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lunedì 31 gennaio 2011

Riflessione Vangelo: IV domenica ordinario (A)

Angelus di Papa Benedetto XVI - 30 Gennaio 2011


BENEDETTO XVI

ANGELUS

Piazza San Pietro
Domenica, 30 gennaio 2011

Cari fratelli e sorelle!

In questa quarta domenica del Tempo Ordinario, il Vangelo presenta il primo grande discorso che il Signore rivolge alla gente, sulle dolci colline intorno al Lago di Galilea. «Vedendo le folle – scrive san Matteo –, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro» (Mt 5,1-2). Gesù, nuovo Mosè, «prende posto sulla “cattedra” della montagna» (Gesù di Nazaret, Milano 2007, p. 88) e proclama «beati» i poveri in spirito, gli afflitti, i misericordiosi, quanti hanno fame della giustizia, i puri di cuore, i perseguitati (cfr Mt 5,3-10). Non si tratta di una nuova ideologia, ma di un insegnamento che viene dall’alto e tocca la condizione umana, proprio quella che il Signore, incarnandosi, ha voluto assumere, per salvarla. Perciò, «il Discorso della montagna è diretto a tutto il mondo, nel presente e nel futuro … e può essere compreso e vissuto solo nella sequela di Gesù, nel camminare con Lui» (Gesù di Nazaret, p. 92). Le Beatitudini sono un nuovo programma di vita, per liberarsi dai falsi valori del mondo e aprirsi ai veri beni, presenti e futuri. Quando, infatti, Dio consola, sazia la fame di giustizia, asciuga le lacrime degli afflitti, significa che, oltre a ricompensare ciascuno in modo sensibile, apre il Regno dei Cieli. «Le Beatitudini sono la trasposizione della croce e della risurrezione nell’esistenza dei discepoli» (ibid., p. 97). Esse rispecchiano la vita del Figlio di Dio che si lascia perseguitare, disprezzare fino alla condanna a morte, affinché agli uomini sia donata la salvezza.

Afferma un antico eremita: «Le Beatitudini sono doni di Dio, e dobbiamo rendergli grandi grazie per esse e per le ricompense che ne derivano, cioè il Regno dei Cieli nel secolo futuro, la consolazione qui, la pienezza di ogni bene e misericordia da parte di Dio … una volta che si sia divenuti immagine del Cristo sulla terra» (Pietro di Damasco, in Filocalia, vol. 3, Torino 1985, p. 79). Il Vangelo delle Beatitudini si commenta con la storia stessa della Chiesa, la storia della santità cristiana, perché – come scrive san Paolo – «quello che è debole per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i forti; quello che è ignobile e disprezzato per il mondo, quello che è nulla, Dio lo ha scelto per ridurre al nulla le cose che sono» (1 Cor 1,27-28). Per questo la Chiesa non teme la povertà, il disprezzo, la persecuzione in una società spesso attratta dal benessere materiale e dal potere mondano. Sant’Agostino ci ricorda che «non giova soffrire questi mali, ma sopportarli per il nome di Gesù, non solo con animo sereno, ma anche con gioia» (De sermone Domini in monte, I, 5,13: CCL 35, 13).

Cari fratelli e sorelle, invochiamo la Vergine Maria, la Beata per eccellenza, chiedendo la forza di cercare il Signore (cfr Sof 2,3) e di seguirlo sempre, con gioia, sulla via delle Beatitudini.

Dopo l'Angelus:

Si celebra in questa domenica la “Giornata mondiale dei malati di lebbra”, promossa negli anni ’50 del secolo scorso da Raoul Follereau e riconosciuta ufficialmente dall’ONU. La lebbra, pur essendo in regresso, purtroppo colpisce ancora molte persone in condizione di grave miseria. A tutti i malati assicuro una speciale preghiera, che estendo a quanti li assistono e, in diversi modi, si impegnano a sconfiggere il morbo di Hansen. Saluto in particolare l’Associazione Italiana Amici di Raoul Follereau, che compie 50 anni di attività.

Nei prossimi giorni, in vari Paesi dell’Estremo Oriente si celebra, con gioia, specialmente nell’intimità delle famiglie, il capodanno lunare. A tutti quei grandi popoli auguro di cuore serenità e prosperità.

Oggi ricorre anche la “Giornata internazionale di intercessione per la pace in Terra Santa”. Mi associo al Patriarca Latino di Gerusalemme e al Custode di Terra Santa nell’invitare tutti a pregare il Signore affinché faccia convergere le menti e i cuori a concreti progetti di pace.

Sono lieto di rivolgere un caloroso saluto ai ragazzi e alle ragazze dell’Azione Cattolica della Diocesi di Roma, guidati dal Cardinale Vicario Agostino Vallini. Cari ragazzi, anche quest’anno siete venuti numerosi, al termine della vostra “Carovana della Pace”, il cui motto era: “Contiamo sulla Pace!”. Ascoltiamo ora il messaggio che i vostri amici, qui accanto a me, ci leggeranno.

[ Saluti in varie lingue: Je salue les pèlerins francophones et plus particulièrement les Scouts Unitaires de France, qui célèbrent cette année leur quarantième anniversaire. Que la marche-relais, que vous entreprenez à la suite du Christ, soit pour vous une source de bonheur et de joie. Vous pourrez ensuite en partager les fruits, notamment lors des prochaines Journées Mondiales de la Jeunesse, à Madrid, où j’invite tous les jeunes francophones à venir très nombreux m’y rejoindre. Que Marie soit notre guide sur les sentiers qui nous conduisent à vivre en vérité les Béatitudes! Bon dimanche et bonne semaine à tous!

I greet warmly all the English-speaking visitors present at today’s Angelus. In this Sunday’s Gospel, we hear the eight Beatitudes, that beautiful account of what Christian discipleship demands of us. Jesus himself showed us the way by the manner of his life and death, and by rising from the dead he revealed the new life that awaits those who follow him along the path of love. Upon all of you here today, and upon your families and loved ones at home, I invoke abundant blessings of peace and joy.

Ein herzliches „Grüß Gott“ sage ich den Pilgern und Besuchern aus den Ländern deutscher Sprache. Im heutigen Evangelium zeigt Jesus mit den Seligpreisungen den Weg zur Glückseligkeit auf. Die Seligpreisungen stellen gleichsam ein Selbstbildnis Christi dar: seine Armut und Schlichtheit sowie seine Milde und Leidenschaft für Gerechtigkeit und Frieden. Je eifriger wir ihn in diesen Haltungen nachahmen, um so mehr schenkt er uns seine Liebe und stillt unsere innerste Sehnsucht nach Glückseligkeit und Frieden. Laßt uns diese wunderbare Gemeinschaft mit Christus pflegen. Dazu begleite euch Gott mit seiner Gnade.

Saludo con afecto a los peregrinos de lengua española presentes en esta oración mariana, en particular a los fieles de diversas parroquias de las diócesis de Valencia, Cádiz y Jerez de la Frontera. El anuncio de las Bienaventuranzas, que hoy nos presenta la liturgia, es una clara propuesta del Señor para vivir en comunión con Él y alcanzar la auténtica felicidad. Quien acoge con radicalidad este programa de vida, encuentra la fuerza necesaria para colaborar en la edificación del Reino de Dios y ser instrumento de salvación. Feliz domingo.

Moją myśl i słowo pozdrowienia kieruję do wszystkich Polaków. Ewangelia dzisiejszej Mszy świętej wspomina Kazanie Jezusa na Górze. Osiem Błogosławieństw, to fundament moralności nowego człowieka, program życia uczniów i wyznawców Chrystusa; to nowy wymiar relacji i wzajemnych odniesień. Zachęcając do realizacji tego programu, skierowanego do każdego z nas, z serca wszystkim błogosławię.

[Rivolgo ora il mio pensiero e la mia parola di saluto a tutti i Polacchi. Il Vangelo dell’odierna domenica presenta il “Discorso della montagna” di Gesù. Otto beatitudini: ecco il fondamento della moralità dell’uomo nuovo, il programma di vita dei discepoli di Cristo e di quanti credono in Lui; è una nuova dimensione delle relazioni e dei reciproci comportamenti. Invitandovi a seguire tale programma, destinato a ognuno di noi, vi benedico di cuore.]

Saluto infine i pellegrini di lingua italiana, in particolare i fedeli venuti da Chieti e Villamagna. A tutti auguro una buona domenica. Ed ora, insieme con i ragazzi dell’Azione Cattolica, liberiamo le colombe, simbolo di pace.


© Copyright 2011 - Libreria Editrice Vaticana

domenica 30 gennaio 2011

Video Vangelo: IV domenica ordinario (A)

Beati i puri di cuore


4^ Dom. tempo ordinario 
 
• 1) La pagina più difficile

Eccoci alle prese con una difficilissima pagina di Vangelo –il discorso delle beatitudini– che fa risaltare la dissonanza e la dissomiglianza nelle quali ci troviamo rispetto ad essa e ci mostra come viviamo agli antipodi di quanto qui ci viene proposto. Discorso controcorrente ed in assoluto contrasto con la mentalità dominante del “carpe diem”, dell’afferra l’attimo fuggente cibandoti di effimero e spremendo ”beatitudine” da ogni bene (o male) di consumo, abbeverandoti a pozzanghere torbide che si esauriscono ancor prima che tu abbia potuto attingervi scoprendo poi che erano solo chimere ingannatrici e miraggi traditori.
L’uomo, attingendo ad esse, crede di placare le sue fami, ma si accorge ben presto che –come diceva Dante– “la bestia, dopo il pasto ha più fame di prima!” O come diceva san Giovanni della Croce: ”Il gusto di un bene finito, può al massimo, stancare l’appetito”.
Contro questa mentalità del “divertissement” a tutti i costi abbiamo come unico efficace antidoto il discorso delle beatitudini, nuova legge proclamata da Gesù Cristo sul monte, come sul monte era stata proclamata l’antica legge. Beati i poveri, gli umili, i tribolati, gli afflitti e i perseguitati.

• 2) Beatitudini: chi le vuole?...

Ma chi le vuole queste beatitudini?
Certo è promessa una ricompensa, ma solo al futuro (“saranno consolati , saziati”, ecc.) mentre noi vogliamo tutto subito. Chiediamoci sinceramente: chi tra di noi si augura una sola di queste beatitudini? Eppure l’esperienza dimostra che la felicità sta da quelle parti, e che la disperazione sta dove c’è il surplus di tutto.
Ma vorrei soffermarmi su due di queste beatitudini. La prima è “Beati i poveri in spirito perché di essi è il regno dei cieli”. Qui, contrariamente alle altre, la ricompensa non è al futuro, ma al presente. Qui non si dice “beati (…) perché SARANNO consolati, saziati, ecc.” , ma ”beati i poveri in spirito perché di essi è il regno dei cieli”. Subito! Non si era mai visto dei poveri che avessero addirittura un regno! E che regno! E ce l’hanno subito (qui c’è proprio tutto subito), e lo hanno appunto in quanto poveri. Se fossero ricchi, non ce l’avrebbero per niente, né ora, né in futuro, né mai!

• 3) il regno dei poveri

Ma chi sono i “poveri in spirito”? Sono quelli che contano totalmente su Dio e non mettono la loro fiducia in loro stessi o nei beni materiali. Non costruiscono la loro vita, né progettano il loro futuro senza far riferimento a Colui che ha dato loro questa vita e questo futuro. Non vogliono realizzare un loro progetto, ma vogliono aderire al progetto che DIO ha su di loro. Non fanno la loro volontà, ma quella di Dio. Ecco perché hanno subito il regno dei cieli: perché il loro punto d’appoggio non è la terra, ma il cielo e nella misura in cui fanno la volontà di DIO, Dio stesso fa lo loro volontà.
E possono dire a ragione con san Giovanni della Croce: ”Miei sono i cieli, mia è la terra” e tutto l’universo è mio perché in Dio ho tutto.
L’altra beatitudine –quella che io preferisco in assoluto– è “Beati i puri di cuore perché vedranno DIO”. Il cuore puro è un cuore che ha ritrovato la SANITA’ ORIGINARIA della sua natura: è ridiventato un puro cristallo in cui Dio può di nuovo specchiarsi, riversandovi e irradiando la sua purezza infinita. Nessun bene al mondo è più prezioso di questa purezza che attira l’Altissimo in persona nel cuore umano e lo rende capace di vederlo, perché ha ormai vinto ogni attrattiva verso il male e non è più schiavo delle passioni!
Nel cuore puro viene distrutta la dissomiglianza dovuta al peccato e viene ripristinata l’immagine e somiglianza divina. Ogni tenebra viene sconfitta e la creatura –vedendo DIO– brilla della sua stessa luce e ritrova tutto il suo splendore.
Come dice questa bellissima preghiera del cardinal Newman: ”Splendi sopra di me fiamma che sempre ardi e mai non vieni meno: incomincerò allora, per mezzo della tua luce ed in essa immerso, a vedere anch’io la luce e a riconoscere Te come vera sorgente della luce”
Dobbiamo chiedere ogni giorno questa beatitudine del cuore puro, perché allora vedremo con sguardo trasfigurato l’intera realtà e ogni creatura sarà un puro segno dell’amore di Dio e potremo finalmente vivere in pienezza la comunione con Lui e tra di noi.

Wilma Chasseur

sabato 29 gennaio 2011

Abortire..non è un gioco ( storia di una bimba)

Non farlo (Storia di un aborto) - Ultima parte

Continuiamo, dopo le festività natalizie, a leggere la testimonianza anonima di un aborto che invita alla riflessione all'esortazione più importante: "non farlo!". SIamo giunti alla conclusione di questa testimonianza e vediamo l'esortazione finale della testimone, un'esortazione che proviene dal cuore di chi ha provato su di sé gli effetti traumatici dell'aborto:

Ad essere onesta non percepii fino in fondo la reale, atroce gravità del mio gesto finché non passò qualche mese, durante il quale ero persino convinta di aver fatto la scelta giusta per me, per il piccolo e per quella persona ignobile, che speravo di non rivedere mai più.
Decisi di voltare pagina, cercai di farmi dei nuovi amici e mi iscrissi all’Università, con l’intenzione di prendere una seconda laurea: qualunque cosa pur di non fermarmi a riflettere…
Fu tutto inutile, e patetico.
Durante le lezioni, a contatto con i miei nuovi compagni, diciottenni, mi sentivo estremamente sola, e diversa... Loro avevano una freschezza e una sfrontatezza tipiche della loro età e della loro condizione di studenti alla prese con i primi studi veramente impegnativi e piacevolmente stimolanti.
Nei loro occhi si leggeva chiaramente il senso di onnipotenza che erano convinti di possedere. Credevano di aver capito tutto, ormai, della vita, che niente e nessuno avrebbe potuto ridestarli dal sogno che stavano vivendo, che quegli anni meravigliosi non avrebbero mai avuto fine.
Ed io, seduta insieme a loro, intenta a nascondere il senso di spaesamento che mi assaliva ogni volta che prendevo posto in aula, li osservavo con un’infinita tristezza. Pensavo a quanto fossero (in realtà) ancora ingenui, talmente immaturi da non riuscire a vedere, a capire quanto la vita possa essere ostile, crudele, e ti si possa rivoltare contro in un istante, distruggendo ogni tuo più piccolo entusiasmo di essere al mondo.
Dopo qualche tempo, i miei pensieri divennero altri, poiché i rimorsi di coscienza cominciavano a profilarsi nella mia mente, piano piano, giorno per giorno, diventando sempre più dolorosi. Fino a che non fu tutto
improvvisamente chiaro e devastante. Fino a che non mi resi conto, fino in fondo, di ciò che ero stata capace di fare.
Allora non ci fu più spazio per alcuna riflessione lucida. Piangevo, piangevo e deliravo, soprattutto di notte, quando nessuno poteva sentirmi, quando nessuno poteva intuire il mio dolore, il motivo delle mie lacrime, della vergogna e dei rimorsi che mi consumavano senza pietà.
Mi tiravo i capelli, e mi davo dei pugni violenti sulla fronte, guardandomi allo specchio per capire che razza di persona riflettesse, per capire chi io fossi veramente. Il mio intento era di riuscire a piangere più forte, di fare uscire fuori tutta la mia disperazione, della quale mi sentivo incapace di disfarmi.
Cercavo un pretesto, una ragione per patire, perché in fondo desideravo solo espiare la mia colpa, pagare, soffrire fino al giorno della mia morte, che speravo imminente. Ma ogni giorno, puntualmente, dovevo svegliarmi la mattina, dovevo aprire gli occhi e cercare di far finta di nulla.
Desideravo solo restare a letto, ed era un sacrificio enorme uscire da casa e tentare di condurre una vita normale. Io non ero normale. Mi ero macchiata di una colpa che mi strappava ogni diritto di considerarmi una persona “normale”; mi sentivo un mostro.
E’ passato un anno e mezzo da quel maledettissimo giorno, ma non è cambiato niente. Non ho più sentito Marco, qualche volta mi è capitato di incontrarlo per caso… ma ormai era divenuto un estraneo. Sono rimasta sola. Ho tanti amici, ma mi sento ugualmente sola…
Il dolore è sempre lì, a volte sembra assopirsi, per qualche istante, ma poi ritorna, sempre più lacerante. Non mi dà tregua, mi perseguita. Il senso di colpa, misto alla pena che provo per quell’Angelo cui ho negato TUTTO, è una sensazione terribile, che spero non provi mai nessuno nella propria vita.
Il tempo non è in grado di cancellare quella sensazione d'impotenza, di crudeltà, d’indescrivibile rimpianto che ti attanaglia ogni giorno; al contrario, ti tiene lucida per ricordarti costantemente il tuo imperdonabile errore.
Quando vivi un’esperienza dolorosa come la mia, andando avanti nel percorso della vita, quella tristissima scelta ti apparirà sempre più nitida, in tutta la sua disumana essenza.
Avrai tanto, troppo tempo per riflettere e per capire fino in fondo l’entità del disastro cui hai dato luogo. Capirai solo allora che valeva la pena di aspettare ancora un giorno, di confidare il tuo stato d’animo ad una persona in grado di aiutarti, magari ad un sacerdote, se pur con un po’ di vergogna; di non agire d'impulso, in un momento di rabbia, ma di sforzarti ad andare oltre quegli attimi di smarrimento. Perché c’è sempre un motivo per salvare un bambino dalla morte. Perché non spetta a te decidere quale debba essere il suo destino. Perché tu sei qui, lui non c’è e non ci sarà mai, e la colpa è solo tua. E’ un fardello troppo pesante da sopportare per la tua coscienza. Poter guardare i suoi occhietti resterà il tuo sogno più grande, disperatamente
cercherai un volto da dare a tuo figlio, un profilo, un sorriso…
Ma resteranno tutte malinconiche illusioni bagnate da lacrime amare. Quel bimbo che hai rifiutato non potrà tornare più. Mai più.

Conclusione

Rivolgo a te queste parole, come tutto il senso di queste dolorose pagine raccontate con le lacrime agli occhi. A te, piccola donna, che forse in questo momento ti trovi nella mia stessa condizione di allora, a te che forse sei ancora in tempo… Me lo auguro tanto, con tutto il cuore, e mi auguro che il sacrificio enorme che ho fatto per raccontarti la mia storia, possa servirti a capire quanto sia ingiusto negare una vita, quanto dolore possa portare con sé una scelta così drastica, e che senso di morte conservi il tuo cuore dopo tale esperienza.
Non farlo, non farlo mai, in nessun caso. Pensa sempre alla tua creatura come ad un miracolo, in qualunque modo sia giunta fino a te. Anche se tutto il resto fosse buio e triste, lui sarà la tua stella, lui ti salverà da te stessa. Ama immensamente il tuo Angelo, sacrifica tutto per lui o per lei. Non te ne
pentirai neppure per un istante.
E soprattutto, non credere a coloro che ti diranno che quello non è ancora un bambino, che si tratta semplicemente di “cellule” in trasformazione… Ognuno di noi è stato questo a suo tempo, ma ad ognuno di noi è stata data l’opportunità di crescere, lentamente, fino a diventare adulto… E anche noi siamo stati bambini, dei bambini stupendi che, come dei piccoli angeli, hanno portato tanta gioia intorno a loro.
Pensa a questo, a quanto amore potrà darti tuo figlio, pensa che la sua vita dipende esclusivamente da te, che lui sta vivendo solo grazie a te, e che di questo ti sarà grato per sempre.
Il suo destino è nelle tue mani, non negarglielo… almeno tu.

venerdì 28 gennaio 2011

Ultima Messa di San Pio da Pietralcina

Padre Pio - Sulla soglia del Paradiso - Ventitcinquesimo appuntamento

Torna l'appuntamento con la biografia che tratteggia un'inedita "storia di Padre Pio raccontata dai suoi amici: "Sulla Soglia del Paradiso" di Gaeta Saverio. Oggi vediamo l'aspetto sacerdotale di Padre Pio e il suo "vivere" la Sacra Liturgia:

X

Liturgia eucaristica
 
Come un Ostensorio vivente
 
A descrivere la Messa di Padre Pio ci hanno provato in tanti, «ma nessuno è riuscito a tratteggiare, in tutta la sua misteriosa realtà, ciò che per cinque decenni è avvenuto ogni mattina sull'altare, a San Giovanni Rotondo». Se ad affermarlo è fra Modestino da Pietrelcina, che in tante occasioni fece da "chierichetto" al Padre e che ne è stato forse il figlio prediletto, bisogna credergli. Non resta allora che affidarsi al suo ricordo appassionato di una liturgia che poteva durare anche due-tre ore, fino a quando non venne ridotta a una mezz'oretta per disposizione del Sant'Offizio.

Innanzitutto la preparazione: «Appena giunto in sacrestia per indossare i paramenti sacri, avevo l'impressione che già non s'accorgesse più di ciò che avveniva intorno a lui. Il suo viso, apparentemente normale nel colorito, diventava paurosamente cereo nel momento in cui indossava l'amitto. Da quell'istante non dava più retta a nessuno. Indossati i sacri paramenti, si avviava all'altare. Nel breve tragitto il suo passo diventava più strisciante, il volto dolorante. Giunto all'altare, lo baciava teneramente ed il suo viso cereo s'incendiava».

Al confiteor, prosegue fra Modestino, «come se si accusasse di tutti i peggiori peccati commessi dagli uomini, si batteva il petto con sordi e forti colpi». Al Vangelo «le sue labbra, annunciando la parola di Dio, sembrava che di quella parola si cibassero, gustandone l'infinita dolcezza. Subito dopo iniziava l'intimo colloquio con l'Eterno. Padre Pio, che aveva ricevuto dal Signore il dono della contemplazione, entrava negli abissi del mistero della redenzione».

In quei momenti il Padre viveva realmente nella propria carne la passione di Cristo: «All'elevazione il suo dolore raggiungeva i] culmine. Nei suoi occhi leggevo l'espressione di una madre che assiste all'agonia del figlio sul patibolo, che lo vede spirare e che, strozzata dal dolore, muta, ne accoglie il corpo esangue tra le braccia. Vedendo il suo pianto, i suoi singhiozzi, temevo che il cuore gli scoppiasse, che stesse per venir meno da un momento all'altro».

Giunto alla comunione, finalmente si rasserenava. Racconta ancora fra Modestino: «Trasfigurato, in un appassionato, estatico abbandono, si cibava della carne e del sangue di Gesù. Padre Pio rimaneva come stordito a gustare le divine dolcezze che solo Gesù eucaristico sa dare. Al termine della Messa, il Padre bruciava di un fuoco divino appiccato da Cristo alla sua anima, per attrazione». E al­lora «un'altra ansia lo divorava: quella di andare in coro per restare raccolto col suo Gesù nell'intima, silenziosa lode di ringraziamento».

In questi momenti Padre Pio confidava ai più intimi: «Se fosse in mio potere non scenderei mai dall'altare». Una sua convinzione costantemente espressa era infatti che «il mondo potrebbe stare anche senza sole, ma non senza la santa Messa!». E in una lettera del 1917 al direttore spirituale padre Agostino da San Marco in Lamis, scritta mentre era ricoverato in ospedale a Napoli per verificare l'ido­neità al servizio militare, rivelò: «Sono estremamente sconfortato per l'unica ragione che qui non si può celebrare, perché manca la cappella e fuori non ci è permesso uscire. Che desolazione!».

Ai sacerdoti, come ricorda don Nello Castello, «insegnava a dividere la giornata in due parti: fino a mezzogiorno offrire le singole ~zioni in ringraziamento della Messa celebrata e dopo mezzogiorno in preparazione alla Messa del giorno dopo». Questo suggerimento, del resto, non era altro che quanto lo stesso Padre Pio praticava, secondo la testimonianza dell'assistente personale che lo affiancò negli ultimi anni di vita, padre Onorato Marcucci: «Andavo ad alzarlo alle ore 1.30 e, dopo un po' di pulizia, lo accomodavo sulla poltrona. Cpn una luce fioca stava così fino alle 4, ora in cui lo accompagnavo in sacrestia. Parecchie volte gli domandavo: "Perché si alza così presto? E che cosa fa?". "Mi preparo per la santa Messa", rispondeva. "Ma non le sembra esagerato che per prepararsi alla Messa deve alzarsi dal letto 3 ore prima?". E lui replicava:

"Ma che sono 3 ore! Ce ne vorrebbero 12 per prepararsi a celebrare il Sacrificio!"».

La Messa di Padre Pio era la quotidiana prova della verità di quanto egli diceva a padre Innocenzo Cinicola Santoro e ad altri confratelli, in occasione degli anniversari di ordinazione sacerdotale:

«Per celebrare bene bisogna essere un altro Gesù». E grande era la sua gioia a ogni ricorrenza della propria ordinazione, come è ad esempio testimoniato dalla lettera del 9 agosto 1912 a padre Agostino: «Mentre io scrivo dove vola il mio pensiero! Al bel giorno della mia ordinazione. Domani, festa di San Lorenzo, è pure il giorno della mia festa. (...) Vado paragonando la pace del cuore, che sentii in quel giorno, con la pace del cuore che incomincio a provare fin dalla vigilia, e non ci trovo nulla di diverso. Il giorno di San Lorenzo fu il giorno in cui trovai il mio cuore più acceso di amore per Gesù».

giovedì 27 gennaio 2011

Benedetto XVI: "La fede è la luce che guida ogni scelta"

Udienza Generale Papa Benedetto XVI - 26 Gennaio 2011


BENEDETTO XVI

UDIENZA GENERALE

Aula Paolo VI
Mercoledì, 26 gennaio 2011


 Santa Giovanna d'Arco

Cari fratelli e sorelle,

oggi vorrei parlarvi di Giovanna d'Arco, una giovane santa della fine del Medioevo, morta a 19 anni, nel 1431. Questa santa francese, citata più volte nel Catechismo della Chiesa Cattolica, è particolarmente vicina a santa Caterina da Siena, patrona d'Italia e d'Europa, di cui ho parlato in una recente catechesi. Sono infatti due giovani donne del popolo, laiche e consacrate nella verginità; due mistiche impegnate, non nel chiostro, ma in mezzo alle realtà più drammatiche della Chiesa e del mondo del loro tempo. Sono forse le figure più caratteristiche di quelle “donne forti” che, alla fine del Medioevo, portarono senza paura la grande luce del Vangelo nelle complesse vicende della storia. Potremmo accostarle alle sante donne che rimasero sul Calvario, vicino a Gesù crocifisso e a Maria sua Madre, mentre gli Apostoli erano fuggiti e lo stesso Pietro lo aveva rinnegato tre volte. La Chiesa, in quel periodo, viveva la profonda crisi del grande scisma d'Occidente, durato quasi 40 anni. Quando Caterina da Siena muore, nel 1380, ci sono un Papa e un Antipapa; quando Giovanna nasce, nel 1412, ci sono un Papa e due Antipapa. Insieme a questa lacerazione all'interno della Chiesa, vi erano continue guerre fratricide tra i popoli cristiani d'Europa, la più drammatica delle quali fu l'interminabile “Guerra dei cent’anni” tra Francia e Inghilterra.

Giovanna d'Arco non sapeva né leggere né scrivere, ma può essere conosciuta nel più profondo della sua anima grazie a due fonti di eccezionale valore storico: i due Processi che la riguardano. Il primo, il Processo di Condanna (PCon), contiene la trascrizione dei lunghi e numerosi interrogatori di Giovanna durante gli ultimi mesi della sua vita (febbraio-maggio 1431), e riporta le parole stesse della Santa. Il secondo, il Processo di Nullità della Condanna, o di “riabilitazione” (PNul), contiene le deposizioni di circa 120 testimoni oculari di tutti i periodi della sua vita (cfr Procès de Condamnation de Jeanne d'Arc, 3 vol. e Procès en Nullité de la Condamnation de Jeanne d'Arc, 5 vol., ed. Klincksieck, Paris l960-1989).

Giovanna nasce a Domremy, un piccolo villaggio situato alla frontiera tra Francia e Lorena. I suoi genitori sono dei contadini agiati, conosciuti da tutti come ottimi cristiani. Da loro riceve una buona educazione religiosa, con un notevole influsso della spiritualità del Nome di Gesù, insegnata da san Bernardino da Siena e diffusa in Europa dai francescani. Al Nome di Gesù viene sempre unito il Nome di Maria e così, sullo sfondo della religiosità popolare, la spiritualità di Giovanna è profondamente cristocentrica e mariana. Fin dall'infanzia, ella dimostra una grande carità e compassione verso i più poveri, gli ammalati e tutti i sofferenti, nel contesto drammatico della guerra.

Dalle sue stesse parole, sappiamo che la vita religiosa di Giovanna matura come esperienza mistica a partire dall'età di 13 anni (PCon, I, p. 47-48). Attraverso la “voce” dell'arcangelo san Michele, Giovanna si sente chiamata dal Signore ad intensificare la sua vita cristiana e anche ad impegnarsi in prima persona per la liberazione del suo popolo. La sua immediata risposta, il suo “sì”, è il voto di verginità, con un nuovo impegno nella vita sacramentale e nella preghiera: partecipazione quotidiana alla Messa, Confessione e Comunione frequenti, lunghi momenti di preghiera silenziosa davanti al Crocifisso o all'immagine della Madonna. La compassione e l’impegno della giovane contadina francese di fronte alla sofferenza del suo popolo sono resi più intensi dal suo rapporto mistico con Dio. Uno degli aspetti più originali della santità di questa giovane è proprio questo legame tra esperienza mistica e missione politica. Dopo gli anni di vita nascosta e di maturazione interiore segue il biennio breve, ma intenso, della sua vita pubblica: un anno di azione e un anno di passione.

All'inizio dell'anno 1429, Giovanna inizia la sua opera di liberazione. Le numerose testimonianze ci mostrano questa giovane donna di soli 17 anni come una persona molto forte e decisa, capace di convincere uomini insicuri e scoraggiati. Superando tutti gli ostacoli, incontra il Delfino di Francia, il futuro Re Carlo VII, che a Poitiers la sottopone a un esame da parte di alcuni teologi dell'Università. Il loro giudizio è positivo: in lei non vedono niente di male, solo una buona cristiana.

Il 22 marzo 1429, Giovanna detta un'importante lettera al Re d'Inghilterra e ai suoi uomini che assediano la città di Orléans (Ibid., p. 221-222). La sua è una proposta di vera pace nella giustizia tra i due popoli cristiani, alla luce dei nomi di Gesù e di Maria, ma è respinta, e Giovanna deve impegnarsi nella lotta per la liberazione della città, che avviene l'8 maggio. L'altro momento culminante della sua azione politica è l’incoronazione del Re Carlo VII a Reims, il 17 luglio 1429. Per un anno intero, Giovanna vive con i soldati, compiendo in mezzo a loro una vera missione di evangelizzazione. Numerose sono le loro testimonianze riguardo alla sua bontà, al suo coraggio e alla sua straordinaria purezza. E' chiamata da tutti ed ella stessa si definisce “la pulzella”, cioè la vergine.

La passione di Giovanna inizia il 23 maggio 1430, quando cade prigioniera nelle mani dei suoi nemici. Il 23 dicembre viene condotta nella città di Rouen. Lì si svolge il lungo e drammatico Processo di Condanna, che inizia nel febbraio 1431 e finisce il 30 maggio con il rogo. E' un grande e solenne processo, presieduto da due giudici ecclesiastici, il vescovo Pierre Cauchon e l'inquisitore Jean le Maistre, ma in realtà interamente guidato da un folto gruppo di teologi della celebre Università di Parigi, che partecipano al processo come assessori. Sono ecclesiastici francesi, che avendo fatto la scelta politica opposta a quella di Giovanna, hanno a priori un giudizio negativo sulla sua persona e sulla sua missione. Questo processo è una pagina sconvolgente della storia della santità e anche una pagina illuminante sul mistero della Chiesa, che, secondo le parole del Concilio Vaticano II, è “allo stesso tempo santa e sempre bisognosa di purificazione” (LG, 8). E’ l'incontro drammatico tra questa Santa e i suoi giudici, che sono ecclesiastici. Da costoro Giovanna viene accusata e giudicata, fino ad essere condannata come eretica e mandata alla morte terribile del rogo. A differenza dei santi teologi che avevano illuminato l'Università di Parigi, come san Bonaventura, san Tommaso d'Aquino e il beato Duns Scoto, dei quali ho parlato in alcune catechesi, questi giudici sono teologi ai quali mancano la carità e l'umiltà di vedere in questa giovane l’azione di Dio. Vengono alla mente le parole di Gesù secondo le quali i misteri di Dio sono rivelati a chi ha il cuore dei piccoli, mentre rimangono nascosti ai dotti e sapienti che non hanno l'umiltà (cfr Lc 10,21). Così, i giudici di Giovanna sono radicalmente incapaci di comprenderla, di vedere la bellezza della sua anima: non sapevano di condannare una Santa.

L'appello di Giovanna al giudizio del Papa, il 24 maggio, è respinto dal tribunale. La mattina del 30 maggio, riceve per l'ultima volta la santa Comunione in carcere, e viene subito condotta al supplizio nella piazza del vecchio mercato. Chiede a uno dei sacerdoti di tenere davanti al rogo una croce di processione. Così muore guardando Gesù Crocifisso e pronunciando più volte e ad alta voce il Nome di Gesù (PNul, I, p. 457; cfr Catechismo della Chiesa Cattolica, 435). Circa 25 anni più tardi, il Processo di Nullità, aperto sotto l'autorità del Papa Callisto III, si conclude con una solenne sentenza che dichiara nulla la condanna (7 luglio 1456; PNul, II, p 604-610). Questo lungo processo, che raccolse le deposizioni dei testimoni e i giudizi di molti teologi, tutti favorevoli a Giovanna, mette in luce la sua innocenza e la perfetta fedeltà alla Chiesa. Giovanna d’Arco sarà poi canonizzata da Benedetto XV, nel 1920.

Cari fratelli e sorelle, il Nome di Gesù, invocato dalla nostra Santa fin negli ultimi istanti della sua vita terrena, era come il continuo respiro della sua anima, come il battito del suo cuore, il centro di tutta la sua vita. Il “Mistero della carità di Giovanna d'Arco”, che aveva tanto affascinato il poeta Charles Péguy, è questo totale amore di Gesù, e del prossimo in Gesù e per Gesù. Questa Santa aveva compreso che l’Amore abbraccia tutta la realtà di Dio e dell'uomo, del cielo e della terra, della Chiesa e del mondo. Gesù è sempre al primo posto nella sua vita, secondo la sua bella espressione: “Nostro Signore servito per primo” (PCon, I, p. 288; cfr Catechismo della Chiesa Cattolica, 223). Amarlo significa obbedire sempre alla sua volontà. Ella afferma con totale fiducia e abbandono: "Mi affido a Dio mio Creatore, lo amo con tutto il mio cuore" (ibid., p. 337). Con il voto di verginità, Giovanna consacra in modo esclusivo tutta la sua persona all'unico Amore di Gesù: è “la sua promessa fatta a Nostro Signore di custodire bene la sua verginità di corpo e di anima” (ibid., p. 149-150). La verginità dell'anima è lo stato di grazia, valore supremo, per lei più prezioso della vita: è un dono di Dio che va ricevuto e custodito con umiltà e fiducia. Uno dei testi più conosciuti del primo Processo riguarda proprio questo: “Interrogata se sappia d'essere nella grazia di Dio, risponde: Se non vi sono, Dio mi voglia mettere; se vi sono, Dio mi voglia custodire in essa” (ibid., p. 62; cfr Catechismo della Chiesa Cattolica, 2005).

La nostra Santa vive la preghiera nella forma di un dialogo continuo con il Signore, che illumina anche il suo dialogo con i giudici e le dà pace e sicurezza. Ella chiede con fiducia: “Dolcissimo Dio, in onore della vostra santa Passione, vi chiedo, se voi mi amate, di rivelarmi come devo rispondere a questi uomini di Chiesa” (ibid., p. 252). Gesù è contemplato da Giovanna come il “Re del Cielo e della Terra”. Così, sul suo stendardo, Giovanna fece dipingere l'immagine di “Nostro Signore che tiene il mondo” (ibid., p. 172): icona della sua missione politica. La liberazione del suo popolo è un’opera di giustizia umana, che Giovanna compie nella carità, per amore di Gesù. Il suo è un bell’esempio di santità per i laici impegnati nella vita politica, soprattutto nelle situazioni più difficili. La fede è la luce che guida ogni scelta, come testimonierà, un secolo più tardi, un altro grande santo, l’inglese Thomas More. In Gesù, Giovanna contempla anche tutta la realtà della Chiesa, la “Chiesa trionfante” del Cielo, come la “Chiesa militante” della terra. Secondo le sue parole, ”è un tutt'uno Nostro Signore e la Chiesa” (ibid., p. 166). Quest’affermazione, citata nel Catechismo della Chiesa Cattolica (n. 795), ha un carattere veramente eroico nel contesto del Processo di Condanna, di fronte ai suoi giudici, uomini di Chiesa, che la perseguitarono e la condannarono. Nell'Amore di Gesù, Giovanna trova la forza di amare la Chiesa fino alla fine, anche nel momento della condanna.

Mi piace ricordare come santa Giovanna d’Arco abbia avuto un profondo influsso su una giovane Santa dell'epoca moderna: Teresa di Gesù Bambino. In una vita completamente diversa, trascorsa nella clausura, la carmelitana di Lisieux si sentiva molto vicina a Giovanna, vivendo nel cuore della Chiesa e partecipando alle sofferenze di Cristo per la salvezza del mondo. La Chiesa le ha riunite come Patrone della Francia, dopo la Vergine Maria. Santa Teresa aveva espresso il suo desiderio di morire come Giovanna, pronunciando il Nome di Gesù (Manoscritto B, 3r), ed era animata dallo stesso grande amore verso Gesù e il prossimo, vissuto nella verginità consacrata.

Cari fratelli e sorelle, con la sua luminosa testimonianza, santa Giovanna d’Arco ci invita ad una misura alta della vita cristiana: fare della preghiera il filo conduttore delle nostre giornate; avere piena fiducia nel compiere la volontà di Dio, qualunque essa sia; vivere la carità senza favoritismi, senza limiti e attingendo, come lei, nell'Amore di Gesù un profondo amore per la Chiesa. Grazie.


Saluti:

Chers pèlerins francophones, que le témoignage lumineux de sainte Jeanne d’Arc, patronne secondaire de la France avec sainte Thérèse de Lisieux, soit un appel à aimer le Christ et à vous engager, avec foi et détermination, au service des autres dans la charité! Bon séjour à tous!

I am pleased to greet the student groups from Hong Kong and the United States of America, as well as the group of Army Chaplains from Great Britain. Upon all the English-speaking pilgrims and visitors present at today’s Audience I cordially invoke God’s abundant blessings.

Gerne grüße ich alle Pilger und Besucher aus den Ländern deutscher Sprache. Die heilige Jeanne d’Arc gibt uns ein hohes Beispiel für ein Leben aus dem Glauben. Das Gebet möge der Leitfaden auch in unserem Alltag sein, ebenso das Vertrauen in Gottes Güte und die Liebe zum Nächsten, in dem wir Christus erkennen. Um so mehr werden wir lebendige Glieder der Kirche und können sichtbar machen, daß Christus und die Kirche zusammengehören. Der Herr segne euch alle.

Saludo a los peregrinos de lengua española, en particular a los fieles de la Parroquia de Santa Fe, a los Hermanos de la Cofradía de Nuestro Padre Jesús Nazareno de la Fuensanta, de Morón de la Frontera, a los profesores venidos de Chile, así como a los demás grupos procedentes de España, Méjico y otros países latinoamericanos. Que a ejemplo de Santa Juana de Arco encontréis en el amor a Jesucristo la fuerza para amar y servir a la Iglesia de todo corazón. Muchas gracias.

Saúdo, com afecto, a todos vós, amados peregrinos de língua portuguesa, desejando queesta peregrinação a Roma vos encha de luz e fortaleza no vosso testemunho cristão, para confessardes Jesus Cristo como único Salvador e Senhor da vossa vida: fora d'Ele, não há vida nem esperança de a ter. Com Cristo, ganha sentido a vida que Deus vos confiou. Para cada um de vós e família, a minha Bênção!

Saluto in lingua polacca:

Z serdecznym pozdrowieniem zwracam się do Polaków. Wczoraj zakończyliśmy tydzień modlitw o jedność chrześcijan. Niemniej nigdy nie możemy przestać modlić się i podejmować wysiłki, aby budować braterską jedność wszystkich uczniów Chrystusa. Przynagla nas Jego modlitwa: „Ojcze Święty, zachowaj ich w Twoim imieniu, które Mi dałeś, aby tak jak My stanowili jedno” (J 17, 11). Niech Bóg wam błogosławi!

Traduzione italiana:

Con un cordiale saluto mi rivolgo ai polacchi. Ieri abbiamo concluso la settimana di preghiera per l’unità dei cristiani. Tuttavia non possiamo mai cessare di pregare e di intraprendere iniziative per costruire la fraterna unità dei discepoli di Cristo. Ci sollecita la Sua preghiera: “Padre santo, custodisci nel tuo nome coloro che mi hai dato, perché siano una cosa sola, come noi” (Gv 17, 11). Dio vi benedica!

* * *

Rivolgo ora un cordiale saluto ai pellegrini di lingua italiana, in particolare ai fedeli della parrocchia Santissima Annunziata in Brescello, ai rappresentanti della Legione Carabinieri dell’Umbria e ai soci delle ACLI di Campobasso. Auguro che questo incontro possa accrescere in ciascuno il desiderio di testimoniare il Vangelo nella vita di ogni giorno.

Ed ora un particolare saluto ai giovani, ai malati ed agli sposi novelli. Ricorre, oggi, la memoria liturgica dei santi Timoteo e Tito, discepoli di san Paolo. Cari giovani, come questi servi fedeli del Vangelo, vi invito a rendere sempre più salda e convinta la vostra adesione a Gesù, per essere veri testimoni in questa società. Invito anche voi, cari malati, sul loro esempio, a fare vostri i sentimenti di Cristo, per trovare conforto in Lui, che continua la sua opera di redenzione nella vita di ogni uomo. E voi, cari sposi novelli, scoprite ogni giorno nella vita coniugale il mistero di Dio che si dona per la salvezza di tutti, affinché il vostro amore sia sempre più vero, duraturo e solidale verso gli altri.


© Copyright 2011 - Libreria Editrice Vaticana

mercoledì 26 gennaio 2011

Il Timore di Dio

La Summa Teologica - Quinta parte

Torniamo ad addentrarci nella Summa Teologica di San Tommaso d'Aquino, un'opera che diede un fondamento scientifico, filosofico e teologico alla dottrina cristiana.

Parte prima
La dottrina sacra

Prima parte
Questione 1
Articolo 5
 

Se la sacra dottrina sia superiore alle altre scienze

SEMBRA che la sacra dottrina non sia superiore alle altre scienze. Infatti:
1. La certezza di una scienza fa parte della sua dignità. Ora, le altre scienze, poggiando su principi indubitabili, si presentano come più certe della sacra dottrina, i cui principi, gli articoli di fede, sono suscettibili di dubbio. Quindi le altre scienze sono ad essa superiori.

2. È proprio di una scienza inferiore mutuare da un'altra, come la musica dall'aritmetica. Ora, la sacra dottrina prende qualche cosa dalle discipline filosofiche, come nota S. Girolamo in una lettera a Magno: "Gli antichi dottori hanno cosparso i loro libri di tanta dottrina e di tante massime dei filosofi, che non sai che cosa più ammirare in essi, se l'erudizione profana o la scienza scritturale". Dunque la sacra dottrina è inferiore alle altre scienze.

IN CONTRARIO: Le altre scienze sono chiamate ancelle della teologia, secondo il detto dei Proverbi: "(la sapienza) ad invitare mandò le sue ancelle alla cittadella".

RISPONDO: Questa scienza, essendo del pari speculativa e pratica, sorpassa tutte le altre sia speculative che pratiche. E infatti tra le speculative una è più degna dell'altra sia per la certezza, sia per l'eccellenza della materia. Ora, questa scienza per tutti e due i motivi eccelle tra le speculative. Quanto alla certezza, perché mentre le altre scienze la derivano dal lume naturale della ragione umana che può errare, essa la trae dal lume della scienza di Dio, che non può ingannarsi. Parimenti le supera per la dignità della materia, perché essa si occupa prevalentemente di cose che per la loro sublimità trascendono la ragione; le altre viceversa trattano di cose accessibili alla ragione.
Tra le discipline pratiche poi è superiore quella che è ordinata a un fine più remoto, così la politica è superiore alla scienza o arte militare perché il bene dell'esercito è destinato a procurare il bene dello stato. Ora, il fine di questa scienza, in quanto è scienza pratica, è l'eterna beatitudine, alla quale sono diretti i fini di tutte le scienze pratiche. Sicché, sotto tutti gli aspetti si fa palese la sua superiorita.


SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Niente impedisce che quanto di sua natura è più certo, sia meno certo relativamente a noi: ciò dipende dalla debolezza della nostra mente, la quale, al dire di Aristotele, "dinanzi alle cose più evidenti della natura è come l'occhio della civetta davanti al sole". Perciò il dubitare di alcuni circa gli articoli di fede non deriva dall'incertezza della cosa in se stessa, ma dalla debolezza del nostro intelletto. Nonostante ciò, un minimo che si possa avere di conoscimento delle cose più alte è molto più desiderabile della conoscenza più sicura di quelle inferiori, come afferma il Filosofo.


2. La scienza sacra può sì ricevere qualche cosa dalle discipline filosofiche, non già perché ne abbia necessità; ma per meglio chiarire i suoi insegnamenti. I suoi principi, infatti, non li prende da esse, ma immediatamente da Dio per rivelazione. E perciò non mutua dalle altre scienze come se fossero superiori, ma si serve di esse come di inferiori e di ancelle; proprio come avviene delle scienze dette architettoniche le quali utilizzano le scienze inferiori, come fa la politica rispetto all'arte militare. E l'uso che la scienza sacra ne fa non è a motivo della sua debolezza od insufficienza, ma unicamente a cagione della debolezza del nostro intelletto; il quale, dalle cose conosciute per il naturale lume della ragione (da cui derivano le altre scienze), viene condotto più facilmente, come per mano, alla cognizione delle cose soprannaturali insegnate da questa scienza.

martedì 25 gennaio 2011

San Paolo - Apostolo delle genti

Riscoprire i Santi - San Paolo Apostolo

Torna l'appuntamento settimanale, volto alla scoperta dei nostri cari Santi! Oggi la Chiesa Cattolica celebra la conversione di San Paolo apostolo, avvenuta sulla via di Damasco: per questo motivo oggi riscopriamo San Paolo! Egli è colonna portante della Chiesa Cattolica, esempio did evangelizzazione ed esempio di vera conversione! Infatti, la conversione di San Paolo è una delle più potenti poiché Paolo viene trasformato dalla Luce di Cristo da persecutore dei cristiani a proselita ed evangelizzatore! Sia questo un esempio per farci capire che la conversione può attuarsi in ogni cuore, anche in quelli che sembrano duri e impenetrabili...
Scopriamo ora chi è stato San Paolo attraverso la narrazione di Antonio Borrelli:



San Paolo è senz’altro il più grande missionario di tutti i tempi, non conobbe personalmente Cristo, ma per la Sua folgorante chiamata sulla via di damasco, ne divenne un discepolo fra i più grandi, perorò la causa dei pagani convertiti, fu l’apostolo delle Genti; insieme a Pietro diffuse il messaggio evangelico nel mondo mediterraneo di allora; con la sua parola e con i suoi scritti operò la prima e fondamentale inculturazione del Vangelo nella storia.

Origini e formazione
Nacque probabilmente verso il 5-10 d.C. a Tarso nella Cilicia, oggi situata nella Turchia meridionale presso i confini con la Siria, città che nel I secolo era un luogo cosmopolita, dove vivevano greci, anatolici, ellenizzati, romani e una colonia giudaica, a cui apparteneva il padre commerciante di tende, il quale con la sua famiglia, come tutti gli abitanti, godeva della cittadinanza romana, riconosciuta dal triumviro Marc’Antonio e poi dall’imperatore Augusto.
Come molti degli ebrei di quel tempo, portava due nomi, uno ebraico Saul, che significava “implorato a Dio” e l’altro latino o greco che era Paulus, probabilmente alludeva alla sua bassa statura; Paulus divenne poi il suo unico nome, quando cominciò la sua predicazione in Occidente.
Conosceva la cultura ellenistica e a Tarso imparò il greco, ma la sua educazione era fondamentalmente giudaica, il suo ragionamento e la sua esegesi biblica, avevano l’impronta della scuola rabbinica.

Persecutore dei cristiani
Da giovane fu inviato a Gerusalemme, dove fu allievo di Gamaliele, il maestro più famoso e saggio del mondo ebraico dell’epoca; e a Gerusalemme conobbe i cristiani come una setta pericolosa dentro il giudaismo da estirpare con ogni mezzo; egli stesso poi dirà di sé: “Circonciso l’ottavo giorno, della stirpe d’Israele, della tribù di Beniamino, ebreo da ebrei, fariseo quanto alla legge, quanto a zelo persecutore della Chiesa; irreprensibile quanto alla giustizia che deriva dall’osservanza della legge” (Fil. 3, 5-6).
Verso il 20 terminati gli studi, Saulo tornò a Tarso, dove presumibilmente si trovava durante la predicazione pubblica di Gesù; secondo gli “Atti degli Apostoli”, egli tornò a Gerusalemme una decina d’anni dopo, certamente dopo la Passione di Cristo, perché fu presente al martirio del protomartire s. Stefano, diacono di Gerusalemme; pur non partecipando direttamente alla lapidazione del giovane cristiano, era tra coloro che approvarono la sua uccisione, anzi custodiva i loro mantelli.
Negli “Atti degli Apostoli”, Saul è descritto come accanito persecutore dei cristiani, fiero sostenitore delle tradizioni dei padri; il suo nome era pronunciato con terrore dai cristiani, li scovava nei rifugi, li gettava in prigione, testimoniò contro di essi, il suo cieco fanatismo religioso, costrinse molti di loro a fuggire da Gerusalemme verso Damasco.
Ma Saulo non li mollò, anzi a cavallo e con un drappello di armigeri, con il consenso del Sinedrio, cavalcò anch’egli verso Damasco, per scovarli e suscitare nella città siriana la persecuzione contro di loro.

La conversione
E sulla strada per Damasco, il Signore si rivelò a quell’accanito nemico; all’improvviso, narrano gli ‘Atti’, una luce dal cielo l’avvolse e cadendo dal cavallo, udì una voce che gli diceva: “Saul, Saul, perché mi perseguiti?”. E lui: “Chi sei o Signore?”; e la voce: “Io sono Gesù che tu perseguiti. Orsù alzati ed entra nella città e ti sarà detto ciò che devi fare” (Atti 9, 3-7).
Gli uomini che l’accompagnavano, erano ammutoliti perché l’avevano visto cadere, forse videro anche l’improvviso chiarore, ma senza capire qualcosa; Saulo era rimasto senza vista e brancolando fu accompagnato a Damasco, dove per tre giorni rimase in attesa di qualcuno, digiuno e sconvolto da quanto gli era capitato.
In quei giorni conobbe la piccola comunità cristiana del luogo, che avrebbe dovuto imprigionare; al terzo giorno si presentò il loro capo Anania, convinto a farlo da una rivelazione parallela, che gli disse: “Saulo, fratello, il Signore Gesù che ti è apparso sulla via per la quale venivi, mi ha mandato da te, perché tu riacquisti la vista e sia colmo di Spirito Santo”.
Detto ciò Anania gl’impose le mani guarendolo e poi lo battezzò; Saulo rimase qualche giorno a Damasco, dove si presentò nella Sinagoga, testimoniando quanto gli era accaduto, la comunità cristiana ne gioì, mentre quella ebraica rimase sconcertata, pensando che avesse perso la testa.
Fu la sua prima delusione, Anania gli aveva detto: “Iddio dei nostri padri, ti ha predestinato a conoscere la sua volontà, a vedere Cristo e ad ascoltare le parole della sua bocca; perché tu gli sarai testimonio presso tutti gli uomini”.
Da quel momento, si può dire, nacque Paolo, l’apostolo delle Genti; egli decise di ritirarsi nel deserto, per porre ordine nei suoi pensieri e meditare più a fondo il dono ricevuto; qui trascorse tre anni in assoluto raccoglimento.
Forse proprio in questo periodo, avvenne quanto lui stesso racconta nella seconda lettera ai Corinzi (12, 2-4) “Conosco un uomo in Cristo, che quattordici anni fa – se con il corpo o fuori del corpo non lo so, lo sa Dio – fu rapito fino al terzo cielo. E so che quest’uomo fu rapito in Paradiso e sentì parole indicibili, che non è lecito ad alcuno pronunziare”.
In effetti Paolo non era vissuto con Gesù come gli Apostoli e quindi non aveva ricevuto gradatamente tutta la formazione necessaria al ministero.
Ma a questo, il Maestro suppliva con interventi straordinari come la folgorazione sulla via di Damasco e facendogli contemplare la realtà divina portandolo in Paradiso, senza questo avvenimento Paolo non avrebbe potuto fare e insegnare come fece e insegnò.

Incontro e rapporto con gli Apostoli
Confortato da questa luce, dopo il ritiro ritornò a Damasco e si mise a predicare con entusiasmo, suscitando l’ira dei pagani, che lo consideravano un rinnegato e tentarono di ucciderlo; Paolo fu costretto a fuggire, calandosi di notte in una cesta dalle mura della città aiutato da alcuni cristiani, era all’incirca l’anno 39.
Rifugiatosi a Gerusalemme, si fermò qui una quindicina di giorni incontrando Pietro il capo degli Apostoli e Giacomo, ai quali espose la sua nuova vita.
Gli Apostoli lo capirono e stettero con lui ogni giorno per ore ed ore, parlandogli di Gesù; ma la comunità cristiana di Gerusalemme era diffidente nei suoi riguardi, memore della persecuzione accanita che aveva operato; soltanto grazie alla garanzia di Barnaba, un ex levita di grande autorità, i dubbi furono dissipati e fu accettato.
Anche a Gerusalemme, nei quindici giorni della sua permanenza, Paolo cercò di fare qualche conversione, ma questa sua attività missionaria indispettì i giudei e impensierì i cristiani, alla fine non trovandosi a suo agio, si recò prima a Cesarea e poi tornò a Tarso in Cilicia, la sua città, riprendendo il mestiere di tessitore.
Dal 39 al 43 non vi sono notizie sulla sua attività, finché Barnaba, inviato dagli apostoli ad organizzare la nascente comunità cristiana di Antiochia, passò da lui invitandolo a seguirlo; qui Paolo abbandonò per sempre il nome di Saulo, perché si convinse che la sua missione non era tanto fra i giudei, ma fra gli altri popoli che gli ebrei chiamavano ‘gentili’; ad Antiochia i discepoli di Cristo, furono denominati per la prima volta come “cristiani”.
Alla fine dell’anno 43, Paolo e Barnaba tornarono a Gerusalemme, per portare un aiuto economico a quella comunità e al ritorno ad Antiochia, condussero con loro il giovane Giovanni Marco, figlio della padrona di casa, la vedova Maria, che ospitava gli Apostoli nelle loro tappe a Gerusalemme, egli era nipote dello stesso Barnaba e il futuro evangelista.

Primo viaggio apostolico
Barnaba e Paolo decisero di intraprendere nel 45, un viaggio missionario in altre regioni, quindi con Marco partirono per Cipro, l’isola di cui era originario Barnaba, non si conosce l’estensione della loro evangelizzazione, qui Paolo ebbe un diverbio con il mago Elimas; da Cipro i tre fecero il viaggio di ritorno ad Antiochia, toccando varie cittadine dell’Asia Minore; a Perge nell’Anatolia avvenne la cosiddetta ‘fuga di Marco’, spaventato dalle difficoltà del lungo viaggio, lasciò i due compagni e se ne tornò a Gerusalemme.
Paolo e Barnaba comunque proseguirono e a Listra, Paolo guarì uno storpio; gli abitanti li scambiarono per Giove e Mercurio e volevano offrire loro un sacrificio.

La controversia sull’osservanza della Legge mosaica
Tornati ad Antiochia, soddisfatti per i risultati conseguiti, i due apostoli trovarono la comunità in agitazione, perché alcuni cristiani provenienti da Gerusalemme, riferirono che era in discussione il concetto che il battesimo cristiano, senza la circoncisione ebraica non sarebbe servito a nulla; così Paolo e Barnaba per chiarire l’argomento si recarono a Gerusalemme dagli Apostoli, provocando così quello che venne definito il primo Concilio della Chiesa.
Pietro ribadì che la salvezza, proviene dalla Grazia del Signore Gesù, che non aveva fatto nessuna discriminazione tra ebrei circoncisi e fedeli non ebrei; Paolo dal canto suo illustrò i risultati meravigliosi ottenuti fra i ‘gentili’ e si dichiarò a favore della non obbligatorietà dell’osservanza della legge mosaica, al contrario di molti cristiani per lo più ex farisei, che non volevano rinunciare alle loro pratiche, osservate sin dalla nascita, come la circoncisione, l’astensione dalle carni impure, la non promiscuità con i pagani o ex pagani, ecc.
Alla fine fu l’apostolo Giacomo a fare una proposta, accettata da tutti, non imporre ai convertiti dal paganesimo la legge mosaica, la cui pratica rimaneva facoltativa per gli ex ebrei.
A Paolo, Barnaba, Sila e Giuda Taddeo, fu dato l’incarico di comunicare ai fedeli delle varie comunità le decisioni prese. Ma la polemica continuò fra i cristiani delle due provenienze, fino a quando la Chiesa, ormai affermata nel mondo greco-romano, divenne autonoma dall’influenza della sinagoga.

Secondo viaggio apostolico
Si era nel 50 e Paolo decise di partire con Barnaba per un nuovo viaggio in Asia Minore, Barnaba propose di portare con loro il nipote Marco, ma Paolo si oppose decisamente, per non avere problemi come già successo nel primo viaggio.
Irrigiditi sulle proprie posizioni, alla fine i due apostoli si divisero, Barnaba con Marco andarono di nuovo ad evangelizzare Cipro e Paolo con Sila (O Silvano) andarono nel nuovo itinerario.
Il viaggio apostolico durato fino al 53, toccò la Grecia, la Macedonia dove Paolo evangelizzò Filippi; qui i due furono flagellati ed incarcerati, ma dopo un terremoto avvenuto nella notte e la conversione del carceriere, la mattina dopo furono liberati.
Andarono poi a Tessalonica, a Berea ed Atene, dove il dotto discorso di Paolo all’Areopago fu un insuccesso; dopo una sosta di un anno e mezzo a Corinto, ritornarono ad Antiochia.

Terzo viaggio apostolico
Nel 53 o 54, iniziò il terzo grande viaggio di Paolo, si diresse prima ad Efeso, fermandosi tre anni; la sua predicazione portò ad una diminuzione del culto alla dea Artemide e il commercio sacro ad esso collegato ebbe un tracollo, ciò provocò una sommossa popolare, da cui Paolo ne uscì illeso; la comunità fu affidata al discepolo Timoteo.
Da Efeso fu di nuovo in Macedonia e per tre mesi a Corinto; sfuggendo ad un programmato agguato sulla nave su cui si doveva imbarcare, continuò il viaggio per terra accompagnato per un tratto da Luca che ne fece un resoconto particolareggiato.
Egli visitò con commozione le comunità cristiane dell’Asia Minore che aveva fondate, presentendo di non poterle più rivedere.
L’ultima tappa fu Cesarea dove il profeta Agabo gli predisse l’arresto e la prigione, da lì arrivò a Gerusalemme verso la fine di maggio 58, qui portò le offerte raccolte nel suo ultimo viaggio.

Gli avvenimenti giudiziari
A Gerusalemme, oltre la gioia di una parte della comunità, trovò un’atmosfera tesa nei suoi confronti, conseguente alla già citata questione dell’ammissione incondizionata dei pagani convertiti al cristianesimo.
I sospetti sul suo conto, da parte degli Ebrei erano molti, alla fine fu accusato di aver introdotto nel tempio profanandolo, un cristiano non giudeo, tale Trogiuno; ciò provocò la reazione della folla e solo l’intervento del tribuno Claudio Lisia lo salvò dal linciaggio; convinto però che Paolo fosse un egiziano pregiudicato, lo fece flagellare, nonostante le sue proteste perché ciò era illegittimo, essendo cittadino romano.
Condotto davanti al Sinedrio, Paolo abilmente suscitò una contrapposizione tra Sadducei e Farisei, cosicché Lisia lo riportò in carcere e il giorno dopo, volendosi liberare della spinosa questione, mandò l’Apostolo sotto scorta a Cesarea, dal procuratore Antonio Felice, il quale pur trattandolo con una prigionia alquanto lieve, lo trattenne per ben due anni, sperando in un riscatto.
Solo il suo successore Porcio Festo, nel 60, provvide ad istruire un processo contro di lui a Gerusalemme, ma Paolo si oppose e come “civis romanus” si appellò all’imperatore.
Appena fu possibile, fu consegnato al centurione Giulio per essere trasferito a Roma, accompagnato da Luca e Aristarco; il viaggio a quel tempo avventuroso, fu interrotto a Malta a causa di un naufragio, dopo tre mesi di sosta, proseguì a tappe successive a Siracusa, Reggio Calabria, Pozzuoli, Foro Appio e Tre Taverne, arrivando nel 61 a Roma.
Qui gli fu concesso di alloggiare in una camera affittata, in una sorta di libertà vigilata ma con contatti con i cristiani, in attesa di un processo che non si fece mai, per il mancato arrivo degli accusatori dalla Palestina.
Terminato qui il racconto degli “Atti degli Apostoli”, le fasi finali della sua vita, possono essere ricostruite da alcuni accenni delle sue Lettere; probabilmente fu liberato, perché nel 64 Paolo non era a Roma durante la persecuzione di Nerone; forse perché in Oriente e in Spagna per il suo quarto viaggio apostolico.
Si sa che lasciò i discepoli Tito a Creta e Timoteo ad Efeso, a completare l’evangelizzazione da lui iniziata.

Il martirio
Nel 66, forse a Nicopoli, fu di nuovo arrestato e condotto a Roma, dove fu lasciato solo dai discepoli, alcuni erano lontani ad evangelizzare nuovi popoli, qualcun altro aveva lasciato la fede di Cristo; i cristiani di Roma terrorizzati dalla persecuzione, lo avevano abbandonato o quasi, solo Luca era con lui.
Paolo presagiva ormai la fine e lanciò un commovente appello a Timoteo: “Quanto a me, il mio sangue sta per essere sparso in libagione ed è giunto il momento di sciogliere le vele… Cerca di venire presto da me perché Dema mi ha abbandonato…, Crescente è andato in Galazia, Tito in Dalmazia. Solo Luca è con me. Prendi Marco e portalo con te, perché mi sarà utile per il ministero…”.
Questa volta il tribunale romano lo condannò a morte perché cristiano; fu decapitato tradizionalmente un 29 giugno di un anno imprecisato, forse il 67, essendo cittadino romano gli fu risparmiata la crocifissione; la sentenza ebbe luogo in una località detta “palude Salvia”, presso Roma (poi detta Tre Fontane, nome derivato dai tre zampilli sgorgati quando la testa mozzata rimbalzò tre volte a terra); i cristiani raccolsero il suo corpo seppellendolo sulla via Ostiense, dove poi è sorta la magnifica Basilica di San Paolo fuori le Mura.

Culto
Non c’è certezza se i due apostoli Pietro e Paolo, siano morti contemporaneamente o in anni diversi, è certo comunque che il 29 giugno 258, sotto l’imperatore Valeriano (253-260) le salme dei due apostoli furono trasportate nelle Catacombe di San Sebastiano, per metterle al riparo da profanatori; quasi un secolo dopo, papa s. Silvestro I (314-335) fece riportare le reliquie di Paolo nel luogo della prima sepoltura e in quell’occasione l’imperatore Costantino I, fece erigere sulla tomba una chiesa, trasformata in Basilica nel 395, che sopravvisse fino al 1823, quando un violento incendio la distrusse; nello stesso luogo fu ricostruita l’attuale Basilica.
La Chiesa Latina celebra la festa dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, patroni di Roma il 29 giugno, perché anche se essi furono i primi a portare la fede nella capitale dell’impero, sono realmente i ‘fondatori’ della Roma cristiana.
La festa liturgica dei ss. Pietro e Polo venne inserita nel santoriale, ben prima della festa del Natale e dopo la Vergine SS. Sono insieme a s. Giovanni Battista, i santi ricordati più di una volta e con maggiore solennità; infatti il 25 gennaio si ricorda la Conversione di s. Paolo, il 22 febbraio la Cattedra di s. Pietro, il 18 novembre la Dedicazione delle Basiliche dei Santi Pietro e Paolo, oltre la solennità del 29 giugno.

La sua dottrina
Le sue 14 ‘Lettere’ fanno parte della ‘Vulgata’, versione latina della Bibbia e costituiscono i cardini dottrinali della Chiesa; indirizzate a comunità di cristiani dell’epoca (Filippesi, Colossesi, Galati, Corinzi, Romani, Ebrei, Tessalonicesi, Efesini), oppure a singoli discepoli (Tito, Timoteo, Filemone), in esse Paolo espose il suo pensiero annunziante il Vangelo, da lui definito così: “Io non l’ho ricevuto né l’ho imparato da uomini, ma per rivelazione di Gesù Cristo”.
In esse si trattano argomenti fondamentali quali la fede, il battesimo, la giustificazione per mezzo della fede, il peccato, l’umanità, lo Spirito Santo, il problema dell’incredulità e della conversione degli ebrei; la natura del ministero apostolico, lo scandalo di un incesto, il problema del matrimonio e della verginità, la celebrazione dell’Eucaristia, l’uso dei carismi, l’amore cristiano, la risurrezione dei morti, le tribolazioni e le speranze degli Apostoli.
E ancora: il mistero dell’Incarnazione, Cristo e la Chiesa, la salvezza universale, l’umiltà di Cristo, del suo primato sull’universo, l’impegno dei fedeli per la loro personale salvezza, la seconda venuta di Cristo e dell’Anticristo, il delineamento della figura e l’opera di Cristo, sotto il punto di vista dell’Antico Testamento, del sacrificio, del culto, del sacerdozio, del tempio; infine insegnamenti pratici per reggere una comunità, la difesa della causa di uno schiavo fuggito.

S. Paolo nell’arte e patronati
Era piccolo di statura, con naso adunco e occhi cisposi, impetuoso nell’affrontare la nuova missione cui era destinato, ma anche non rinunciatario dei suoi diritti, ligio alle regole e alle leggi; Paolo nell’arte, è stato invece raffigurato variamente secondo l’estro dell’artista, maturo o anziano, con barba e baffi e con capelli a corona intorno ad un’ampia fronte calva, seguendo anche le indicazioni degli apocrifi “Atti di Paolo e Tecla”, considerata sua discepola ad Iconio.
È patrono oltre di Roma, di Malta e dal 16 luglio 1914 della Grecia, innumerevoli sono le basiliche e chiese a lui dedicate in tutto il mondo; otto Comuni in Italia portano il suo nome; ricordiamo anche la metropoli sudamericana di San Paolo del Brasile.
È protettore dei cordai e dei cestai; è invocato contro le tempeste di mare, i morsi dei serpenti e contro la cecità.
Suo attributo è la spada, strumento del suo martirio.
FONTE


lunedì 24 gennaio 2011

San Francesco di Sales, patrono dei giornalisti e delle comunicazioni sociali

Angelus di Papa Benedetto XVI - 23 Gennaio 2011


BENEDETTO XVI

ANGELUS

Piazza San Pietro
Domenica, 23 gennaio 2011

 Cari fratelli e sorelle!

In questi giorni, dal 18 al 25 gennaio, si sta svolgendo la Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani. Quest’anno essa ha per tema un passo del libro degli Atti degli Apostoli, che riassume in poche parole la vita della prima comunità cristiana di Gerusalemme: “Erano perseveranti nell’insegnamento degli apostoli, nella comunione, nello spezzare il pane e nelle preghiere” (At 2,42). E’ molto significativo che questo tema sia stato proposto dalle Chiese e Comunità cristiane di Gerusalemme, riunite in spirito ecumenico. Sappiamo quante prove debbono affrontare i fratelli e le sorelle della Terra Santa e del Medio Oriente. Il loro servizio è dunque ancora più prezioso, avvalorato da una testimonianza che, in certi casi, è arrivata fino al sacrificio della vita. Perciò, mentre accogliamo con gioia gli spunti di riflessione offerti dalle Comunità che vivono a Gerusalemme, ci stringiamo intorno ad esse, e questo diventa per tutti un ulteriore fattore di comunione.

Anche oggi, per essere nel mondo segno e strumento di intima unione con Dio e di unità tra gli uomini, noi cristiani dobbiamo fondare la nostra vita su questi quattro “cardini”: la vita fondata sulla fede degli Apostoli trasmessa nella viva Tradizione della Chiesa, la comunione fraterna, l’Eucaristia e la preghiera. Solo in questo modo, rimanendo saldamente unita a Cristo, la Chiesa può compiere efficacemente la sua missione, malgrado i limiti e le mancanze dei suoi membri, malgrado le divisioni, che già l’apostolo Paolo dovette affrontare nella comunità di Corinto, come ricorda la seconda Lettura biblica di questa domenica, dove dice: “Vi esorto, fratelli ad essere tutti unanimi nel parlare, perché non vi siano divisioni tra voi, ma siate in perfetta unione di pensiero e di sentire” (1,10). L’Apostolo, infatti, aveva saputo che nella comunità cristiana di Corinto erano nate discordie e divisioni; perciò, con grande fermezza, aggiunge: “E’ forse diviso il Cristo?” (1,13). Così dicendo, egli afferma che ogni divisione nella Chiesa è un’offesa a Cristo; e, al tempo stesso, che è sempre in Lui, unico Capo e Signore, che possiamo ritrovarci uniti, per la forza inesauribile della sua grazia.

Ecco allora il richiamo sempre attuale del Vangelo di oggi: “Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino” (Mt 4,17). Il serio impegno di conversione a Cristo è la via che conduce la Chiesa, con i tempi che Dio dispone, alla piena unità visibile. Ne sono un segno gli incontri ecumenici che in questi giorni si moltiplicano in tutto il mondo. Qui a Roma, oltre ad essere presenti varie Delegazioni ecumeniche, inizierà domani una sessione di incontro della Commissione per il dialogo teologico tra la Chiesa Cattolica e le Antiche Chiese Orientali. E dopodomani concluderemo la Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani con la solenne celebrazione dei Vespri nella festa della Conversione di San Paolo. Ci accompagni sempre, in questo cammino, la Vergine Maria, Madre della Chiesa.

Dopo l'Angelus:

[Saluti in varie lingue: Chers pèlerins francophones, soyez les bienvenus pour la prière de l’Angélus. Je suis particulièrement heureux de saluer les responsables de la Communauté de Sant’Egidio, venant notamment d’Afrique et d’Amérique Latine, dont les membres œuvrent avec courage pour l’annonce de l’Évangile. Mardi prochain, fête de la conversion de saint Paul, s’achèvera la Semaine de prière pour l’unité des chrétiens. Nous sommes invités, à la suite de l’enseignement de saint Paul, à abandonner le scandale de nos divisions et à porter à tous le message du Christ Ressuscité. Prions Dieu de hâter le jour où son Église sera pleinement réunie. Que la Vierge Marie nous guide sur les chemins de l’unité ! Avec ma Bénédiction Apostolique !

I am pleased to greet the English-speaking pilgrims present at this Angelus prayer. In the liturgy today, we hear of the generous response of the first disciples to the call of Christ. May each of us continually recognize the call of the Lord in our own lives and engage in the work of evangelization without fear or reluctance. Entrusting you to the care of Mary, Mother of the Church, I invoke upon you and your families God’s abundant blessings.

Von Herzen grüße ich alle Gäste aus den Ländern deutscher Sprache. Im heutigen Evangelium hören wir vom ersten Auftreten Jesu. Seine Verkündigung des Himmelreiches in Wort und Tat wird uns beschrieben als ein aufgehendes Licht, ein helles Licht für die Menschheit, die im Dunkel der Gottesferne lebt. Der Herr will, daß dieses Licht zu allen Menschen kommt; dazu wählt er sich Jünger als Helfer aus und macht sie – wie er sagt – zu „Menschenfischern“. Er ruft auch uns heute, seine Botschaft der Wahrheit und der Liebe in die Welt zu tragen. Wir wollen bereitwillig an dieser Sendung teilnehmen und den Herrn vor allem auch bitten, daß nicht Spaltungen und Streit unter den Christen die Strahlkraft des Evangeliums verdunkeln. Gottes Gnade geleite euch allezeit.

Saludo con afecto a los peregrinos de lengua española presentes en esta oración mariana, en particular a los alumnos y profesores del Instituto Maestro Domingo, de Badajoz. En el transcurso de esta Semana de oración por la unidad de los cristianos, la liturgia nos urge, con el apóstol Pablo, a poner siempre el corazón en la salvación que Cristo ofrece, identificándonos cada día más con Él y apartándonos de todo lo que causa división. Que la amorosa intercesión de la Santísima Virgen María, aliente a todos los discípulos de su divino Hijo a edificar sin discordias el Reino de Dios, siendo en todas partes sal de la tierra y luz del mundo. Feliz domingo.

Lepo pozdravljam romarje iz Slovenije, še posebej z Brezovice in iz stolne župnije sv. Nikolaja v Ljubljani! Naj vam to vaše romanje in molitev, ki ste jo pravkar opravili združeni s Petrovim naslednikom, prineseta obilje duhovnih sadov. Vsem vam iz srca podeljujem svoj blagoslov!

[Rivolgo un cordiale saluto ai pellegrini provenienti dalla Slovenia, in particolare da Brezovica e dalla Parrocchia della Cattedrale di San Nicola a Ljubljana! Questo vostro pellegrinaggio e la preghiera che avete appena fatto uniti al Successore di Pietro, vi portino abbondanti frutti spirituali. Vi imparto di cuore la mia Benedizione!]

Serdeczne pozdrowienie kieruję do Polaków. Dzisiejsza Ewangelia przypomina dwa Jezusowe wezwania: „Nawracajcie się, albowiem bliskie jest królestwo niebieskie” oraz: „Pójdźcie za Mną, a uczynię was rybakami ludzi”. Niech nawrócenie, naśladowanie Chrystusa i dawanie świadectwa o Jego królestwie nieustannie dokonuje się w naszym życiu! Niech wam Bóg błogosławi!

[Un cordiale saluto rivolgo ai polacchi. Il Vangelo odierno ci ricorda due chiamate di Gesù: “Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino” e: “Seguitemi, vi farò pescatori di uomini”. La conversione, la sequela di Cristo e la testimonianza sul suo regno si compiano continuamente nella nostra vita! Dio vi benedica!]

Rivolgo infine il mio saluto cordiale ai pellegrini di lingua italiana, in particolare ai fedeli provenienti da Amalfi e da Acerenza. A tutti auguro una buona domenica e una buona settimana!]

© Copyright 2011 - Libreria Editrice Vaticana

domenica 23 gennaio 2011

Video Vangelo: III domenica ordinario (A)

Tu vieni e seguimi


3^ Domenica tempo ordinario
 
• 1) Dove andò ad abitare Gesù?

Oggi il Vangelo ci invita a seguire Gesù che, lasciata Nazaret, va a stabilirsi a Cafarnao, in quella Galilea delle genti –come dice la profezia di Isaia– oltre il fiume Giordano, sulla quale “si levò una grande luce” .
Il tempo del silenzio e del nascondimento è terminato. Per Gesù inizia il tempo dell’annuncio. E sceglie proprio la Galilea, situata ai confini tra il mondo ebraico e quello pagano, per proclamare l’universalità della salvezza. Il Messia è dunque un Galileo e per gli uomini di Galilea inizia qualcosa di radicalmente nuovo: la salvezza è entrata nella loro vita e non ne uscirà mai più!
Questa forza nuova che è entrata nel mondo, continuerà a rimanervi fino alla fine dei secoli.
Quella stessa voce che ha chiamato i primi discepoli, continuerà a chiamarne infiniti altri, di ogni razza, lingua e nazionalità . Continuerà a risuonare fra gli uomini di tutti i tempi e ad attraversare i secoli, senza che questi possano coprirne il suono o cancellarne il ricordo, anzi serviranno solo a rivestirla di un manto di universalità senza confini.

• 2) Cosa inizia a fare?

Gesù inizia dunque ad annunciare la buona novella e si stabilisce presso il mare di Galilea o lago di Tiberiade. Quello è proprio il Lago di Gesù, rimasto -2000 anni dopo- tale e quale. Se esigenze di difesa e di custodia indussero i cristiani a trasformare i luoghi sacri della Palestina, costruendovi sopra e mutandone l’aspetto naturale di modo che oggi non si possono più vedere com’erano ai tempi di Gesù, sullo splendido lago di Tiberiade, nessuno ha potuto apportare cambiamenti di sorta. E’ sempre il lago di Gesù. Chi vi è stato dice che lo si vede oggi come Egli lo vide, si possono toccarne le acque come Egli le toccò, lo si può attraversare come Egli lo attraversò e camminare sulle sue sponde come Egli vi camminò. Le acque sono sempre quelle, e forse conservano nelle loro profondità, l’eco delle parole di Gesù che chiamò i primi discepoli.

• 3) Chi vide sul lago?

“Mentre camminava lungo il mare di Galilea (o lago di Tiberiade) vide due fratelli: Simone chiamato Pietro, e Andrea, che gettavano le reti in mare poiché erano pescatori. E disse loro: seguitemi, vi farò pescatori di uomini. Ed essi subito lasciate le reti lo seguirono”. Ecco Dio che entra nella storia degli uomini. E vi entra mentre stanno svolgendo il loro lavoro di sempre, si presenta alla loro riva per invitarli a diventare strumenti e collaboratori del suo piano di salvezza. E si presenta alla nostra riva, a noi discepoli di oggi, per rinnovare il suo invito e renderci partecipi del Suo grandioso progetto. E’ sempre Lui che si presenta per primo, ieri come oggi (“non voi avete scelto Me ma io ho scelto voi”), ma siamo sempre noi che dobbiamo lasciare le nostre reti per seguirlo, “lasciare che il mondo vada per la sua strada e che accumuli la sua fortuna. Tu vieni e seguimi e non voltarti indietro mai. E così sarai luce per gli uomini e sale della terra.” (come dice un bel canto). E “il popolo ancora immerso nelle tenebre, vedrà una grande luce e su quelli che dimoravano in terra e ombra di morte, una luce si leverà”.
Anche Giacomo e Giovanni, appena ebbero sentito la Sua voce, lasciarono subito la barca, il padre e le reti, e lo seguirono. Segno evidente che da Gesù emanava veramente un fascino straordinario, assolutamente unico che faceva vibrare le corde nascoste del cuore umano. Incontrando il Suo sguardo, quei primi discepoli, capirono sicuramente di essere infinitamente amati, e sentirono che valeva la pena di lasciare tutto per continuare a incontrare quello sguardo e sentire quella voce, unica al mondo che veniva da “oltre”. E parlava un linguaggio divino. Di colpo capirono che colui che li chiamava non era più soltanto l’Uomo di Galilea, ma lo splendore della gloria del Padre, l’eletto, l’inviato, colui che aveva ri-operato il ricongiungimento tra cielo e Terra e poteva dire in tutta verità: ”Convertitevi perché il regno dei cieli è vicino”.

Wilma Chasseur

 

sabato 22 gennaio 2011

No all'aborto (Abortire è un omicidio)

Non farlo (Storia di un aborto) - Undicesima parte

Continuiamo, dopo le festività natalizie, a leggere la testimonianza anonima di un aborto che invita alla riflessione all'esortazione più importante: "non farlo!". Oggi leggiamo le riflessioni post-aborto e vediamo come l'autrice sia divorata dal rimorso e per questo vuole scrivere tutte queste cose, per evitare che altre ragazze finiscano in un inferno. Da sottolineare il ruolo di chi è al fianco di queste ragazze che ha in mano non solo la vita di un essere umano, ma anche la responsabilità del futuro della persona che amano. Settimana prossima vedremo il ritorno alla vita e le conclusioni finali:


Quando arrivi a prendere una decisione così dolorosa, così tragica, così crudele, non c’è nessuna giustificazione, nessuna spiegazione. Non sai quello che stai facendo. Non capisci l’importanza vitale che ha quel gesto così brutale e impulsivo. Non ti rendi conto del dolore immenso che andrà ad insediarsi, in
maniera indelebile, nel tuo cuore. Né capisci quanto questa scelta, presa in pochi giorni, sconvolgerà tutto il corso della tua vita, intorno a te, e soprattutto dentro di te.

La disgrazia più grande che ti può capitare, in una situazione di per sé già tanto delicata, è non avere accanto la persona giusta, alla quale basterebbe semplicemente spendere due parole, dettate dal cuore, per salvarti per sempre dall’inferno… per rendere la tua vita felice, senza rimpianti, senza rimorsi indicibili, che ti ruberanno il sonno per sempre e distruggeranno tutti i tuoi sogni. Quelle parole potrebbero avere il potere supremo di proteggerti dalla tua follia, dalla tua incoscienza, dal quel mostro che si nasconde in ognuno di noi
(anche se a volte non ne abbiamo la consapevolezza).

Quella persona, in quel momento, avrebbe la facoltà di trasformare ogni tua lacrima in un sorriso. Potrebbe farti percepire la grandezza di un gesto d’amore, di un crudele atto di egoismo che muta in dedizione. Potrebbe
trasformarlo in splendente generosità, in calore umano, in amore grande e profondo, permettendo che una situazione apparentemente insostenibile, come per incanto, diventi un sogno: quel sogno che facevi da bambina, giocando con le bambole…
Allo stesso modo però, le sue parole potrebbero essere così fatalmente crudeli, così indifferenti al tuo dolore, all'atrocità del gesto che stai per compiere (ma di cui purtroppo non sei consapevole), da dilaniarti l’anima per sempre… Da lacerarti il cuore con una ferita così profonda che il tempo non riuscirà in alcun modo a cancellare. Anzi, ogni giorno che verrà, sarà per te motivo di angoscia, di afflizione, di sofferenza, di rimorso… E sarà ogni giorno più difficile continuare la tua vita, nel cercare di convincerti di poter vivere anche tu come
gli altri, e che a poco a poco resterà solo un triste, lontano ricordo di ciò che è successo.
Quale errore imperdonabile non sai di commettere formulando questi pensieri “fatalistici”, distaccati persino, come non appartenessero a te. Come se quello non fosse tuo figlio, non fosse una parte di te, come se non stessi negando l'esistenza ad un essere umano, ma semplicemente facendo una scelta difficile di vita… Quella non è una scelta di vita ma, se mai, una scelta di morte!
Quelle riflessioni misere, circoscritte allo stato d’animo di quei giorni, così insignificanti rispetto a tutti gli anni che verranno, ti indurranno a vivere senza entusiasmo, senza alcuna gioia, con la voglia di piangere sempre, di morire una volta per tutte, finalmente…

Ogni mattina, al tuo risveglio, desidererai con tutta te stessa che arrivi presto sera, così che tu possa infilarti nel letto per chiudere gli occhi e cercare di dormire il più a lungo possibile, per non pensare, per scacciare i pensieri tristi, i ricordi e il rimpianto per la scelta che hai fatto, e di cui ti pentirai per sempre.
Ma non servirà a nulla neanche questo. Restare sola con te stessa ti farà ancora più male. Crederai di poterti sentire più libera, lontana da sguardi curiosi e indiscreti incrociati durante il giorno. Ma non sarà così.
La solitudine e il vuoto in quei momenti terribili ti assalgono, i pensieri malinconici si ingigantiscono. Il dolore diventa disperazione, non riesci a dormire, perché la colpa è solo tua.
Vorresti gridare, ma non puoi farlo perché non puoi farti sentire, non avresti il coraggio di spiegarne la ragione… Vorresti che le tue lacrime ti riportassero indietro nel tempo, che il pentimento sincero abbia il potere di darti una seconda possibilità… Ma sai che non è così.

L’esperienza dell’aborto è un incubo agghiacciante, che spero tanto possa non ripetersi mai, possa non essere mai più vissuto da nessun’altra donna sulla faccia della terra. Purtroppo però, mi sento impotente al pensiero di non poter fare altro che scrivere, scrivere parole su parole, per cercare di far comprendere la disperazione più profonda attraverso la descrizione della mia dolorosissima esperienza, ma chissà se serviranno mai a qualcuno… a proteggerlo da una tragedia così grande, a salvare non una ma due vite… Almeno questo spero:
che questo mio infernale tormento possa aiutare qualcun altro a non provarlo mai. Mai. Perché da quel giorno in poi, vivere sarà la tua pena più grande, ma in quel momento non potrai a capirlo.
Quando non riesci ad avere uno sguardo ampio sulla tua vita, non riesci ad uscire fuori da te stessa, dal tuo infimo egoismo. Non riesci a vedere quanto sia ingiusto, sbagliato, riprovevole e indegno il tuo gesto. Tutto diventa “normale”, viene banalizzato dal contesto, come fosse una scelta pari a qualunque altra…
In realtà è la scelta più importante della tua vita. Non potrai dimenticare mai.

venerdì 21 gennaio 2011

San Francesco d'Assisi uomo di luce e verità

Padre Pio - Sulla soglia del Paradiso - Ventitquattresimo appuntamento

Torna l'appuntamento con la biografia che tratteggia un'inedita "storia di Padre Pio raccontata dai suoi amici: "Sulla Soglia del Paradiso" di Gaeta Saverio. Oggi vediamo Padre Pio giungere finalmente a San Giovanni Rotondo e vediamo anche l'influenza di San Francesco di Assisi:

IX

Ispirazione francescana e sacerdozio


Gli "anni nascosti" di Pietrelcina


In contemporanea con la sollecitazione di Fra Pio per la dispensa, padre Benedetto si era momentaneamente arreso alla necessità di lasciarlo nel suo paese nativo, dopo diversi tentativi infruttuosi di ricondurlo in convento. Il 2 gennaio 1910 gli scriveva: «Quali siano i divini disegni nel volervi quasi giocoforza in famiglia l'ignoro; ma li adoro pure, sperando quasi con fiducia che la crisi si risolverà. Gesù e Maria siano con voi, vi consolino e vi diano grazia di portare la croce in modo da essere coronato di merito».

Un altro tentativo venne compiuto nell'autunno 1911 a Venafro, dove però Padre Pio stette malissimo. Fra le estasi che ebbe, ci fu anche un dialogo con san Francesco d'Assisi, del quale padre Agostino da San Marco in Lamis annotò alcune battute:

«O serafico Padre mio, tu mi scacci dal tuo Ordine?... Non sono più figlio tuo?... La prima volta che mi appari, Padre san Francesco, mi dici di andare a quella terra di esilio?... Ah, Padre mio, è volontà di

Dio?... Ebbene, fiat!...». In seguito, sempre a padre Agostino, dirà che non gli poteva rivelare la ragione per cui il Signore l'aveva trattenuto a Pietrelcina, altrimenti «mancherei di carità».

Per tre anni si continuò sempre nell'identico modo, tanto da spingere il Ministro generale a chiedere per lui alla Santa Sede il permesso di restare fuori dal convento, consentendogli comunque di conservare l'abito cappuccino. L'esclaustrazione fu concessa il 25 febbraio 1915 e Padre Pio, quando ne venne a conoscenza, scrisse a padre Benedetto:

«Giacché Gesù non ha permesso che io consacrassi alla mia diletta madre provincia tutta la mia persona, mi sono offerto al Signore, quale vittima per i bisogni tutti spirituali di lei».

Pochi mesi più tardi, il 24 maggio 1915, l'Italia entrò in guerra contro l'Austria e anche Padre Pio ricevette la cartolina che lo chiamava alle armi. Il 6 novembre si presentò al distretto militare di Benevento e, un mese dopo, fu assegnato alla ba Compagnia di sanità di Napoli. Ma già il 18 dicembre veniva inviato in licenza di convalescenza per un anno. Nuovi rientri nel Corpo militare ci furono il 18 dicembre 1916, il 19 agosto 1917 e il 5 marzo 1918: ogni volta, dopo pochi giorni, venne rispedito in licenza di convalescenza, sino al definitivo congedo del 16 marzo 1918.

Il 17 febbraio 1916, intanto, Padre Pio era partito da Pietrelcina verso Foggia, su richiesta di padre Agostino, che lo invitava ad assistere l'anima della nobildonna Raffaelina Cerase, con la quale il Padre aveva avuto un fitto scambio epistolare. La Cerase, sentendosi prossima alla morte (che difatti avvenne il 25 marzo 1916), desiderava parlare con Padre Pio almeno una volta. Qualche settimana prima, lei stessa aveva suggerito a padre Agostino: «Fatelo tornare in convento e fatelo confessare, ché farà molto bene».

Giunto al convento di Sant'Anna a Foggia, Padre Pio vi trovò padre Benedetto, il quale gli ordinò perentoriamente di restare lì «vivo o morto», e il Padre obbedì senza alcuna obiezione. Il 28 luglio sali per la prima volta a San Giovanni Rotondo, accompagnato da padre Paolino da Casacalenda, per cercare un po' di sollievo dal caldo soffocante della pianura. Qualche giorno dopo rientrò a Foggia, ma il 4 settembre 1916 venne definitivamente trasferito nel convento di San Giovanni Rotondo, dove resterà per i successivi 52 anni di vita.

Padre Pio aveva allora quasi trent'anni (che qualcuno ha comparato agli "anni nascosti" di Gesù a Nazaret, prima di iniziare l'attività pubblica). E tutta la sua vita, precedente e successiva, si è svolta fra il Beneventano e la zona del Gargano:

esattamente il territorio dove - come un felice presagio - san Francesco apparve in spirito al vescovo di Assisi, nella notte della propria morte (3 ottobre 1226), per dirgli che lasciava il mondo e andava in Cielo da Cristo.

Secondo la Legenda ma jor di Bonaventura, il vescovo era ancora in pellegrinaggio nel santuario di San Michele arcangelo; mentre la Vita di Tommaso da Celano lo segnala di ritorno nei pressi di Benevento. Ma già lo stesso san Francesco era stato proprio a San Giovanni Rotondo nel 1216, scendendo da Monte Sant'Angelo, e vi aveva auspicato la costruzione di un convento, i cui ruderi furono visibili fino al Settecento nella zona detta delle «case nuove».

giovedì 20 gennaio 2011

Benedetto XVI invia 230 nuove famiglie del Cammino Neocatecumenale

Udienza Generale Papa Benedetto XVI - 19 Gennaio 2011


BENEDETTO XVI

UDIENZA GENERALE

Aula Paolo VI
Mercoledì, 19 gennaio 2011



Settimana di Preghiera per l'Unità dei Cristiani

Cari fratelli e sorelle,

stiamo celebrando la Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani, nella quale tutti i credenti in Cristo sono invitati ad unirsi in preghiera per testimoniare il profondo legame che esiste tra loro e per invocare il dono della piena comunione. È provvidenziale il fatto che, nel cammino per costruire l’unità, venga posta al centro la preghiera: questo ci ricorda, ancora una volta, che l’unità non può essere semplice prodotto dell’operare umano; essa è anzitutto un dono di Dio, che comporta una crescita nella comunione con il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Il Concilio Vaticano II dice: “Queste preghiere in comune sono senza dubbio un mezzo molto efficace per impetrare la grazia dell'unità e costituiscono una manifestazione autentica dei vincoli con i quali i cattolici rimangono uniti con i fratelli separati: «Poiché dove sono due o tre adunati nel nome mio [dice il Signore], ci sono io in mezzo a loro» (Mt 18,20).” (Decr. Unitatis Redintegratio, 8). Il cammino verso l’unità visibile tra tutti i cristiani abita nella preghiera, perché fondamentalmente l’unità non la “costruiamo” noi, ma la “costruisce” Dio, viene da Lui, dal Mistero trinitario, dall’unità del Padre con il Figlio nel dialogo d’amore che è lo Spirito Santo e il nostro impegno ecumenico deve aprirsi all’azione divina, deve farsi invocazione quotidiana dell’aiuto di Dio. La Chiesa è sua e non nostra.

Il tema scelto quest’anno per la Settimana di Preghiera fa riferimento all’esperienza della prima comunità cristiana di Gerusalemme, così come è descritta dagli Atti degli Apostoli; abbiamo sentito il testo: “Erano assidui nell'ascoltare l'insegnamento degli apostoli e nell'unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere” (At 2,42). Dobbiamo considerare che già al momento della Pentecoste lo Spirito Santo discende su persone di diversa lingua e cultura: ciò sta a significare che la Chiesa abbraccia sin dagli inizi gente di diversa provenienza e, tuttavia, proprio a partire da tali differenze, lo Spirito crea un unico corpo. La Pentecoste come inizio della Chiesa segna l’allargamento dell’Alleanza di Dio a tutte le creature, a tutti i popoli e a tutti i tempi, perché l’intera creazione cammini verso il suo vero obiettivo: essere luogo di unità e di amore.

Nel brano citato degli Atti degli Apostoli, quattro caratteristiche definiscono la prima comunità cristiana di Gerusalemme come luogo di unità e di amore e san Luca non vuol solo descrivere una cosa del passato. Ci offre questo come modello, come norma della Chiesa presente, perché queste quattro caratteristiche devono sempre costituire la vita della Chiesa. Prima caratteristica, essere unita e ferma nell’ascolto dell’insegnamento degli Apostoli, poi nella comunione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere. Come ho detto, questi quattro elementi sono ancora oggi i pilastri della vita di ogni comunità cristiana e costituiscono anche l’unico solido fondamento sul quale progredire nella ricerca dell’unità visibile della Chiesa.

Anzitutto abbiamo l’ascolto dell’insegnamento degli Apostoli, ovvero l’ascolto della testimonianza che essi rendono alla missione, alla vita, alla morte e risurrezione del Signore. È ciò che Paolo chiama semplicemente il “Vangelo”. I primi cristiani ricevevano il Vangelo dalla bocca degli Apostoli, erano uniti dal suo ascolto e dalla sua proclamazione, poiché il vangelo, come afferma S. Paolo, “è potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede” (Rm 1,16). Ancora oggi, la comunità dei credenti riconosce nel riferimento all’insegnamento degli Apostoli la norma della propria fede: ogni sforzo per la costruzione dell’unità tra tutti i cristiani passa pertanto attraverso l’approfondimento della fedeltà al depositum fidei trasmessoci dagli Apostoli. Fermezza nella fede è il fondamento della nostra comunione, è il fondamento dell’unità cristiana.

Il secondo elemento è la comunione fraterna. Al tempo della prima comunità cristiana, come pure ai nostri giorni, questa è l’espressione più tangibile, soprattutto per il mondo esterno, dell’unità tra i discepoli del Signore. Leggiamo negli Atti degli Apostoli che i primi cristiani tenevano ogni cosa in comune e chi aveva proprietà e sostanze le vendeva per farne parte ai bisognosi (cfr At 2,44-45). Questa condivisione delle proprie sostanze ha trovato, nella storia della Chiesa, modalità sempre nuove di espressione. Una di queste, peculiare, è quella dei rapporti di fraternità e di amicizia costruiti tra cristiani di diverse confessioni. La storia del movimento ecumenico è segnata da difficoltà e incertezze, ma è anche una storia di fraternità, di cooperazione e di condivisione umana e spirituale, che ha mutato in misura significativa le relazioni tra i credenti nel Signore Gesù: tutti siamo impegnati a continuare su questa strada. Secondo elemento, quindi, la comunione, che innanzitutto è comunione con Dio tramite la fede; ma la comunione con Dio crea la comunione tra di noi e si esprime necessariamente in quella comunione concreta della quale parlano gli Atti degli Apostoli, cioè la condivisione. Nessuno nella comunità cristiana deve avere fame, deve essere povero: questo è un obbligo fondamentale. La comunione con Dio, realizzata come comunione fraterna, si esprime, in concreto, nell’impegno sociale, nella carità cristiana, nella giustizia.

Terzo elemento: nella vita della prima comunità di Gerusalemme essenziale era il momento della frazione del pane, in cui il Signore stesso si rende presente con l’unico sacrificio della Croce nel suo donarsi completamente per la vita dei suoi amici: “Questo è il mio corpo offerto in sacrificio per voi … questo è il calice del mio Sangue … versato per voi”. “La Chiesa vive dell'Eucaristia. Questa verità non esprime soltanto un'esperienza quotidiana di fede, ma racchiude in sintesi il nucleo del mistero della Chiesa” (Giovanni Paolo II, Enc. Ecclesia de Eucharistia, 1). La comunione al sacrificio di Cristo è il culmine della nostra unione con Dio e rappresenta pertanto anche la pienezza dell’unità dei discepoli di Cristo, la piena comunione. Durante questa settimana di preghiera per l’unità è particolarmente vivo il rammarico per l’impossibilità di condividere la stessa mensa eucaristica, segno che siamo ancora lontani dalla realizzazione di quell’unità per cui Cristo ha pregato. Tale dolorosa esperienza, che conferisce anche una dimensione penitenziale alla nostra preghiera, deve diventare motivo di un impegno ancora più generoso da parte di tutti affinché, rimossi gli ostacoli alla piena comunione, giunga quel giorno in cui sarà possibile riunirsi intorno alla mensa del Signore, spezzare insieme il pane eucaristico e bere allo stesso calice.

Infine, la preghiera - o come dice san Luca le preghiere - è la quarta caratteristica della Chiesa primitiva di Gerusalemme descritta nel libro degli Atti degli Apostoli. La preghiera è da sempre l’atteggiamento costante dei discepoli di Cristo, ciò che accompagna la loro vita quotidiana in obbedienza alla volontà di Dio, come ci attestano anche le parole dell’apostolo Paolo, che scrive ai Tessalonicesi nella sua prima lettera: “State sempre lieti, pregate incessantemente, in ogni cosa rendete grazie: questa infatti è la volontà di Dio in Cristo Gesù verso di voi” (1Ts 5, 16-18; cfr. Ef 6,18). La preghiera cristiana, partecipazione alla preghiera di Gesù, è per eccellenza esperienza filiale, come ci attestano le parole del Padre Nostro, preghiera della famiglia - il “noi” dei figli di Dio, dei fratelli e sorelle - che parla al Padre comune. Porsi in atteggiamento di preghiera significa pertanto anche aprirsi alla fraternità. Solo nel “noi” possiamo dire Padre Nostro. Apriamoci dunque alla fraternità, che deriva dall’essere figli dell’unico Padre celeste, ed essere disposti al perdono e alla riconciliazione.

Cari Fratelli e Sorelle, come discepoli del Signore abbiamo una comune responsabilità verso il mondo, dobbiamo rendere un servizio comune: come la prima comunità cristiana di Gerusalemme, partendo da ciò che già condividiamo, dobbiamo offrire una forte testimonianza, fondata spiritualmente e sostenuta dalla ragione, dell’unico Dio che si è rivelato e ci parla in Cristo, per essere portatori di un messaggio che orienti e illumini il cammino dell’uomo del nostro tempo, spesso privo di chiari e validi punti di riferimento. E’ importante, allora, crescere ogni giorno nell’amore reciproco, impegnandosi a superare quelle barriere che ancora esistono tra i cristiani; sentire che esiste una vera unità interiore tra tutti coloro che seguono il Signore; collaborare il più possibile, lavorando assieme sulle questioni ancora aperte; e soprattutto essere consapevoli che in questo itinerario il Signore deve assisterci, deve aiutarci ancora molto, perché senza di Lui, da soli, senza il “rimanere in Lui” non possiamo fare nulla (cfr Gv 15,5).

Cari amici, è ancora una volta nella preghiera che ci troviamo riuniti - particolarmente in questa settimana - insieme a tutti coloro che confessano la loro fede in Gesù Cristo, Figlio di Dio: perseveriamo nella preghiera, siamo uomini della preghiera, implorando da Dio il dono dell’unità, affinché si compia per il mondo intero il suo disegno di salvezza e di riconciliazione. Grazie.

[Saluti in varie lingue]

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Cari fratelli e sorelle,

rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare saluto i rappresentanti dell’Arciconfraternita della Misericordia di Firenze, qui convenuti con l’Arcivescovo Mons. Giuseppe Betori, e li esorto ad essere sempre più segno di carità, specialmente verso i poveri e i sofferenti.

Saluto i membri dell’Associazione “Figli in paradiso: ali tra cielo e terra”, di Galatone, diffusa in alcune Regioni d’Italia. Voi, genitori, colpiti profondamente dalla morte, spesso tragica, dei vostri figli, non lasciatevi vincere dalla disperazione o dall’abbattimento, ma trasformate la vostra sofferenza in speranza, come Maria ai piedi della Croce. Desidero raccomandare soprattutto a voi, giovani: nell’esuberanza dei vostri anni giovanili, non mancate di calcolare i rischi e agite in ogni momento con prudenza e senso di responsabilità, specialmente quando siete alla guida di un autoveicolo, a tutela della vostra vita e di quella altrui. Desidero, inoltre, incoraggiare i sacerdoti, che accompagnano spiritualmente le famiglie colpite dal lutto per la perdita di uno o più figli, affinché proseguano generosamente in questo importante servizio. Infine, assicuro una speciale preghiera di suffragio per i vostri figli e per tutti i giovani che hanno perso la vita. Sentite accanto a voi la loro spirituale presenza: essi, come voi dite, sono “ali tra cielo e terra”.

Saluto ora i giovani, i malati, e gli sposi novelli. Cari amici, vi invito a pregare per l’unità dei cristiani. Tutti voi che, con giovanile freschezza, o con sofferta donazione, o con lieto amore sponsale vi impegnate ad amare il Signore nel quotidiano adempimento del vostro dovere, contribuite all’edificazione della Chiesa e alla sua opera evangelizzatrice. Pregate, dunque, perché tutti i cristiani accolgano la chiamata del Signore all’unità della fede nell’unica sua Chiesa.

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