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giovedì 30 settembre 2010

Papa: Intensificate la vostra amicizia con Dio

Udienza Generale Papa Benedetto XVI - 29 Settembre 2010


BENEDETTO XVI

UDIENZA GENERALE

Piazza San Pietro
Mercoledì, 29 settembre 2010



Santa Matilde di Hackeborn

Cari fratelli e sorelle,

oggi vorrei parlarvi di santa Matilde di Hackeborn, una della grandi figure del monastero di Helfta, vissuta nel XIII secolo. La sua consorella santa Gertrude la Grande, nel VI libro dell’opera Liber specialis gratiae (Il libro della grazia speciale), in cui vengono narrate le grazie speciali che Dio ha donato a santa Matilde, così afferma: “Ciò che abbiamo scritto è ben poco in confronto di quello che abbiamo omesso. Unicamente per gloria di Dio ed utilità del prossimo pubblichiamo queste cose, perché ci sembrerebbe ingiusto serbare il silenzio, sopra tante grazie che Matilde ricevette da Dio non tanto per lei medesima, a nostro avviso, ma per noi e per quelli che verranno dopo di noi” (Mechthild von Hackeborn, Liber specialis gratiae, VI, 1).

Quest’opera è stata redatta da santa Gertrude e da un’altra consorella di Helfta ed ha una storia singolare. Matilde, all’età di cinquant’anni, attraversava una grave crisi spirituale, unita a sofferenze fisiche. In questa condizione confidò a due consorelle amiche le grazie singolari con cui Dio l’aveva guidata fin dall’infanzia, ma non sapeva che esse annotavano tutto. Quando lo venne a conoscere, ne fu profondamente angosciata e turbata. Il Signore, però, la rassicurò, facendole comprendere che quanto veniva scritto era per la gloria di Dio e il vantaggio del prossimo (cfr ibid., II,25; V,20). Così, quest’opera è la fonte principale a cui attingere le informazioni sulla vita e spiritualità della nostra Santa.

Con Lei siamo introdotti nella famiglia del Barone di Hackeborn, una delle più nobili, ricche e potenti della Turingia, imparentata con l’imperatore Federico II, ed entriamo nel monastero di Helfta nel periodo più glorioso della sua storia. Il Barone aveva già dato al monastero una figlia, Gertrude di Hackeborn (1231/1232 - 1291/1292), dotata di una spiccata personalità, Badessa per quarant’anni, capace di dare un’impronta peculiare alla spiritualità del monastero, portandolo ad una fioritura straordinaria quale centro di mistica e di cultura, scuola di formazione scientifica e teologica. Gertrude offrì alle monache un’elevata istruzione intellettuale, che permetteva loro di coltivare una spiritualità fondata sulla Sacra Scrittura, sulla Liturgia, sulla tradizione Patristica, sulla Regola e spiritualità cistercense, con particolare predilezione per san Bernardo di Chiaravalle e Guglielmo di St-Thierry. Fu una vera maestra, esemplare in tutto, nella radicalità evangelica e nello zelo apostolico. Matilde, fin dalla fanciullezza, accolse e gustò il clima spirituale e culturale creato dalla sorella, offrendo poi la sua personale impronta.

Matilde nasce nel 1241 o 1242 nel castello di Helfta; è la terza figlia del Barone. A sette anni con la madre fa visita alla sorella Gertrude nel monastero di Rodersdorf. È così affascinata da quell’ambiente che desidera ardentemente farne parte. Vi entra come educanda e nel 1258 diventa monaca nel convento trasferitosi, nel frattempo, ad Helfta, nella tenuta degli Hackeborn. Si distingue per umiltà, fervore, amabilità, limpidezza e innocenza di vita, familiarità e intensità con cui vive il rapporto con Dio, la Vergine, i Santi. È dotata di elevate qualità naturali e spirituali, quali “la scienza, l’intelligenza, la conoscenza delle lettere umane, la voce di una meravigliosa soavità: tutto la rendeva adatta ad essere per il monastero un vero tesoro sotto ogni aspetto” (Ibid., Proemio). Così, “l’usignolo di Dio” – come viene chiamata – ancora molto giovane, diventa direttrice della scuola del monastero, direttrice del coro, maestra delle novizie, servizi che svolge con talento e infaticabile zelo, non solo a vantaggio delle monache, ma di chiunque desiderava attingere alla sua sapienza e bontà.

Illuminata dal dono divino della contemplazione mistica, Matilde compone numerose preghiere. È maestra di fedele dottrina e di grande umiltà, consigliera, consolatrice, guida nel discernimento: “Ella - si legge - distribuiva la dottrina con tanta abbondanza che non si è mai visto nel monastero, ed abbiamo, ahimé! gran timore, che non si vedrà mai più nulla di simile. Le suore si riunivano intorno a lei per sentire la parola di Dio, come presso un predicatore. Era il rifugio e la consolatrice di tutti, ed aveva, per dono singolare di Dio, la grazia di rivelare liberamente i segreti del cuore di ciascuno. Molte persone, non solo nel Monastero, ma anche estranei, religiosi e secolari, venuti da lontano, attestavano che questa santa vergine li aveva liberati dalle loro pene e che non avevano mai provato tanta consolazione come presso di lei. Compose inoltre ed insegnò tante orazioni che se venissero riunite, eccederebbero il volume di un salterio” (Ibid., VI,1).

Nel 1261 giunge al convento una bambina di cinque anni di nome Gertrude: è affidata alle cure di Matilde, appena ventenne, che la educa e la guida nella vita spirituale fino a farne non solo la discepola eccellente, ma la sua confidente. Nel 1271 o 1272 entra in monastero anche Matilde di Magdeburgo. Il luogo accoglie, così, quattro grandi donne - due Gertrude e due Matilde –, gloria del monachesimo germanico. Nella lunga vita trascorsa in monastero, Matilde è afflitta da continue e intense sofferenze a cui aggiunge le durissime penitenze scelte per la conversione dei peccatori. In questo modo partecipa alla passione del Signore fino alla fine della vita (cfr ibid., VI, 2). La preghiera e la contemplazione sono l’humus vitale della sua esistenza: le rivelazioni, i suoi insegnamenti, il suo servizio al prossimo, il suo cammino nella fede e nell’amore hanno qui la loro radice e il loro contesto. Nel primo libro dell’opera Liber specialis gratiae, le redattrici raccolgono le confidenze di Matilde scandite nelle feste del Signore, dei Santi e, in modo speciale, della Beata Vergine. E’ impressionante la capacità che questa Santa ha di vivere la Liturgia nelle sue varie componenti, anche quelle più semplici, portandola nella vita quotidiana monastica. Alcune immagini, espressioni, applicazioni talvolta sono lontane della nostra sensibilità, ma, se si considera la vita monastica e il suo compito di maestra e direttrice di coro, si coglie la sua singolare capacità di educatrice e formatrice, che aiuta le consorelle a vivere intensamente, partendo dalla Liturgia, ogni momento della vita monastica.

Nella preghiera liturgica Matilde dà particolare risalto alle ore canoniche, alla celebrazione della santa Messa, soprattutto alla santa Comunione. Qui è spesso rapita in estasi in una intimità profonda con il Signore nel suo ardentissimo e dolcissimo Cuore, in un dialogo stupendo, nel quale chiede lumi interiori, mentre intercede in modo speciale per la sua comunità e le sue consorelle. Al centro vi sono i misteri di Cristo verso i quali la Vergine Maria rimanda costantemente per camminare sulla via della santità: “Se tu desideri la vera santità, sta’ vicino al Figlio mio; Egli è la santità medesima che santifica ogni cosa” (Ibid., I,40). In questa sua intimità con Dio è presente il mondo intero, la Chiesa, i benefattori, i peccatori. Per lei Cielo e terra si uniscono.

Le sue visioni, i suoi insegnamenti, le vicende della sua esistenza sono descritti con espressioni che evocano il linguaggio liturgico e biblico. Si coglie così la sua profonda conoscenza della Sacra Scrittura, che era il suo pane quotidiano. Vi ricorre continuamente, sia valorizzando i testi biblici letti nella liturgia, sia attingendo simboli, termini, paesaggi, immagini, personaggi. La sua predilezione è per il Vangelo: “Le parole del Vangelo erano per lei un alimento meraviglioso e suscitavano nel suo cuore sentimenti di tale dolcezza che sovente per l'entusiasmo non poteva terminarne la lettura … Il modo con cui leggeva quelle parole era così fervente che in tutti suscitava la devozione. Così pure, quando cantava in coro, era tutta assorta in Dio, trasportata da tale ardore che talvolta manifestava i suoi sentimenti con i gesti ... Altre volte, come rapita in estasi, non sentiva quelli che la chiamavano o la muovevano ed a mala pena riprendeva il senso delle cose esteriori” (Ibid., VI, 1). In una delle visioni, è Gesù stesso a raccomandarle il Vangelo; aprendole la piaga del suo dolcissimo Cuore, le dice: “Considera quanto sia immenso il mio amore: se vorrai conoscerlo bene, in nessun luogo lo troverai espresso più chiaramente che nel Vangelo. Nessuno ha mai sentito esprimere sentimenti più forti e più teneri di questi: Come mi ha amato mio Padre, cosi io vi ho amati (Joan. XV, 9)”(Ibid., I,22).

Cari amici, la preghiera personale e liturgica, specialmente la Liturgia delle Ore e la Santa Messa sono alla radice dell’esperienza spirituale di santa Matilde di Hackeborn. Lasciandosi guidare dalla Sacra Scrittura e nutrire dal Pane eucaristico, Ella ha percorso un cammino di intima unione con il Signore, sempre nella piena fedeltà alla Chiesa. E’ questo anche per noi un forte invito ad intensificare la nostra amicizia con il Signore, soprattutto attraverso la preghiera quotidiana e la partecipazione attenta, fedele e attiva alla Santa Messa. La Liturgia è una grande scuola di spiritualità.

La discepola Gertrude descrive con espressioni intense gli ultimi momenti della vita di santa Matilde di Hackeborn, durissimi, ma illuminati dalla presenza della Beatissima Trinità, del Signore, della Vergine Maria, di tutti i Santi, anche della sorella di sangue Gertrude. Quando giunse l’ora in cui il Signore volle attirarla a Sé, ella Gli chiese di poter ancora vivere nella sofferenza per la salvezza delle anime e Gesù si compiacque di questo ulteriore segno di amore.

Matilde aveva 58 anni. Percorse l’ultimo tratto di strada caratterizzato da otto anni di gravi malattie. La sua opera e la sua fama di santità si diffusero ampiamente. Al compimento della sua ora, “il Dio di Maestà … unica soavità dell'anima che lo ama … le cantò: Venite vos, benedicti Patris mei ... Venite, o voi che siete i benedetti dal Padre mio, venite a ricevere il regno … e l'associò alla sua gloria” (Ibid., VI,8).

Santa Matilde di Hackeborn ci affida al Sacro Cuore di Gesù e alla Vergine Maria. Invita a rendere lode al Figlio con il Cuore della Madre e a rendere lode a Maria con il Cuore del Figlio: “Vi saluto, o Vergine veneratissima, in quella dolcissima rugiada, che dal Cuore della santissima Trinità si diffuse in voi; vi saluto nella gloria e nel gaudio con cui ora vi rallegrate in eterno, voi che di preferenza a tutte le creature della terra e del cielo, foste eletta prima ancora della creazione del mondo! Amen” (Ibid., I, 45).

[Saluti in varie lingue: I am pleased to greet the seminarians and staff from the Venerable English College and the new students and staff from the Pontifical Irish College, and I offer prayerful good wishes for their studies. I also welcome the members of the Christ Child Society from the Diocese of Toledo, Ohio, accompanied by Bishop Leonard Blair. Upon all the English-speaking visitors present at today’s audience, especially the pilgrim groups from Britain, Ireland, Denmark, Nigeria, Oceania, the Philippines, and North America, I invoke God’s abundant blessings. - Saludo a los peregrinos de lengua española, en particular a la Delegación de la Junta de Castilla y León, de España, y a la de la Escuela de Carabineros, de Santiago de Chile, así como a los demás grupos provenientes de España, México, Panamá, y demás países latinoamericanos. Que el ejemplo de Santa Matilde nos mueva a todos a considerar la Liturgia como una gran escuela de espiritualidad.
Muchas gracias.]

* * *

Rivolgo un cordiale pensiero ai pellegrini di lingua italiana. In particolare saluto con affetto i fedeli della diocesi di Belluno-Feltre, accompagnati dal loro Pastore, Mons. Giuseppe Andrich, e convenuti a Roma per pregare sulla tomba del Servo di Dio Giovanni Paolo I in occasione dell’anniversario della sua morte. Saluto gli alunni del Pontificio Collegio Internazionale “Maria Mater Ecclesiae” di Roma, assicurando per ciascuno un ricordo nella preghiera, perché il Signore li ricolmi sempre dei suoi doni di grazia. Saluto, inoltre, i partecipanti al pellegrinaggio dei Giovani del Movimento dei Focolari, promosso in occasione della beatificazione di Chiara Badano e li invito, sull'esempio della nuova Beata, a proseguire nell'impegno di adesione a Cristo e di testimonianza evangelica.

Saluto infine i giovani, gli ammalati e gli sposi novelli. L'odierna festa degli Arcangeli Michele, Gabriele e Raffaele e quella imminente dei santi Angeli Custodi, ci spingono a pensare alla provvida premura con cui Dio si occupa di ogni persona umana. Sentite accanto a voi, cari giovani, la presenza degli Angeli e lasciatevi guidare da loro, affinché tutta la vostra vita sia illuminata dalla Parola di Dio. Voi, cari ammalati, aiutati dai vostri Angeli Custodi, unite le vostre sofferenze a quelle di Cristo per il rinnovamento spirituale dell'umana società. E voi, cari sposi novelli, ricorrete sovente all'aiuto dei vostri Angeli Custodi, affinché possiate crescere nella costante testimonianza di un amore autentico.

APPELLO DEL SANTO PADRE

My thoughts also turn to the grave humanitarian crisis which has recently struck Northern Nigeria, where some two million people have been forced to flee their homes because of severe flooding. To all those affected I express my spiritual closeness and I assure them of my prayers. 

© Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana

mercoledì 29 settembre 2010

I tre Arcangeli: MIchele, Gabriele e Raffaele

Fides et ratio - L'interesse della Chiesa per la filosofia

Torna l'appuntamento settimanale con la Lettera Enciclica del Venerabile Giovanni Paolo II "Fides et Ratio", per riflettere sui rapporti tra fede e ragione:

CAPITOLO V

GLI INTERVENTI DEL MAGISTERO
IN MATERIA FILOSOFICA

L'interesse della Chiesa per la filosofia
57. Il Magistero, comunque, non si è limitato solo a rilevare gli errori e le deviazioni delle dottrine filosofiche. Con altrettanta attenzione ha voluto ribadire i principi fondamentali per un genuino rinnovamento del pensiero filosofico, indicando anche concreti percorsi da seguire. In questo senso, il Papa Leone XIII con la sua Lettera enciclica Æterni Patris compì un passo di autentica portata storica per la vita della Chiesa. Quel testo è stato, fino ad oggi, l'unico documento pontificio di quel livello dedicato interamente alla filosofia. Il grande Pontefice riprese e sviluppò l'insegnamento del Concilio Vaticano I sul rapporto tra fede e ragione, mostrando come il pensare filosofico sia un contributo fondamentale per la fede e la scienza teologica.(78) A più di un secolo di distanza, molte indicazioni contenute in quel testo non hanno perduto nulla del loro interesse dal punto di vista sia pratico che pedagogico; primo fra tutti, quello relativo all'incomparabile valore della filosofia di san Tommaso. La riproposizione del pensiero del Dottore Angelico appariva a Papa Leone XIII come la strada migliore per ricuperare un uso della filosofia conforme alle esigenze della fede. San Tommaso, egli scriveva, « nel momento stesso in cui, come conviene, distingue perfettamente la fede dalla ragione, le unisce ambedue con legami di amicizia reciproca: conserva ad ognuna i propri diritti e ne salvaguarda la dignità ».(79)

58. Si sa quante felici conseguenze abbia avuto quell'invito pontificio. Gli studi sul pensiero di san Tommaso e di altri autori scolastici ricevettero nuovo slancio. Fu dato vigoroso impulso agli studi storici, con la conseguente riscoperta delle ricchezze del pensiero medievale, fino a quel momento largamente sconosciute, e si costituirono nuove scuole tomistiche. Con l'applicazione della metodologia storica, la conoscenza dell'opera di san Tommaso fece grandi progressi e numerosi furono gli studiosi che con coraggio introdussero la tradizione tomista nelle discussioni sui problemi filosofici e teologici di quel momento. I teologi cattolici più influenti di questo secolo, alla cui riflessione e ricerca molto deve il Concilio Vaticano II, sono figli di tale rinnovamento della filosofia tomista. La Chiesa ha potuto così disporre, nel corso del XX secolo, di una vigorosa schiera di pensatori formati alla scuola dell'Angelico Dottore.

59. Il rinnovamento tomista e neotomista, comunque, non è stato l'unico segno di ripresa del pensiero filosofico nella cultura di ispirazione cristiana. Già prima, e in parallelo con l'invito leoniano, erano emersi non pochi filosofi cattolici che, ricollegandosi a correnti di pensiero più recenti, secondo una propria metodologia, avevano prodotto opere filosofiche di grande influsso e di valore durevole. Ci fu chi organizzò sintesi di così alto profilo che nulla hanno da invidiare ai grandi sistemi dell'idealismo; chi, inoltre, pose le basi epistemologiche per una nuova trattazione della fede alla luce di una rinnovata comprensione della coscienza morale; chi, ancora, produsse una filosofia che, partendo dall'analisi dell'immanenza, apriva il cammino verso il trascendente; e chi, infine, tentò di coniugare le esigenze della fede nell'orizzonte della metodologia fenomenologica. Da diverse prospettive, insomma, si è continuato a produrre forme di speculazione filosofica che hanno inteso mantenere viva la grande tradizione del pensiero cristiano nell'unità di fede e ragione.

60. Il Concilio Ecumenico Vaticano II, per parte sua, presenta un insegnamento molto ricco e fecondo nei confronti della filosofia. Non posso dimenticare, soprattutto nel contesto di questa Lettera enciclica, che un intero capitolo della Costituzione Gaudium et spes costituisce quasi un compendio di antropologia biblica, fonte di ispirazione anche per la filosofia. In quelle pagine si tratta del valore della persona umana creata a immagine di Dio, si motiva la sua dignità e superiorità sul resto del creato e si mostra la capacità trascendente della sua ragione.(80) Anche il problema dell'ateismo viene considerato nella Gaudium et spes e ben si motivano gli errori di quella visione filosofica, soprattutto nei confronti dell'inalienabile dignità della persona e della sua libertà.(81) Certamente possiede anche un profondo significato filosofico l'espressione culminante di quelle pagine, che ho ripreso nella mia prima Lettera enciclica Redemptor hominis e che costituisce uno dei punti di riferimento costante del mio insegnamento: « In realtà solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell'uomo. Adamo, infatti, il primo uomo, era figura di quello futuro e cioè di Cristo Signore. Cristo, che è il nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore svela anche pienamente l'uomo all'uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione ».(82)

Il Concilio si è occupato anche dello studio della filosofia, a cui devono dedicarsi i candidati al sacerdozio; sono raccomandazioni estensibili più in generale all'insegnamento cristiano nel suo insieme. Afferma il Concilio: « Le discipline filosofiche si insegnino in maniera che gli alunni siano anzitutto guidati all'acquisto di una solida e armonica conoscenza dell'uomo, del mondo e di Dio, basandosi sul patrimonio filosofico perennemente valido, tenuto conto anche delle correnti filosofiche moderne ».(83)

Queste direttive sono state a più riprese ribadite e specificate in altri documenti magisteriali con lo scopo di garantire una solida formazione filosofica, soprattutto per coloro che si preparano agli studi teologici. Da parte mia, più volte ho sottolineato l'importanza di questa formazione filosofica per quanti dovranno un giorno, nella vita pastorale, confrontarsi con le istanze del mondo contemporaneo e cogliere le cause di alcuni comportamenti per darvi pronta risposta.(84)

61. Se in diverse circostanze è stato necessario intervenire su questo tema, ribadendo anche il valore delle intuizioni del Dottore Angelico e insistendo per l'acquisizione del suo pensiero, ciò è dipeso dal fatto che le direttive del Magistero non sono state sempre osservate con la desiderabile disponibilità. In molte scuole cattoliche, negli anni che seguirono il Concilio Vaticano II, si è potuto osservare, in materia, un certo decadimento dovuto ad una minore stima, non solo della filosofia scolastica, ma più in generale dello stesso studio della filosofia. Con meraviglia e dispiacere devo costatare che non pochi teologi condividono questo disinteresse per lo studio della filosofia.

Diverse sono le ragioni che stanno alla base di questa disaffezione. In primo luogo, è da registrare la sfiducia nella ragione che gran parte della filosofia contemporanea manifesta, abbandonando largamente la ricerca metafisica sulle domande ultime dell'uomo, per concentrare la propria attenzione su problemi particolari e regionali, talvolta anche puramente formali. Si deve aggiungere, inoltre, il fraintendimento che si è creato soprattutto in rapporto alle « scienze umane ». Il Concilio Vaticano II ha più volte ribadito il valore positivo della ricerca scientifica in ordine a una conoscenza più profonda del mistero dell'uomo.(85) L'invito fatto ai teologi perché conoscano queste scienze e, all'occorrenza, le applichino correttamente nella loro indagine non deve, tuttavia, essere interpretato come un'implicita autorizzazione ad emarginare la filosofia o a sostituirla nella formazione pastorale e nella praeparatio fidei. Non si può dimenticare, infine, il ritrovato interesse per l'inculturazione della fede. In modo particolare la vita delle giovani Chiese ha permesso di scoprire, accanto ad elevate forme di pensiero, la presenza di molteplici espressioni di saggezza popolare. Ciò costituisce un reale patrimonio di cultura e di tradizioni. Lo studio, tuttavia, delle usanze tradizionali deve andare di pari passo con la ricerca filosofica. Sarà questa a permettere di far emergere i tratti positivi della saggezza popolare, creando il necessario collegamento con l'annuncio del Vangelo.(86)

62. Desidero ribadire con vigore che lo studio della filosofia riveste un carattere fondamentale e ineliminabile nella struttura degli studi teologici e nella formazione dei candidati al sacerdozio. Non è un caso che il curriculum di studi teologici sia preceduto da un periodo di tempo nel quale è previsto uno speciale impegno nello studio della filosofia. Questa scelta, confermata dal Concilio Lateranense V,(87) affonda le sue radici nell'esperienza maturata durante il Medio Evo, quando è stata posta in evidenza l'importanza di una costruttiva armonia tra il sapere filosofico e quello teologico. Questo ordinamento degli studi ha influenzato, facilitato e promosso, anche se in maniera indiretta, una buona parte dello sviluppo della filosofia moderna. Un esempio significativo è dato dall'influsso esercitato dalle Disputationes metaphysicae di Francesco Suárez, le quali trovavano spazio perfino nelle università luterane tedesche. Il venire meno di questa metodologia, invece, fu causa di gravi carenze sia nella formazione sacerdotale che nella ricerca teologica. Si consideri, ad esempio, la disattenzione nei confronti del pensiero e della cultura moderna, che ha portato alla chiusura ad ogni forma di dialogo o alla indiscriminata accoglienza di ogni filosofia.

Confido vivamente che queste difficoltà siano superate da un'intelligente formazione filosofica e teologica, che non deve mai venire meno nella Chiesa.

63. In forza delle ragioni espresse, mi è sembrato urgente ribadire, con questa Lettera enciclica, il forte interesse che la Chiesa dedica alla filosofia; anzi, il legame intimo che unisce il lavoro teologico alla ricerca filosofica della verità. Di qui deriva il dovere che il Magistero ha di discernere e stimolare un pensiero filosofico che non sia in dissonanza con la fede. Mio compito è di proporre alcuni principi e punti di riferimento che ritengo necessari per poter instaurare una relazione armoniosa ed efficace tra la teologia e la filosofia. Alla loro luce sarà possibile discernere con maggior chiarezza se e quale rapporto la teologia debba intraprendere con i diversi sistemi o asserti filosofici, che il mondo attuale presenta.

martedì 28 settembre 2010

Cammina con Lui

Camminiamo verso Gesù Cristo

Oggi pubblichiamo un articolo di Julio Diéguez, Professore di Teologia Morale presso la Pontificia Università della Santa Croce, che ci parla del cammino verso Gesù Cristo, contornato da difficoltà e inquietudini che però si possono superare grazie alla fede in Lui:


""Varie migliaia di persone avevano ascoltato la predicazione di Gesù Cristo e si erano saziate dei pani e dei pesci che Egli aveva loro offerto con una tale abbondanza che ne era avanzata una certa quantità. Si può immaginare che gli apostoli siano rimasti molto sorpresi. 
Oltre alla meraviglia erano anche pieni di gioia. Ancora una volta avevano sperimentato la vicinanza del Signore. Potrebbe sembrare che questa nuova esperienza non dovesse avere tanta importanza per loro, abituati com’erano a vivere accanto a Gesù Cristo. Ma come dimentichiamo in fretta i momenti in cui abbiamo toccato con mano la presenza di Dio al nostro fianco; e per questo come torniamo a sorprenderci e a rallegrarci quando la sperimentiamo di nuovo.

Quante volte notiamo con chiarezza che Dio è accanto a noi, che non ci ha abbandonato in un momento importante e ci riempiamo di una gioia e di una sicurezza che non si devono soltanto al buon risultato che ci interessava, ma anche – e soprattutto – alla coscienza di vivere con il Signore.

E quante volte, tuttavia, lo perdiamo di vista e ci lasciamo prendere dalla paura che una cosa importante non riesca bene; come se Dio potesse dimenticarsi di noi, o come se la Croce fosse un segno che Egli si è allontanato.

Difficoltà

Dopo aver licenziato la folla, Gesù chiese agli apostoli di passare all’altra riva del lago mentre Egli avrebbe dedicato un certo periodo di tempo alla preghiera. Per loro, esperti com’erano, la traversata non presentava una particolare difficoltà. E anche se così fosse stato, dopo l’episodio che avevano appena vissuto, quale ostacolo poteva sembrare loro insuperabile?

A poco a poco la barca andò allontanandosi da terra e giunse il momento in cui il suo procedere divenne molto lento. Quando cadde la notte, la barca distava già molte miglia da terra ed era agitata dalle onde: il vento infatti era contrario : non potevano tornare indietro, ma neppure sembrava che avanzassero; avevano l'impressione che le onde e il vento – le difficoltà – avessero preso il sopravvento ed essi potevano solo cercare di rimanere a galla.

Si spaventarono. Come era lontano ora il miracolo che avevano visto poche ore prima! Se almeno Gesù fosse stato con loro…, ma era rimasto a terra. Era rimasto, sì, ma non li aveva lasciati soli, non li aveva dimenticati: anche se loro non lo sapevano, dal monte osservava le loro difficoltà, il loro sforzo, la loro fatica.

È facile che all’inizio della vita interiore si sperimenti una certa chiarezza nel proprio progresso: agli occhi di chi comincia ad avanzare nel mare, la riva si allontana rapidamente. Passa il tempo, e, benché si continui a lottare e ad avanzare, non lo si nota tanto chiaramente. Si odono di più il vento e le onde, la riva sembra sia rimasta fissa a uno stesso punto. È il momento della fede. È Il momento di rafforzare la coscienza che il Signore non si è dimenticato di noi. È il momento di ricordare che le difficoltà – il vento e le onde – formano parte inevitabilmente della vita, dell’esistenza che dobbiamo santificare e che affrontiamo sapendo che Gesù ci accompagna sempre.

L’esperienza della vicinanza di Dio e del potere della sua grazia non ci risparmia il compito di affrontare le difficoltà. Non possiamo pretendere che l’aspetto sensibile di tale esperienza sia stabile; non possiamo pretendere che, dal momento che siamo vicini a Dio, i problemi non ci pesino. E neppure possiamo cadere nell’errore di vederli come una manifestazione del fatto che Dio si è allontanato da noi, anche se solo un po’ e per un breve tempo.

Le difficoltà sono proprio l’occasione di mostrare fino a che punto amiamo Dio, fino a che punto siamo buoni, con l’accettazione serena di ciò che non abbiamo potuto o saputo superare.

Inquietudini

Pietro e gli altri stavano combattendo da tempo con il vento e le acque, e con la propria angoscia interiore, quando il Signore venne loro in aiuto. Avrebbe potuto farlo in molti modi: poteva cancellare subito la difficoltà o presentarsi nella barca senza che lo vedessero arrivare, ma aveva altri insegnamenti da trasmettere. Si avvicinò loro camminando sul mare.

Era notte e non era facile riconoscerlo. Il fatto era in sé impressionante, ma loro erano già spaventati e la paura ruba a chi la prova la serenità e la chiarezza di giudizio sugli avvenimenti che in qualche modo lo toccano. Date le circostanze, è comprensibile la loro reazione: cominciarono a gridare.


Il Signore li tranquillizzò: Coraggio, sono io, non abbiate paura!. Non calmò in quel momento il vento e le onde, ma diede loro una luce perché il loro cuore non venisse meno: so che state attraversando delle difficoltà, ma non temete, continuate a combattere, abbiate fiducia che io non vi ho dimenticato e continuo a starvi vicino.

Pietro ebbe una reazione impulsiva: Signore, se sei tu, comandami di venire verso di te sulle acque. Fra gli apostoli è quasi sempre Pietro che si lancia, nel bene e nel male: è quello che riceve i rimproveri più forti dal Signore ed è anche colui che gli rende testimonianza con un’audacia che finisce per trascinare gli altri in momenti difficili. Ma la sua iniziativa questa volta appare sorprendente anche in un carattere impulsivo: Simone si trova nell’imbarazzo di dover scendere dalla barca e appoggiarsi su una superficie agitata, incontrollata, impossibile da dominare e da prevedere.

Alla voce del Maestro, estrasse un piede dal bordo, poi l’altro e cominciò a camminare verso il Signore: voleva avvicinarsi a Cristo ed era disposto a qualsiasi cosa per riuscirci.

Magari i propositi di maggiore generosità che facciamo davanti al Signore in momenti di inquietudine non si fermassero alle parole. Magari la nostra fiducia nel Signore fosse più forte dell’indecisione o del timore di metterli in pratica. Magari fossimo capaci di tirar fuori i piedi dal bordo, anche se comporta di appoggiarli su una base apparentemente per nulla adatta a sostenerci, e camminare verso Cristo. Perché per arrivare a Dio bisogna rischiare, si deve perdere la paura delle apprensioni, occorre essere disposti a giocarsi la vita.

Camminando sulle acque Pietro sentiva le onde e il vento più degli altri: la sua vita dipendeva dalla fede più della vita degli altri, proprio perché era sceso dalla barca e camminava verso Gesù. Non è questa la rischiosa situazione del cristiano? Non stiamo anche noi cercando di camminare verso il Signore in circostanze – esterne, ma anche interne – che in buona parte sfuggono al nostro controllo?

Siamo più esposti alle onde di coloro che, temendo di affrontare l’immensità del soprannaturale, preferiscono la povera e apparente sicurezza che offre loro il piccolo ambito della loro barca. È dunque strano che a volte notiamo che il suolo si muove, che proviamo una certa inquietudine? Sono proprio questi i momenti per prendere atto ancora una volta che viviamo di fede; non di una fede che calma le onde, che elimina la paura di camminare su di esse, ma piuttosto di una fede che in mezzo alla paura ci dà una luce, che dà senso alle onde.


Per fede [gli Israeliti] passarono il Mar Rosso come fosse terra asciutta. Quando gli Egiziani tentarono di farlo, vi furono inghiottiti. Senza fede le difficoltà della vita ci inghiottiscono, ci appesantiscono, vi affoghiamo dentro. Con la fede non le evitiamo, ma abbiamo più risorse, sappiamo che Dio può trasformarle in nostro favore: il popolo eletto doveva essere spaventato e terrorizzato di camminare in fondo al mare, con inoltre il pericolo che i nemici lo raggiungessero; ma attraverso questa difficoltà e questa paura ottenne la salvezza. Alla fine si conferma che la paura di camminare verso Dio offre una base più solida, per edificare la propria vita, dell’apparente sicurezza che offre la barca.

Insicurezze

Pietro aveva già fatto un certo numero di passi quando, vedendo che il vento era molto forte, si spaventò. Cominciò ad affondare e chiese aiuto al Signore. E subito Gesù tese la mano, lo afferrò e gli disse: «Uomo di poca fede, perché hai dubitato»?.

Uomo di poca fede. Chi legge il Vangelo rimane sorpreso di fronte a queste parole. Perfino è possibile che si senta appesantito e si domandi: se il Signore rimprovera per la sua mancanza di fede colui che, vincendo la paura, è sceso dalla barca e ha cominciato a camminare verso di Lui, che cosa potrebbe dire di me? Ho qualche speranza che un giorno Cristo veda in me un uomo o una donna di fede? Ma se continua a meditare gli si porranno anche altre domande. Forse Gesù si aspettava che Pietro camminasse sopra il mare in piena tranquillità, come l’avrebbe fatto sulla terra ferma in un giorno calmo e soleggiato? Le parole del Signore significano forse che dobbiamo essere impassibili o indifferenti davanti alle difficoltà? No, perché lo stesso Gesù fu angosciato nell’orto di fronte a qualcosa di oggettivamente temibile.

La lotta per vivere di fede non ha come meta il sentirsi sicuri davanti alle difficoltà; non ha come obiettivo che le cose non ci turbino, che non ci importi ciò che è importante, che non ci dolga ciò che è doloroso, o che non ci preoccupi ciò che è preoccupante. È piuttosto l‘impegno di non dimenticare che Dio non ci lascia mai e di approfittare di queste circostanze difficili per avvicinarci di più a Lui. Davvero, la vita, di per sé, è ristretta e insicura. Ma questo contribuirà a renderti più soprannaturale, a farti vedere la mano di Dio: e così sarai più umano e comprensivo con chi ti sta accanto.

È logico che Pietro provasse paura ed è logico che la provasse fin dai primi passi perché ciò che stava facendo superava le sue capacità umane, sia che ci fossero il vento e le onde, sia che non ci fossero: non è più facile camminare sull’acqua senza vento e onde che con essi. Dov’era, dunque, la mancanza di fede di Pietro? Forse non tanto nell’insicurezza provata, quanto nel dubitare di Cristo. Fino a quel momento il suo sguardo era fisso su di Lui; si sentiva insicuro, naturalmente, ma non ci faceva molto caso perché l’importante, ciò che catturava la sua attenzione, erano i suoi passi verso il Maestro. Improvvisamente fu cosciente della sua insicurezza e non si fidò di Gesù. L’insicurezza naturale, ragionevole, degenerò in paura.

Timori

La paura attanaglia e rende reali problemi che prima sono solo nell’immaginazione. Alcune cose ci succedono perché abbiamo paura che ci succedano: paura di avere una tentazione, paura di diventare nervosi, paura di fare brutta figura, paura di non riuscire a spiegare qualcosa con la sufficiente fermezza, paura di non saper afferrare un problema…

Come lottare? Cerchiamo di accettare questa insicurezza, perché solo così eviteremo che si trasformi in oggetto della nostra attenzione. Non ci deve importare come ci sentiamo mentre agiamo. Così potremo camminare verso Gesù tra le onde e il vento, senza angosciarci per la difficoltà che questo suppone.

San Giovanni scrive in una delle sue lettere che nell’amore non c’è timore, al contrario l’amore perfetto caccia il timore, (…) e chi teme non è perfetto nell’amore. A San Josemaría piaceva riassumerlo così: Chi ha paura, non sa amare. L’amore e la paura appartengono a ordini diversi, che si escludono. Possono convivere solo quando l’amore non è perfetto.

La paura è un sentimento di inquietudine di fronte alla possibilità di perdere qualcosa che si ha o si anela di possedere in futuro. Orbene, l’insicurezza forma parte della condizione umana, del fatto che non abbiamo un perfetto dominio neppure su noi stessi. Per questo non possiamo escludere del tutto l’insicurezza in questa vita. Altrimenti, la speranza non sarebbe una virtù, perché dove c’è certezza assoluta non ci può essere speranza.

L’ordine dell’amore deve escludere, pertanto, il timore, ma non per forza l’insicurezza. Vivere nell’ordine dell’amore significa, dunque, che l’insicurezza non deve degenerare in paura, vuol dire accettarla, assumerla integrandola entro una visione più ampia, con la fiducia in Dio, senza pretendere falsamente di escluderla del tutto. Non possiamo aspirare a una sicurezza totale. L’insicurezza che possiamo provare di fronte alle nostre poche forze è occasione di rafforzare l’abbandono in Dio.

In questo modo, la fede non si vede come un peso, ma come una luce, come qualcosa che indica un cammino, che insegna ad approfittare della propria miseria per aprire l’anima a Dio. Il cristiano non si aspetta da Dio che lo faccia sentire sicuro in se stesso; si aspetta che la fiducia in Lui lo aiuti a vedere più in là della sua insicurezza. Se il nostro sguardo non si ferma ai propri limiti, ma, senza respingerli, li trascende, possiamo davvero escludere il timore e vivere nell’ordine dell’amore.

Un uomo o una donna di fede sperimentano l’inquietudine, il dubbio, diventano nervosi, provano vergogna, temono di far brutta figura, si vedono incapaci… Ma accettano questi sentimenti senza dar loro più importanza di quella che hanno, senza permettere che catturino il loro sguardo e li paralizzino; non si ribellano contro di essi, non li vedono come una prova della loro mancanza di fede, né si lasciano scoraggiare per il fatto di provarli; vanno avanti anche se scoprono punti di dottrina che devono capire meglio, o anche se si sentono superati o fuori posto…o anche se trema loro la voce. Hanno imparato a non attribuire particolare attenzione a queste inquietudini. Hanno imparato a camminare verso Cristo fra le onde. E se la forza del vento o del mare impediscono loro di vederlo, sanno di essere bambini. Hai visto le madri della terra, con le braccia aperte, seguire i loro piccoli, quando s'avventurano, traballanti, a fare senza sostegno i primi passi? —Tu non sei solo: ti sta accanto Maria.

Con Lei, l’anima ha imparato a fidarsi di Dio.


Julio Diéguez, Professore di Teologia Morale presso la Pontificia Università della Santa Croce

FONTE DELL'ARTICOLO 


lunedì 27 settembre 2010

Beatificazione di Chiara "Luce" Badano: In Cielo si fa festa!

Angelus di Papa Benedetto XVI - 26 Settembre 2010


BENEDETTO XVI

ANGELUS

Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo
Domenica, 26 settembre 2010

 

Cari fratelli e sorelle!

Nel Vangelo di questa domenica (Lc 16,19-31), Gesù narra la parabola dell’uomo ricco e del povero Lazzaro. Il primo vive nel lusso e nell’egoismo, e quando muore, finisce all’inferno. Il povero invece, che si ciba degli avanzi della mensa del ricco, alla sua morte viene portato dagli angeli nella dimora eterna di Dio e dei santi. “Beati voi poveri – aveva proclamato il Signore ai suoi discepoli – perché vostro è il regno di Dio” (Lc 6,20). Ma il messaggio della parabola va oltre: ricorda che, mentre siamo in questo mondo, dobbiamo ascoltare il Signore che ci parla mediante le sacre Scritture e vivere secondo la sua volontà, altrimenti, dopo la morte, sarà troppo tardi per ravvedersi. Dunque, questa parabola ci dice due cose: la prima è che Dio ama i poveri e li solleva dalla loro umiliazione; la seconda è che il nostro destino eterno è condizionato dal nostro atteggiamento, sta a noi seguire la strada che Dio ci ha mostrato per giungere alla vita, e questa strada è l’amore, non inteso come sentimento, ma come servizio agli altri, nella carità di Cristo.

Per una felice coincidenza, domani celebreremo la memoria liturgica di san Vincenzo de’ Paoli, patrono delle organizzazioni caritative cattoliche, di cui ricorre il trecentocinquantesimo anniversario della morte. Nella Francia del 1600, egli toccò con mano proprio il forte contrasto tra i più ricchi e i più poveri. Infatti, come sacerdote, ebbe modo di frequentare sia gli ambienti aristocratici, sia le campagne, come pure i bassifondi di Parigi. Spinto dall’amore di Cristo, Vincenzo de’ Paoli seppe organizzare forme stabili di servizio alle persone emarginate, dando vita alle cosiddette “Charitées”, le “Carità”, cioè gruppi di donne che mettevano il loro tempo e i loro beni a disposizione dei più emarginati. Tra queste volontarie, alcune scelsero di consacrarsi totalmente a Dio e ai poveri, e così, insieme con santa Luisa di Marillac, san Vincenzo fondò le “Figlie della Carità”, prima congregazione femminile a vivere la consacrazione “nel mondo”, in mezzo alla gente, con i malati e i bisognosi.

Cari amici, solo l’Amore con la “A” maiuscola dona la vera felicità! Lo dimostra anche un’altra testimone, una giovane, che ieri è stata proclamata Beata qui a Roma. Parlo di Chiara Badano, una ragazza italiana nata nel 1971, che una malattia ha condotto alla morte a poco meno di 19 anni, ma che è stata per tutti un raggio di luce, come dice il suo soprannome: “Chiara Luce”. La sua parrocchia, la diocesi di Acqui Terme e il Movimento dei Focolari, a cui apparteneva, oggi sono in festa - ed è una festa per tutti i giovani, che possono trovare in lei un esempio di coerenza cristiana. Le sue ultime parole, di piena adesione alla volontà di Dio, sono state: “Mamma, ciao. Sii felice perché io lo sono”. Rendiamo lode a Dio, perché il suo amore è più forte del male e della morte; e ringraziamo la Vergine Maria che conduce i giovani, anche attraverso le difficoltà e le sofferenze, ad innamorarsi di Gesù e a scoprire la bellezza della vita.

***

Dopo l'Angelus

Saluti in varie lingue:

Je salue cordialement les pèlerins francophones présents, ainsi que les personnes qui sont avec nous par la radio ou la télévision! Je vous remercie encore pour votre prière qui m’a accompagné durant mon Voyage apostolique au Royaume Uni. Puissent la Vierge Marie et les Saints Archanges, Michel, Gabriel et Raphaël, nous aider tous à vivre dans la foi et l’amour, la persévérance et la douceur. Bonne préparation au mois du Rosaire qui approche et bon dimanche à tous!

I am very pleased to welcome all the English-speaking pilgrims and visitors present here this morning! In today’s Gospel, the story of the rich man and Lazarus is held up to us as a warning to have a special care for the poor in all circumstances. As followers of our blessed Lord, let us always look to others first, before we look to our own comfort. God’s abundant blessings upon you all!

Von Herzen grüße ich die deutschsprachigen Gäste, besonders die Pilger der katholischen Frauengemeinschaft aus Ühlingen im Erzbistum Freiburg. Am heutigen Sonntag legt uns die Kirche im Evangelium das Gleichnis vom reichen Prasser und dem armen Lazarus vor. Am Ende der Zeiten wird Gott alles Unrecht endgültig beseitigen. Er richtet Reiche und Arme nach dem Maβstab der Liebe. Alle Qual und alles Leid wird dann geheilt. Diese Liebe Gottes soll jetzt schon der Maßstab unseres Handelns sein. Der Herr segne euch alle und eure Lieben.

Saludo cordialmente a los peregrinos de lengua española, en particular al grupo de la Parroquia de la Inmaculada Concepción, de Vitacura, Chile, y al de los jóvenes de la Obra de la Iglesia. Invito a todos a que, guiados por la Palabra de Dios, llevéis adelante vuestro compromiso cristiano sin desfallecer, fortaleciendo en vuestros corazones los sentimientos de confianza y misericordia, a ejemplo de Jesús. Que la Santísima Virgen María os acompañe en vuestro camino. Feliz domingo

Drodzy Polacy, serdecznie was pozdrawiam. Dzisiaj w kościołach słyszymy przypowieść o bogaczu i Łazarzu. Przypomina ona, że w Dniu Sądu Bóg wyrówna wszelką niesprawiedliwość świata. Według kryterium miłości osądzi bogatych i biednych. Wynagrodzi krzywdę i niedolę. Niech nasze serca przeniknie duch solidarności z potrzebującymi. Bądźmy współpracownikami Boga w pomnażaniu miłości na ziemi. Niech Chrystus wam błogosławi.

[Cari Polacchi, saluto cordialmente tutti voi. Oggi nelle chiese ascoltiamo la parabola del ricco e del povero Lazzaro. Essa ci ricorda che nel Giorno del Giudizio Dio appianerà ogni ingiustizia del mondo. Giudicherà i ricchi e i poveri secondo il criterio dell’amore. Riparerà i torti e le sfortune. I nostri cuori siano pervasi dallo spirito di solidarietà con chi si trova nel bisogno. Siamo collaboratori di Dio nella moltiplicazione dell’amore sulla terra. Cristo vi benedica.]

Sono lieto di accogliere, da vari Paesi, il folto gruppo di Figlie della Carità, Sacerdoti della Missione e laici delle Associazioni Vincenziane; come pure i Fratelli della Società dell’Apostolato Cattolico (Pallottini).

Saluto i pellegrini di lingua italiana, in particolare la Scuola Pio XII di Castel Gandolfo, i bambini del gruppo Sant’Antonio di Ducenta, le associazioni “Fondo di Solidarietà” e “Cultura e Salento” di Taviano, “Calima” di Orzinuovi, e “Bellitalia” di Roma, e i fedeli di Città Sant’Angelo. Nella lingua di Dante saluto anche gli studenti dell’Aquinas College di Sydney, con un ricordo sempre vivo per quella città, dove abbiamo vissuto una memorabile Giornata mondiale della Gioventù!

Cari amici, a Dio piacendo, giovedì prossimo ritornerò a Roma; perciò, mentre auguro a tutti una buona domenica, rivolgo il mio cordiale “arrivederci” alla comunità di Castel Gandolfo.



© Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana

domenica 26 settembre 2010

Video Vangelo: XXVI Domenica ordinario (C)

Ricchi senza nome


XXVI domenica tempo ordinario


Il Vangelo di questa domenica ci presenta due tipi di vita in antitesi tra di loro: la vita gaudente del ricco epulone e quella sofferente del povero Lazzaro. I due personaggi ci sono presentati all’inizio: il ricco in abiti sontuosi davanti a una lauta mensa, il povero affamato, avvolto in cenci, siede alla porta sperando di raccattare qualche briciola che cade dalla mensa del ricco. Il particolare emergente è che del ricco non viene riferito nessun nome, mentre del povero viene detto il nome. Epulone infatti non è un nome proprio, è solo un aggettivo che significa opulento, pasciuto, sazio; infatti non compare nel Vangelo, è solo un attributo che è stato aggiunto in seguito per illustrare la parabola.

• 1) Dio conosce solo il nome del povero…

Questo particolare veniva già messo in luce da San Gregorio Magno in questi termini: “Dobbiamo anche porre grande attenzione con cui il racconto dell’uomo ricco e superbo e dell’umile mendico viene a noi presentato dalla stessa Verità. Leggiamo infatti: ”c’era un uomo ricco “e subito dopo“ c’era anche un mendico chiamato Lazzaro”. Noi sappiamo che sono a tutti più noti i nomi dei ricchi che quelli dei poveri. Perché dunque il Signore narrando di un povero e di un ricco dice il nome del primo e tace quello dell’altro, se non per dimostrare che Dio conosce gli umili ed è vicino a loro, mentre non riconosce i superbi? Per questo il Signore dirà nell’ultimo giorno a chi si mostrerà superbo: ”non so donde proveniate, allontanatevi da me voi che commettete l’iniquità”. Cristo dunque disse del ricco “un tale” e del povero “un mendico di nome Lazzaro”. Chiaro è il senso dell’espressione di Cristo: riconosco il povero che è umile, non il ricco che è superbo. Riconosco il primo e lo accolgo, pongo fra i reprobi, nel mio giudizio il superbo”.

• 2) Quale titolo onorifico?

Vediamo dunque ancora una volta come la logica evangelica sia diametralmente all’opposto di quella mondana: in questa i ricchi sono conosciuti, straconosciuti con nomi altisonanti preceduti da innumerevoli titoli onorifici; riveriti, strariveriti, mentre i poveri manco si sa come si chiamino e sono riveriti solo dai… cani “ perfino i cani venivano a leccare le sue piaghe”. Per contro nel Vangelo, il ricco non solo non possiede l’ombra di un titolo, ma nemmeno un nome proprio, mentre il povero possiede un nome proprio e un titolo che lo precede: il nome è Lazzaro e il titolo non è dottore, ingegnere, onorevole ecc. ma povero! Il povero Lazzaro. L’unico titolo che sarà veramente onorifico e ci introdurrà nelle dimore eterne sarà “povero”. Chi nel mondo si dà da fare per acquistare tale titolo?

• 3) Ci vuole la scossa!...

Ci vorrebbe un nuovo Abbé Pierre, l’insurgè de la charitè, con le sue denunce vibranti, per aiutarci a svegliare le nostre coscienze dal pericoloso letargo in cui stanno cadendo. E per evitarci quel capovolgimento della situazione che vediamo accadrà dopo il giudizio finale: il ricco giace nei tormenti e rivolge a Lazzaro, diventato onorevole seduta stante, suppliche accorate, affinché venga in suo soccorso. Ma è troppo tardi! I giochi sono fatti! Se almeno i suoi fratelli potessero essere avvisati per ravvedersi in tempo, ma niente da fare: il suo tempo è finito e quelli che sono ancora nel tempo ci pensino loro a convertirsi. In tempo! Chiediamo al Signore che ci dia una scossa forte per non ritrovarci poi nella situazione del ricco e diventare dei senza nome per tutta l’eternità.

Wilma Chasseur

sabato 25 settembre 2010

ABORTO DICIAMO NO!!!

Vivere o uccidere una vita (Testimonianza dettagliata di un aborto)

Come saprete, in questi giorni, abbiamo inaugurato un nuovo angolo dedicato alla Sapienza cristiana. Per questo motivo, abbiamo deciso di spostare l'appuntamento con il Sabato dei Salmi in questa sezione specifica (Verrà pubblicato sempre il sabato, quindi oggi pomeriggio lo troverete sicuramente).
Detto questo, passiamo alla presentazione di un nuovo appuntamento che ci è sembrato subito molto importante, ai fini della lotta che stiamo conducendo contro l'aborto. Trattasi della pubblicazione, in cinque parti, di un libro di un autore anonimo, che servirà per condurci alla riflessione su questo tema così delicato e sottovalutato dai giovani di oggi. Ecco la nota dell'autore per farvi capire di cosa si tratta:

Il libro che stai per leggere è la testimonianza di una ragazza che ha abortito. Vuole essere un contributo per conoscere meglio questa realtà, spesso sommersa e abbandonata, dove molte ragazze, nel silenzio e nel dolore, si
ritrovano a vivere. Ma vuole essere, soprattutto, uno strumento per tutte quelle donne che si trovano nella difficile situazione di dover scegliere e di dover prendere comunque una decisione. A tutte quelle donne che si trovano nei
pressi di quel "bivio", questo libro vuole mostrare, attraverso i pensieri e i sentimenti di chi ha vissuto quell'esperienza, dove conduca la strada dell'aborto.
Se, dopo la lettura, riterrai che questo volume ti abbia aiutato in qualche modo, o se vorrai comunque dire quello che pensi, potrai inviarci un tuo commento tramite questa pagina web: http://www.adorto.com/commento.htm

Buona lettura.

Adorto - Movimento nazionale per la famiglia e la vita


Ed ecco la prima parte del primo capitolo:


Dietro i vetri di una finestra mi ritrovo a fissare il cielo e a contemplarne la vastità e i colori dei suoi tramonti, mai uguali a quelli dell’ultima volta. Giocoso o malinconico, sembra rispecchiare l’umore della mia anima. Oggi anch’esso è triste e mi restituisce tutti i pensieri, le immagini, i volti che a lui ho affidato. Penso ancora una volta alla mia vita in cui ho dovuto spesso confrontarmi con esperienze che mi hanno amaramente segnato, difficili da superare, ma che non ho mai potuto evitare. Ho “vissuto” la battaglia di mia madre contro la leucemia, presentatasi nella sua forma più acuta, l’auto-trapianto di midollo a cui decise di sottoporsi, la probabilità, anzi la quasi certezza, che non sarebbe mai più tornata a casa. Giorni e giorni di attese, di terapie aggressive, di gioie per i suoi brevi ritorni in famiglia, di baci a lei rubati Adorto - Movimento nazionale per la famiglia e la vita quando, in asepsi, potevo avvicinarmi solo in seguito all’adozione di opportune precauzioni (anche questo mi era negato) e, finalmente, la speranza non delusa…

Ho visto morire di tumore il mio professore, il mio carissimo amico Francesco, poco più grande di me solo di qualche anno, una cuginetta appena nata, mio zio Matteo, anch’egli consumato dalla malattia. Non ho  più i miei nonni materni, forti punti di riferimento nella mia esistenza e fonte inesauribile di amore, sopravvissuto al tempo e alla forzata separazione…

Mi ritrovo ad ascoltare una canzone, o a ricordare un frammento di passato vissuto insieme e ancora mi emoziono, ancora piango nel silenzio, ancora li cerco, ancora soffro… Grande è il senso di impotenza che mi ha investito per non aver potuto alleviare le loro sofferenze o per non averli potuti avere con me per sempre, per non essere riuscita a donare loro nient’altro che la mia compagnia, i miei sorrisi e il mio affetto.

“Questa è la vita e la volontà di Dio” – mi sono ripetuta continuamente per trarre la forza che mi aiutasse
ad accettare tutto ciò.

venerdì 24 settembre 2010

Consigli Spirituali di Padre Pio, dalla Sua viva voce

Padre Pio - Sulla Soglia del Paradiso - Nono appuntamento

Torna l'appuntamento con la biografia che tratteggia una inedita "storia di Padre Pio raccontata dai suoi amici": "Sulla Soglia del Paradiso" di Gaeta Saverio:

Il

Breviario di spiritualità

Per amore della Chiesa

Un solo pensiero per l'anima

Dalle oltre 1.100 lettere che Padre Pio scrisse ai direttori spirituali, alle figlie e ai figli spirituali e a molte altre persone, prorompe una messe di pensieri mediante i quali si delinea una ben definita dottrina mistica. Qui di seguito, un rapido florilegio in forma di vocabolario:

Armonia

L'armonia della vita sta nell'esatta osservanza della divina legge e dei doveri inerenti allo stato di ciascuno.

Beni celesti

Non miriamo quelle cose che si vedono, ma quelle che non si vedono. Ed è ben giusto che noi contempliamo i beni celesti, non curandoci dei terreni, poiché quelli sono eterni, questi son transitori.

Cielo

Rivolgiamo il pensiero di continuo al Cielo, la vera patria nostra, di cui la terra non è che una immagine, conservando la serenità e la calma in ogni evento lieto o triste.

Dio

Non ti scoraggiare nella via che stai percorrendo, perché il tutto è di gradimento a Dio: purché il tuo cuore gli vorrà sempre essere fedele, egli non ti aggraverà più di quello che puoi, e sopporterà con te il fardello allorché osserverà che di buon grado incurvi le tue spalle.

Eternità

Considera che sei già incamminata verso l'eternità, tu già ci hai posto un piede; purché ella sia per te felice, che importa che siano per te sventurati questi transitori momenti?

Fede

L'atto di fede più bello è quello che sgorga dalle labbra nel buio, nel sacrificio, nella pena, nello sforzo supremo di una volontà inflessibile di fare il bene.

Gaudio

Il gaudio è un rampollo della carità; ma per essere perfetto e vero questo gaudio si richiede che abbia per sua indivisibile compagna la pace, la quale allora si produce in noi quando il bene che possediamo è bene sommo e sicuro.

Imperfezione

L'anima, per assurgere alla divina contemplazione, deve essere purificata di tutte le imperfezioni non solo attuali, che si ottiene con la purga sensitiva, ma sibbene da tutte le imperfezioni abituali, che sono certe affezioni, certe abitudini imperfette che la purga del senso non è riuscita ad estirpare e che rimangono nell'anima come allo stato di radice.

Libertà

Cammineremo sempre cauti, ma con santa libertà. Sentiremo che il Signore, che a sé ci ha incatenati con l'amore, ci fa riguardare dal peccato come da un aspide velenoso.

Morte

Preferirei mille volte la morte, anziché determinarmi ad offendere un Dio si buono. Farei volentieri in una sola volta, se fosse in mia potestà, un fascio di tutte le mie cattive inclinazioni per porgerlo a Gesù, affinché si degnasse col fuoco del suo divino amore a consumarle tutte.

Noia

Le noie che sperimentate nel praticare la virtù, l'orazione, non vi devono impressionare e né farvi recedere dal praticare l'una e l'altra. Continuate lo stesso e non considerate una perdita quel tempo impiegato e speso nel fare l'ubbidienza.

Orazione

Nell'orazione ti metterai alla presenza di Dio per due principali ragioni: la prima, per rendere a Dio l'onore e l'ossequio che gli dobbiamo; la seconda, per parlargli e sentire la sua voce per mezzo delle sue ispirazioni ed illuminazioni interne.

Pensiero

Un solo pensiero è quello che deve occupare tutto l'animo tuo: amare Dio e praticare e predicare il bene.

Quiete

Nella quiete e nel silenzio cammina l'anima devota.

Rassegnazione

Pratichiamo bene la santa rassegnazione ed il puro amore di Dio, il quale non si pratica mai così intieramente come fra le contrarietà e afflizioni. Perché amare Dio nello zucchero, anche i fanciulli lo saprebbero fare; l'amarlo nell'assenzio è il contrassegno della nostra amorosa fedeltà.

Santità

Santità vuol dire essere superiori a noi stessi; vuol dire vittoria perfetta di tutte le nostre passioni; vuol dire disprezzare veramente e costantemente noi stessi e le cose del mondo fino a preferire la povertà alle ricchezze, l'umiliazione alla gloria, il dolore al piacere.

Tentazione

Il segno certo e infallibile per l'elezione a salute di un'anima è la tentazione, cui la poverina sarà posta qual segno di contraddizione in mezzo a tanta tempesta. Ci rianimi il pensiero a sopportarne la prova la vita di tutti i santi che non vennero esentati da questa prova.

Uomo

Stùdiati dunque di far morire in te i residui dell'uomo vecchio, che sempre cerca di voler rivivere, e per riuscire meglio nel disegno sii sempre più umile, più fiduciosa in Dio, più abbandonata in lui, meno amante delle tue comodità e della tua vana stima; più generosa con Dio e più compassionevole con i fratelli di esilio.

Volontà

Ecco le condizioni con le quali dobbiamo darci a Dio: che da qui in avanti egli faccia la sua volontà su di noi e che distrugga la nostra a suo piacere. Oh quanto sono felici coloro che Dio maneggia a seconda dei suoi voleri, e che esercita, o con la tribolazione o con la consolazione.

 

giovedì 23 settembre 2010

Padre Pio ho bisogno di te - Tony Santagata

San Pio da Pietrelcina

Il 25 maggio 1887 nasce uno dei profeti inviati dall'alto per richiamare alla conversione e quindi alla salvezza il popolo di Cristo. Stiamo parlando di Francesco Forgione, più comunemente conosciuto con il nome di Padre Pio. Questo umile uomo fin dall'infanzia ha sentito la chiamata al servizio di Dio e dei fratelli. Padre Pio, o meglio San Pio da Pietrelcina, ha mantenuto la sua promessa di far chiasso più da morto che da vivo. Così è stato e così è. Ancora oggi il santo di Pietrelcina suscita curiosità, interesse, trasformando questi sentimenti in vera e propria conversione del cuore.


In questa giornata del 23 settembre la Santa Chiesa Cattolica celebra uno dei sacerdoti più santi apparsi nella storia della cristianità. San Pio è vissuto in elevata comunione con Cristo. La sua missione è simile a quella del Maestro: soffrire, espiare, intercedere per le anime. San Pio è stato l'unico sacerdote stigmatizzato nella storia
della Chiesa a dimostrazione di quanto egli era tanto caro a Gesù per la missione a lui affidatagli. La sua uniformità a Cristo deve farci riflettere; Gesù Cristo sacerdote per sempre è stato inchiodato ad un
legno e San Pio anch'egli sacerdote ha subito seppur in modalità diverse la stessa sorte del Maestro: Portare nelle mani e nei piedi, nel costato e sulla spalla, le piaghe, nei medesimi punti del Cristo. Questa perfetta unione nella sofferenza con Cristo è l'immagine della perfetta comunione con Lui. Padre Pio è stato colui che ha saputo rinnegare sé stesso e prendere la sua croce per seguire Gesù. I suoi scritti e i suoi consigli sono un patrimonio spirituale molto importante poiché egli stesso in prima persona ha messo in pratica questi insegnamenti per seguire Cristo, insegnamenti che lo hanno portato a varcare le soglie del Paradiso e quelle della santità. San Pio non ha aggiunto nulla agli insegnamenti di Cristo, ma ci ha indicato la via per metterli in pratica poiché egli stesso li ha praticati prima di noi. Da questo santo noi abbiamo tanto da imparare.
San Pio non attira l'attenzione su di sé ma semplicemente si limita a indicare con il dito la via che porta alla salvezza. In un certo senso egli si è fatto il cicerone delle nostre anime per condurci alla Gerusalemme celeste. San Pio è un compagno in questo nostro pellegrinaggio terreno verso Dio. Gesù in un momento difficile della
storia dell'umanità ha voluto donarci questo faro di speranza quale è San Pio da Pietrelcina perché noi tutti in un secolo così travagliato potessimo ritrovare il senno e il lume che riporta alla vita dello Spirito. Innanzitutto è il Signore che dobbiamo ringraziare per tutti i doni che ci ha elargito e per aver provveduto ad inviare, come fa in ogni tempo, un Suo servo per ricondurre l'umanità sulla via della perfezione dell'amore. La storia della Chiesa è ricca di santi e noi abbiamo avuto il privilegio di poter vedere più da vicino l'opera di un santo di Dio. Di San Pio abbiamo tanti documenti tra cui filmati, registrazioni audio, lettere e tantissime testimonianze di uomini convertiti e guariti per l'intercessione del santo frate cappuccino. San Pio viene tutt'ora oggi considerato da alcuni un burbero, un duro, questo perché non hanno ben conosciuto la figura di questo santo che era tutt'altro che duro di cuore. Lui era semplicemente un sacerdote buono che amava, amava e amava. E quando un uomo ama si arrabbia con coloro che non sono sulla via del bene, per il loro bene. Anche Gesù si arrabbiò quando vide la casa del Padre invasa dai venditori di colombe e dai cambiavalute. La Sua rabbia era per amore perché vedeva non rispettata la casa del Padre Suo. E quando Gesù chiamava "ipocriti" gli uomini dal cuore duro, non lo faceva per durezza di cuore e lo sappiamo bene poiché Egli è il Signore, ma rimproverava per scuotere le anime dal loro torpore causato dall'ipocrisia, dall'orgoglio, dalla cupidigia, dall'impurità. Similmente faceva San Pio. Ci si arrabbia per cose cattive e con odio, ma ci si arrabbia anche per cose buone e con amore. Forse a causa della cattiva informazione che si fa su  di lui non si conosce bene questo santo che
tanto bene ha fatto a milioni di anime sia materialmente sia spiritualmente. A distanza di 42 anni dalla sua morte, San Pio continua a far parlare di sé e ad intercedere presso Dio per la conversione di molte anime e la guarigione di tanti corpi flagellati dalla malattia.
Dell'umile frate cappuccino ricordiamo le circa sedici ore spese nel confessionale, le Sante Messe celebrate per lunghe ore, i trentasei rosari quotidiani. E a proposito del Rosario, San Pio ne era un grande estimatore nonché divulgatore. Ricordiamo ancora la celebre e importantissima opera di Casa Sollievo della Sofferenza, l'ospedale di San Giovanni Rotondo voluto da San Pio da Pietrelcina, oggi uno degli ospedali più all'avanguardia nel mondo. E ancora i gruppi di preghiera, ancora oggi sparsi in tutto il mondo, tanto cari a Padre Pio. Questi sono solo alcuni dei grandi prodigi compiuti dal santo frate del Gargano.


Sono numerosissime le grazie di conversione ottenute per intercessione del santo cappuccino. Anche il nostro Mikhael affidandosi a Padre Pio ha trovato la strada che conduce a Cristo. Con la sua intercessione ha ottenuto oltre alle grazie di conversioni, numerose guarigioni. La più celebre delle guarigioni è quella di Matteo Pio Colella, un bambino dichiarato ormai senza speranza per le sue condizioni di salute: Nove organi compromessi sono più che sufficienti per giungere all'altro mondo, se consideriamo che solo con cinque è accertato che non c'è più niente da fare e anche in caso di ripresa non si può tornare più in piena salute. L'Onnipotenza di Dio tutto può; Gesù ha resuscitato i morti, poteva anche guarire il piccolo Matteo ed infatti così è avvenuto. Matteo raccontò di aver visto in sogno Padre Pio mentre si trovava in rianimazione. Oggi Matteo è un ragazzo come tutti, sta bene e senza portarsi sul suo corpo le conseguenze di un male che non lascia scampo.Questo è stato il miracolo che ha determinato la canonizzazione di Padre Pio che da Beato è divenuto Santo. Di San Pio alcuni testimoni hanno dichiarato di aver visto Padre Pio in luoghi in cui il frate di Pietrelcina non è mai stato, non avendo mai lasciato San Giovanni Rotondo. Si tratta del fenomeno della bilocazione: Trovarsi in due posti differenti nello stesso istante. Possiamo oggi solo citare alcuni di questi fenomeni meravigliosi perchè davvero non basterebbe un libro per narrare tutte le meraviglie compiute da questo santo uomo. 
Noi della Vigna abbiamo voluto ricordare particolarmente la figura di San Pio poiché l'abbiamo scelto come uno dei quattro protettori del nostro difficile, travagliato, lungo, ma pur sempre bellissimo cammino.
Preghiamo San Pio perché interceda per i nostri bisogni spirituali, per quelli di tutta l'umanità. Interceda per il nostro cammino della Vigna e ci ottenga dal Padre la forza di continuare anche con tutte le difficoltà che ne deriveranno, questo progetto di amore, di fede, di speranza e di carità.
San Pio da Pietrelcina prega per noi.

mercoledì 22 settembre 2010

Tu es Petrus: il Magistero

Fides et ratio - Il discernimento del Magistero come diaconia alla verità

Torna l'appuntamento settimanale con la Lettera Enciclica del Venerabile Giovanni Paolo II "Fides et Ratio", per riflettere sui rapporti tra fede e ragione:

CAPITOLO V

GLI INTERVENTI DEL MAGISTERO
IN MATERIA FILOSOFICA



Il discernimento del Magistero come diaconia alla verità

49. La Chiesa non propone una propria filosofia né canonizza una qualsiasi filosofia particolare a scapito di altre.(54) La ragione profonda di questa riservatezza sta nel fatto che la filosofia, anche quando entra in rapporto con la teologia, deve procedere secondo i suoi metodi e le sue regole; non vi sarebbe altrimenti garanzia che essa rimanga orientata verso la verità e ad essa tenda con un processo razionalmente controllabile. Di poco aiuto sarebbe una filosofia che non procedesse alla luce della ragione secondo propri principi e specifiche metodologie. In fondo, la radice della autonomia di cui gode la filosofia è da individuare nel fatto che la ragione è per sua natura orientata alla verità ed è inoltre in se stessa fornita dei mezzi necessari per raggiungerla. Una filosofia consapevole di questo suo « statuto costitutivo » non può non rispettare anche le esigenze e le evidenze proprie della verità rivelata.

La storia, tuttavia, ha mostrato le deviazioni e gli errori in cui non di rado il pensiero filosofico, soprattutto moderno, è incorso. Non è compito né competenza del Magistero intervenire per colmare le lacune di un discorso filosofico carente. E suo obbligo, invece, reagire in maniera chiara e forte quando tesi filosofiche discutibili minacciano la retta comprensione del dato rivelato e quando si diffondono teorie false e di parte che seminano gravi errori, confondendo la semplicità e la purezza della fede del popolo di Dio.

50. Il Magistero ecclesiastico, quindi, può e deve esercitare autoritativamente, alla luce della fede, il proprio discernimento critico nei confronti delle filosofie e delle affermazioni che si scontrano con la dottrina cristiana.(55) Al Magistero spetta di indicare, anzitutto, quali presupposti e conclusioni filosofiche sarebbero incompatibili con la verità rivelata, formulando con ciò stesso le esigenze che si impongono alla filosofia dal punto di vista della fede. Nello sviluppo del sapere filosofico, inoltre, sono sorte diverse scuole di pensiero. Anche questo pluralismo pone il Magistero di fronte alla responsabilità di esprimere il suo giudizio circa la compatibilità o meno delle concezioni di fondo, a cui queste scuole si attengono, con le esigenze proprie della Parola di Dio e della riflessione teologica.

La Chiesa ha il dovere di indicare ciò che in un sistema filosofico può risultare incompatibile con la sua fede. Molti contenuti filosofici, infatti, quali i temi di Dio, dell'uomo, della sua libertà e del suo agire etico, la chiamano in causa direttamente, perché toccano la verità rivelata che essa custodisce. Quando esercitiamo questo discernimento, noi Vescovi abbiamo il compito di essere « testimoni della verità » nell'adempimento di una diaconia umile ma tenace, quale ogni filosofo dovrebbe apprezzare, a vantaggio della recta ratio, ossia della ragione che riflette correttamente sul vero.

51. Questo discernimento, comunque, non deve essere inteso primariamente in forma negativa, come se intenzione del Magistero fosse di eliminare o ridurre ogni possibile mediazione. Al contrario, i suoi interventi sono tesi in primo luogo a provocare, promuovere e incoraggiare il pensiero filosofico. I filosofi per primi, d'altronde, comprendono l'esigenza dell'autocritica, della correzione di eventuali errori e la necessità di oltrepassare i limiti troppo ristretti in cui la loro riflessione è concepita. Si deve considerare, in modo particolare, che una è la verità, benché le sue espressioni portino l'impronta della storia e, per di più, siano opera di una ragione umana ferita e indebolita dal peccato. Da ciò risulta che nessuna forma storica della filosofia può legittimamente pretendere di abbracciare la totalità della verità, né di essere la spiegazione piena dell'essere umano, del mondo e del rapporto dell'uomo con Dio.

Oggi poi, col moltiplicarsi dei sistemi, dei metodi, dei concetti e argomenti filosofici, spesso estremamente particolareggiati, un discernimento critico alla luce della fede si impone con maggiore urgenza. Discernimento non facile, perché se è già laborioso riconoscere le capacità congenite e inalienabili della ragione, con i suoi limiti costitutivi e storici, ancora più problematico qualche volta può risultare il discernimento, nelle singole proposte filosofiche, di ciò che, dal punto di vista della fede, esse offrono di valido e di fecondo rispetto a ciò che, invece, presentano di erroneo o di pericoloso. La Chiesa, comunque, sa che i « tesori della sapienza e della scienza » sono nascosti in Cristo (Col 2, 3); per questo interviene stimolando la riflessione filosofica, perché non si precluda la strada che conduce al riconoscimento del mistero.

52. Non è solo di recente che il Magistero della Chiesa è intervenuto per manifestare il suo pensiero nei confronti di determinate dottrine filosofiche. A titolo esemplificativo basti ricordare, nel corso dei secoli, i pronunciamenti circa le teorie che sostenevano la preesistenza delle anime,(56) come pure circa le diverse forme di idolatria e di esoterismo superstizioso, contenute in tesi astrologiche; (57) per non dimenticare i testi più sistematici contro alcune tesi dell'averroismo latino, incompatibili con la fede cristiana.(58)

Se la parola del Magistero si è fatta udire più spesso a partire dalla metà del secolo scorso è perché in quel periodo non pochi cattolici sentirono il dovere di opporre una loro filosofia alle varie correnti del pensiero moderno. A questo punto, diventava obbligatorio per il Magistero della Chiesa vegliare perché queste filosofie non deviassero, a loro volta, in forme erronee e negative. Furono così censurati simmetricamente: da una parte, il fideismo (59) e il tradizionalismo radicale,(60) per la loro sfiducia nelle capacità naturali della ragione; dall'altra parte, il razionalismo (61) e l'ontologismo,(62) perché attribuivano alla ragione naturale ciò che è conoscibile solo alla luce della fede. I contenuti positivi di questo dibattito furono formalizzati nella Costituzione dogmatica Dei Filius, con la quale per la prima volta un Concilio ecumenico, il Vaticano I, interveniva in maniera solenne sui rapporti tra ragione e fede. L'insegnamento contenuto in quel testo caratterizzò fortemente e in maniera positiva la ricerca filosofica di molti credenti e costituisce ancora oggi un punto di riferimento normativo per una corretta e coerente riflessione cristiana in questo particolare ambito.

53. Più che di singole tesi filosofiche, i pronunciamenti del Magistero si sono occupati della necessità della conoscenza razionale e, dunque, ultimamente filosofica per l'intelligenza della fede. Il Concilio Vaticano I, sintetizzando e riaffermando in modo solenne gli insegnamenti che in maniera ordinaria e costante il Magistero pontificio aveva proposto per i fedeli, mise in evidenza quanto fossero inseparabili e insieme irriducibili la conoscenza naturale di Dio e la Rivelazione, la ragione e la fede. Il Concilio partiva dall'esigenza fondamentale, presupposta dalla Rivelazione stessa, della conoscibilità naturale dell'esistenza di Dio, principio e fine di ogni cosa,(63) e concludeva con l'asserzione solenne già citata: « esistono due ordini di conoscenza, distinti non solo per il loro principio, ma anche per il loro oggetto ».(64) Bisognava affermare, dunque, contro ogni forma di razionalismo, la distinzione dei misteri della fede dai ritrovati filosofici e la trascendenza e precedenza di quelli rispetto a questi; d'altra parte, contro le tentazioni fideistiche, era necessario che si ribadisse l'unità della verità e, quindi, anche l'apporto positivo che la conoscenza razionale può e deve dare alla conoscenza di fede: « Ma anche se la fede è sopra la ragione, non vi potrà mai essere una vera divergenza tra fede e ragione: poiché lo stesso Dio, che rivela i misteri e comunica la fede, ha anche deposto nello spirito umano il lume della ragione, questo Dio non potrebbe negare se stesso, né il vero contraddire il vero ».(65)

54. Anche nel nostro secolo, il Magistero è ritornato più volte sull'argomento mettendo in guardia contro la tentazione razionalistica. E su questo scenario che si devono collocare gli interventi del Papa san Pio X, il quale rilevava come alla base del modernismo vi fossero asserti filosofici di indirizzo fenomenista, agnostico e immanentista.(66) Non si può neppure dimenticare l'importanza che ebbe il rifiuto cattolico della filosofia marxista e del comunismo ateo.(67)

Successivamente, il Papa Pio XII fece sentire la sua voce quando, nella Lettera enciclica Humani generis, mise in guardia contro interpretazioni erronee, collegate con le tesi dell'evoluzionismo, dell'esistenzialismo e dello storicismo. Egli precisava che queste tesi erano state elaborate e venivano proposte non da teologi, avendo la loro origine « fuori dall'ovile di Cristo »; (68) aggiungeva, comunque, che tali deviazioni non erano semplicemente da rigettare, ma da esaminare criticamente: « Ora queste tendenze, che più o meno deviano dalla retta strada, non possono essere ignorate o trascurate dai filosofi o dai teologi cattolici, che hanno il grave compito di difendere la verità divina ed umana e di farla penetrare nelle menti degli uomini. Anzi, essi devono conoscere bene queste opinioni, sia perché le malattie non si possono curare se prima non sono ben conosciute, sia perché qualche volta nelle stesse false affermazioni si nasconde un po' di verità, sia, infine, perché gli stessi errori spingono la mente nostra a investigare e a scrutare con più diligenza alcune verità sia filosofiche sia teologiche ».(69)

Da ultimo, anche la Congregazione per la Dottrina della Fede, in adempimento del suo specifico compito a servizio del magistero universale del Romano Pontefice,(70) ha dovuto intervenire per ribadire il pericolo che comporta l'assunzione acritica, da parte di alcuni teologi della liberazione, di tesi e metodologie derivanti dal marxismo.(71)

Nel passato il Magistero ha dunque esercitato ripetutamente e sotto diverse modalità il discernimento in materia filosofica. Quanto i miei Venerati Predecessori hanno apportato costituisce un prezioso contributo che non può essere dimenticato.

55. Se guardiamo alla nostra condizione odierna, vediamo che i problemi di un tempo ritornano, ma con peculiarità nuove. Non si tratta più solamente di questioni che interessano singole persone o gruppi, ma di convinzioni diffuse nell'ambiente al punto da divenire in qualche misura mentalità comune. Tale è, ad esempio, la radicale sfiducia nella ragione che rivelano i più recenti sviluppi di molti studi filosofici. Da più parti si è sentito parlare, a questo riguardo, di « fine della metafisica »: si vuole che la filosofia si accontenti di compiti più modesti, quali la sola interpretazione del fattuale o la sola indagine su campi determinati del sapere umano o sulle sue strutture.

Nella stessa teologia tornano ad affacciarsi le tentazioni di un tempo. In alcune teologie contemporanee, ad esempio, si fa nuovamente strada un certo razionalismo, soprattutto quando asserti ritenuti filosoficamente fondati sono assunti come normativi per la ricerca teologica. Ciò accade soprattutto quando il teologo, per mancanza di competenza filosofica, si lascia condizionare in modo acritico da affermazioni entrate ormai nel linguaggio e nella cultura corrente, ma prive di sufficiente base razionale.(72)

Non mancano neppure pericolosi ripiegamenti sul fideismo, che non riconosce l'importanza della conoscenza razionale e del discorso filosofico per l'intelligenza della fede, anzi per la stessa possibilità di credere in Dio. Un'espressione oggi diffusa di tale tendenza fideistica è il « biblicismo », che tende a fare della lettura della Sacra Scrittura o della sua esegesi l'unico punto di riferimento veritativo. Accade così che si identifichi la parola di Dio con la sola Sacra Scrittura, vanificando in tal modo la dottrina della Chiesa che il Concilio Ecumenico Vaticano II ha ribadito espressamente. La Costituzione Dei Verbum, dopo aver ricordato che la parola di Dio è presente sia nei testi sacri che nella Tradizione,(73) afferma con forza: « La Sacra Tradizione e la Sacra Scrittura costituiscono un solo sacro deposito della parola di Dio affidato alla Chiesa. Aderendo ad esso tutto il popolo santo, unito ai suoi Pastori, persevera costantemente nell'insegnamento degli Apostoli ».(74) La Sacra Scrittura, pertanto, non è il solo riferimento per la Chiesa. La « regola suprema della propria fede »,(75) infatti, le proviene dall'unità che lo Spirito ha posto tra la Sacra Tradizione, la Sacra Scrittura e il Magistero della Chiesa in una reciprocità tale per cui i tre non possono sussistere in maniera indipendente.(76)

Non è da sottovalutare, inoltre, il pericolo insito nel voler derivare la verità della Sacra Scrittura dall'applicazione di una sola metodologia, dimenticando la necessità di una esegesi più ampia che consenta di accedere, insieme con tutta la Chiesa, al senso pieno dei testi. Quanti si dedicano allo studio delle Sacre Scritture devono sempre tener presente che le diverse metodologie ermeneutiche hanno anch'esse alla base una concezione filosofica: occorre vagliarla con discernimento prima di applicarla ai testi sacri.

Altre forme di latente fideismo sono riconoscibili nella poca considerazione che viene riservata alla teologia speculativa, come pure nel disprezzo per la filosofia classica, alle cui nozioni sia l'intelligenza della fede sia le stesse formulazioni dogmatiche hanno attinto i loro termini. Il Papa Pio XII, di venerata memoria, ha messo in guardia contro tale oblio della tradizione filosofica e contro l'abbandono delle terminologie tradizionali.(77)

56. Si nota, insomma, una diffusa diffidenza verso gli asserti globali e assoluti, soprattutto da parte di chi ritiene che la verità sia il risultato del consenso e non dell'adeguamento dell'intelletto alla realtà oggettiva. E certo comprensibile che, in un mondo suddiviso in molti campi specialistici, diventi difficile riconoscere quel senso totale e ultimo della vita che la filosofia tradizionalmente ha cercato. Nondimeno alla luce della fede che riconosce in Gesù Cristo tale senso ultimo, non posso non incoraggiare i filosofi, cristiani o meno, ad avere fiducia nelle capacità della ragione umana e a non prefiggersi mete troppo modeste nel loro filosofare. La lezione della storia di questo millennio, che stiamo per concludere, testimonia che questa è la strada da seguire: bisogna non perdere la passione per la verità ultima e l'ansia per la ricerca, unite all'audacia di scoprire nuovi percorsi. E la fede che provoca la ragione a uscire da ogni isolamento e a rischiare volentieri per tutto ciò che è bello, buono e vero. La fede si fa così avvocato convinto e convincente della ragione.

martedì 21 settembre 2010

San Filippo Neri: "Preferisco il Paradiso"

San Filippo Neri, "Apostolo della città di Roma"

Tra ieri e oggi, Raiuno stra trasmettendo un film davvero molto bello (nel video del giorno trovate un video sul momento più emozionante del film), che racconta a grandi linee, la storia di uno dei santi più amati di Roma al punto da assumere il titolo di "Apostolo della città di Roma": San Filippo Neri.
Il nostro consiglio è di seguire anche la seconda parte che andrà in onda questa sera alle 21:10, perchè vi darà testimonianza di come l'amore di Dio agisce nella vita di ogni uomo, al punto da farci considerare l'idea che la santità non è solo una virtù di pochi, ma una meta di molti: tutti noi, come diceva San Filippo Neri, possiamo aspirare alla Santità e al Paradiso! In memoria di questo santo così anticonvenzionale e allo stesso modo esempio fulgido di Cristo, pubblichiamo la sua biografia direttamente nel post del giorno, affinché possiate immedesimarvi in questa meravigliosa storia, esempio per tutte le nostre vite:

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Filippo Neri nasce a Firenze il 21 luglio 1515, e riceve il battesimo nel "bel san Giovanni" dei Fiorentini il giorno seguente, festa di S. Maria Maddalena.
La famiglia dei Neri, che aveva conosciuto in passato una certa importanza, risentiva allora delle mutate condizioni politiche e viveva in modesto stato economico. Il padre, ser Francesco, era notaio, ma l'esercizio della sua professione era ristretto ad una piccola cerchia di clienti; la madre, Lucrezia da Mosciano, proveniva da una modesta famiglia del contado, e moriva poco dopo aver dato alla luce il quarto figlio.
La famiglia si trovò affidata alle cure della nuova sposa di ser Francesco, Alessandra di Michele Lenzi, che instaurò con tutti un affettuoso rapporto, soprattutto con Filippo, il secondogenito, dotato di un bellissimo carattere, pio e gentile, vivace e lieto, il "Pippo buono" che suscitava affetto ed ammirazione tra tutti i conoscenti.
Dal padre, probabilmente, Filippo ricevette la prima istruzione, che lasciò in lui soprattutto il gusto dei libri e della lettura, una passione che lo accompagnò per tutta la vita, testimoniata dall'inventario della sua biblioteca privata, lasciata in morte alla Congregazione romana, e costituita di un notevole numero di volumi. La formazione religiosa del ragazzo ebbe nel convento dei Domenicani di San Marco un centro forte e fecondo. Si respirava, in quell'ambiente, il clima spirituale del movimento savonaroliano, e per fra Girolamo Savonarola Filippo nutrì devozione lungo tutto l'arco della vita, pur nella evidente distanza dai metodi e dalle scelte del focoso predicatore apocalittico.
Intorno ai diciotto anni, su consiglio del padre, desideroso di offrire a quel figlio delle possibilità che egli non poteva garantire, Filippo si recò da un parente, avviato commerciante e senza prole, a San Germano, l'attuale Cassino. Ma l'esperienza della mercatura durò pochissimo tempo: erano altre le aspirazioni del cuore, e non riuscirono a trattenerlo l'affetto della nuova famiglia e le prospettive di un'agiata situazione economica.
Lo troviamo infatti a Roma, a partire dal 1534. Vi si recò, probabilmente, senza un progetto preciso. Roma, la città santa delle memorie cristiane, la terra benedetta dal sangue dei martiri, ma anche allettatrice di tanti uomini desiderio di carriera e di successo, attrasse il suo desiderio di intensa vita spirituale: Filippo vi giunse come pellegrino, e con l'animo del pellegrino penitente, del "monaco della città" per usare un'espressione oggi di moda, visse gli anni della sua giovinezza, austero e lieto al tempo stesso, tutto dedito a coltivare lo spirito.
La casa del fiorentino Galeotto Caccia, capo della Dogana, gli offrì una modesta ospitalità - una piccola camera ed un ridottissimo vitto - ricambiata da Filippo con l'incarico di precettore dei figli del Caccia. Lo studio lo attira - frequenta le lezioni di filosofia e di teologia dagli Agostiniani ed alla Sapienza - ma ben maggiore è l'attrazione della vita contemplativa che impedisce talora a Filippo persino di concentrarsi sugli argomenti delle lezioni.
La vita contemplativa che egli attua è vissuta nella libertà del laico che poteva scegliere, fuori dai recinti di un chiostro, i modi ed i luoghi della sua preghiera: Filippo predilesse le chiese solitarie, i luoghi sacri delle catacombe, memoria dei primi tempi della Chiesa apostolica, il sagrato delle chiese durante le notti silenziose. Coltivò per tutta la vita questo spirito di contemplazione, alimentato anche da fenomeni straordinari, come quello della Pentecoste del 1544, quando Filippo, nelle catacombe si san Sebastiano, durante una notte di intensa preghiera, ricevette in forma sensibile il dono dello Spirito Santo che gli dilatò il cuore infiammandolo di un fuoco che arderà nel petto del santo fino al termine dei suoi giorni.
Questa intensissima vita contemplativa si sposava nel giovane Filippo ad un altrettanto intensa, quanto discreta nelle forme e libera nei metodi, attività di apostolato nei confronti di coloro che egli incontrava nelle piazze e per le vie di Roma, nel servizio della carità presso gli Ospedali degli incurabili, nella partecipazione alla vita di alcune confraternite, tra le quali, in modo speciale, quella della Trinità dei Pellegrini, di cui Filippo, se non il fondatore, fu sicuramente il principale artefice insieme al suo confessore P. Persiano Rosa.
A questo degnissimo sacerdote, che viveva a san Girolamo della Carità, e con il quale Filippo aveva profonde sintonie di temperamento lieto e di impostazione spirituale, il giovane, che ormai si avviava all'età adulta, aveva affidato la cura della sua anima. Ed è sotto la direzione spirituale di P. Persiano che maturò lentamente la chiamata alla vita sacerdotale. Filippo se ne sentiva indegno, ma sapeva il valore dell'obbedienza fiduciosa ad un padre spirituale che gli dava tanti esempi di santità. A trentasei anni, il 23 maggio del 1551, dopo aver ricevuto gli ordini minori, il suddiaconato ed il diaconato, nella chiesa parrocchiale di S. Tommaso in Parione, il vicegerente di Roma, Mons. Sebastiano Lunel, lo ordinava sacerdote.
Messer Filippo Neri continuò da sacerdote l'intensa vita apostolica che già lo aveva caratterizzato da laico. Andò ad abitare nella Casa di san Girolamo, sede della Confraternita della Carità, che ospitava a pigione un certo numero di sacerdoti secolari, dotati di ottimo spirito evangelico, i quali attendevano alla annessa chiesa. Qui il suo principale ministero divenne l'esercizio del confessionale, ed è proprio con i suoi penitenti che Filippo iniziò, nella semplicità della sua piccola camera, quegli incontri di meditazione, di dialogo spirituale, di preghiera, che costituiscono l'anima ed il metodo dell'Oratorio. Ben presto quella cameretta non bastò al numero crescente di amici spirituali, e Filippo ottenne da "quelli della Carità" di poterli radunare in un locale, situato sopra una nave della chiesa, prima destinato a conservare il grano che i confratelli distribuivano ai poveri.
Tra i discepoli del santo, alcuni - ricordiamo tra tutti Cesare Baronio e Francesco Maria Tarugi, i futuri cardinali - maturarono la vocazione sacerdotale, innamorati del metodo e dell'azione pastorale di P. Filippo. Nacque così, senza un progetto preordinato, la "Congregazione dell'Oratorio": la comunità dei preti che nell'Oratorio avevano non solo il centro della loro vita spirituale, ma anche il più fecondo campo di apostolato. Insieme ad altri discepoli di Filippo, nel frattempo divenuti sacerdoti, questi andarono ad abitare a San Giovanni dei Fiorentini, di cui P. Filippo aveva dovuto accettare la Rettoria per le pressioni dei suoi connazionali sostenuti dal Papa. E qui iniziò tra i discepoli di Filippo quella semplice vita famigliare, retta da poche regole essenziali, che fu la culla della futura Congregazione.
Nel 1575 Papa Gregorio XIII affidò a Filippo ed ai suoi preti la piccola e fatiscente chiesa di S. Maria in Vallicella, a due passi da S. Girolamo e da S. Giovanni dei Fiorentini, erigendo al tempo stesso con la Bolla "Copiosus in misericordia Deus" la "Congregatio presbyterorm saecularium de Oratorio nuncupanda". Filippo, che continuò a vivere nell'amata cameretta di San Girolamo fino al 1583, e che si trasferì, solo per obbedienza al Papa, nella nuova residenza dei suoi preti, si diede con tutto l'impegno a ricostruire in dimensioni grandiose ed in bellezza la piccola chiesa della Vallicella.
Qui trascorse gli ultimi dodici anni della sua vita, nell'esercizio del suo prediletto apostolato di sempre: l'incontro paterno e dolcissimo, ma al tempo stesso forte ed impegnativo, con ogni categoria di persone, nell'intento di condurre a Dio ogni anima non attraverso difficili sentieri, ma nella semplicità evangelica, nella fiduciosa certezza dell'infallibile amore divino, nella letizia dello spirito che sgorga dall'unione con Dio. Si spense nelle prime ore del 26 maggio 1595, all'età di ottant'anni, amato dai suoi e da tutta Roma di un amore carico di stima e di affezione.
La sua vita è chiaramente suddivisa in due periodi di pressoché identica durata: trentasei anni di vita laicale, quarantaquattro di vita sacerdotale. Ma Filippo Neri, fiorentino di nascita - e quanto amava ricordarlo! - e romano di adozione - tanto egli aveva adottato Roma, quanto Roma aveva adottato lui! - fu sempre quel prodigio di carità apostolica vissuta in una mirabile unione con Dio, che la Grazia divina operò in un uomo originalissimo ed affascinante.
"Apostolo di Roma" lo definirono immediatamente i Pontefici ed il popolo Romano, attribuendogli il titolo riservato a Pietro e Paolo, titolo che Roma non diede a nessun altro dei pur grandissimi santi che, contemporaneamente a Filippo, aveva vissuto ed operato tra le mura della Città Eterna. Il cuore di Padre Filippo, ardente del fuoco dello Spirito, cessava di battere in terra in quella bella notte estiva, ma lasciava in eredità alla sua Congregazione ed alla Chiesa intera il dono di una vita a cui la Chiesa non cessa di guardare con gioioso stupore. Ne è forte testimonianza anche il Magistero del Santo Padre Giovanni Paolo II che in varie occasioni ha lumeggiato la figura di san Filippo Neri e lo ha citato, unico dei santi che compaiano esplicitamente con il loro nome, nella Bolla di indizione del Grande Giubileo del 2000.

Fonte:
www.oratoriosanfilippo.org