IX
Ispirazione francescana e sacerdozio
Il monaco con la barba
«Dove meglio potrò servirti, o Signore, se non nel chiostro e sotto la bandiera del Poverello di Assisi?». Nella lettera del 26 novembre 1922 alla figlia spirituale Nina Campanile, che rappresenta un'eccezionale testimonianza autobiografica, Padre Pio indica queste come le parole che rivolse direttamente a Gesù mentre si interrogava sulla propria vocazione: «Ed egli», prosegue il cappuccino, «vedendo il mio imbarazzo, sorrideva, sorrideva a lungo».
La scelta di entrare fra i seguaci di san Francesco era maturata in giovanissima età, quando era stato Lolpito dalla figura del frate "cercatore" Camillo da Sant'Elia a Pianisi, che periodicamente andava questuando fra i paesi e le campagne. Un giorno, a Piana Romana, mamma Giuseppa lo interpellò:
«Fra Camillo, questo ragazzo dobbiamo farlo munaciello!». E il frate: «Che san Francesco lo benedica e lo aiuti a diventare un bravo cappuccino». Perciò fu grande la gioia di ambedue quando il giovane Francesco si vide accogliere in convento proprio dal portinaio fra Camillo: «Franci', bravo, bravo. Sei stato fedele alla promessa e alla chiamata di san Francesco».
Qualche sollecitazione da parte dei familiari infatti c'era stata, affinché scegliesse famiglie religiose più "benestanti", come i Frati minori di Benevento, i Redentoristi di Sant'Angelo a Cupolo o i
Benedettini di Montevergine. Ma il ragazzo, secondo quanto ha tramandato l'aneddotica familiare, aveva le idee chiare: «Voglio fa' lu monaco di Messa, monaco cu' la barba». Per pagargli gli studi e per mantenere la numerosa famiglia, papà Grazio emigrò per due volte oltre oceano: negli Stati Uniti dal 1898 al 1903 e in Argentina dal 1910 al 1917.
Padre Livio Dimatteo, utilizzando le risposte date da Padre Pio ai compiti scritti sulla Regola francescana, ha disegnato la sua figura ideale di cappuccino: «Il frate deve essere prima di tutto ubbidiente al Superiore; deve amare e rispettare le leggi ecclesiastiche, la Regola, le Costituzioni e gli Ordinamenti». Padre Pio voleva poi che il frate fosse «povero a imitazione di Gesù crocifisso e distaccato da ogni ricchezza; responsabile di tutti i gesti che compie nella propria vita, sopportandone le conseguenze a volte anche penose; di buon esempio agli altri e pieno di carità verso i confratelli».
L'abito francescano era per Padre Pio il simbolo di tutto ciò. Ogni anno ricordava e festeggiava nel suo intimo l'anniversario della vestizione religiosa e ne ringraziava sinceramente il Signore. Grande fu la sua gioia quando, il 4 ottobre 1957, giunse nel convento di San Giovanni Rotondo la reliquia del saio di san Francesco. Nel marzo del 1965 il Guardiano, padre Carmelo da San Giovanni in Galdo, gli diede il permesso di dormire senz'abito, dato che di notte sudava abbondantemente. Ma Padre Pio scoppiò in un pianto dirotto e tra i singhiozzi ripeteva: «Sono 62 anni e non ho mai lasciato l'abito religioso...».
Una sua ardente speranza era che tutti i figli spirituali appartenessero alla Famiglia francescana, in modo da farlo sentire «vero padre e fratello». A Giovanna Rizzani disse: «Desidero tanto che tu entri a fare parte del Terz'Ordine. Qui potrai attingere e vivere lo spirito evangelico del Serafico Padre». E alla signorina Graziella Pannullo, nella lettera del 30 dicembre 1921, prefigurava «il giorno in cui voi godrete una gioia di paradiso, portandovi in Assisi, monumento parlante del, grande amore e dell'infinita carità del nostro Padre san Francesco».
0 commenti:
Posta un commento