattano un proprio metodo preventivo (cf. Regolamento dei Servi della Carità, l905), affidate alla paternità di Dio. La guida e la conduzione di tutto sono affidate a lui: "è Dio che fa".
La santità di L.G. sta nella perfezione non solo morale, ma ontologica, conforme alla sua esperienza della paternità di Dio. Cercò sempre, fin dalla giovinezza, una coerenza tra il pensare, credere e agire; lo nota fin dal ginnasio il suo insegnante di religione: “Cerca con singolare diligenza di approfondire tutte le parti dell'insegnamento, sente ed ama quel che impara e ne informa la vita”. Come sacerdote, ministro di Dio, il suo incontro con Dio Padre fu partecipazione alla sua carità immensa, alla onnipotenza creatrice e provvidente, alla misericordia incarnata e redentrice e divenne crocevia di incontro degli uomini con Dio, attraverso e mediante la carità del santo verso i fratelli bisognosi.
Si aggiungano le forme proprie del tempo: le devozioni al S. Cuore, alla Vergine Immacolata e un'ascetica austera di penitenze, di preghiere, di severità e osservanza, di lavoro e sacrificio per la missione della carità; in uno stile di semplicità, tolleranza, misericordia, speranza gioiosa, quasi in contrasto col suo carattere energico, volitivo, fatto per rompere gli indugi, qualche volta impulsivo e irascibile. Univa una volontà indomabile. Su questa via verso la santità guidò la discepola beata suor Chiara Bosatta, capolavoro della sua arte di educatore e di direttore spirituale.
 Il Guanella è stato proclamato beato da Paolo VI il 25 ottobre 1964 (Processi diocesani: 1923-1930, introduzione della causa: 15 marzo 1939) ed è stato canonizzato a Roma da Papa Benedetto XVI il 23 ottobre 2011. Il suo corpo è venerato nel Santuario del S. Cuore in Como. (Autore: Piero Pellegrini Fonte:
 www.guanelliani.org)

Santa Bonifacia Rodriguez Castro - Suora

Bonifacia Rodríguez Castro è una semplice lavorante che, nel mezzo della vita quotidiana, si apre al dono di Dio, facendolo crescere nel suo cuore con spirito autenticamente evangelico. Fedele alla chiamata di Dio, si abbandona nelle sue braccia di Padre, lasciandosi forgiare secondo i tratti di Gesù, l'artigiano di Nazareth, che vive nascosto in compagnia dei genitori per la maggior parte della sua vita.
Nasce a Salamanca (Spagna) il 6 giugno del 1837 nel seno di una famiglia di artigiani. I genitori, Juan e Maria Natalia, erano profondamente cristiani. La loro maggior preoccupazione era l'educazione nella fede dei sei figli, dei quali Bonifacia era la maggiore. La sua prima scuola fu la casa dei genitori, dove Juan, sarto, aveva il laboratorio di cucito. La prima cosa che vedono gli occhi di Bonifacia è proprio un laboratorio artigianale.
Terminati gli studi elementari impara il mestiere di cordonaia, con cui inizia a guadagnarsi da vivere come dipendente a quindici anni, alla morte del padre, in modo da aiutare la madre a sostenere la famiglia. Il bisogno di lavorare per vivere imprime fin dall'inizio un carattere forte alla sua personalità. Sperimenta, infatti, sulla propria pelle le dure condizioni di lavoro delle donne operaie di quell'epoca: orari estenuanti e salari minimi.
Una volta superate le prime ristrettezze economiche apre il suo laboratorio artigianale di “cordoni, passamaneria e altri manufatti”, nel quale lavora con il più grande raccoglimento possibile e imita la vita nascosta della Famiglia di Nazareth. Era molto devota a Maria Immacolata e a San Giuseppe, devozioni di grande attualità dopo la proclamazione del dogma dell'Immacolata Concezione nel 1854 e la dichiarazione di San Giuseppe a patrono della Chiesa universale nel 1870.
Dal 1865, anno del matrimonio di Agustina, l'unica dei fratelli che raggiunge l'età adulta, Bonifacia e sua madre, che erano rimaste sole, si dedicano a una vita di profonda pietà, recandosi tutti i giorni alla vicina chiesa della Clerecía, gestita dalla Compagnia di Gesù.
Un gruppo di ragazze di Salamanca, loro amiche, attratte da questa testimonianza di vita, iniziano a visitare la sua casa-laboratorio nei pomeriggi delle domeniche e dei giorni festivi, sfuggendo ai nuovi e facilmente pericolosi passatempi dell'epoca. In Bonifacia cercavano un'amica che le aiutasse. Insieme decidono, quindi, di fondare la Associazione dell'Immacolata e di San Giuseppe, in seguito chiamata Associazione Giuseppina. In questo modo il laboratorio di Bonifacia acquista una chiara proiezione apostolica e sociale, di prevenzione della condizione della donna lavoratrice.
Bonifacia si sente chiamata alla vita religiosa. La sua grande devozione nei confronti di Maria fa sì che il suo cuore inizi ad accarezzare il progetto di diventare domenicana del convento di Santa Maria de Dueñas di Salamanca.
Tuttavia, un evento di importanza fondamentale cambia la sua vita: l'incontro con il gesuita catalano Francisco Javier Butinyà i Hospital, nato a Bañolas, nella provincia di Girona (1834-1899). Questi giunge a Salamanca nell'ottobre del 1870 con una grande preoccupazione apostolica verso il mondo dei lavoratori operai. A loro era diretta la sua opera “La luce dell'operaio, ovvero, collezione di vite di fedeli illuminati che si santificarono in mestieri umili”. Attratta dal suo messaggio di evangelizzazione incentrato sulla santificazione del lavoro, Bonifacia sceglie di sottoporsi alla sua direzione spirituale. Per mezzo di lei, il gesuita Butinyà entra in contatto con le ragazze che frequentavano il suo laboratorio, la maggior parte delle quali, come lei, lavoratrici manuali. Lo Spirito Santo le guida verso la fondazione di una nuova congregazione femminile, orientata verso la prevenzione nella condizione della donna operaia, attraverso l'esempio di quelle donne lavoratrici.
Bonifacia confida a Butinyà la sua decisione di diventare domenicana, ma lui le propone di fondare con lui la Congregazione delle Serve di San Giuseppe, progetto che Bonifacia accetta di buon grado. Insieme ad altre sei ragazze della Associazione Giuseppina, fra le quali anche sua madre, dà inizio a Salamanca, nella sua casa-laboratorio, alla vita della nuova comunità, il 10 gennaio del 1874, in un periodo molto critico per la vita politica spagnola.
Tre giorni prima, il 7 gennaio, il Vescovo di Salamanca, Joaquin Lluch i Garriga, aveva firmato il Decreto di Erezione del nuovo Istituto. Catalano come Butinyà, di Manresa, nella provincia di Barcellona (1816-1882), aveva accolto con il più grande entusiasmo fin dal primo momento la nuova fondazione.
Si trattava di un progetto nuovo di vita religiosa femminile, inserito nel mondo del lavoro alla luce della contemplazione della Sacra Famiglia, che mirava a creare nelle case della Congregazione il Laboratorio di Nazareth. In questo laboratorio le Serve di San Giuseppe offrivano lavoro alle donne povere che non ne avevano, evitando così che esse incorressero nei pericoli che avrebbero potuto incontrare a quell'epoca se fossero state costrette a uscire per lavorare fuori casa.
Era una forma di vita religiosa troppo coraggiosa per non incontrare opposizione. Viene subito combattuta dal clero diocesano di Salamanca, che non riesce a cogliere la profondità evangelica di questa forma di vita così vicina al mondo del lavoro.
Dopo tre mesi dalla fondazione, Francisco Butinyà viene mandato in esilio fuori dalla Spagna insieme ai suoi compagni gesuiti, e nel gennaio del 1875 il Vescovo Lluch i Garriga viene trasferito come Vescovo a Barcellona. Dopo solo un anno dalla sua nascita, Bonifacia si ritrova sola a capo dell'Istituto.
I nuovi direttori della comunità, nominati dal Vescovo fra i sacerdoti secolari, commettono l'imprudenza di seminare fra le sorelle la discordia, ed alcune di loro, da essi supportate, iniziano ad opporsi al laboratorio artigianale inteso come forma di vita, e all'accoglienza al suo interno delle donne lavoranti. Bonifacia Rodríguez, la fondatrice, che personificava senza macchia il progetto che aveva dato origine alle Serve di San Giuseppe, non accede ad apportare cambiamenti nel carisma definito dal Padre Butinyà nelle Costituzioni.
Il direttore della Congregazione, tuttavia, approfittando di un viaggio che Bonifacia compie a Girona nel 1882, allo scopo di stabilire un'unione con altre case delle Serve di San Giuseppe fondate da Francisco Butinyà in Catalogna al suo ritorno dall'esilio, promuove la sua destituzione come superiora e guida dell'Istituto.
Umiliazioni, rifiuto, disprezzo e calunnie la investono e la fanno andar via da Salamanca. L'unica risposta di Bonifacia è il silenzio, l'umiltà e il perdono. Senza proferire una parola di rivendicazione o di protesta, lascia che su di lei prevalgano i tratti di Gesù, che rimase in silenzio di fronte a quelli che lo accusavano (Mt 26, 59-63).
Come soluzione al conflitto Bonifacia propone al Vescovo di Salamanca, Narciso Martínez Izquierdo, la fondazione di una nuova comunità a Zamora. Una volta accettata, nella sua forma giuridica, dal Vescovo di Salamanca e da quello di Zamora, Tomás Belestá y Cambeses, Bonifacia parte il 25 luglio del 1883, accompagnata da sua madre, e si dirige verso questa città portando nel suo cuore il Laboratorio di Nazareth, il suo tesoro. A Zamora infonde vita al progetto in piena fedeltà, mentre a Salamanca iniziano le modifiche ad un progetto non compreso.
Bonifacia, cordonaia, nel suo laboratorio di Zamora, gomito a gomito con altre donne lavoratrici, bambine, ragazze, adulte,
- tesse la dignità della donna povera senza lavoro, “allontanandola dal pericolo di perdersi” (Decreto di Erezione dell'Istituto. 7 gennaio del 1874),
- tesse la santificazione del lavoro unendolo alla preghiera, secondo lo stile di Nazareth: “così la preghiera non sarà di intralcio al lavoro né il lavoro vi distoglierà dal raccoglimento della preghiera” (Francisco Butinyà, lettera da Poyanne, 4 giugno del 1874),
- tesse rapporti umani di uguaglianza, fraternità e di rispetto nel lavoro: “dobbiamo essere ognuna per tutte, seguendo Gesù” (Bonifacia Rodríguez, primo discorso, Salamanca, 1876).
La casa madre di Salamanca dimentica completamente Bonifacia e la fondazione di Zamora, lasciandola sola ed emarginata, e, con la guida dei superiori ecclesiastici, porta avanti delle modifiche alle Costituzioni di Butinyà, per cambiare gli scopi dell'Istituto.
Il 1 luglio del 1901 Leone XIII concede l'approvazione pontificia alle Serve di San Giuseppe, con l'esclusione della casa di Zamora. Questo è il momento di maggiore umiliazione e di privazione per Bonifacia ed anche il tempo di maggior grandezza di cuore. Non avendo ricevuto risposta dal Vescovo di Salamanca, Tomás Cámara y Castro, trasportata dalla sua forza di comunione, si mette in cammino verso Salamanca per parlare personalmente con quelle sorelle. All'arrivo alla Casa di Santa Teresa, tuttavia, le viene detto: “Ci è stato ordinato di non riceverla”, e ritorna quindi a Zamora con il cuore spezzato dal dolore. Si sfoga solo dolcemente con queste parole: “Non tornerò alla terra che mi ha visto nascere, né a questa cara Casa di Santa Teresa”. E di nuovo, il silenzio sigilla le sue labbra, cosicché la comunità di Zamora viene a sapere di quanto è successo solo dopo la sua morte.
Nemmeno questo nuovo rifiuto la separa dalle sue figlie di Salamanca e, piena di fiducia in Dio, inizia a dire alle sorelle di Zamora: “quando morirò”, sicura che l'unione si sarebbe realizzata quando lei sarebbe mancata. Con questa speranza, circondata dall'affetto della sua comunità e della gente di Zamora che la venerava come una santa, muore in questa città l'8 agosto del 1905.
Il 23 gennaio del 1907 la casa di Zamora si riunisce con il resto della Congregazione.
Allo spegnersi della sua vita, nascosta e feconda come un chicco di grano gettato nel solco, Bonifacia Rodríguez lascia in eredità a tutta la Chiesa:
- la testimonianza della sua fedeltà a Gesù nel mistero della sua vita nascosta a Nazareth,
- una vita da cui traspare tutto il vangelo,
- un cammino di spiritualità basato sulla santificazione del lavoro unito alla preghiera, nella semplicità della vita quotidiana.
 E' stata beatificata da Giovanni Paolo II il 9 novembre 2003 ed è stata canonizzata a Roma da Papa Benedetto XVI il 23 ottobre 2011. (Fonte:  Santa Sede)

lunedì 24 ottobre 2011

Il Papa: "La carità è segno visibile dell'amore di Dio"

Omelia e Angelus di Papa Benedetto XVI - 23 Ottobre 2011

CAPPELLA PAPALE
PER LA CANONIZZAZIONE DEI BEATI:

GUIDO MARIA CONFORTI (1865-1931)
LUIGI GUANELLA (1842-1915)
BONIFACIA RODRÍGUEZ DE CASTRO (1837-1905)

OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

Piazza San Pietro
 Domenica, 23 ottobre 2011 


Venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
cari fratelli e sorelle!

La nostra Liturgia domenicale si arricchisce oggi di diversi motivi di ringraziamento e di supplica a Dio. Mentre, infatti, celebriamo con tutta la Chiesa la Giornata Missionaria Mondiale - appuntamento annuale che intende risvegliare lo slancio e l’impegno per la missione –, rendiamo lode al Signore per tre nuovi Santi: il Vescovo Guido Maria Conforti, il sacerdote Luigi Guanella e la religiosa Bonifacia Rodríguez de Castro. Con gioia rivolgo il mio saluto a tutti i presenti, in particolare alle Delegazioni ufficiali e ai numerosi pellegrini venuti per festeggiare questi tre esemplari discepoli di Cristo.

La Parola del Signore, risuonata poc’anzi nel Vangelo, ci ha ricordato che tutta la Legge divina si riassume nell’amore. L’Evangelista Matteo racconta che i farisei, dopo che Gesù ebbe risposto ai sadducei chiudendo loro la bocca, si riunirono per metterlo alla prova (cfr 22,34-35). Uno di questi interlocutori, un dottore della legge, gli chiese: “Maestro, nella Legge, qual è il grande comandamento?” (v. 36). Alla domanda, volutamente insidiosa, Gesù risponde con assoluta semplicità: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Questo è il grande e primo comandamento» (vv. 37-38). In effetti, l’esigenza principale per ognuno di noi è che Dio sia presente nella nostra vita. Egli deve, come dice la Scrittura, penetrare tutti gli strati del nostro essere e riempirli completamente: il cuore deve sapere di Lui e lasciarsi toccare da Lui; e così anche l’anima, le energie del nostro volere e decidere, come pure l’intelligenza e il pensiero. E’ un poter dire come san Paolo: “non vivo più io, ma Cristo vive in me” (Gal 1,20).

Subito dopo, Gesù aggiunge qualcosa che, in verità, non era stato richiesto dal dottore della legge: «Il secondo poi è simile a quello: Amerai il tuo prossimo come te stesso» (v. 39). Dichiarando che il secondo comandamento è simile al primo, Gesù lascia intendere che la carità verso il prossimo è importante quanto l’amore a Dio. Infatti, il segno visibile che il cristiano può mostrare per testimoniare al mondo l’amore di Dio è l’amore dei fratelli. Quanto provvidenziale risulta allora il fatto che proprio oggi la Chiesa indichi a tutti i suoi membri tre nuovi Santi che si sono lasciati trasformare dalla carità divina e ad essa hanno improntato l’intera loro esistenza. In diverse situazioni e con diversi carismi, essi hanno amato il Signore con tutto il cuore e il prossimo come se stessi «così da diventare modello per tutti i credenti» (1Ts 1,7).

Il Salmo 17, poc’anzi proclamato, invita ad abbandonarsi con fiducia nelle mani del Signore, che è “fedele al suo consacrato” (v. 51). Questo atteggiamento interiore ha guidato la vita e il ministero di san Guido Maria Conforti. Fin da quando, ancora fanciullo, dovette superare l’opposizione del padre per entrare in Seminario, diede prova di un carattere fermo nel seguire la volontà di Dio, nel corrispondere in tutto a quella caritas Christi che, nella contemplazione del Crocifisso, lo attraeva a sé. Egli sentì forte l’urgenza di annunciare questo amore a quanti non ne avevano ancora ricevuto l’annuncio, e il motto “Caritas Christi urget nos” (cfr 2Cor 5,14) sintetizza il programma dell’Istituto missionario a cui egli, appena trentenne, diede vita: una famiglia religiosa posta interamente a servizio dell’evangelizzazione, sotto il patrocinio del grande apostolo dell’Oriente san Francesco Saverio. Questo slancio apostolico san Guido Maria fu chiamato a viverlo nel ministero episcopale prima a Ravenna e poi a Parma: con tutte le sue forze si dedicò al bene delle anime a lui affidate, soprattutto di quelle che si erano allontanate dalla via del Signore. La sua vita fu segnata da numerose prove, anche gravi. Egli seppe accettare ogni situazione con docilità, accogliendola come indicazione del cammino tracciato per lui dalla Provvidenza divina; in ogni circostanza, anche nelle sconfitte più mortificanti, seppe riconoscere il disegno di Dio, che lo guidava ad edificare il suo Regno soprattutto nella rinuncia a sé stesso e nell’accettazione quotidiana della sua volontà, con un abbandono confidente sempre più pieno. Egli per primo sperimentò e testimoniò quello che insegnava ai suoi missionari, che cioè la perfezione consiste nel fare la volontà di Dio, sul modello di Gesù Crocifisso. San Guido Maria Conforti tenne fisso il suo sguardo interiore sulla Croce, che dolcemente lo attirava a sé; nel contemplarla egli vedeva spalancarsi l’orizzonte del mondo intero, scorgeva l’“urgente” desiderio, nascosto nel cuore di ogni uomo, di ricevere e di accogliere l’annuncio dell’unico amore che salva.

La testimonianza umana e spirituale di san Luigi Guanella è per tutta la Chiesa un particolare dono di grazia. Durante la sua esistenza terrena egli ha vissuto con coraggio e determinazione il Vangelo della Carità, il “grande comandamento” che anche oggi la Parola di Dio ci ha richiamato. Grazie alla profonda e continua unione con Cristo, nella contemplazione del suo amore, Don Guanella, guidato dalla Provvidenza divina, è diventato compagno e maestro, conforto e sollievo dei più poveri e dei più deboli. L’amore di Dio animava in lui il desiderio del bene per le persone che gli erano affidate, nella concretezza del vivere quotidiano. Premurosa attenzione poneva al cammino di ognuno, rispettandone i tempi di crescita e coltivando nel cuore la speranza che ogni essere umano, creato ad immagine e somiglianza di Dio, gustando la gioia di essere amato da Lui - Padre di tutti -, può trarre e donare agli altri il meglio di sé. Vogliamo oggi lodare e ringraziare il Signore perché in san Luigi Guanella ci ha dato un profeta e un apostolo della carità. Nella sua testimonianza, così carica di umanità e di attenzione agli ultimi, riconosciamo un segno luminoso della presenza e dell’azione benefica di Dio: il Dio - come è risuonato nella prima Lettura - che difende il forestiero, la vedova, l’orfano, il povero che deve dare a pegno il proprio mantello, la sola coperta che ha per coprirsi di notte (cfr Es 22,20-26). Questo nuovo Santo della carità sia per tutti, in particolare per i membri delle Congregazioni da lui fondate, modello di profonda e feconda sintesi tra contemplazione e azione, così come egli stesso l’ha vissuta e messa in atto. Tutta la sua vicenda umana e spirituale la possiamo sintetizzare nelle ultime parole che pronunciò sul letto di morte: “in caritate Christi”. E’ l’amore di Cristo che illumina la vita di ogni uomo, rivelando come nel dono di sé all’altro non si perde nulla, ma si realizza pienamente la nostra vera felicità. San Luigi Guanella ci ottenga di crescere nell’amicizia con il Signore per essere nel nostro tempo portatori della pienezza dell’amore di Dio, per promuovere la vita in ogni sua manifestazione e condizione, e far sì che la società umana diventi sempre più la famiglia dei figli di Dio.

En la segunda Lectura hemos escuchado un pasaje de la Primera Carta a los Tesalonicenses, un texto que usa la metáfora del trabajo manual para describir la labor evangelizadora y que, en cierto modo, puede aplicarse también a las virtudes de Santa Bonifacia Rodríguez de Castro. Cuando san Pablo escribe la carta, trabaja para ganarse el pan; parece evidente por el tono y los ejemplos empleados, que es en el taller donde él predica y encuentra sus primeros discípulos. Esta misma intuición movió a Santa Bonifacia, que desde el inicio supo aunar su seguimiento de Jesucristo con el esmerado trabajo cotidiano. Faenar, como había hecho desde pequeña, no era sólo un modo para no ser gravosa a nadie, sino que suponía también tener la libertad para realizar su propia vocación, y le daba al mismo tiempo la posibilidad de atraer y formar a otras mujeres, que en el obrador pueden encontrar a Dios y escuchar su llamada amorosa, discerniendo su propio proyecto de vida y capacitándose para llevarlo a cabo. Así nacen las Siervas de San José, en medio de la humildad y sencillez evangélica, que en el hogar de Nazaret se presenta como una escuela de vida cristiana. El Apóstol continúa diciendo en su carta que el amor que tiene a la comunidad es un esfuerzo, una fatiga, pues supone siempre imitar la entrega de Cristo por los hombres, no esperando nada ni buscando otra cosa que agradar a Dios. Madre Bonifacia, que se consagra con ilusión al apostolado y comienza a obtener los primeros frutos de sus afanes, vive también esta experiencia de abandono, de rechazo precisamente de sus discípulas, y en ello aprende una nueva dimensión del seguimiento de Cristo: la Cruz. Ella la asume con el aguante que da la esperanza, ofreciendo su vida por la unidad de la obra nacida de sus manos. La nueva Santa se nos presenta como un modelo acabado en el que resuena el trabajo de Dios, un eco que llama a sus hijas, las Siervas de San José, y también a todos nosotros, a acoger su testimonio con la alegría del Espíritu Santo, sin temer la contrariedad, difundiendo en todas partes la Buena Noticia del Reino de los cielos. Nos encomendamos a su intercesión, y pedimos a Dios por todos los trabajadores, sobre todo por los que desempeñan los oficios más modestos y en ocasiones no suficientemente valorados, para que, en medio de su quehacer diario, descubran la mano amiga de Dios y den testimonio de su amor, transformando su cansancio en un canto de alabanza al Creador.

“Ti amo, Signore, mia forza”. Così, cari fratelli e sorelle, abbiamo acclamato con il Salmo responsoriale. Di tale amore appassionato per Dio sono segno eloquente questi tre nuovi Santi. Lasciamoci attrarre dai loro esempi, lasciamoci guidare dai loro insegnamenti, affinché tutta la nostra esistenza diventi testimonianza di autentico amore verso Dio e verso il prossimo.

Ci ottenga questa grazia la Vergine Maria, la Regina dei Santi, e anche l’intercessione di san Guido Maria Conforti, di san Luigi Guanella e di santa Bonifacia Rodríguez de Castro. Amen.

ANGELUS

Cari fratelli e sorelle!

Prima di concludere questa solenne celebrazione, desidero rivolgere a tutti voi un cordiale saluto.

Mi rivolgo anzitutto ai pellegrini venuti per rendere omaggio a San Guido Maria Conforti e a San Luigi Guanella, con un pensiero di speciale affetto e incoraggiamento per i membri degli Istituti da loro fondati: i Missionari Saveriani, le Figlie di Santa Maria della Provvidenza e i Servi della Carità. Saluto i Vescovi e le Autorità civili e ringrazio ciascuno per la sua presenza. Ancora una volta l’Italia ha offerto alla Chiesa e al mondo luminosi testimoni del Vangelo; rendiamo lode a Dio e preghiamo perché in questa nazione la fede non cessi di rinnovarsi e di produrre buoni frutti.

{ SALUTI IN VARIE LINGUE: Saludo muy cordialmente a los peregrinos de lengua española que han venido a Roma para participar en la gozosa celebración de proclamación de nuevos Santos. Junto a los Señores Arzobispos y Obispos que los acompañan, a las Delegaciones oficiales y a los devotos y seguidores del espíritu de los hoy canonizados, saludo en particular a las Siervas de San José, que tienen el gran gozo de ver reconocida para la Iglesia universal la santidad de su Fundadora. Que el ejemplo y la intercesión de estas figuras preclaras para la Iglesia impulsen a todos a renovar su compromiso de vivir de todo corazón su fe en Cristo y de testimoniarlo en los diversos ámbitos de las sociedad. Muchas gracias.

Je salue cordialement les pèlerins francophones, particulièrement ceux venus pour la canonisation de l’évêque Guido Maria Conforti, Fondateur des Missionnaires Xavériens, qui sont présents dans plusieurs pays d’Afrique. Chers amis, que le témoignage des nouveaux Saints vous guide sur le chemin de l’Evangile ! Bon dimanche à tous !

Dear brothers and sisters, I am pleased to greet all the English-speaking visitors and pilgrims present, especially those here for today’s canonizations. In this Sunday’s Gospel passage, Jesus urges us to love God above all things and to love our neighbour as ourselves. Let us measure our actions every day by his call to love, and live it with courage and joy. May almighty God bless all of you!

Ein herzliches „Grüß Gott“ sage ich allen deutschsprachigen Pilgern und Besuchern. Jedesmal ist es ein freudiges Fest, wenn die Kirche Menschen, die auf Erden ein tugendhaftes christliches Leben geführt haben, als Heilige zur Ehre der Altäre erhebt. Heiligkeit bedeutet nicht Absonderung, sondern Vereinigung und ist Einladung an uns, der erlösenden Liebe Christi auch in unserem Leben Raum zu geben. Bitten wir die neuen Heiligen um ihre Fürsprache, daß wir für diese Gemeinschaft, die Gott schenkt, bereitwillig unsere Herzen öffnen. Einen gesegneten Sonntag wünsche ich euch allen.

Serdeczne pozdrowienie kieruję do polskich pielgrzymów. Wczoraj wraz z Diecezją Rzymską i Kościołem w Polsce wspominaliśmy w liturgii błogosławionego Jana Pawła II, a dziś zechcieliście wziąć udział w kanonizacji trzech nowych świętych. Ich opiece zawierzam was i wasze rodziny. Niech Bóg wam błogosławi.

[Un cordiale saluto rivolgo ai pellegrini polacchi. Ieri, insieme alla Diocesi di Roma e alla Chiesa in Polonia abbiamo commemorato nella liturgia il Beato Giovanni Paolo II, e oggi voi avete voluto partecipare alla canonizzazione dei tre nuovi Santi. Alla loro protezione affido voi e le vostre famiglie. Dio vi benedica.]}

Alla Vergine Maria, che guida i discepoli di Cristo sulla via della santità, ci rivolgiamo ora in preghiera. Alla sua intercessione affidiamo anche la Giornata di riflessione, dialogo e preghiera per la pace e la giustizia nel mondo: un pellegrinaggio ad Assisi, a 25 anni da quello convocato dal Beato Giovanni Paolo II.

Angelus Domini…

© Copyright 2011 - Libreria Editrice Vaticana

domenica 23 ottobre 2011

Video Vangelo: XXX ordinario (A)

Due Comandamenti, non 613

(Mt 22,34-40)
30^ Domenica Tempo Ordinario

Chi è di turno oggi? Per far che? Ma per tendere un tranello a Gesù, si capisce! Passano le domeniche del tempo ordinario, ma come d’ordinario, in prima linea ci sono ancora sempre i farisei che dominano la scena anche in questo brano di Vangelo, sempre pronti “dopo che Gesù aveva chiuso (di nuovo!…) la bocca ai sadducei”, di aprire la loro. Per dire cosa? “Per metterlo alla prova”. Sempre lo stesso ritornello.

• Interrogazione orale

Ed è il turno di un dottore della legge che lo interroga chiamandolo “Maestro”. Di solito è il maestro che interroga gli alunni, ma qui abbiamo un far-iseo (volevo dire un farabutto) che inverte i ruoli. Interrogazione orale (prima l’orale, poi lo scritto…), come fosse un alunno di cui si vuole saggiare la preparazione. Quei poveri farisei si sentivano proprio investiti (da chissà chi poi…) della missione di cogliere in fallo Gesù, e non vi rinunciavano neanche a morire! Ma Gesù, non solo dimostra di essere preparatissimo, ma con la sua risposta, semplifica di molto la vita (e la matematica) di quei poveri dottori della legge, perché in pratica dice loro che i comandamenti da osservare sono solo due, mentre loro ne osservavano addirittura 613! Di cui 365 proibizioni e 248 precetti! Di che perdere il sonno, oltre che il senno: come fare a tenere i conti!?

• Come districarsi?

E il tranello, questa volta, consiste proprio nel districarsi in quella marea di precetti per scovare quello giusto. Ma Gesù non la degna neanche di uno sguardo quella casistica così minuziosa che spacca il capello in quattro, ma dice che tutta la legge e i profeti sono compendiati in due soli comandamenti: amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze (il famoso “Shemà Israel”) e il prossimo tuo come te stesso.
Soffermiamoci dunque un attimo su questo primo e massimo comandamento che mi ha sempre colpito per il suo radicalismo e totalitarismo. Trovo che questo Shemà Israel, unifica in modo straordinario la nostra vita eliminando ogni dualismo. Infatti Gesù non dice: Amerai il Signore tuo Dio con un po’ di anima, un po’ di cuore e un po’ di forze, mentre con l’altro po’ amerai il prossimo. Se così fosse dovremmo dividere il nostro cuore e le nostre forze e darne una prima metà a Dio e la seconda metà al prossimo. No! Gesù ci dice che dobbiamo occuparci ad amare Dio con tutto noi stessi, e solo così ameremo veramente il prossimo perché lo ameremo con lo stesso amore di Dio che circola in noi. E solo così ameremo “come io vi ho amato”. Abbandonati al solo nostro modo naturale di amare, sempre fragile ed imperfetto, traballante ed incostante, ameremo il prossimo, al massimo, finché ci è simpatico e poi stop!

• Uniti e unificati

E così siamo giunti al secondo comandamento che è simile al primo: amerai il prossimo tuo come te stesso. Anche san Paolo nella lettera ai Romani scrive: “Chi ama il suo simile ha adempiuto la legge: pieno compimento della legge è l’amore”. E sant’Agostino rincara la dose dicendo: ”Ama e fa ciò che vuoi” (peccato che quel “fa ciò che vuoi” ci attira irresistibilmente ed è il “comandamento” che tutti siamo ben felici di osservare a scapito dell’altro…).
La risposta di Gesù unisce dunque quei due comandamenti che nell’Antico Testamento sono separati, (uno si trova nel Deuteronomio 6, 4-5 e l’altro nel Levitico 19, 18) e così unifica la volontà e il cuore dell’uomo e ci dice che amare è l’unica cosa necessaria. Non è un optional da fare una tantum, ma un dovere imprescindibile se vogliamo realizzarci come figli di Dio e vivere quella comunione con Lui e con il prossimo che è fonte di beatitudine e di salvezza per noi e per i nostri fratelli.

Wilma Chasseur

sabato 22 ottobre 2011

Vangelo della vita

In difesa della vita - Evangelium vitae - XXXIV

Torna l'appuntamento con la Lettera Enciclica "Evangelium vitae", in difesa della vita. Oggi il Beato Giovanni Paolo II ci ricorda che noi siamo il popolo della vita poiché Dio ci ha donato proprio il Vangelo della vita e non il Vangelo della morte. Essendo noi il popolo della vita, siamo chiamati a lottare per una nuova cultura della vita che contrasti quella cultura della morte che progressivamente si va diffondendo nelle maglie della nostra società:


CAPITOLO IV

L'AVETE FATTO A ME

PER UNA NUOVA CULTURA DELLA VITA UMANA

«Voi siete il popolo che Dio si è acquistato perché proclami le sue opere meravigliose» (1 Pt 2, 9): il popolo della vita e per la vita

78. La Chiesa ha ricevuto il Vangelo come annuncio e fonte di gioia e di salvezza. L'ha ricevuto in dono da Gesù, inviato dal Padre «per annunziare ai poveri un lieto messaggio» (Lc 4, 18). L'ha ricevuto mediante gli Apostoli, da Lui mandati in tutto il mondo (cf. Mc 16, 15; Mt 28, 19-20). Nata da questa azione evangelizzatrice, la Chiesa sente risuonare in se stessa ogni giorno la parola ammonitrice dell'Apostolo: «Guai a me se non predicassi il Vangelo» (1 Cor 9, 16). «Evangelizzare, infatti, — come scriveva Paolo VI — è la grazia e la vocazione propria della Chiesa, la sua identità più profonda. Essa esiste per evangelizzare».101

L'evangelizzazione è un'azione globale e dinamica, che coinvolge la Chiesa nella sua partecipazione alla missione profetica, sacerdotale e regale del Signore Gesù. Essa, pertanto, comporta inscindibilmente le dimensioni dell'annuncio, della celebrazione e del servizio della carità. È un atto profondamente ecclesiale, che chiama in causa tutti i diversi operai del Vangelo, ciascuno secondo i propri carismi e il proprio ministero.

Così è anche quando si tratta di annunciare il Vangelo della vita, parte integrante del Vangelo che è Gesù Cristo. Di questo Vangelo noi siamo al servizio, sostenuti dalla consapevolezza di averlo ricevuto in dono e di essere inviati a proclamarlo a tutta l'umanità «fino agli estremi confini della terra» (At 1, 8). Nutriamo perciò umile e grata coscienza di essere il popolo della vita e per la vita e in tal modo ci presentiamo davanti a tutti.

79. Siamo il popolo della vita perché Dio, nel suo amore gratuito, ci ha donato il Vangelo della vita e da questo stesso Vangelo noi siamo stati trasformati e salvati. Siamo stati riconquistati dall' «autore della vita» (At 3, 15) a prezzo del suo sangue prezioso (cf. 1 Cor 6, 20; 7, 23; 1 Pt 1, 19) e mediante il lavacro battesimale siamo stati inseriti in lui (cf. Rm 6, 4-5; Col 2, 12), come rami che dall'unico albero traggono linfa e fecondità (cf. Gv 15, 5). Rinnovati interiormente dalla grazia dello Spirito, «che è Signore e dà la vita», siamo diventati un popolo per la vita e come tali siamo chiamati a comportarci.

Siamo mandati: essere al servizio della vita non è per noi un vanto, ma un dovere, che nasce dalla coscienza di essere «il popolo che Dio si è acquistato perché proclami le sue opere meravigliose» (1 Pt 2, 9). Nel nostro cammino ci guida e ci sostiene la legge dell'amore: è l'amore di cui è sorgente e modello il Figlio di Dio fatto uomo, che «morendo ha dato la vita al mondo».102

Siamo mandati come popolo. L'impegno a servizio della vita grava su tutti e su ciascuno. È una responsabilità propriamente «ecclesiale», che esige l'azione concertata e generosa di tutti i membri e di tutte le articolazioni della comunità cristiana. Il compito comunitario però non elimina né diminuisce la responsabilità della singola persona, alla quale è rivolto il comando del Signore a «farsi prossimo» di ogni uomo: «Và e anche tu fà lo stesso» (Lc 10, 37).

Tutti insieme sentiamo il dovere di annunciare il Vangelo della vita, di celebrarlo nella liturgia e nell'intera esistenza, di servirlo con le diverse iniziative e strutture di sostegno e di promozione.

venerdì 21 ottobre 2011

Bilocazione Padre Pio - I parte

Elvira - Figlia spirituale di Padre Pio - VII

Continuiamo a scoprire la figura di Elvira, figlia spirituale di San Pio da Pietrelcina: dopo aver visto gli anni della guerra, vediamo oggi come Elvira continuò con fervore la sua opera di apostolato, anche dopo il periodo del conflitto mondiale. In lei si scruta proprio la virtù più grande che un cristiano possa desiderare di avere: la carità.


DOPO LA GUERRA

Cessato il periodo della guerra, si apre per Elvira una nuova serie di momenti difficili che lei riuscirà a superare solo con l'aiuto del Signore. Ciò nonostante riprende a frequentare l'Ospedale Civile per l'assistenza ai malati. Quanto si prodigasse in quest'opera di misericordia lo hanno testimoniato infermiere e suore che non sapevano nascondere la loro meraviglia per tanta abnegazione.

Era sempre lì, ogni pomeriggio alle 15, col suo grembiule bianco, a prestarsi per i lavori più ingrati, ad aggirarsi in mezzo ai malati, nei cameroni, nei corridoi, a confortare, ad aiutare, a ridare la serenità col suo sorriso, ad invitare alla preghiera. I malati l'aspettavano ogni giorno come un raggio di sole e molti di essi si convertivano.

"Ho avuto dei veri miracoli nelle conversioni!" confermerà poi in seguito Elvira.

Un'estate dovrà accompagnare due di essi a Badia Prataglia e rimanere lassù qualche giorno con loro. Ogni occasione è buona per fare dell'apostolato ed Elvira non se ne lascia sfuggire una.

Nei momenti liberi raduna in un prato tutti i bambini del posto per parlar loro di Padre Pio ed essi lasciano volentieri i loro giochi per stare ad ascoltarla. Ciò che lei racconta è così nuovo...

Poi, a casa, riferiscono tutto ai loro genitori che, incuriositi, vanno alla Pensione a chiedere di quella giovane signora che racconta storie tanto meravigliose. Cosi finisce che molti di essi si convertono; gente che, magari, non andava in Chiesa da cinquant'anni... La fama si spande per il paese ed Elvira si vede invitata addirittura nelle Scuole Elementari a parlare agli alunni della IV e V classe.

Tornata a Rimini riprende regolarmente le sue visite a San Giovanni Rotondo, dove molti ricevono da lei aiuto e conforto, colpiti dalla finezza del suo carattere e dalla sua semplicità, uniti al senso acuto nel giudicare le persone e le cose.

Intanto nella sua vita privata si accavallano tante preoccupazioni e dolori che solo le frequenti apparizioni di Padre Pio valgono ad alleviare.

Un pomeriggio, per esempio, si erano radunate in casa di Elvira otto o nove persone. C'era anche una signora che, sapendo che all'indomani Elvira sarebbe partita per San Giovanni Rotondo, le aveva portato la fotografia di una sua bimba di 4 anni, malata. Elvira la esortò ad aver fiducia e la confortò come solo lei sapeva fare. Proprio mentre stava parlando amabilmente con tutti, vide, nell'angolo della stanza, vicino alla porta, formarsi come una nebbia, poi la nebbia si dileguò e lei distinse chiaramente un frate che le si avvicinava. Si dirigeva proprio verso di lei, che stava seduta, dicendole: "Ecchè, non mi riconosci più?"

Elvira cadde in ginocchio tutta confusa: "Oh, Padre, Padre!" e Lui le porse le stigmate da baciare. Allora Elvira si ricordò della foto della bimba che era posata sul tavolo e gliela mostrò: "Padre, cosa ne dite di questa bambina?"

"Questa sarà un fiore del cielo" rispose Lui. Poi, passandole la mano sul capo sparì, lasciando un gran profumo. I presenti erano attoniti. Sentivano tutti quel gran profumo, avevano visto l'atteggiamento di Elvira, avevano udito le sue parole e ora nessuno aveva il coraggio di parlare. Passò un'oretta così, finchè, tornato a casa dal servizio il marito di Elvira, furono obbligati a raccontargli tutto. Così, al mattino seguente la notizia faceva il giro della città. Elvira intanto stava correndo a San Giovanni Rotondo. Come giunse al cospetto di Padre Pio, gli chiese: "Eravate proprio voi ieri sera?"

"E perchè, lo metteresti in dubbio?" rispose il Padre e le confermò la sua sentenza sulla bambina che, infatti, dopo due mesi, morì.

Era sempre felice il Padre quando "la paesana" come egli la chiamava, gli compariva davanti. Sapeva di poter contare su di lei, così docile e ubbidiente e, per affinare la sua spiritualità, la metteva spesso a contatto con altre anime sante, come Luisa Piccareta di Corato (Bari), Genoveffa di Foggia, Don Dolindo Ruotolo di Napoli, Padre Cappello di Roma che ogni volta la esortavano a proseguire nel suo apostolato. Le esortazioni di queste creature elette accrescevano sempre più lo zelo di Elvira che, dimenticando se stessa e i propri guai, accorreva come un'ape laboriosa su e giù per l'Italia, dovunque ci fosse un malato da assistere, un'anima da salvare.

Straordinariamente significative a questo riguardo, sono le annotazioni che una sua carissima amica faceva su pagine di diario.

Ne trascriviamo qualcuna:

13 febbraio 1962: "Oggi Elvira è partita per Bologna per convertire un ateo e portarlo da Padre Pio".

21 febbraio: "In missione a Padova e a Vicenza'. "Da Padre Pio".

"Per apostolato a Sarzana, Parma, Faenza". "A Foggia, da Padre Pio, per la conversione di un miscredente".

25 maggio: "A Parma in missione".

28 maggio: "A Loreto con ammalati".

13 giugno: "In Svizzera, apostolato".

25 luglio: "A La Verna".

1 agosto: "A Vitidiatico, nel Modenese, per apostolato".

26 settembre: "A Mamiano in Pistoia".

3 ottobre: "Da Padre Pio per conversioni".

7 marzo: 9 aprile: 10 aprile: a Lucerna, in missione.

Poi le notazioni proseguono nel 1963:

17 marzo: "Per volontà di Padre Pio accompagna un lato a Taranto".

12 aprile: "A Roma con ammalati".

30 maggio: "A Sestri Levante per apostolato".

24 luglio: "Da Padre Pio".

4 settembre: "All'Abetone per lavoro di apostolato"

25 settembre: "A Trieste per apostolato".

27 settembre: "Al Monte Grappa".

13 ottobre: "A Genova".

7 novembre: "Da Padre Pio per ammalati".

11 novembre: "Da Padre Pio per ammalati".

C'è davvero da rimanere sbalorditi per la febbrile attività di questa donna ardente di zelo che non trovava barriere di spazio e di tempo per la sua opera di apostolato!

Fu così che quando la bianca immagine della Madonna di Fatima, percorrendo i cieli in elicottero, si abbassò sulle città italiane, trovò ad accoglierla, quasi dovunque, questa sua umile figlia. A Bologna, a Modena, a Ferrara, a Loreto, poi a Roma, a Rimini, a San Giovanni Rotondo...

"Ma Padre, io capito sempre quando c'è la Madonna di Fatima! Io corro dietro alla Madonna!"

"O la Madonna corre dietro a te..." le rispose Padre Pio.