(Mt 23,1-12)
31^ Domenica Tempo Ordinario
Questa volta sono guai per scribi e farisei; guai per davvero, senza sconti e senza appello.
Il capitolo XXIII di Matteo è tutta una serie di “guai”, dall’inizio fino alla fine.
• Carta d’identità dei “dottori”
Dopo il susseguirsi di attacchi e contrattacchi sferrati le volte scorse a Gesù con l’intento di “metterlo alla prova”, oggi sembra quasi che il Signore voglia prendersi una rivincita alla grande e stigmatizza l’agire di scribi e farisei - di quelli cioè che sedevano sulla cattedra di Mosè, nientemeno - stilando loro questa terribile carta d’identità i cui dati salienti sono:
- dicono e non fanno
- legano pesanti fardelli sulle spalle degli altri, ma loro non li toccano neppure con un dito
- vogliono essere chiamati maestri ed essere applauditi ed ammirati
- fanno proseliti per renderli poi figli dell’inferno (tremendo!).
E poi arriva a raffica la scarica dei “guai a voi scribi e farisei ipocriti che chiudete il regno dei cieli in faccia agli uomini e così non vi entrate neppure voi” a cui segue tutto un elenco delle loro altre nefandezze. Di che rimanere tramortiti! Poveri dottori che la sapevano lunga e ci tenevano tanto al loro titolo cattedratico…
• Cos’è che grida più forte?
Mi viene in mente un proverbio indiano che dice: ”Ciò che fai grida così forte da impedirmi di udire ciò che dici”. E’ questa l’unica verità uguale per tutti, l’unico documento valido come lasciapassare per il Regno: i fatti! “Venite benedetti, avevo fame, mi avete dato da mangiare, avevo sete mi avete dato da bere, ero triste, mi avete consolato…”.
Saremo giudicati su ciò che avremo fatto. “Alla sera della vita saremo giudicati sull’amore” (san Giovanni della Croce). L’amore effettivo non quello solo affettivo, fatto di belle parole e di buone intenzioni. In francese si dice che “ l’enfer est pavé de bonnes intentions” (l’inferno è piastrellato di buone intenzioni)…
Stiamo per celebrare le ricorrenze dei Santi e dei Morti e siamo invitati a riflettere su quest’ultimo traguardo che dovremo varcare tutti, volenti o nolenti. Dovremmo abituarci fin da ora a considerarlo come un ritorno in Patria; un incontrare il Padre che ci aspetta a braccia spalancate, e non considerarlo come la caduta in un buco nero di cui non sappiamo niente e in cui tutto finisce. E’esattamente il contrario! Sarà allora che tutto comincerà e sarà un’esplosione di vita rispetto alla quale, questa esistenza che viviamo quaggiù, è solo un pallido abbozzo. “ E’ l’unica vera vita, la sola beata perché in essa si godono le delizie del Signore per l’eternità, dopo di essere diventati immortali ed incorruttibili nel corpo e nell’anima. Chiunque avrà conseguito questa vita avrà tutto ciò che vuole, né potrà desiderare di più” (S. Agostino). Anzi, la visione di Dio colmerà all’infinito tutti i nostri desideri di felicità, dice San Tommaso d’Aquino.
• L’umiltà ci fa andare “oltre”…
Il Vangelo odierno conclude: “Chi si innalza sarà abbassato e chi si abbassa sarà innalzato”. L’umiltà oggi non è certamente gridata sui tetti, ma questo vangelo ci dimostra come essa sia la virtù più importante, dopo la carità, per entrare nel Regno. I farisei erano i “puri”, quelli che osservavano un’infinità di prescrizioni rituali e di precetti, ma “i peccatori e i pubblicani vi passano avanti nel Regno dei Cieli”. Tutte le altre miserie, il Signore ce le perdona, ma la mancanza di umiltà è la più grande barriera che ci impedisce di entrare in comunione con Dio perché ci blocca su noi stessi. Ci ferma lì e ci impedisce di alzare lo sguardo e riconoscere Lui come nostro unico Dio e Signore, dal quale ci viene ogni dono perfetto. L’umiltà è come una luce che si accende nella notte e, dissipando le tenebre dell’orgoglio, ci permetterà di vedere la Stella lucente, l’astro divino che inonderà anche noi di luce gloriosa rendendoci simili a Lui per i secoli eterni.
Wilma Chasseur
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