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martedì 25 ottobre 2011

Riscoprire i Santi - I tre nuovi Santi

Torna l'appuntamento settimanale, volto alla scoperta dei nostri cari Santi! Oggi vogliamo ricordare tre beati che hanno varcato la soglia della santità proprio Domenica scorsa, a seguito della Messa di Canonizzazione celebrata da Papa Benedetto XVI: mons. Guido Maria Conforti, don Luigi Guanella e suor Bonifacia Rodríguez de Castro ( i loro tratti biografici sono estratti dal sito Santi & Beati):


San Guido Maria Conforti Fondatore dei Miss. Saveriani
Volontà molta, salute poca. Supera qualche difficoltà familiare entrando in seminario, ma a 17 anni comincia a soffrire di epilessia e sonnambulismo. Gli fa coraggio il rettore don Andrea Ferrari (futuro arcivescovo di Milano) e a 23 anni viene ordinato sacerdote. A 28 è già vicario generale della diocesi parmense. Ma sogna la missione. In Oriente, sull’esempio del pioniere Francesco Saverio.
Ma la salute è fragile: nessun istituto missionario lo accetta. E lui, nel 1895, ne fonda uno per conto suo, la “Congregazione di san Francesco Saverio per le Missioni estere”. Lo fonda, lo guida, con pochi alunni al principio, e con l’aiuto di un solo prete. Spenderà poi l’eredità paterna per consolidarlo. E nel 1896 ecco già in partenza per la Cina i primi due Saveriani.
Guido Maria Conforti in questo momento si trova a essere una figura insolita nella Chiesa italiana: impegnato come vicario nel governo di una diocesi “domestica”, e proiettato al tempo stesso verso la missione lontana. E polemico con quanti in Italia ignorano la missione o sembrano temerla ("Ruba sacerdoti alle diocesi!"). Nominato arcivescovo di Ravenna a 37 anni, lascerà l’incarico un anno dopo, ancora per malattia. Muore in Cina uno dei suoi missionari; lui richiama l’altro e si concentra tutto sull’Istituto. Ma nel 1907 eccolo poi “richiamato” in diocesi, come coadiutore del vescovo di Parma e poi come successore. Reggerà la diocesi per 25 anni, attivissimo: due sinodi, cinque visite pastorali a 300 parrocchie. E intanto i suoi Saveriani ritornano in Cina.
Nel 1912 uno di essi, padre Luigi Calza, è nominato vescovo di Cheng-chow, e riceve la consacrazione da lui nella cattedrale di Parma. Sempre nel 1912, si associa vigorosamente all’iniziativa di un appello al Papa, perché richiami energicamente la Chiesa italiana al dovere di sostenere l’evangelizzazione nel mondo. L’idea è partita da don Giuseppe Allamano, fondatore a Torino dei Missionari della Consolata. La Giornata missionaria mondiale, istituita poi nel 1926 da papa Pio XI, realizzerà una proposta contenuta già in quell’appello del 1912.
Infine arriva il momento più bello per Guido Maria: nel 1928 eccolo in Cina per visitare i suoi Saveriani. Ecco avverato il sogno di una vita: conoscere i nuovi cristiani, la giovane Chiesa cresciuta tra dure difficoltà, sentirsi realizzatore, con i suoi, del sogno di Francesco Saverio... E, insieme, quest’uomo proiettato verso continenti lontani, è pienamente e vigorosamente pastore della sua diocesi nativa, partendo dal lavoro di rievangelizzazione attraverso il movimento catechistico e dalla fraternità praticata in tutte le direzioni, soprattutto con l’opera di assistenza alle famiglie durante la prima guerra mondiale, riconosciuta anche dal governo italiano, con un’alta onorificenza civile.
 Il suo fisico sempre sofferente, e tanto spesso trascinato dalla volontà, cede irrimediabilmente nel 1931. Nel 1995 Giovanni Paolo II lo proclama beato ed è stato canonizzato a Roma da Papa Benedetto XVI il 23 ottobre 2011. La salma riposa nella sede dei Missionari Saveriani a Parma. (Autore: Domenico Agasso)

San Luigi Guanella Sacerdote

1. Biografia

Luigi Guanella nacque a Fraciscio di Campodolcino in Val San Giacomo (Sondrio) il 19 dicembre 1842. Morì a Como il 24 ottobre 1915.
La sua valle e il paese (m. 1350 sul mare) sono nelle Alpi Retiche. Fin dall'antichità vi si stabilirono delle comunità vissute, con fatica e stento, di agricoltura alpina e di allevamento e la cui storia, economia e struttura sociale fino al 1800 sono segnate dalla posizione geografica della valle chiusa sui due lati da due catene di monti altissimi, ma soggetta a invasioni di transito. La valle segna la via più breve di comunicazione tra il sud e il nord delle Alpi centrali, conferendo qualche vantaggio, soprattutto i privilegi di una certa libertà comunale concessa perché gli abitanti non ostacolassero le comunicazioni commerciali o militari. Fieri di questa libertà, fervidamente attaccati alla religione cattolica in contrasto col confinante canton Grigioni riformato, vivevano in povertà, dediti ai più duri lavori per garantirsi il minimo di sopravvivenza. Le qualità che ne riportò il G. furono l'abitudine al sacrificio e al lavoro, l'autonomia, la pazienza e la fermezza nelle decisioni, insieme a grande fede.
Queste qualità si rafforzarono nella famiglia: il padre Lorenzo, per 24 anni sindaco di Campodolcino sotto il governo austriaco e dopo l'unificazione (1859), severo e autoritario, la madre Maria Bianchi, dolce e paziente, e 13 figli quasi tutti arrivati all'età adulta.
A dodici anni ottenne un posto gratuito nel collegio Gallio di Como e proseguì poi gli studi nei seminari diocesani (1854-1866). La sua formazione culturale e spirituale è quella comune ai seminari nel Lombardo-Veneto, per lungo periodo sotto il controllo dei governanti austriaci; il corso teologico era povero di contenuto culturale, ma attento agli aspetti pastorali e pratici: teologia morale, riti, predicazione e, di più, alla formazione personale: pietà, santità, fedeltà. La vita cristiana e sacerdotale si alimentava alla devozione comune fra la popolazione cristiana. Questa impostazione concreta pose il giovane seminarista e sacerdote assai vicino al popolo e a contatto con la vita che esso conduceva. Quando tornava al paese per le vacanze autunnali si immergeva nella povertà delle valli alpine; si interessava dei bambini e degli anziani e ammalati del paese, passando i mesi nella cura di questi, e nei ritagli si appassionava alla questione sociale (Taparelli), raccoglieva e studiava erbe medicinali (Mattioli), si infervorava leggendo la storia della Chiesa (Rohrbacher). In seminario teologico entrò in familiarità col vescovo di Foggia, Bernardino Frascolla, rinchiuso nel carcere di Como, poi a domicilio coatto in seminario (1864-66), e si rese conto della ostilità che dominava le relazioni dello stato unitario verso la Chiesa. Questo vescovo ordinò G. sacerdote il 26 maggio 1866.
Entrò con entusiasmo nella vita pastorale in Valchiavenna (Prosto, 1866 e Savogno, 1867-1875) e, dopo un triennio salesiano, fu di nuovo in parrocchia in Valtellina (Traona, 1878-1881), per pochi mesi a Olmo e infine a Pianello Lario (Como, 1881-1890).
Fin dagli inizi a Savogno rivelò i suoi interessi pastorali: l'istruzione dei ragazzi e degli adulti, l'elevazione religiosa, morale e sociale dei suoi parrocchiani, con la difesa del popolo dagli assalti del liberalismo e con l'attenzione privilegiata ai più poveri. Non disdegnava interventi battaglieri, quando si vedeva ingiustamente frenato o contraddetto dalle autorità civili nel suo ministero, così che venne presto segnato fra i soggetti pericolosi ("legge dei sospetti"), specialmente dal momento che pubblicò un libretto polemico. Nel frattempo a Savogno approfondiva la conoscenza di don Bosco e dell'opera del Cottolengo; invitò don Bosco ad aprire un collegio in valle; ma, non potendo realizzare il progetto, il G. ottenne di andare per un certo periodo da don Bosco.
Richiamato in diocesi dal Vescovo, aprì in Traona un collegio di tipo salesiano; ma anche qui venne ostacolato; si andò a rimestare le controversie di Savogno e gli fu imposto di chiudere il collegio. Si mise a disposizione del vescovo con obbedienza eroica. Mandato a Pianello poté dedicarsi all'attività di assistenza ai poveri, rilevando l'Ospizio fondato dal predecessore don Carlo Coppini, con alcune orsoline che organizzò in congregazione religiosa (Figlie di S. Maria della Provvidenza) e con queste avviò la Casa della Divina Provvidenza in Como (1886), con la collaborazione di suor Marcellina Bosatta e della sorella Beata Chiara. La Casa ebbe subito un rapido sviluppo, allargando l'assistenza dal ramo femminile a quello maschile (congregazione dei Servi della Carità), benedetta e sostenuta dal Vescovo B. Andrea Ferrari. L'opera si estese ben presto anche fuori città: nelle province di Milano (1891), Pavia, Sondrio, Rovigo, Roma (1903), a Cosenza e altrove, in Svizzera e negli Stati Uniti d'America (1912), sotto la protezione e l'amicizia di S. Pio X. Nell'opera maschile ebbe come collaboratori esimi don Aurelio Bacciarini, poi vescovo di Lugano, e don Leonardo Mazzucchi.
Le opere e gli scopi che cadono sotto l'attenzione del G. (e gli impedirono di fermarsi con don Bosco) sono quelli tipici della sua terra di origine. Molti i bisognos: bambini e giovani, anziani lasciati soli, emarginati, handicappati psichici (ma anche ciechi, sordomuti, storpi): tutta la fascia intermedia tra i giovani di don Bosco e gli inabili del Cottolengo, persone ancora capaci di una ripresa: terreno duro e arido come la sua terra natale, ma che, lavorato con amore (nelle scuole, laboratori, colonie agricole) può dare frutti insperati.

2. Il carisma e messaggio - la santità

Il carisma suo è l'annuncio biblico della paternità di Dio che per il G. costituisce un'esperienza personale profonda, di carattere mistico e profetico, e dà alla sua santità e missione una dimensione tipica e qualificata; esperienza che vuole partecipare specialmente ai più poveri e abbandonati: Dio è padre di tutti e non dimentica né emargina i suoi figli. Notevoli i suoi due scritti: Andiamo al Padre (1880) e Il Fondamento (1885). Le sue case si organizzano coerentemente in strutture a misura d'uomo, con spirito di famiglia e adattano un proprio metodo preventivo (cf. Regolamento dei Servi della Carità, l905), affidate alla paternità di Dio. La guida e la conduzione di tutto sono affidate a lui: "è Dio che fa".
La santità di L.G. sta nella perfezione non solo morale, ma ontologica, conforme alla sua esperienza della paternità di Dio. Cercò sempre, fin dalla giovinezza, una coerenza tra il pensare, credere e agire; lo nota fin dal ginnasio il suo insegnante di religione: “Cerca con singolare diligenza di approfondire tutte le parti dell'insegnamento, sente ed ama quel che impara e ne informa la vita”. Come sacerdote, ministro di Dio, il suo incontro con Dio Padre fu partecipazione alla sua carità immensa, alla onnipotenza creatrice e provvidente, alla misericordia incarnata e redentrice e divenne crocevia di incontro degli uomini con Dio, attraverso e mediante la carità del santo verso i fratelli bisognosi.
Si aggiungano le forme proprie del tempo: le devozioni al S. Cuore, alla Vergine Immacolata e un'ascetica austera di penitenze, di preghiere, di severità e osservanza, di lavoro e sacrificio per la missione della carità; in uno stile di semplicità, tolleranza, misericordia, speranza gioiosa, quasi in contrasto col suo carattere energico, volitivo, fatto per rompere gli indugi, qualche volta impulsivo e irascibile. Univa una volontà indomabile. Su questa via verso la santità guidò la discepola beata suor Chiara Bosatta, capolavoro della sua arte di educatore e di direttore spirituale.
 Il Guanella è stato proclamato beato da Paolo VI il 25 ottobre 1964 (Processi diocesani: 1923-1930, introduzione della causa: 15 marzo 1939) ed è stato canonizzato a Roma da Papa Benedetto XVI il 23 ottobre 2011. Il suo corpo è venerato nel Santuario del S. Cuore in Como. (Autore: Piero Pellegrini Fonte:
 www.guanelliani.org)

Santa Bonifacia Rodriguez Castro - Suora

Bonifacia Rodríguez Castro è una semplice lavorante che, nel mezzo della vita quotidiana, si apre al dono di Dio, facendolo crescere nel suo cuore con spirito autenticamente evangelico. Fedele alla chiamata di Dio, si abbandona nelle sue braccia di Padre, lasciandosi forgiare secondo i tratti di Gesù, l'artigiano di Nazareth, che vive nascosto in compagnia dei genitori per la maggior parte della sua vita.
Nasce a Salamanca (Spagna) il 6 giugno del 1837 nel seno di una famiglia di artigiani. I genitori, Juan e Maria Natalia, erano profondamente cristiani. La loro maggior preoccupazione era l'educazione nella fede dei sei figli, dei quali Bonifacia era la maggiore. La sua prima scuola fu la casa dei genitori, dove Juan, sarto, aveva il laboratorio di cucito. La prima cosa che vedono gli occhi di Bonifacia è proprio un laboratorio artigianale.
Terminati gli studi elementari impara il mestiere di cordonaia, con cui inizia a guadagnarsi da vivere come dipendente a quindici anni, alla morte del padre, in modo da aiutare la madre a sostenere la famiglia. Il bisogno di lavorare per vivere imprime fin dall'inizio un carattere forte alla sua personalità. Sperimenta, infatti, sulla propria pelle le dure condizioni di lavoro delle donne operaie di quell'epoca: orari estenuanti e salari minimi.
Una volta superate le prime ristrettezze economiche apre il suo laboratorio artigianale di “cordoni, passamaneria e altri manufatti”, nel quale lavora con il più grande raccoglimento possibile e imita la vita nascosta della Famiglia di Nazareth. Era molto devota a Maria Immacolata e a San Giuseppe, devozioni di grande attualità dopo la proclamazione del dogma dell'Immacolata Concezione nel 1854 e la dichiarazione di San Giuseppe a patrono della Chiesa universale nel 1870.
Dal 1865, anno del matrimonio di Agustina, l'unica dei fratelli che raggiunge l'età adulta, Bonifacia e sua madre, che erano rimaste sole, si dedicano a una vita di profonda pietà, recandosi tutti i giorni alla vicina chiesa della Clerecía, gestita dalla Compagnia di Gesù.
Un gruppo di ragazze di Salamanca, loro amiche, attratte da questa testimonianza di vita, iniziano a visitare la sua casa-laboratorio nei pomeriggi delle domeniche e dei giorni festivi, sfuggendo ai nuovi e facilmente pericolosi passatempi dell'epoca. In Bonifacia cercavano un'amica che le aiutasse. Insieme decidono, quindi, di fondare la Associazione dell'Immacolata e di San Giuseppe, in seguito chiamata Associazione Giuseppina. In questo modo il laboratorio di Bonifacia acquista una chiara proiezione apostolica e sociale, di prevenzione della condizione della donna lavoratrice.
Bonifacia si sente chiamata alla vita religiosa. La sua grande devozione nei confronti di Maria fa sì che il suo cuore inizi ad accarezzare il progetto di diventare domenicana del convento di Santa Maria de Dueñas di Salamanca.
Tuttavia, un evento di importanza fondamentale cambia la sua vita: l'incontro con il gesuita catalano Francisco Javier Butinyà i Hospital, nato a Bañolas, nella provincia di Girona (1834-1899). Questi giunge a Salamanca nell'ottobre del 1870 con una grande preoccupazione apostolica verso il mondo dei lavoratori operai. A loro era diretta la sua opera “La luce dell'operaio, ovvero, collezione di vite di fedeli illuminati che si santificarono in mestieri umili”. Attratta dal suo messaggio di evangelizzazione incentrato sulla santificazione del lavoro, Bonifacia sceglie di sottoporsi alla sua direzione spirituale. Per mezzo di lei, il gesuita Butinyà entra in contatto con le ragazze che frequentavano il suo laboratorio, la maggior parte delle quali, come lei, lavoratrici manuali. Lo Spirito Santo le guida verso la fondazione di una nuova congregazione femminile, orientata verso la prevenzione nella condizione della donna operaia, attraverso l'esempio di quelle donne lavoratrici.
Bonifacia confida a Butinyà la sua decisione di diventare domenicana, ma lui le propone di fondare con lui la Congregazione delle Serve di San Giuseppe, progetto che Bonifacia accetta di buon grado. Insieme ad altre sei ragazze della Associazione Giuseppina, fra le quali anche sua madre, dà inizio a Salamanca, nella sua casa-laboratorio, alla vita della nuova comunità, il 10 gennaio del 1874, in un periodo molto critico per la vita politica spagnola.
Tre giorni prima, il 7 gennaio, il Vescovo di Salamanca, Joaquin Lluch i Garriga, aveva firmato il Decreto di Erezione del nuovo Istituto. Catalano come Butinyà, di Manresa, nella provincia di Barcellona (1816-1882), aveva accolto con il più grande entusiasmo fin dal primo momento la nuova fondazione.
Si trattava di un progetto nuovo di vita religiosa femminile, inserito nel mondo del lavoro alla luce della contemplazione della Sacra Famiglia, che mirava a creare nelle case della Congregazione il Laboratorio di Nazareth. In questo laboratorio le Serve di San Giuseppe offrivano lavoro alle donne povere che non ne avevano, evitando così che esse incorressero nei pericoli che avrebbero potuto incontrare a quell'epoca se fossero state costrette a uscire per lavorare fuori casa.
Era una forma di vita religiosa troppo coraggiosa per non incontrare opposizione. Viene subito combattuta dal clero diocesano di Salamanca, che non riesce a cogliere la profondità evangelica di questa forma di vita così vicina al mondo del lavoro.
Dopo tre mesi dalla fondazione, Francisco Butinyà viene mandato in esilio fuori dalla Spagna insieme ai suoi compagni gesuiti, e nel gennaio del 1875 il Vescovo Lluch i Garriga viene trasferito come Vescovo a Barcellona. Dopo solo un anno dalla sua nascita, Bonifacia si ritrova sola a capo dell'Istituto.
I nuovi direttori della comunità, nominati dal Vescovo fra i sacerdoti secolari, commettono l'imprudenza di seminare fra le sorelle la discordia, ed alcune di loro, da essi supportate, iniziano ad opporsi al laboratorio artigianale inteso come forma di vita, e all'accoglienza al suo interno delle donne lavoranti. Bonifacia Rodríguez, la fondatrice, che personificava senza macchia il progetto che aveva dato origine alle Serve di San Giuseppe, non accede ad apportare cambiamenti nel carisma definito dal Padre Butinyà nelle Costituzioni.
Il direttore della Congregazione, tuttavia, approfittando di un viaggio che Bonifacia compie a Girona nel 1882, allo scopo di stabilire un'unione con altre case delle Serve di San Giuseppe fondate da Francisco Butinyà in Catalogna al suo ritorno dall'esilio, promuove la sua destituzione come superiora e guida dell'Istituto.
Umiliazioni, rifiuto, disprezzo e calunnie la investono e la fanno andar via da Salamanca. L'unica risposta di Bonifacia è il silenzio, l'umiltà e il perdono. Senza proferire una parola di rivendicazione o di protesta, lascia che su di lei prevalgano i tratti di Gesù, che rimase in silenzio di fronte a quelli che lo accusavano (Mt 26, 59-63).
Come soluzione al conflitto Bonifacia propone al Vescovo di Salamanca, Narciso Martínez Izquierdo, la fondazione di una nuova comunità a Zamora. Una volta accettata, nella sua forma giuridica, dal Vescovo di Salamanca e da quello di Zamora, Tomás Belestá y Cambeses, Bonifacia parte il 25 luglio del 1883, accompagnata da sua madre, e si dirige verso questa città portando nel suo cuore il Laboratorio di Nazareth, il suo tesoro. A Zamora infonde vita al progetto in piena fedeltà, mentre a Salamanca iniziano le modifiche ad un progetto non compreso.
Bonifacia, cordonaia, nel suo laboratorio di Zamora, gomito a gomito con altre donne lavoratrici, bambine, ragazze, adulte,
- tesse la dignità della donna povera senza lavoro, “allontanandola dal pericolo di perdersi” (Decreto di Erezione dell'Istituto. 7 gennaio del 1874),
- tesse la santificazione del lavoro unendolo alla preghiera, secondo lo stile di Nazareth: “così la preghiera non sarà di intralcio al lavoro né il lavoro vi distoglierà dal raccoglimento della preghiera” (Francisco Butinyà, lettera da Poyanne, 4 giugno del 1874),
- tesse rapporti umani di uguaglianza, fraternità e di rispetto nel lavoro: “dobbiamo essere ognuna per tutte, seguendo Gesù” (Bonifacia Rodríguez, primo discorso, Salamanca, 1876).
La casa madre di Salamanca dimentica completamente Bonifacia e la fondazione di Zamora, lasciandola sola ed emarginata, e, con la guida dei superiori ecclesiastici, porta avanti delle modifiche alle Costituzioni di Butinyà, per cambiare gli scopi dell'Istituto.
Il 1 luglio del 1901 Leone XIII concede l'approvazione pontificia alle Serve di San Giuseppe, con l'esclusione della casa di Zamora. Questo è il momento di maggiore umiliazione e di privazione per Bonifacia ed anche il tempo di maggior grandezza di cuore. Non avendo ricevuto risposta dal Vescovo di Salamanca, Tomás Cámara y Castro, trasportata dalla sua forza di comunione, si mette in cammino verso Salamanca per parlare personalmente con quelle sorelle. All'arrivo alla Casa di Santa Teresa, tuttavia, le viene detto: “Ci è stato ordinato di non riceverla”, e ritorna quindi a Zamora con il cuore spezzato dal dolore. Si sfoga solo dolcemente con queste parole: “Non tornerò alla terra che mi ha visto nascere, né a questa cara Casa di Santa Teresa”. E di nuovo, il silenzio sigilla le sue labbra, cosicché la comunità di Zamora viene a sapere di quanto è successo solo dopo la sua morte.
Nemmeno questo nuovo rifiuto la separa dalle sue figlie di Salamanca e, piena di fiducia in Dio, inizia a dire alle sorelle di Zamora: “quando morirò”, sicura che l'unione si sarebbe realizzata quando lei sarebbe mancata. Con questa speranza, circondata dall'affetto della sua comunità e della gente di Zamora che la venerava come una santa, muore in questa città l'8 agosto del 1905.
Il 23 gennaio del 1907 la casa di Zamora si riunisce con il resto della Congregazione.
Allo spegnersi della sua vita, nascosta e feconda come un chicco di grano gettato nel solco, Bonifacia Rodríguez lascia in eredità a tutta la Chiesa:
- la testimonianza della sua fedeltà a Gesù nel mistero della sua vita nascosta a Nazareth,
- una vita da cui traspare tutto il vangelo,
- un cammino di spiritualità basato sulla santificazione del lavoro unito alla preghiera, nella semplicità della vita quotidiana.
 E' stata beatificata da Giovanni Paolo II il 9 novembre 2003 ed è stata canonizzata a Roma da Papa Benedetto XVI il 23 ottobre 2011. (Fonte:  Santa Sede)

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