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martedì 11 ottobre 2011

Riscoprire i Santi - Sant'Alessando Sauli

Torna l'appuntamento settimanale, volto alla scoperta dei nostri cari Santi! Oggi la Chiesa Cattolica celebra la figura di Sant'Alessandro Sauli: nato da antica famiglia genovese, nel 1534, si consacrò giovanissimo alla Vergine. Rifiutando una brillante carriera presso Carlo V, entrò nella Congregazione dei Chierici regolari di san Paolo (i Barnabiti). Nel segno dell'obbedienza comparì nella piazza dei mercanti vestito da nobile, ma portando sulle spalle una pesante croce. Nominato teologo del vescovo e decano della Facoltà teologica di Pavia, fu eletto Superiore generale dell'Ordine e si adoperò per mantenerne vivo lo spirito originale. Confessore di Carlo Borromeo, fu anche il direttore spirituale di personalità illustri del suo tempo, religiosi e laici. Vescovo di Aleria in Corsica, una diocesi in grande decadenza, ne riformò il clero e fu maestro di vita cristiana per tutti i ceti, placando tensioni e odi tra famiglie. La sua carità e la sua dedizione furono talmente grandi da essere chiamato «angelo tutelare», padre dei poveri, apostolo della Corsica.
Scopriamo approfonditamente la storia con il consueto tratto biografico (da Santi&Beati) seguito da un sermone del Santo sul purificare il cuore:


Ha davvero tutto: famiglia nobile genovese, che dà senatori e dogi alla Repubblica marinara; attitudine allo studio; alte relazioni che, adolescente, gli procurano la nomina a paggio di corte: quella di Carlo V, signore d’Europa e d’America, padrone del mondo. Partendo da lì, uno come lui può arrivare in fretta ai grandi posti. Ma Alessandro Sauli non parte. A 17 anni chiede di entrare fra i Chierici Regolari di San Paolo, detti Barnabiti, perché risiedono presso la chiesa milanese di San Barnaba. Sono preti legati da una regola di vita comune, da severi compiti di studio e d’insegnamento. Uomini di punta del rinnovamento religioso.
"Domando di essere accolto", dice, "per abbandonarmi totalmente nelle mani dell’obbedienza". Nel segno dell’obbedienza si espone a una prova tra le più sgradevoli: compare nella piazza dei mercanti vestito da nobile, ma portando sulle spalle una pesante croce. Si umilia, insomma, a dar spettacolo, esponendosi allo scandalo e alla beffa. E dà inizio a una consuetudine: "Da allora, “portar la croce” fa parte delle nostre tradizioni familiari. E’ una delle più care e indimenticabili, perché ogni barnabita inizia il proprio anno di noviziato portando la croce dalla comunità alla chiesa" (P. Luis Origlia Roasio).
Ordinato sacerdote, diviene maestro e formatore di barnabiti, chiamati a esser uomini della croce e del libro, della fede e della cultura strettamente unite, nel XVI secolo come nel XX. Alessandro Sauli, in quest’opera, è talmente uomo di punta che a soli 34 anni lo fanno già superiore generale. Carlo Borromeo, arcivescovo di Milano, lo vuole suo confessore: "Fatto diligente esame di coscienza di tutti i suoi peccati, li confessò ad Alessandro Sauli... Del suo consiglio pieno di dottrina si giovò moltissimo" (C. Bescapé). Pio V nel 1567 lo nomina vescovo di Aleria, in Corsica, dove c’è da fare tutto, compreso lo sfamare i fedeli, vittime di carestie e pirati; e proseguendo col formare preti culturalmente degni, infondendo in loro slancio per l’evangelizzazione. Per vent’anni la Corsica ha in lui un padre e maestro. E morirebbe lì, ma deve poi obbedire a un suo allievo diventato papa, Gregorio XIV, che lo trasferisce a Pavia.
Obbedisce, anche se tanto lavoro l’ha già sfiancato. Eppure intraprende subito la visita pastorale: non smette di “portare la croce”, finché un minimo di forze lo sorreggono. Viene per lui l’ultimo giorno nel dolce scenario d’autunno del Piemonte meridionale: a Calosso d’Asti, dove accetta l’ospitalità del signore del luogo. Ma non nei saloni nobili: se ne sta al pianterreno con i lavoranti, vicino alla portineria. E qui, con le prime nebbie fra le colline, muore l’“Apostolo della Corsica”. Il corpo ritorna poi a Pavia, dove sarà inumato in cattedrale. Nel 1904, Pio X Sarto lo iscriverà fra i santi.

Autore: Domenico Agasso

Purificare il cuore

Poscia che il cuor gli è molificato39, non però dobbiamo pensare che dò sij bastevole a unirlo con Dio, ma fa di mestiere a mondarlo, perché quantunque tanta sia la degnila del cuor dell'huomo che Iddio quello solo || ricerchi per se stesso, onde dice: Fili, praebe mihi cor tuum (cfr. Pr 23,26), non ti dimanda la mano per se stessa cioè l'opra esteriore, non i piedi cioè il visitar i luoghi pij, non gli occhi acciò li spendi in sante lettioni, non l'orrechie acciò odi la parola divina, non il capo acciò lo contempli, non la robba perché facci limosina, ma il cuore, essendo a guisa di fenice che solo il
cuor degli animali è 'uo pasto. Voglio torsi per questo dire che tali cose non piacine a Dio? Absit! Ma dico bene che tutte le sopradette cose, senza il cuore, non piacene a Dio; all'incontro, se gli dai il cuore non potendo niuna di esse offerirli, rimane sodisfatto et altro da tè non cerca. Che voi dire Respexit dominus ad Abel et muterà eius; ad Caim autem non respexiti (Es 4,4-5), se non che i doni di Abel non gli sarrebbono piaciuti, se prima il cuor suo non gli fusse aggradito? Volendo adonque Iddio, il qual si pasce tra gigli, il nostro cuore, bisogna mondarlo; et però un profeta ci esortava dicendo: Lava a malitia cor fuum (Ger 4,14). Hor se volete sapere che cosa macchi la purità
del nostro cuore, considerate che una cosa dicesi impura quando si meschia ad una natura inferiore et più vile di sé, ma congiongendosi ad una natura superiore non si machia, ma più tosto si nobilira: sì come se tu mescoli l'argento con il piombo, si fa impuro; ma se con l'oro, si produce una terza spetie dimandata elettro, che è più nobile de l'argento. Così, et non altrimente,  congiongendosi il cuor nostro a queste cose basse terrene, si fa terra; ma se si rivolta a Dio, si fa divino. Adonque l'amor delle cose qua qui da basso et il soverchio delettarsi in quelle macchia il risguardo et rivoltarsi di tutto cuor a Dio, perché l'astenersi da' mondani diletti, il mortificar et affliger la carne,
ci monderano il cuore.

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