Pages

sabato 19 marzo 2011

In difesa della vita - Evangelium vitae - V

Torna l'appuntamento con la Lettera Enciclica "Evangelium vitae", in difesa della vita. Oggi vediamo come il Venerabile Giovanni Paolo II cerchi di spiegare l'eclissi morale della nostra società moderna individuata nel modo di vivere come se Dio non esistesse. Infatti, l'eclissi morale della nostra civiltà coincide con l'eclissi del senso di Dio: se manca il senso di Dio, la morale comincia a vacillare. Ed oggi, vediamo come questo ragionamento diventi sempre più sensato poiché tanto più ci allontaniamo da Dio, tanto più perdiamo il senso morale del nostro comportamento: ed è in questo modo che vengono tollerate pratiche immorali come l'aborto e l'eutanasia che addirritura vengono riconosciute come diritti fondamentali della persona umana. Scopriamo la prima parte del pensiero del Papa polacco, davvero illuminante e soprattutto (purtroppo) sempre più attuale:

LA VOCE DEL SANGUE DI TUO FRATELLO GRIDA A ME DAL SUOLO 

"Mi dovrò nascondere lontano da te" (Gn 4, 14):

L'eclissi del senso di Dio e dell'uomo

21. Nel ricercare le radici più profonde della lotta tra la "cultura della vita" e la "cultura della morte", non ci si può fermare all'idea perversa di libertà sopra ricordata. Occorre giungere al cuore del dramma vissuto dall'uomo contemporaneo: l'eclissi del senso di Dio e dell'uomo, tipica del contesto sociale e culturale dominato dal secolarismo, che coi suoi tentacoli pervasivi non manca talvolta di mettere alla prova le stesse comunità cristiane. Chi si lascia contagiare da questa atmosfera, entra facilmente nel vortice di un terribile circolo vizioso: smarrendo il senso di Dio, si tende a smarrire anche il senso dell'uomo, della sua dignità e della sua vita; a sua volta, la sistematica violazione della legge morale, specie nella grave materia del rispetto della vita umana e della sua dignità, produce una sorta di progressivo oscuramento della capacità di percepire la presenza vivificante e salvante di Dio. Ancora una volta possiamo ispirarci al racconto dell'uccisione di Abele da parte del fratello. Dopo la maledizione inflittagli da Dio, Caino così si rivolge al Signore: "Troppo grande è la mia colpa per sopportarla! Ecco, tu mi scacci oggi da questo suolo e io mi dovrò nascondere lontano da te; io sarò ramingo e fuggiasco sulla terra e chiunque mi incontrerà mi potrà uccidere" (Gn 4, 13-14). Caino ritiene che il suo peccato non potrà ottenere perdono dal Signore e che il suo destino inevitabile sarà di doversi "nascondere lontano" da lui. Se Caino riesce a confessare che la sua colpa è "troppo grande", è perché egli sa di trovarsi di fronte a Dio e al suo giusto giudizio. In realtà, solo davanti al Signore l'uomo può riconoscere il suo peccato e percepirne tutta la gravità. È questa l'esperienza di Davide, che dopo "aver fatto male agli occhi del Signore", rimproverato dal profeta Natan (cf. 2 Sam 11-12), esclama: "Riconosco la mia colpa, il mio peccato mi sta sempre dinanzi. Contro di te, contro te solo ho peccato, quello che è male ai tuoi occhi, io l'ho fatto" (Sal 51[50], 5-6).

22. Per questo, quando viene meno il senso di Dio, anche il senso dell'uomo viene minacciato e inquinato, come lapidariamente afferma il Concilio Vaticano II: "La creatura senza il Creatore svanisce... Anzi, l'oblio di Dio priva di luce la creatura stessa" {17} . L'uomo non riesce più a percepirsi come "misteriosamente altro" rispetto alle diverse creature terrene; egli si considera come uno dei tanti esseri viventi, come un organismo che, tutt'al più, ha raggiunto uno stadio molto elevato di perfezione. Chiuso nel ristretto orizzonte della sua fisicità, si riduce in qualche modo a "una cosa" e non coglie più il carattere "trascendente" del suo "esistere come uomo". Non considera più la vita come uno splendido dono di Dio, una realtà "sacra" affidata alla sua responsabilità e quindi alla sua amorevole custodia, alla sua"venerazione". Essa diventa semplicemente "una cosa", che egli rivendica come sua esclusiva proprietà, totalmente dominabile e manipolabile. Così, di fronte alla vita che nasce e alla vita che muore, non è più capace di lasciarsi interrogare sul senso più autentico della sua esistenza, assumendo con vera libertà questi momenti cruciali del proprio "essere". Egli si preoccupa solo del "fare" e, ricorrendo ad ogni forma di tecnologia, si affanna a programmare, controllare e dominare la nascita e la morte. Queste, da esperienze originarie che chiedono di essere "vissute", diventano cose che si pretende semplicemente di "possedere" o di "rifiutare". Del resto, una volta escluso il riferimento a Dio, non sorprende che il senso di tutte le cose ne esca profondamente deformato, e la stessa natura, non più "mater", sia ridotta a "materiale" aperto a tutte le manipolazioni. A ciò sembra condurre una certa razionalità tecnico-scientifica, dominante nella cultura contemporanea, che nega l'idea stessa di una verità del creato da riconoscere o di un disegno di Dio sulla vita da rispettare. E ciò non è meno vero, quando l'angoscia per gli esiti di tale "libertà senza legge" induce alcuni all'opposta istanza di una "legge senza libertà", come avviene, ad esempio, in ideologie che contestano la legittimità di qualunque intervento sulla natura, quasi in nome di una sua "divinizzazione", che ancora una volta ne misconosce la dipendenza dal disegno del Creatore. In realtà, vivendo "come se Dio non esistesse", l'uomo smarrisce non solo il mistero di Dio, ma anche quello del mondo e il mistero del suo stesso essere.

0 commenti:

Posta un commento