Pages

giovedì 31 marzo 2011

Benedetto XVI: attualità di S. Alfonso

Udienza Generale Papa Benedetto XVI - 30 Marzo 2011


BENEDETTO XVI

UDIENZA GENERALE

Piazza San Pietro
Mercoledì, 30 marzo 2011


 Sant'Alfonso Maria de' Liguori

Cari fratelli e sorelle,

oggi vorrei presentarvi la figura di un santo Dottore della Chiesa a cui siamo molto debitori, perché è stato un insigne teologo moralista e un maestro di vita spirituale per tutti, soprattutto per la gente semplice. E’ l’autore delle parole e della musica di uno dei canti natalizi più popolari in Italia e non solo: Tu scendi dalle stelle.

Appartenente a una nobile e ricca famiglia napoletana, Alfonso Maria de’ Liguori nacque nel 1696. Dotato di spiccate qualità intellettuali, a soli 16 anni conseguì la laurea in diritto civile e canonico. Era l’avvocato più brillante del foro di Napoli: per otto anni vinse tutte le cause che difese. Tuttavia, nella sua anima assetata di Dio e desiderosa di perfezione, il Signore lo conduceva a comprendere che un’altra era la vocazione a cui lo chiamava. Infatti, nel 1723, indignato per la corruzione e l’ingiustizia che viziavano l’ambiente forense, abbandonò la sua professione - e con essa la ricchezza e il successo - e decise di diventare sacerdote, nonostante l’opposizione del padre. Ebbe degli ottimi maestri, che lo introdussero allo studio della Sacra Scrittura, della Storia della Chiesa e della mistica. Acquisì una vasta cultura teologica, che mise a frutto quando, dopo qualche anno, intraprese la sua opera di scrittore. Fu ordinato sacerdote nel 1726 e si legò, per l’esercizio del ministero, alla Congregazione diocesana delle Missioni Apostoliche. Alfonso iniziò un’azione di evangelizzazione e di catechesi tra gli strati più umili della società napoletana, a cui amava predicare, e che istruiva sulle verità basilari della fede. Non poche di queste persone, povere e modeste, a cui egli si rivolgeva, molto spesso erano dedite ai vizi e compivano azioni criminali. Con pazienza insegnava loro a pregare, incoraggiandole a migliorare il loro modo di vivere. Alfonso ottenne ottimi risultati: nei quartieri più miseri della città si moltiplicavano gruppi di persone che, alla sera, si riunivano nelle case private e nelle botteghe, per pregare e per meditare la Parola di Dio, sotto la guida di alcuni catechisti formati da Alfonso e da altri sacerdoti, che visitavano regolarmente questi gruppi di fedeli. Quando, per desiderio dell’arcivescovo di Napoli, queste riunioni vennero tenute nelle cappelle della città, presero il nome di “cappelle serotine”. Esse furono una vera e propria fonte di educazione morale, di risanamento sociale, di aiuto reciproco tra i poveri: furti, duelli, prostituzione finirono quasi per scomparire.

Anche se il contesto sociale e religioso dell’epoca di sant’Alfonso era ben diverso dal nostro, le “cappelle serotine” appaiono un modello di azione missionaria a cui possiamo ispirarci anche oggi per una “nuova evangelizzazione”, particolarmente dei più poveri, e per costruire una convivenza umana più giusta, fraterna e solidale. Ai sacerdoti è affidato un compito di ministero spirituale, mentre laici ben formati possono essere efficaci animatori cristiani, autentico lievito evangelico in seno alla società.

Dopo aver pensato di partire per evangelizzare i popoli pagani, Alfonso, all’età di 35 anni, entrò in contatto con i contadini e i pastori delle regioni interne del Regno di Napoli e, colpito dalla loro ignoranza religiosa e dallo stato di abbandono in cui versavano, decise di lasciare la capitale e di dedicarsi a queste persone, che erano povere spiritualmente e materialmente. Nel 1732 fondò la Congregazione religiosa del Santissimo Redentore, che pose sotto la tutela del vescovo Tommaso Falcoia, e di cui successivamente egli stesso divenne il superiore. Questi religiosi, guidati da Alfonso, furono degli autentici missionari itineranti, che raggiungevano anche i villaggi più remoti esortando alla conversione e alla perseveranza nella vita cristiana soprattutto per mezzo della preghiera. Ancor oggi i Redentoristi, sparsi in tanti Paesi del mondo, con nuove forme di apostolato, continuano questa missione di evangelizzazione. A loro penso con riconoscenza, esortandoli ad essere sempre fedeli all’esempio del loro santo Fondatore.

Stimato per la sua bontà e per il suo zelo pastorale, nel 1762 Alfonso fu nominato Vescovo di Sant’Agata dei Goti, ministero che, in seguito alle malattie da cui era afflitto, lasciò nel 1775, per concessione del Papa Pio VI. Lo stesso Pontefice, nel 1787, apprendendo la notizia della sua morte, avvenuta dopo molte sofferenze, esclamò: “Era un santo!”. E non si sbagliava: Alfonso fu canonizzato nel 1839, e nel 1871 venne dichiarato Dottore della Chiesa. Questo titolo gli si addice per molteplici ragioni. Anzitutto, perché ha proposto un ricco insegnamento di teologia morale, che esprime adeguatamente la dottrina cattolica, al punto che fu proclamato dal Papa Pio XII “Patrono di tutti i confessori e i moralisti”. Ai suoi tempi, si era diffusa un’interpretazione molto rigorista della vita morale anche a motivo della mentalità giansenista che, anziché alimentare la fiducia e la speranza nella misericordia di Dio, fomentava la paura e presentava un volto di Dio arcigno e severo, ben lontano da quello rivelatoci da Gesù. Sant’Alfonso, soprattutto nella sua opera principale intitolata Teologia Morale, propone una sintesi equilibrata e convincente tra le esigenze della legge di Dio, scolpita nei nostri cuori, rivelata pienamente da Cristo e interpretata autorevolmente dalla Chiesa, e i dinamismi della coscienza e della libertà dell’uomo, che proprio nell’adesione alla verità e al bene permettono la maturazione e la realizzazione della persona. Ai pastori d’anime e ai confessori Alfonso raccomandava di essere fedeli alla dottrina morale cattolica, assumendo, nel contempo, un atteggiamento caritatevole, comprensivo, dolce perché i penitenti potessero sentirsi accompagnati, sostenuti, incoraggiati nel loro cammino di fede e di vita cristiana. Sant’Alfonso non si stancava mai di ripetere che i sacerdoti sono un segno visibile dell’infinita misericordia di Dio, che perdona e illumina la mente e il cuore del peccatore affinché si converta e cambi vita. Nella nostra epoca, in cui vi sono chiari segni di smarrimento della coscienza morale e – occorre riconoscerlo – di una certa mancanza di stima verso il Sacramento della Confessione, l’insegnamento di sant’Alfonso è ancora di grande attualità.

Insieme alle opere di teologia, sant’Alfonso compose moltissimi altri scritti, destinati alla formazione religiosa del popolo. Lo stile è semplice e piacevole. Lette e tradotte in numerose lingue, le opere di sant’Alfonso hanno contribuito a plasmare la spiritualità popolare degli ultimi due secoli. Alcune di esse sono testi da leggere con grande profitto ancor oggi, come Le Massime eterne, Le glorie di Maria, La pratica d’amare Gesù Cristo, opera – quest’ultima – che rappresenta la sintesi del suo pensiero e il suo capolavoro. Egli insiste molto sulla necessità della preghiera, che consente di aprirsi alla Grazia divina per compiere quotidianamente la volontà di Dio e conseguire la propria santificazione. Riguardo alla preghiera egli scrive: “Dio non nega ad alcuno la grazia della preghiera, con la quale si ottiene l’aiuto a vincere ogni concupiscenza e ogni tentazione. E dico, e replico e replicherò sempre, sino a che avrò vita, che tutta la nostra salvezza sta nel pregare”. Di qui il suo famoso assioma: “Chi prega si salva” (Del gran mezzo della preghiera e opuscoli affini. Opere ascetiche II, Roma 1962, p. 171). Mi torna in mente, a questo proposito, l’esortazione del mio predecessore, il Venerabile Servo di Dio Giovanni Paolo II: “Le nostre comunità cristiane devono diventare «scuole di preghiera»... Occorre allora che l’educazione alla preghiera diventi un punto qualificante di ogni programmazione pastorale” (Lett. ap. Novo Millennio ineunte, 33,34).

Tra le forme di preghiera consigliate fervidamente da sant’Alfonso spicca la visita al Santissimo Sacramento o, come diremmo oggi, l’adorazione, breve o prolungata, personale o comunitaria, dinanzi all’Eucaristia. “Certamente – scrive Alfonso – fra tutte le devozioni questa di adorare Gesù sacramentato è la prima dopo i sacramenti, la più cara a Dio e la più utile a noi... Oh, che bella delizia starsene avanti ad un altare con fede... e presentargli i propri bisogni, come fa un amico a un altro amico con cui si abbia tutta la confidenza!” (Visite al SS. Sacramento ed a Maria SS. per ciascun giorno del mese. Introduzione). La spiritualità alfonsiana è infatti eminentemente cristologica, centrata su Cristo e il Suo Vangelo. La meditazione del mistero dell’Incarnazione e della Passione del Signore sono frequentemente oggetto della sua predicazione. In questi eventi, infatti, la Redenzione viene offerta a tutti gli uomini “copiosamente”. E proprio perché cristologica, la pietà alfonsiana è anche squisitamente mariana. Devotissimo di Maria, egli ne illustra il ruolo nella storia della salvezza: socia della Redenzione e Mediatrice di grazia, Madre, Avvocata e Regina. Inoltre, sant’Alfonso afferma che la devozione a Maria ci sarà di grande conforto nel momento della nostra morte. Egli era convinto che la meditazione sul nostro destino eterno, sulla nostra chiamata a partecipare per sempre alla beatitudine di Dio, come pure sulla tragica possibilità della dannazione, contribuisce a vivere con serenità ed impegno, e ad affrontare la realtà della morte conservando sempre piena fiducia nella bontà di Dio.

Sant’Alfonso Maria de’ Liguori è un esempio di pastore zelante, che ha conquistato le anime predicando il Vangelo e amministrando i Sacramenti, unito ad un modo di agire improntato a una soave e mite bontà, che nasceva dall’intenso rapporto con Dio, che è la Bontà infinita. Ha avuto una visione realisticamente ottimista delle risorse di bene che il Signore dona ad ogni uomo e ha dato importanza agli affetti e ai sentimenti del cuore, oltre che alla mente, per poter amare Dio e il prossimo.

In conclusione, vorrei ricordare che il nostro Santo, analogamente a san Francesco di Sales – di cui ho parlato qualche settimana fa – insiste nel dire che la santità è accessibile ad ogni cristiano: “Il religioso da religioso, il secolare da secolare, il sacerdote da sacerdote, il maritato da maritato, il mercante da mercante, il soldato da soldato, e così parlando d’ogni altro stato” (Pratica di amare Gesù Cristo. Opere ascetiche I, Roma 1933, p. 79). Ringraziamo il Signore che, con la sua Provvidenza, suscita santi e dottori in luoghi e tempi diversi, che parlano lo stesso linguaggio per invitarci a crescere nella fede e a vivere con amore e con gioia il nostro essere cristiani nelle semplici azioni di ogni giorno, per camminare sulla strada della santità, sulla strada strada verso Dio e verso la vera gioia. Grazie.

APPELLO

Depuis longtemps, ma pensée va souvent aux populations de la Côte d’Ivoire, traumatisées par de douloureuses luttes internes et de graves tensions sociales et politiques.

Alors que j’exprime ma proximité à tous ceux qui ont perdu un être cher et souffrent de la violence, je lance un appel pressant afin que soit engagé le plus vite possible un processus de dialogue constructif pour le bien commun. L’opposition dramatique rend plus urgent le rétablissement du respect et de la cohabitation pacifique. Aucun effort ne doit être épargné dans ce sens.

Avec ces sentiments, j’ai décidé d’envoyer dans ce noble Pays, le Cardinal Peter Kodwo Turkson, Président du Conseil pontifical “Justice et Paix”, afin qu’il manifeste ma solidarité et celle de l’Église universelle aux victimes du conflit, et encourage à la réconciliation et à la paix.

* * *

[[ Saluti in varie lingue: Je salue avec joie les pèlerins francophones venus de Grèce, France et Suisse! Durant ce temps de carême, et toujours, tout chrétien est appelé à la sainteté. Par la prière, par l’amour pour Jésus présent dans l’Eucharistie et par la pratique du sacrement de la réconciliation, vous vous sanctifierez et vous changerez le visage de l’humanité! Avec ma bénédiction!

I greet all the English-speaking pilgrims present at today’s Audience, especially those from England, Norway, Japan, the Philippines and the United States. To the choirs I express my gratitude for their praise of God in song. Upon all of you I cordially invoke the Lord’s blessings of joy and peace.

Von Herzen grüße ich alle deutschsprachigen Pilger, heute besonders das Präsidium des Österreichischen Gemeindebundes. Danken wir dem Herrn, der in seiner Vorsehung zu allen Zeiten Heilige wie Alfons Maria von Liguori erweckt, die uns einladen, im Glauben zu wachsen und mit Liebe und Freude unsere christliche Berufung zu leben. Sie zeigen uns durch ihr Leben, daß die Bindung an die Wahrheit und an das Gute zur Reife und zur wahren Selbstverwirklichung führt. Der Herr schenke uns allen dazu seine Gnade.

Saludo cordialmente a los peregrinos de lengua española, en particular a los alumnos del Seminario menor de Getafe, así como a los grupos provenientes de España, Chile, México y otros países latinoamericanos. Que a ejemplo de san Alfonso María de Ligorio recorramos con alegría nuestro camino de conversión y santidad, y pidamos al Señor que suscite en nuestro tiempo santos y doctores que sepan proponer a todos de una manera sencilla e incisiva el mensaje de Cristo y la belleza de su vida. Muchas gracias.

Amados peregrinos de língua portuguesa, queridos fiéis da paróquia de Santa Maria do Barreiro, na diocese de Setúbal: a minha saudação amiga para todos vós, com votos de um frutuoso empenho na caminhada quaresmal que estais fazendo. Que nada vos impeça de viver e crescer na amizade de Deus, e testemunhar a todos a sua bondade e misericórdia! Sobre vós e vossas famílias, desça a minha Bênção Apostólica.

Saluto in lingua polacca:

Serdecznie pozdrawiam polskich pielgrzymów, a szczególnie członków Polskiego Związku Niewidomych, który obchodzi sześćdziesięciolecie swego powstania, jak również dziennikarzy, którzy przygotowują się do relacjonowania wydarzeń związanych z beatyfikacją Jana Pawła II. Wszystkim tu obecnym życzę owocnego przeżywania Wielkiego Postu. Niech Bóg wam błogosławi.

Traduzione italiana:

Saluto cordialmente i pellegrini polacchi, in particolare i membri dell’Associazione Polacca dei Ciechi, che festeggia il 60° anniversario di fondazione, nonché i giornalisti che si preparano a divulgare gli eventi legati alla beatificazione di Giovanni Paolo II. A tutti auguro di vivere la Quaresima fruttuosamente. Dio vi benedica!

Saluto in lingua slovacca:

Srdečne pozdravujem pútnikov zo Slovenska, osobitne z Kňažej ako aj študentov a pedagógov Právnickej fakulty Univerzity Mateja Bela z Banskej Bystrice.
Bratia a sestry, v tejto pôstnej dobe je každý z nás pozvaný k vnútornej obnove, k zmiereniu s Bohom i s ľuďmi.
Prajem vám, aby aj táto púť do Ríma vám pomohla k nastúpeniu tejto cesty obnovy.
Ochotne žehnám vás i vaše rodiny vo vlasti.
Pochválený buď Ježiš Kristus!

Traduzione italiana:

Saluto cordialmente i pellegrini provenienti dalla Slovacchia, particolarmente quelli da Kňažia come pure gli studenti e i docenti della Facoltà di Diritto dell’Università Matej Bel di Banská Bystrica.
Fratelli e sorelle, in questo tempo di Quaresima ognuno di noi è chiamato al rinnovamento interiore, alla riconciliazione con Dio e con gli uomini. Vi auguro che il pellegrinaggio a Roma vi aiuti a percorrere questo cammino di rinnovamento.
Volentieri benedico voi e le vostre famiglie in Patria.
Sia lodato Gesù Cristo!

Saluto in lingua ucraina:

З великою радістю вітаю сьогодні Блаженнішого Святослава Шевчука, нового Верховного Архиєпископа Києво-Галицького, разом з єпископами та вірними, які його супроводжують. Запевняю мою постійну молитву, щоб Пресвята Тройця уділяла повноту дарів, зберігаючи в мирі та злагоді любий український народ.

[Ho la gioia di salutare oggi Sua Beatitudine Sviatoslav Shevchuk, nuovo Arcivescovo Maggiore di Kyiv-Halych, i Vescovi e i fedeli della Chiesa Greco-Cattolica Ucraina, che l’accompagnano. Assicuro la mia costante preghiera, perché la Santissima Trinità conceda abbondanza di beni, confermando nella pace e nella concordia l’amata nazione ucraina.]

Beatitudine, il Signore L’ha chiamata al servizio e alla guida di questa nobile Chiesa, parte di quel popolo che oltre mille anni fa ha ricevuto il Battesimo a Kyiv. Sono certo che, illuminato dall’azione dello Spirito Santo, presiederà la sua Chiesa, guidandola nella fede in Cristo Gesù secondo la propria tradizione e spiritualità, in comunione con la Sede di Pietro, che è vincolo visibile di quella unità per la quale tanti figli non hanno esitato ad offrire persino la propria vita.

In questo momento il mio grato ricordo va anche al Venerato fratello Sua Beatitudine il Card. Lubomyr Husar, Arcivescovo Maggiore emerito.

Per intercessione della Vergine Maria, Madre di Dio, invoco la benedizione del Signore su di Lei, sui Vescovi, i sacerdoti, i religiosi e le religiose e su tutti i fedeli.

Слава Ісусу Христу!

[Sia lodato Gesù Cristo!]]]

* * *

Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare saluto i fedeli di Acqui, accompagnati dal loro Pastore Mons. Giorgio Micchiardi e dal Vescovo emerito Mons. Livio Maritano, e qui convenuti nel ricordo della loro conterranea, la beata Chiara Badano. Cari amici, vi invito, sull'esempio della vostra Beata, a proseguire nell'impegno di adesione a Cristo e al Vangelo. Saluto i diaconi dell’Arcidiocesi di Milano, che saranno ordinati sacerdoti nel prossimo mese di giugno, ed auguro loro di essere pienamente conformati a Cristo Buon Pastore. Saluto i fedeli della parrocchia Santissimo Nome di Maria in Caserta, nel 25° anniversario di fondazione della loro comunità, incoraggiandoli a proseguire con gioia nell’impegno di evangelizzazione. Saluto i rappresentanti della Lega Italiana Calcio Professionistico e auspico che l’attività sportiva favorisca sempre i valori dell’amicizia, del rispetto e della solidarietà.

Il mio pensiero va infine ai giovani, ai malati e agli sposi novelli. Il tempo quaresimale, con i suoi ripetuti inviti alla conversione, vi conduca, cari giovani, a un amore sempre più consapevole verso Cristo e la sua Chiesa; aumenti in voi, cari malati, la certezza che il Signore crocifisso ci sostiene nella prova; aiuti voi, cari sposi novelli, a fare della vostra vita coniugale un cammino di costante crescita nell’amore fedele e generoso.

© Copyright 2011 - Libreria Editrice Vaticana

mercoledì 30 marzo 2011

Dio è amore

La Summa Teologica - Tredicesima parte - Se Dio esista

Torniamo ad addentrarci nella Summa Teologica di San Tommaso d'Aquino, un'opera che diede un fondamento scientifico, filosofico e teologico alla dottrina cristiana. Continuiamo a scoprire la parte dedicata al Trattato relativo all'essenza di Dio e scopriamo le risposte di San Tommaso ai dubbi e alle questioni:

Prima parte
Trattato relativo all'essenza di Dio 
 
Se Dio esista

Prima parte
Questione 2
Articolo 3


SEMBRA che Dio non esista. Infatti:
1. Se di due contrari uno è infinito, l'altro resta completamente distrutto. Ora, nel nome Dio s'intende affermato un bene infinito. Dunque, se Dio esistesse, non dovrebbe esserci più il male. Viceversa nel mondo c'è il male. Dunque Dio non esiste.


2. Ciò che può essere compiuto da un ristretto numero di cause, non si vede perché debba compiersi da cause più numerose. Ora tutti i fenomeni che avvengono nel mondo, potrebbero essere prodotti da altre cause, nella supposizione che Dio non esistesse: poiché quelli naturali si riportano, come a loro principio, alla natura, quelli volontari, alla ragione o volontà umana. Nessuna necessità, quindi, dell'esistenza di Dio.


IN CONTRARIO: Nell'Esodo si dice, in persona di Dio: "Io sono Colui che è".


RISPONDO: Che Dio esista si può provare per cinque vie. La prima e la più evidente è quella che si desume dal moto. È certo infatti e consta dai sensi, che in questo mondo alcune cose si muovono. Ora, tutto ciò che si muove è mosso da un altro. Infatti, niente si trasmuta che non sia potenziale rispetto al termine del movimento; mentre chi muove, muove in quanto è in atto. Perché muovere non altro significa che trarre qualche cosa dalla potenza all'atto; e niente può essere ridotto dalla potenza all'atto se non mediante un essere che è già in atto. P. es., il fuoco che è caldo attualmente rende caldo in atto il legno, che era caldo soltanto potenzialmente, e così lo muove e lo altera. Ma non è possibile che una stessa cosa sia simultaneamente e sotto lo stesso aspetto in atto ed in potenza: lo può essere soltanto sotto diversi rapporti: così ciò che è caldo in atto non può essere insieme caldo in potenza, ma è insieme freddo in potenza. È dunque impossibile che sotto il medesimo aspetto una cosa sia al tempo stesso movente e mossa, cioè che muova se stessa. È dunque necessario che tutto ciò che si muove sia mosso da un altro. Se dunque l'essere che muove è anch'esso soggetto a movimento, bisogna che sia mosso da un altro, e questo da un terzo e così via. Ora, non si può in tal modo procedere all'infinito, perché altrimenti non vi sarebbe un primo motore, e di conseguenza nessun altro motore, perché i motori intermedi non muovono se non in quanto sono mossi dal primo motore, come il bastone non muove se non in quanto è mosso dalla mano. Dunque è necessario arrivare ad un primo motore che non sia mosso da altri; e tutti riconoscono che esso è Dio.
La seconda via parte dalla nozione di causa efficiente. Troviamo nel mondo sensibile che vi è un ordine tra le cause efficienti, ma non si trova, ed è impossibile, che una cosa sia causa efficiente di se medesima; ché altrimenti sarebbe prima di se stessa, cosa inconcepibile. Ora, un processo all'infinito nelle cause efficienti è assurdo. Perché in tutte le cause efficienti concatenate la prima è causa dell'intermedia, e l'intermedia è causa dell'ultima, siano molte le intermedie o una sola; ora, eliminata la causa è tolto anche l'effetto: se dunque nell'ordine delle cause efficienti non vi fosse una prima causa, non vi sarebbe neppure l'ultima, né l'intermedia. Ma procedere all'infinito nelle cause efficienti equivale ad eliminare la prima causa efficiente; e così non avremo neppure l'effetto ultimo, né le cause intermedie: ciò che evidentemente è falso. Dunque bisogna ammettere una prima causa efficiente, che tutti chiamano Dio.
La terza via è presa dal possibile (o contingente) e dal necessario, ed è questa. Tra le cose noi ne troviamo di quelle che possono essere e non essere; infatti alcune cose nascono e finiscono, il che vuol dire che possono essere e non essere. Ora, è impossibile che tutte le cose di tal natura siano sempre state, perché ciò che può non essere, un tempo non esisteva. Se dunque tutte le cose (esistenti in natura sono tali che) possono non esistere, in un dato momento niente ci fu nella realtà. Ma se questo è vero, anche ora non esisterebbe niente, perché ciò che non esiste, non comincia ad esistere se non per qualche cosa che è. Dunque, se non c'era ente alcuno, è impossibile che qualche cosa cominciasse ad esistere, e così anche ora non ci sarebbe niente, il che è evidentemente falso. Dunque non tutti gli esseri sono contingenti, ma bisogna che nella realtà vi sia qualche cosa di necessario. Ora, tutto ciò che è necessario, o ha la causa della sua necessità in altro essere oppure no. D'altra parte, negli enti necessari che hanno altrove la causa della loro necessità, non si può procedere all'infinito, come neppure nelle cause efficienti secondo che si è dimostrato. Dunque bisogna concludere all'esistenza di un essere che sia di per sé necessario, e non tragga da altri la propria necessità, ma sia causa di necessità agli altri. E questo tutti dicono Dio.
La quarta via si prende dai gradi che si riscontrano nelle cose. È un fatto che nelle cose si trova il bene, il vero, il nobile e altre simili perfezioni in un grado maggiore o minore. Ma il grado maggiore o minore si attribuisce alle diverse cose secondo che esse si accostano di più o di meno ad alcunché di sommo e di assoluto; così più caldo è ciò che maggiormente si accosta al sommamente caldo. Vi è dunque un qualche cosa che è vero al sommo, ottimo e nobilissimo, e di conseguenza qualche cosa che è il supremo ente; perché, come dice Aristotele, ciò che è massimo in quanto vero, è tale anche in quanto ente. Ora, ciò che è massimo in un dato genere, è causa di tutti gli appartenenti a quel genere, come il fuoco, caldo al massimo, è cagione di ogni calore, come dice il medesimo Aristotele. Dunque vi è qualche cosa che per tutti gli enti è causa dell'essere, della bontà e di qualsiasi perfezione. E questo chiamiamo Dio.
La quinta via si desume dal governo delle cose. Noi vediamo che alcune cose, le quali sono prive di conoscenza, cioè i corpi fisici, operano per un fine, come appare dal fatto che esse operano sempre o quasi sempre allo stesso modo per conseguire la perfezione: donde appare che non a caso, ma per una predisposizione raggiungono il loro fine. Ora, ciò che è privo d'intelligenza non tende al fine se non perché è diretto da un essere conoscitivo e intelligente, come la freccia dall'arciere. Vi è dunque un qualche essere intelligente, dal quale tutte le cose naturali sono ordinate a un fine: e quest'essere chiamiamo Dio.


SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Come dice S. Agostino: "Dio, essendo sommamente buono, non permetterebbe in nessun modo che nelle sue opere ci fosse del male, se non fosse tanto potente e tanto buono, da saper trarre il bene anche dal male". Sicché appartiene all'infinita bontà di Dio il permettere che vi siano dei mali per trarne dei beni.

Alla Questione precedente
2. Certo, la natura ha le sue operazioni, ma siccome le compie per un fine determinato sotto la direzione di un agente superiore, è necessario che siano attribuite anche a Dio, come a loro prima causa. Similmente gli atti del libero arbitrio devono essere ricondotti ad una causa più alta della ragione e della volontà umana, perché queste sono mutevoli e defettibili, e tutto ciò che è mutevole e tutto ciò che può venir meno, deve essere ricondotto a una causa prima immutabile e di per sé necessaria, come si è dimostrato.

martedì 29 marzo 2011

San Pietro e il Risorto

Riscoprire i Santi - San Pietro Apostolo

Torna anche per questo martedì, l'appunto settimanale volto alla scoperta dei nostri cari Santi! Il Santo di cui parleremo quest'oggi è il primo pastore della nostra amata Chiesa Cattolica  e cioè Simon Pietro. Pietro per la sua vita è nostro precursore: è il primo uomo infatti insieme a suo fratello a ricevere la chiamata di Gesù al servizio, mentre pescava lungo il mare di Galilea. Anche noi come Pietro abbiamo ricevuto la chiamata del Signore in un momento normale della nostra vita, lui mentre pescava, noi magari mentre eravamo in ufficio o a scuola o nei campi, etc. Un normale uomo chiamato da Dio in un normale momento della sua vita per svolgere un grande compito dal quale derivano responsabilità enormi: guidare il Suo popolo. Chi lo avrebbe immaginato che Dio avrebbe chiesto aiuto ad un uomo per guidare il Suo gregge? Il Signore in verità avrebbe bisogno del nostro aiuto perché è Onnipotente, ma poiché Egli è Dio d'Amore desidera che noi collaboriamo nel Suo disegno di salvezza per renderci partecipi della Sua gioia. Così Simon Pietro quando sentii la chiamata di Gesù, non immaginava minimamente il difficile compito al quale era chiamato ad assolvere. Nella persona di Simon Pietro si rispecchia la Chiesa pellegrina; quante volte Pietro è caduto e quante volte Gesù lo ha perdonato! Questo Santo straordinario ci farà assaporare l'amore misericordioso di Gesù nei confronti dell'umanità e soprattutto ci ricorderà la dignità e la responsabilità che la Chiesa Cattolica ha ricevuto da Cristo attraverso il mandato di Pietro. Quanto segue è la scheda sul primo Papa tratta dal sito Santi e Beati.it, seguita da una selezione di alcuni passi del Vangelo riguardanti Pietro e sul finire alcune parole dello stesso Apostolo tratte dalle sue lettere, seguite infine da una preghiera rivolta al Santo primo Pontefice:

San Pietro è l’apostolo investito della dignità di primo papa da Gesù Cristo stesso: “Tu sei Pietro e su questa pietra fonderò la mia Chiesa”. Pur non essendo stato il primo a portare la fede a Roma, ne divenne insieme a s. Paolo, fondatore della Roma cristiana, stabilizzando e coordinando la prima Comunità, confermandola nella Fede e testimoniando con il martirio la sua fedeltà a Cristo.
Nacque a Bethsaida in Galilea, pescatore sul lago di Tiberiade, insieme al fratello Andrea, il suo nome era Simone, che in ebraico significava “Dio ha ascoltato”; sposato e forse vedovo perché nel Vangelo è citata solo la suocera, mentre nei Vangeli apocrifi è riportato che aveva una figlia, la leggendaria santa Petronilla; il fratello Andrea, dopo aver ascoltato l’esclamazione di Giovanni Battista: ”Ecco l’Agnello di Dio!” indicando Gesù, si era recato a conoscerlo ed ascoltarlo e convintosi, disse poi a Simone “Abbiamo trovato il Messia!” e lo condusse con sé da Gesù.
Pietro fu chiamato da Cristo a seguirlo dicendogli “Tu sei Simone il figlio di Giovanni; ti chiamerai Cefa = Pietro (che in latino è tradotto Petrus); in seguito dopo la pesca miracolosa, avrà la promessa da Cristo che diventerà pescatore di anime.
Fu tra i più intraprendenti e certamente il più impulsivo degli Apostoli, per cui ne divenne il portavoce e capo riconosciuto, con la celebre promessa del primato: “E io ti dico che sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le porte dell’inferno non prevarranno contro di essa. Ti darò le chiavi del regno dei cieli e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli”.
Ciò nonostante anche lui fu preso da grande timore durante l’arresto e il supplizio di Gesù, e lo rinnegò tre volte. Ma si pentì subito di ciò e pianse lagrime amare di rimorso; egli non è un’asceta, un diplomatico, anzi è uno che afferma drasticamente le cose e le dice, protesta come quando il Maestro preannuncia la sua imminente morte, Pietro pensa e poi afferma: “Il Maestro deve morire? Assurdo!”, come altrettanto decisamente si rifiuta di farsi lavare i piedi da Gesù, durante l’ultima cena, ma in questa ed altre occasioni riceve i rimproveri del Maestro ed egli pur non comprendendo, accetta sempre, perché sapeva od aveva intuito di trovarsi davanti alla Verità.
È un uomo semplice, schietto, diremmo sanguigno, agisce d’impeto come quando cerca con la spada, di opporsi alla cattura di Gesù, che ancora una volta lo riprende per queste sue reazioni di essere umano, non ancora conscio, del grande evento della Redenzione e quindi, privato delle sue forze solo umane, non gli resta altro che fuggire ed assistere impotente ed angosciato agli episodi della Passione di Cristo.
Dopo la crocifissione e la Resurrezione, Pietro ormai convinto della missione salvifica del suo Maestro, riprende coraggio e torna quindi a radunare gli altri Apostoli e discepoli dispersi, infondendo coraggio a tutti, fino alla riunione nel Cenacolo cui partecipa anche Maria.
Lì ricevettero lo Spirito Santo, ebbero così la forza di affrontare i nemici del nascente cristianesimo e con il miracolo della comprensione delle lingue, uscirono a predicare le Verità della nuova Fede.
Gli Apostoli nell’ardore di propagare il Cristianesimo a tutte le genti, non solo agli israeliti, dopo 12 anni trascorsi a Gerusalemme, si sparsero per il mondo conosciuto di allora.
Pietro ebbe il dono di operare miracoli, alla porta del tempio guarì un povero storpio, suscitando entusiasmo tra il popolo e preoccupazione nel Sinedrio. Anania e Zaffira caddero ai suoi piedi stecchiti, per aver mentito e Simon Mago che voleva con i suoi soldi comprare da lui il potere di fare miracoli, subì parole durissime e cadendo rovinosamente, in un tentativo di operarli da solo.
Risuscitò Tabita a Giaffa per la gioia di quella comunità fuori Gerusalemme. Ammise al battesimo il centurione romano Cornelio e la sua famiglia, stabilendo così che cristiani potevano essere anche i pagani e chi non era circonciso, come fino allora prescriveva la legge ebraica di Mosè.
Subì il carcere e miracolosamente liberato, lasciò Gerusalemme, dove la vita era diventata molto rischiosa a causa della persecuzione di Erode Antipa, intraprese vari viaggi, poi nell’anno 42 dell’era cristiana dopo essere stato ad Antiochia, giunse in Italia proseguendo fino a Roma ‘caput mundi’, centro dell’immenso Impero Romano, ne fu vescovo e primo papa per 25 anni, anche se interrotti da qualche viaggio apostolico.
A causa dell’incendio di Roma dell’anno 644, di cui furono incolpati i cristiani, avvenne la prima persecuzione voluta da Nerone; fra le migliaia e migliaia di vittime vi fu anche Pietro il quale finì nel carcere Mamertino e nel 67 (alcuni studiosi dicono nel 64), fu crocifisso sul colle Vaticano nel circo Neroniano, la tradizione antichissima fa risalire allo storico cristiano Origene, la prima notizia che Pietro fu crocifisso per sua volontà, con la testa in giù; nello stesso anno s. Paolo veniva decollato sempre a Roma ma fuori le mura.
Il corpo di Pietro venne sepolto a destra della via Cornelia, dove fu poi innalzata la Basilica Costantiniana.
La grandezza di Pietro consiste principalmente nella dignità di cui fu rivestito e che trascendendo la sua persona, si perpetua nell’istituzione del papato. Primo papa, Vicario di Cristo, capo visibile della Chiesa, egli è il capolista di una gerarchia che da venti secoli si avvicenda nella guida dei fedeli credenti.
L’umile pescatore di Bethsaida, si trovò a guidare la nascente Chiesa, in un periodo cruciale per l’affermazione nel mondo pagano dei principi del Cristianesimo; istituì il primo ordinamento ecclesiastico e la recita del ‘Pater noster’.
Indisse il 1° Concilio di Gerusalemme, fu ispiratore del Vangelo di Marco, autore di due lettere apostoliche nonostante la sua scarsa cultura, nominò apostolo il discepolo Mattia al posto del suicida Giuda Iscariote.
Il primo simbolo che caratterizza la figura di Pietro e dei suoi successori è la ‘Cattedra’, segno della potestà di insegnare, confermare, guidare e governare il popolo cristiano, la ‘cattedra’ è inserita nel grande capolavoro della “Gloria” del Bernini, che sovrasta l’altare maggiore in fondo alla Basilica Vaticana, a sua volta sovrastata dall’allegoria della colomba, raffigurante lo Spirito Santo che l’assiste e lo guida.
Il secondo simbolo, il più diffuso, è lo stemma pontificio, comprendente una tiara, copricapo esclusivo del papa con le chiavi incrociate. La tiara porta tre corone sovrapposte, quale simbolo dell’immensa potestà del pontefice (nel pontificale romano del 1596, la tiara o triregno, stava ad indicare il papa come padre dei principi e dei re, rettore del mondo cattolico e Vicario di Cristo). Questo simbolo perpetuato e arricchito nei secoli da artisti insigni, nelle loro opere di pittura, scultura, araldica, raffiguranti i vari papi, oggi non è più usata e nelle cerimonie d’incoronazione è stata sostituita dalla mitria vescovile.
Questo ad indicare che il papa più che essere al disopra di tutti regnanti, è invece vescovo tra i vescovi e che il suo primato è tale perché vescovo di Roma, a cui la tradizione apostolica millenaria aveva affidato tale compito. Le chiavi simboleggiano la potestà di aprire e chiudere il regno dei cieli, come detto da Gesù a Pietro.
Per tutti i secoli successivi, s. Pietro, rimase fino al 1846 il papa che aveva governato più a lungo di tutti con i suoi 25 anni, poi venne Pio IX con i suoi 32 anni di governo; ma l’attuale pontefice Giovanni Paolo II ha raggiunto anch’egli il quarto di secolo come s. Pietro.
Nessun successore per rispetto, ha voluto chiamarsi Pietro. Nella Basilica Vaticana, nella cripta sotto il maestoso altare con il baldacchino del Bernini, detto della ‘Confessione’, vi sono le reliquie di s. Pietro, venute alla luce durante i lavori di restauro e consolidamento archeologico, fatti eseguire da papa Pio XII negli anni ’50.
Sulla destra dell’immensa navata centrale, vi è la statua bronzea, opera attribuita ad Arnolfo di Cambio, raffigurante l’Apostolo assiso in cattedra, essa si trovava originariamente nel mausoleo che all’inizio del V secolo l’imperatore Onorio, volle costruire sul lato sinistro della basilica, per stare accanto alla tomba del martire; durante le cerimonie pontificie essa viene rivestita con i paramenti papali.
Sporgente dal basamento vi è il piede, ormai consumato dallo strofinio delle mani e dal tradizionale bacio di milioni di fedeli e pellegrini, alternatosi nei secoli e provenienti da tutte le Nazioni.
La festa, o più esattamente la solennità, dei ss. Pietro e Paolo al 29 giugno, è una delle più antiche e più solenni dell’anno liturgico. Essa venne inserita nel messale ben prima della festa del Natale e vi era già nel secolo IV l’usanza di celebrare in questo giorno tre S. Messe: la prima nella basilica di S. Pietro in Vaticano, la seconda a S. Paolo fuori le mura e la terza nelle catacombe di S. Sebastiano, dove le reliquie dei due apostoli dovettero essere nascoste per qualche tempo, per sottrarle alle profanazioni barbariche. 
Il giorno 29 giugno sembrerebbe essere la ‘cristianizzazione’ di una ricorrenza pagana, che esaltava le figure di Romolo e Remo, i due mitici fondatori di Roma, come i due apostoli Pietro e Paolo sono considerati i fondatori della Roma cristiana.

Autore: Antonio Borrelli


*** *** *** *** *** *** *** *** *** *** *** ***

Alcuni passi significativi del Vangelo su Simon Pietro

Disse loro: «Voi chi dite che io sia?». Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». E Gesù: «Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l'hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli. E io ti dico: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli. (Giovanni 16,15-19)

Prendendo allora la parola, Pietro disse a Gesù: «Maestro, è bello per noi stare qui; facciamo tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia!». (Marco 9,5)

Allora Pietro prendendo la parola disse: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito; che cosa dunque ne otterremo?». E Gesù disse loro: «In verità vi dico: voi che mi avete seguito, nella nuova creazione, quando il Figlio dell'uomo sarà seduto sul trono della sua gloria, siederete anche voi su dodici troni a giudicare le dodici tribù di Israele. Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna. Molti dei primi saranno ultimi e gli ultimi i primi». (Mt 19,27-30)

La mattina seguente, passando, videro il fico seccato fin dalle radici. Allora Pietro, ricordatosi, gli disse: «Maestro, guarda: il fico che hai maledetto si è seccato». Gesù allora disse loro: «Abbiate fede in Dio! In verità vi dico: chi dicesse a questo monte: Lèvati e gettati nel mare, senza dubitare in cuor suo ma credendo che quanto dice avverrà, ciò gli sarà accordato. Per questo vi dico: tutto quello che domandate nella preghiera, abbiate fede di averlo ottenuto e vi sarà accordato. Quando vi mettete a pregare, se avete qualcosa contro qualcuno, perdonate, perché anche il Padre vostro che è nei cieli perdoni a voi i vostri peccati». (Mc 11,20-26)

Pietro gli disse: «Signore, se sei tu, comanda che io venga da te sulle acque». Ed egli disse: «Vieni!». Pietro, scendendo dalla barca, si mise a camminare sulle acque e andò verso Gesù. Ma per la violenza del vento, s'impaurì e, cominciando ad affondare, gridò: «Signore, salvami!». E subito Gesù stese la mano, lo afferrò e gli disse: «Uomo di poca fede, perché hai dubitato?». (Mt 14,28-31)

Simon Pietro gli dice: «Signore, dove vai?». Gli rispose Gesù: «Dove io vado per ora tu non puoi seguirmi; mi seguirai più tardi». (Gv 13,36)

Dopo questi fatti, Gesù si manifestò di nuovo ai discepoli sul mare di Tiberìade. E si manifestò così: si trovavano insieme Simon Pietro, Tommaso detto Dìdimo, Natanaèle di Cana di Galilea, i figli di Zebedèo e altri due discepoli. Disse loro Simon Pietro: «Io vado a pescare». Gli dissero: «Veniamo anche noi con te». Allora uscirono e salirono sulla barca; ma in quella notte non presero nulla. Quando già era l'alba Gesù si presentò sulla riva, ma i discepoli non si erano accorti che era Gesù. Gesù disse loro: «Figlioli, non avete nulla da mangiare?». Gli risposero: «No». Allora disse loro: «Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete». La gettarono e non potevano più tirarla su per la gran quantità di pesci. Allora quel discepolo che Gesù amava disse a Pietro: «È il Signore!». Simon Pietro appena udì che era il Signore, si cinse ai fianchi la sopravveste, poiché era spogliato, e si gettò in mare. Gli altri discepoli invece vennero con la barca, trascinando la rete piena di pesci: infatti non erano lontani da terra se non un centinaio di metri. Appena scesi a terra, videro un fuoco di brace con del pesce sopra, e del pane. Disse loro Gesù: «Portate un po' del pesce che avete preso or ora». Allora Simon Pietro salì nella barca e trasse a terra la rete piena di centocinquantatré grossi pesci. E benché fossero tanti, la rete non si spezzò. Gesù disse loro: «Venite a mangiare». E nessuno dei discepoli osava domandargli: «Chi sei?», poiché sapevano bene che era il Signore. Allora Gesù si avvicinò, prese il pane e lo diede a loro, e così pure il pesce. Questa era la terza volta che Gesù si manifestava ai discepoli, dopo essere risuscitato dai morti. Quand'ebbero mangiato, Gesù disse a Simon Pietro: «Simone di Giovanni, mi ami tu più di costoro?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti amo». Gli disse: «Pasci i miei agnelli». Gli disse di nuovo: «Simone di Giovanni, mi ami?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti amo». Gli disse: «Pasci le mie pecorelle». Gli disse per la terza volta: «Simone di Giovanni, mi ami?». Pietro rimase addolorato che per la terza volta gli dicesse: Mi ami?, e gli disse: «Signore, tu sai tutto; tu sai che ti amo». Gli rispose Gesù: «Pasci le mie pecorelle. In verità, in verità ti dico: quando eri più giovane ti cingevi la veste da solo, e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi». Questo gli disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio. E detto questo aggiunse: «Seguimi». Pietro allora, voltatosi, vide che li seguiva quel discepolo che Gesù amava, quello che nella cena si era trovato al suo fianco e gli aveva domandato: «Signore, chi è che ti tradisce?». Pietro dunque, vedutolo, disse a Gesù: «Signore, e lui?». Gesù gli rispose: «Se voglio che egli rimanga finché io venga, che importa a te? Tu seguimi». Si diffuse perciò tra i fratelli la voce che quel discepolo non sarebbe morto. Gesù però non gli aveva detto che non sarebbe morto, ma: «Se voglio che rimanga finché io venga, che importa a te?». (Gv 21,1-23)


*** *** *** *** *** *** *** *** *** *** *** ***

Dalle Lettere di San Pietro Apostolo

Pietro, apostolo di Gesù Cristo, ai fedeli dispersi nel Ponto, nella Galazia, nella Cappadòcia, nell'Asia e nella Bitinia, eletti secondo la prescienza di Dio Padre, mediante la santificazione dello Spirito, per obbedire a Gesù Cristo e per essere aspersi del suo sangue: grazia e pace a voi in abbondanza. (1Pietro 1,1-2)

Carissimi, io vi esorto come stranieri e pellegrini ad astenervi dai desideri della carne che fanno guerra all'anima. La vostra condotta tra i pagani sia irreprensibile, perché mentre vi calunniano come malfattori, al vedere le vostre buone opere giungano a glorificare Dio nel giorno del giudizio. (1Pietro 2,11-12)

Poiché dunque Cristo soffrì nella carne, anche voi armatevi degli stessi sentimenti; chi ha sofferto nel suo corpo ha rotto definitivamente col peccato, per non servire più alle passioni umane ma alla volontà di Dio, nel tempo che gli rimane in questa vita mortale. (1Pietro 4,1-2)

Esorto gli anziani che sono tra voi, quale anziano come loro, testimone delle sofferenze di Cristo e partecipe della gloria che deve manifestarsi: pascete il gregge di Dio che vi è affidato, sorvegliandolo non per forza ma volentieri secondo Dio; non per vile interesse, ma di buon animo;  non spadroneggiando sulle persone a voi affidate, ma facendovi modelli del gregge. E quando apparirà il pastore supremo, riceverete la corona della gloria che non appassisce.
Ugualmente, voi, giovani, siate sottomessi agli anziani. Rivestitevi tutti di umiltà gli uni verso gli altri, perché Dio resiste ai superbi, ma dà grazia agli umili. Umiliatevi dunque sotto la potente mano di Dio, perché vi esalti al tempo opportuno, gettando in lui ogni vostra preoccupazione, perché egli ha cura di voi. Siate temperanti, vigilate. Il vostro nemico, il diavolo, come leone ruggente va in giro, cercando chi divorare. Resistetegli saldi nella fede, sapendo che i vostri fratelli sparsi per il mondo subiscono le stesse sofferenze di voi. E il Dio di ogni grazia, il quale vi ha chiamati alla sua gloria eterna in Cristo, egli stesso vi ristabilirà, dopo una breve sofferenza vi confermerà e vi renderà forti e saldi. A lui la potenza nei secoli. Amen! (1Pietro 5,1-11).


Ci sono stati anche falsi profeti tra il popolo, come pure ci saranno in mezzo a voi falsi maestri che introdurranno eresie perniciose, rinnegando il Signore che li ha riscattati e attirandosi una pronta rovina. Molti seguiranno le loro dissolutezze e per colpa loro la via della verità sarà coperta di impropèri. Nella loro cupidigia vi sfrutteranno con parole false; ma la loro condanna è già da tempo all'opera e la loro rovina è in agguato. Dio infatti non risparmiò gli angeli che avevano peccato, ma li precipitò negli abissi tenebrosi dell'inferno, serbandoli per il giudizio; non risparmiò il mondo antico, ma tuttavia con altri sette salvò Noè, banditore di giustizia, mentre faceva piombare il diluvio su un mondo di empi; condannò alla distruzione le città di Sòdoma e Gomorra, riducendole in cenere, ponendo un esempio a quanti sarebbero vissuti empiamente. Liberò invece il giusto Lot, angustiato dal comportamento immorale di quegli scellerati. Quel giusto infatti, per ciò che vedeva e udiva mentre abitava in mezzo a loro, si tormentava ogni giorno nella sua anima giusta per tali ignominie. Il Signore sa liberare i pii dalla prova e serbare gli empi per il castigo nel giorno del giudizio, soprattutto coloro che nelle loro impure passioni vanno dietro alla carne e disprezzano il Signore. (2Pietro 2,1-10)

E chi vi potrà fare del male, se sarete ferventi nel bene? E se anche doveste soffrire per la giustizia, beati voi! Non vi sgomentate per paura di loro, né vi turbate, ma adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi. (1Pietro 3,13-15)

Una cosa però non dovete perdere di vista, carissimi: davanti al Signore un giorno è come mille anni e mille anni come un giorno solo. Il Signore non ritarda nell'adempiere la sua promessa, come certuni credono; ma usa pazienza verso di voi, non volendo che alcuno perisca, ma che tutti abbiano modo di pentirsi. Il giorno del Signore verrà come un ladro; allora i cieli con fragore passeranno, gli elementi consumati dal calore si dissolveranno e la terra con quanto c'è in essa sarà distrutta. Poiché dunque tutte queste cose devono dissolversi così, quali non dovete essere voi, nella santità della condotta e nella pietà, attendendo e affrettando la venuta del giorno di Dio, nel quale i cieli si dissolveranno e gli elementi incendiati si fonderanno! E poi, secondo la sua promessa, noi aspettiamo nuovi cieli e una terra nuova, nei quali avrà stabile dimora la giustizia. Perciò, carissimi, nell'attesa di questi eventi, cercate d'essere senza macchia e irreprensibili davanti a Dio, in pace. La magnanimità del Signore nostro giudicatela come salvezza, come anche il nostro carissimo fratello Paolo vi ha scritto, secondo la sapienza che gli è stata data; così egli fa in tutte le lettere, in cui tratta di queste cose. In esse ci sono alcune cose difficili da comprendere e gli ignoranti e gli instabili le travisano, al pari delle altre Scritture, per loro propria rovina. Voi dunque, carissimi, essendo stati preavvisati, state in guardia per non venir meno nella vostra fermezza, travolti anche voi dall'errore degli empi; ma crescete nella grazia e nella conoscenza del Signore nostro e salvatore Gesù Cristo. A lui la gloria, ora e nel giorno dell'eternità. Amen! (2Pietro 3,8-18)




*** *** *** *** *** *** *** *** *** *** *** ***

Preghiera a San Pietro Apostolo

O glorioso S. Pietro che in premio
della vostra fede viva e generosa,
della vostra profonda e
sincera umiltà, del vostro
ardente amore foste
da Gesù Cristo contraddistinto
coi privilegi più singolari
e specialmente col principato
su tutti gli Apostoli,
colprimato su tutta la Chiesa, della
quale foste pure costituito
pietra e fondamento, otteneteci
la grazia di una fede viva,
che non abbia timore di palesarsi
apertamente nella sua integrità e
nelle sue manifestazioni,
e dare all'occorrenza anche il sangue
e la vita anzichè venir meno giammai.
lmpetrateci vero attaccamento
alla nostra Santa Madre Chiesa,
fate che ci teniamo sinceramente e
sempre strettamente uniti
al Romano Pontefice,
l'erede della vostra fede,
della vostra autorità, unico
vero Capo visibile della
Chiesa Cattolica, che è
quell'arca misteriosa fuori
della quale non v'è salvezza.
Fate che noi ne seguiamo
docili e sottomessi gli ammaestramenti
ed i consigli, e ne osserviamo
tutti i precetti,
affine di potere qui in terra
aver pace sicura e tranquilla, e giungere
un giorno all'eterna felicità in Cielo.

Così sia.

lunedì 28 marzo 2011

Riflessione Vangelo: 3 domenica quaresima (A)

Angelus Papa Benedetto XVI - 27 Marzo 2011


BENEDETTO XVI

ANGELUS

Piazza San Pietro
Domenica, 27 marzo 2011

 
Cari fratelli e sorelle!

Questa III Domenica di Quaresima è caratterizzata dal celebre dialogo di Gesù con la donna Samaritana, raccontato dall’evangelista Giovanni. La donna si recava tutti i giorni ad attingere acqua ad un antico pozzo, risalente al patriarca Giacobbe, e quel giorno vi trovò Gesù, seduto, “affaticato per il viaggio” (Gv 4,6). Sant’Agostino commenta: “Non per nulla Gesù si stanca … La forza di Cristo ti ha creato, la debolezza di Cristo ti ha ricreato … Con la sua forza ci ha creati, con la sua debolezza è venuto a cercarci” (In Ioh. Ev., 15, 2). La stanchezza di Gesù, segno della sua vera umanità, può essere vista come un preludio della passione, con la quale Egli ha portato a compimento l’opera della nostra redenzione. In particolare, nell’incontro con la Samaritana al pozzo, emerge il tema della “sete” di Cristo, che culmina nel grido sulla croce: “Ho sete” (Gv 19,28). Certamente questa sete, come la stanchezza, ha una base fisica. Ma Gesù, come dice ancora Agostino, “aveva sete della fede di quella donna” (In Ioh. Ev. 15, 11), come della fede di tutti noi. Dio Padre lo ha mandato a saziare la nostra sete di vita eterna, donandoci il suo amore, ma per farci questo dono Gesù chiede la nostra fede. L’onnipotenza dell’Amore rispetta sempre la libertà dell’uomo; bussa al suo cuore e attende con pazienza la sua risposta.

Nell’incontro con la Samaritana risalta in primo piano il simbolo dell’acqua, che allude chiaramente al sacramento del Battesimo, sorgente di vita nuova per la fede nella Grazia di Dio. Questo Vangelo, infatti, - come ho ricordato nella Catechesi del Mercoledì delle Ceneri - fa parte dell’antico itinerario di preparazione dei catecumeni all’iniziazione cristiana, che avveniva nella grande Veglia della notte di Pasqua. “Chi berrà dell’acqua che io gli darò – dice Gesù – non avrà più sete in eterno. Anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna” (Gv 4,14). Quest’acqua rappresenta lo Spirito Santo, il “dono” per eccellenza che Gesù è venuto a portare da parte di Dio Padre. Chi rinasce dall’acqua e dallo Spirito Santo, cioè nel Battesimo, entra in una relazione reale con Dio, una relazione filiale, e può adorarLo “in spirito e verità” (Gv 4,23.24), come rivela ancora Gesù alla donna Samaritana. Grazie all’incontro con Gesù Cristo e al dono dello Spirito Santo, la fede dell’uomo giunge al suo compimento, come risposta alla pienezza della rivelazione di Dio.

Ognuno di noi può immedesimarsi con la donna Samaritana: Gesù ci aspetta, specialmente in questo tempo di Quaresima, per parlare al nostro, al mio cuore. Fermiamoci un momento in silenzio, nella nostra stanza, o in una chiesa, o in un luogo appartato. Ascoltiamo la sua voce che ci dice: “Se tu conoscessi il dono di Dio…”. Ci aiuti la Vergine Maria a non mancare a questo appuntamento, da cui dipende la nostra vera felicità.

APPELLO

Di fronte alle notizie, sempre più drammatiche, che provengono dalla Libia, cresce la mia trepidazione per l’incolumità e la sicurezza della popolazione civile e la mia apprensione per gli sviluppi della situazione, attualmente segnata dall’uso delle armi. Nei momenti di maggiore tensione si fa più urgente l’esigenza di ricorrere ad ogni mezzo di cui dispone l’azione diplomatica e di sostenere anche il più debole segnale di apertura e di volontà di riconciliazione fra tutte le Parti coinvolte, nella ricerca di soluzioni pacifiche e durature.

In questa prospettiva, mentre elevo al Signore la mia preghiera per un ritorno alla concordia in Libia e nell’intera Regione nordafricana, rivolgo un accorato appello agli organismi internazionali e a quanti hanno responsabilità politiche e militari, per l’immediato avvio di un dialogo, che sospenda l’uso delle armi.

Il mio pensiero si indirizza, infine, alle Autorità ed ai cittadini del Medio Oriente, dove nei giorni scorsi si sono verificati diversi episodi di violenza, perché anche là sia privilegiata la via del dialogo e della riconciliazione nella ricerca di una convivenza giusta e fraterna.

Dopo l'Angelus:

[[Saluti in varie lingue: En ce dimanche, chers pèlerins francophones, Jésus se présente à nous comme un mendiant: «Donne-moi à boire!». Prenons le temps d’écouter son appel. Saurons-nous, comme la Samaritaine, Le reconnaître comme l’unique source de vie qui répond à la quête profonde de l’homme? Oui, seule l’eau qu’Il donne peut étancher notre soif de bien, de vérité, de beauté! Laissons de côté l’idolâtrie du bien-être matériel et de l’éphémère qui laisse le cœur inquiet et vide. Soyons attentifs et accueillants aux besoins des autres pour partager avec eux. Chers amis, en donnant plus de temps à la prière, puissions-nous être des adorateurs en esprit et en vérité et des témoins joyeux du Dieu vivant! Avec ma bénédiction pour vous et pour vos familles !

I offer a warm greeting to all the English-speaking visitors present for this Angelus prayer. In today’s Gospel Jesus speaks to the Samaritan women of the gift of the Holy Spirit, the water which wells up to eternal life in those who believe. Through our Lenten observance may all of us be renewed in the grace of our Baptism and prepare with hearts renewed to celebrate the gift of new life at Easter. Upon you and your families I invoke God’s blessings of joy and peace!

Mit Freude grüße ich alle Brüder und Schwestern deutscher Sprache, insbesondere die Pilger aus Mannheim und die Teilnehmer an der Siebenkirchenwallfahrt des Collegium Germanicum et Hungaricum. Wasser und Nahrung sind für den Menschen lebensnotwendig. Doch in unserem Inneren verspüren wir einen tieferen Hunger und Durst. Jesus will diese verschüttete Sehnsucht nach dem Wahren, Schönen und Guten, nach Gott in uns wachrufen. Wo wir durch Sünde und Gottferne auszutrocknen drohen, gibt er sich selbst als das Wasser, das in uns zur sprudelnden Quelle wird und wirkliches Leben schenkt. Lassen wir die Frische seiner Liebe in uns neu lebendig werden. Der Herr segne euch alle.

Saludo con afecto a los peregrinos de lengua española que participan en esta oración mariana, en particular al grupo del Instituto Sofía Casanova, de Ferrol. En este tercer domingo de Cuaresma, la liturgia nos presenta el diálogo de Jesús con la samaritana. El Señor ofrece agua de vida que apaga toda sed; agua que es su mismo Espíritu y se nos comunica en el Bautismo. Os animo para que en este tiempo, renovando los compromisos de fe, os encontréis con el Mesías que colma de gracia y verdad, y podáis ofrecer el culto de alabanza que brota de un discípulo fiel. Feliz domingo.

Saúdo os peregrinos de língua portuguesa, em particular a comunidade romana dos fiéis brasileiros, que está realizando a sua peregrinação quaresmal, e os alunos e professores do Colégio de São Tomás em Lisboa, que recordam a minha Visita a Portugal do ano passado. Agradecido pela vossa presença e união na oração, desejo a todos a água viva que Jesus ofereceu à Samaritana, dizendo-lhe que a mesma se torna uma fonte que jorra para a vida eterna. Que Deus vos guarde e abençoe!

Serdeczne pozdrowienie kieruję do Polaków. Dziś św. Paweł przypomina nam, że „Bóg okazuje nam swoją miłość przez to, że Chrystus umarł za nas, gdyśmy byli jeszcze grzesznikami” (Rz 5, 8). Jest to wezwanie, abyśmy pokonując w sobie grzech, coraz pełniej odpowiadali na tę uprzedzającą miłość Boga. Niech nam w tym pomaga czas Wielkiego Postu. Niech Bóg wam błogosławi!

[Un cordiale saluto rivolgo ai polacchi. Oggi san Paolo ci ricorda che “Dio dimostra il suo amore verso di noi perché, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi” (Rm 5, 8). é un invito affinché, vincendo il peccato in noi, sempre più pienamente rispondiamo al preveniente amore di Dio. Il tempo della Quaresima, favorisca questo itinerario spirituale. Dio vi benedica!]

S láskou pozdravujem slovenských pútnikov, osobitne z farnosti svätého Šimona a Júdu v Hornej Ždani. Bratia a sestry, Pôstne obdobie nás pobáda, aby sme uznali v Ježišovi Kristovi našu najväčšiu nádej. Pozývam vás, aby ste boli vo svete vernými svedkami jeho Radostnej zvesti o vykúpení. Zo srdca vás žehnám. Pochválený buď Ježiš Kristus!

[Saluto con affetto i pellegrini slovacchi, particolarmente quelli provenienti dalla Parrocchia dei Santi Simone e Giuda di Horná Ždaňa. Fratelli e sorelle, il Tempo della Quaresima ci esorta a riconoscere Gesù Cristo come nostra suprema speranza. Vi invito ad essere nel mondo testimoni fedeli della Buona Novella della redenzione. Di cuore vi benedico. Sia lodato Gesù Cristo!]]

Infine, saluto cordialmente i pellegrini di lingua italiana, in particolare il Cardinale Elio Sgreccia e i partecipanti al convegno sul tema: “Bambini non nati: l’onore e la pietà”, che ha richiamato al sacro rispetto per i nascituri abortiti. Saluto le famiglie del Movimento dell’Amore Familiare e quanti questa notte, nella chiesa di San Gregorio VII, hanno vegliato pregando per la drammatica situazione in Libia. Saluto i fedeli venuti dalla diocesi di Pozzuoli, i ragazzi del Decanato di Rho e quelli di Castel Ritaldi, come pure il gruppo della Scuola Primaria di Lierna e gli ex-alunni della Scuola delle Ancelle del Sacro Cuore di Gesù in Milano. A tutti auguro una buona domenica. Buona domenica e buona settimana a voi tutti, Grazie.

© Copyright 2011 - Libreria Editrice Vaticana

domenica 27 marzo 2011

Video vangelo: 3 domenica quaresima (A)

E la brocca?


(Gv 4,5-42)
3^ domenica di Quaresima 
 
Oggi vediamo Gesù che si rimette in cammino: lascia la Giudea e si dirige verso la Galilea, ma per arrivarci deve attraversare la Samaria. La Palestina ai tempi di Gesù si suddivideva in tre regioni principali: la Galilea a Nord, la Samaria, zona intermedia e la Giudea a Sud.
L’ostilità tra Giudei e Samaritani durava da tanto tempo: risaliva addirittura al 700 a.C. circa.

• Perché stanco?

I Samaritani erano considerati dai Giudei, nientemeno che scismatici, eretici e pagani. A causa di questa ostilità, il viandante che doveva recarsi in Galilea, preferiva aggirare la Samaria e passare per la Transgiordania; la strada era più lunga, ma molto più sicura. Anche Gesù, nella maggior parte dei casi, faceva così, ma questa volta decide di attraversare la Samaria e giunge alla città di Sicar dove c’era il famoso pozzo di Giacobbe. Vi arriva verso mezzogiorno e, stanco del viaggio, si siede presso il pozzo. Prima di continuare chiediamoci: perché Gesù decide di attraversare la Samaria, terra maledetta e odiata dai Giudei? Per dirci che è venuto anzitutto per riacciuffarci quando ci siamo perduti. Attraversando la Samaria vuole dirci che è venuto ad attraversare le nostre strade sbagliate, quando vaghiamo errabondi ed abbiamo smarrito la giusta direzione; viene ad incrociare i nostri passi, quando non sappiamo più che senso ha il nostro andare, o quando siamo finiti in fondo al pozzo. E perché Gesù è stanco? Allora per il caldo e la fatica, ma ora sarà anche un po’ stanco di rincorrerci continuamente (addirittura fin dentro al pozzo, quando abbiamo toccato il fondo) nel tentativo di riacciuffarci… Però non abbandona mai la caccia… al tesoro.

• In fondo al pozzo…

Mentre la samaritana abbandona addirittura la brocca (l’unico mezzo per procurarsi l’acqua, che, in quel frangente, nessuno usò, ma tutti si dissetarono…con un’altra acqua) dopo che Gesù la incontra al pozzo. Lui stanco morto, lei arrivata lì alla chetichella per timore di incontrare qualcuno che la riconoscesse. Ma incontra proprio Colui che non solo la conosce, ma ne sa più di tutti su di lei e nonostante ciò chiede da bere proprio a lei, l’esclusa, l’emarginata , non solo perché samaritana, ma anche per la sua situazione poco edificante che Gesù le rivela senza minimamente giudicarla. Allora la samaritana dimentica tutto: l’acqua, la brocca, la paura di essere riconosciuta, per andare ad annunciare a tutti, chi ha incontrato.
Ecco che Gesù vede sempre oltre. Non è certamente il peccato la prima cosa che vede in lei e in noi, ma la nuova creatura che possiamo diventare una volta che abbiamo ricevuto l’acqua viva della grazia. Non si lascia per niente impressionare dal nostro poco edificante passato, né si ritrae per questo –come non si è allontanato dalla samaritana– ma vede in anticipo il nostro glorioso futuro e quale meraviglia possiamo diventare sotto l’azione della Sua grazia. Ogni uomo, ogni donna è un terreno sacro: il peccato lo può solo deturpare, mai distruggere. Gesù sa che può recuperarlo interamente perché ha l’acqua viva anzi è Lui stesso l’acqua viva.

• …ma quale pozzo?

Il Vangelo di oggi ci riguarda tutti: siamo tutti samaritane alla ricerca di un pozzo. Ma quale pozzo? E quale acqua andiamo ad attingervi? Con quale brocca? A volte ci accontentiamo di cisterne screpolate che si svuotano ancor prima di immergervi la brocca e siamo eternamente alla ricerca di altre cisterne, illudendoci che non siano screpolate e che riescano a placare la nostra sete. Quale sete? Sete di Dio, acqua viva, o sete di chissà cosa? Ci bastano le acque torbide e stagnanti? Non accontentiamoci delle pozzanghere quando Gesù vuole darci molto di più! vuole portarci alla sorgente! Vuole darci quell’acqua viva che è vita: la Sua vita che scorre continuamente nel nostro cuore come “una sorgente che zampilla” e ci rende nuovi fiammanti dentro e fuori.

Wilma Chasseur

sabato 26 marzo 2011

Bagnasco "Disagio morale nella scena pubblica"

In difesa della vita - Evangelium vitae - VI

Torna l'appuntamento con la Lettera Enciclica "Evangelium vitae", in difesa della vita. Oggi continuiamo a vedere le conseguenze dell'eclissi del senso di Dio nella società: tali conseguenze si possono riassumere nel concetto di materialismo pratico e di benessere materiale il che significa che il senso di Dio è stato sostituito dal senso di sé; tutto questo conduce alle scelte aberranti che vengono compiute nei giorni nostri in quanto non vi è più una morale universale che trascende l'uomo, ma vi è una moralità soggettiva e altamente condizionata dall'uomo stesso:

LA VOCE DEL SANGUE DI TUO FRATELLO GRIDA A ME DAL SUOLO

"Mi dovrò nascondere lontano da te" (Gn 4, 14): 

L'eclissi del senso di Dio e dell'uomo

23. L'eclissi del senso di Dio e dell'uomo conduce inevitabilmente al materialismo pratico, nel quale proliferano l'individualismo, l'utilitarismo e l'edonismo. Si manifesta anche qui la perenne validità di quanto scrive l'Apostolo: "Poiché hanno disprezzato la conoscenza di Dio, Dio li ha abbandonati in balìa d'una intelligenza depravata, sicché commettono ciò che è indegno" (Rm 1, 28). Così i valori dell'essere sono sostituiti da quelli dell'avere. L'unico fine che conta è il perseguimento del proprio benessere materiale. La cosiddetta "qualità della vita" è interpretata in modo prevalente o esclusivo come efficienza economica, consumismo disordinato, bellezza e godibilità della vita fisica, dimenticando le dimensioni più profonde - relazionali, spirituali e religiose - dell'esistenza. In un simile contesto la sofferenza, inevitabile peso dell'esistenza umana ma anche fattore di possibile crescita personale, viene "censurata", respinta come inutile, anzi combattuta come male da evitare sempre e comunque. Quando non la si può superare e la prospettiva di un benessere almeno futuro svanisce, allora pare che la vita abbia perso ogni significato e cresce nell'uomo la tentazione di rivendicare il diritto alla sua soppressione. Sempre nel medesimo orizzonte culturale, il corpo non viene più percepito come realtà tipicamente personale, segno e luogo della relazione con gli altri, con Dio e con il mondo. Esso è ridotto a pura materialità: è semplice complesso di organi, funzioni ed energie da usare secondo criteri di mera godibilità ed efficienza. Conseguentemente, anche la sessualità è depersonalizzata e strumentalizzata: da segno, luogo e linguaggio dell'amore, ossia del dono di sé e dell'accoglienza dell'altro secondo l'intera ricchezza della persona, diventa sempre più occasione e strumento di affermazione del proprio io e di soddisfazione egoistica dei propri desideri e istinti. Così si deforma e falsifica il contenuto originario della sessualità umana e i due significati, unitivo e procreativo, insiti nella natura stessa dell'atto coniugale, vengono artificialmente separati: in questo modo l'unione è tradita e la fecondità è sottomessa all'arbitrio dell'uomo e della donna. La procreazione allora diventa il "nemico" da evitare nell'esercizio della sessualità: se viene accettata, è solo perché esprime il proprio desiderio, o addirittura la propria volontà, di avere il figlio "ad ogni costo" e non, invece, perché dice totale accoglienza dell'altro e, quindi, apertura alla ricchezza di vita di cui il figlio è portatore. Nella prospettiva materialistica fin qui descritta, le relazioni interpersonali conoscono un grave impoverimento. I primi a subirne i danni sono la donna, il bambino, il malato o sofferente, l'anziano. Il criterio proprio della dignità personale - quello cioè del rispetto, della gratuità e del servizio - viene sostituito dal criterio dell'efficienza, della funzionalità e dell'utilità: l'altro è apprezzato non per quello che "è", ma per quello che "ha, fa e rende". È la supremazia del più forte sul più debole.

24. È nell'intimo della coscienza morale che l'eclissi del senso di Dio e dell'uomo, con tutte le sue molteplici e funeste conseguenze sulla vita, si consuma. È in questione, anzitutto, la coscienza di ciascuna persona, che nella sua unicità e irripetibilità si trova sola di fronte a Dio {18}. Ma è pure in questione, in un certo senso, la "coscienza morale" della società: essa è in qualche modo responsabile non solo perché tollera o favorisce comportamenti contrari alla vita, ma anche perché alimenta la "cultura della morte", giungendo a creare e a consolidare vere e proprie "strutture di peccato" contro la vita. La coscienza morale, sia individuale che sociale, è oggi sottoposta, anche per l'influsso invadente di molti strumenti della comunicazione sociale, a un pericolo gravissimo e mortale: quello della confusione tra il bene e il male in riferimento allo stesso fondamentale diritto alla vita. Tanta parte dell'attuale società si rivela tristemente simile a quell'umanità che Paolo descrive nella Lettera ai Romani. È fatta "di uomini che soffocano la verità nell'ingiustizia" (1, 18): avendo rinnegato Dio e credendo di poter costruire la città terrena senza di lui, "hanno vaneggiato nei loro ragionamenti" sicché "si è ottenebrata la loro mente ottusa" (1,21); "mentre si dichiaravano sapienti sono diventati stolti" (1, 22), sono diventati autori di opere degne di morte e "non solo continuano a farle, ma anche approvano chi le fa" (1, 32). Quando la coscienza, questo luminoso occhio dell'anima (cf. Mt 6, 22-23), chiama "bene il male e male il bene" (Is 5, 20), è ormai sulla strada della sua degenerazione più inquietante e della più tenebrosa cecità morale. Eppure tutti i condizionamenti e gli sforzi per imporre il silenzio non riescono a soffocare la voce del Signore che risuona nella coscienza di ogni uomo: è sempre da questo intimo sacrario della coscienza che può ripartire un nuovo cammino di amore, di accoglienza e di servizio alla vita umana.

venerdì 25 marzo 2011

Padre Pio Santo umile e amato ~ I

Padre Pio - Sulla soglia del Paradiso - Trentatreesimo appuntamento

 Torna l'appuntamento con la biografia che tratteggia un'inedita "storia di Padre Pio raccontata dai suoi amici: "Sulla Soglia del Paradiso" di Gaeta Saverio. Oggi Padre Pio ci da una grande lezione di umiltà indicandola come il fondamento dell'edificio spirituale e indicando nella superbia il vero diavolo:

XIII

Obbedienza e umiltà

Il fondamento dell'edificio spirituale

Nonostante gli straordinari doni soprannaturali che aveva ricevuto dal Signore, Padre Pio mantenne sempre un atteggiamento di profonda umiltà, se non addirittura di disistima, nei riguardi di se stesso. Lo documenta l'episodio di cui fu testimone il Guardiano del convento di San Giovanni Rotondo, padre Paolino da Casacalenda, un giorno nel quale i fedeli acclamavano invano Padre Pio per farlo affacciare alla finestra e riceverne la benedizione. Temendo che gli fosse accaduto qualcosa, padre Paolino entrò nella cella e trovò Padre Pio in lacrime. Gliene chiese il motivo e si sentì rispondere fra i singhiozzi: «Fratello mio, ma non vedi che questa gente, invece di andare dal Padrone, viene dal garzone...».

A padre Atanasio Lonardo, che all'inizio degli anni Cinquanta si occupava della posta diretta al Padre, accadde una volta di maneggiare una lettera dal singolare indirizzo: «A Padre Pio, re dei peccatori». Incuriosito, l'aprì e la lesse ai tre confratelli con cui lavorava. Si trattava di alcuni fogli pieni di spregevoli insulti e di epiteti offensivi nei riguardi di Padre Pio: ipocrita, crapulone, mistificatore... I quattro si consultarono se passarla o meno al Padre. Per delicatezza, decisero di consegnargli soltanto la busta. Quando, secondo il solito, Padre Pio giunse in ufficio per benedire la corrispondenza in partenza, padre Atanasio gli disse: «Oggi c'è una lettera davvero importantissima». Egli lesse l'indirizzo e poggiò la busta sul tavolo. Subito dopo la riprese in mano e, con volto serio, approvando con un movimento della testa, esclamò: «Padre Pio re dei peccatori! Finalmente, fratelli miei, c'è stato uno che mi ha conosciuto. Sì, Padre Pio re dei peccatori, ecco chi sono».

Profondamente convinto delle proprie colpe, Padre Pio desiderava ogni settimana confessarsi con il direttore spirituale. E l'atteggiamento che egli aveva quando si accostava al sacramento della riconciliazione veniva additato come esempio luminoso dai confratelli, i quali vedevano nel suo sguardo soprattutto la fiducia nella divina misericordia. In particolare padre Mariano Paladino e fra Celestino Di Muro, testimoniando nel processo di canonizzazione, hanno ricordato il commovente particolare di Padre Pio che, pur in tarda età e con i suoi malanni, faceva la sua confessione in ginocchio e mettendosi sul collo il cordone del saio, in segno di penitenza come gli era stato insegnato in noviziato.

Al pari dell'obbedienza verso i Superiori diretti in Padre Pio coesisteva la venerazione verso chi aveva responsabilità nell'Ordine cappuccino, a prescindere da età e capacità personali. Nel giugno 1965 padre Giacinto da Sant'Elia a Pianisi si recò da lui per pregarlo di assisterlo spiritualmente, essendo divenuto Provinciale. Appena lo vide, Padre Pio si alzò dalla poltrona; ma padre Giacinto cercò di bloccarlo dicendo: «Padre Spirituale, quando io vengo nella sua stanza non deve scomodarsi, perché lei mi ha fatto da padre e da mamma, sin da quando ero fanciullo: debbo essere io ad ossequiarla». E il Padre, senza esitazione: «Adesso rappresenti san Francesco ed io debbo riverirti».

Don Pierino Galeone ha potuto affermare che «l'umiltà di Padre Pio era tale da unire con semplicità la convinta consapevolezza del suo nulla e della sua grandezza». A conferma, ha portato l'esempio di quando Padre Pio, di ritorno dalle confessioni, si fermò dinanzi alla cella di padre Agostino e gli disse scherzando: «Che fai a letto? Alzati!». Padre Agostino, infuriato, gridò: «Padre Pio, smettila! Non hai pietà di un povero ammalato?». Il Padre, pallido, rimase muto, con gli occhi bassi. Poi:

«Fratello mio, come ti senti?», e dopo un po' se ne andò a capo chino nella propria cella.

Ai figli spirituali, Padre Pio indicava l'umiltà come la virtù da far primeggiare, in quanto «fondamento dell'edificio spirituale». Per indicarne il valore utilizzava un gustoso apologo: «Un ricco signore, per trasportare il proprio oro da una villa all'altra, si servi di un asino vecchio e malandato. L'asino, nel vedersi tanto ricco e onorato, si mise a ragliare per la gioia. Passando per i campi ove incontrava altri animali, ragliava più forte, credendosi superiore a tutti. Quando il padrone gli tolse il prezioso carico, il povero asino si avvide che non era quello che si credeva: restava il misero asino di sempre, al quale nessun animale dava importanza». Poi spiegava che la stessa cosa sarebbe accaduta a quanti non si fossero mantenuti nell'umiltà, perché ciò che di buono c'è nell'uomo è opera di Dio, mentre alla creatura appartiene soltanto una sconfinata miseria.

E con ancor più durezza concluse una riflessione proprio sull'umiltà, mentre si trovava con alcuni intimi nell'orto del convento. «Sapete come si chiama il diavolo?», domandò. «Belzebù... satana... demonio... lucifero», provarono a rispondere i presenti. Ma lui sempre a scuotere la testa: «No... no... no...». «Padre, allora ce lo dica lei». E Padre Pio:

«Quando diciamo: io faccio, io posso, io riesco. Io, io, io, ecco, questo è il diavolo!».


Auguri

Oggi la Vigna in via eccezionale pubblica un doppio post in Il post del giorno: prima di lasciarvi al consueto appuntamento di "Padre Pio sulla soglia del Paradiso" curato dal nostro caro Angel, lasciamo la parola a una bellissima meditazione della Beata Teresa di Calcutta.

Madre Teresa scrisse delle meditazioni per ogni giorno dell'anno liturgico. Poiché oggi è il 25 marzo, scegliamo la meditazione del 25° giorno del terzo mese:


Un solo giorno con Gesù
è sufficiente a
spronarci in una
energica ricerca
della santità
attraverso un amore
personale per Gesù.
Gesù desidera
la nostra perfezione
con ardore indicibile.
Poiché questa è
la volontà del Signore:
la nostra santificazione.
Il suo sacro cuore
è ripieno di
un insaziabile anelito
a vederci avanzare
sulla via della santità.

Beh, tutto questo per dire...

Auguri di buon compleanno e di buona vita caro fratello Angel!!! Il Signore Gesù Cristo ti benedica e ti faccia vivere una vita santa perché un giorno tu possa contemplarLo in eterno in compagnia dei Suoi amati Santi e Beati.

Mikhael