XIII
Obbedienza e umiltà
Il fondamento dell'edificio spirituale
Nonostante gli straordinari doni soprannaturali che aveva ricevuto dal Signore, Padre Pio mantenne sempre un atteggiamento di profonda umiltà, se non addirittura di disistima, nei riguardi di se stesso. Lo documenta l'episodio di cui fu testimone il Guardiano del convento di San Giovanni Rotondo, padre Paolino da Casacalenda, un giorno nel quale i fedeli acclamavano invano Padre Pio per farlo affacciare alla finestra e riceverne la benedizione. Temendo che gli fosse accaduto qualcosa, padre Paolino entrò nella cella e trovò Padre Pio in lacrime. Gliene chiese il motivo e si sentì rispondere fra i singhiozzi: «Fratello mio, ma non vedi che questa gente, invece di andare dal Padrone, viene dal garzone...».
A padre Atanasio Lonardo, che all'inizio degli anni Cinquanta si occupava della posta diretta al Padre, accadde una volta di maneggiare una lettera dal singolare indirizzo: «A Padre Pio, re dei peccatori». Incuriosito, l'aprì e la lesse ai tre confratelli con cui lavorava. Si trattava di alcuni fogli pieni di spregevoli insulti e di epiteti offensivi nei riguardi di Padre Pio: ipocrita, crapulone, mistificatore... I quattro si consultarono se passarla o meno al Padre. Per delicatezza, decisero di consegnargli soltanto la busta. Quando, secondo il solito, Padre Pio giunse in ufficio per benedire la corrispondenza in partenza, padre Atanasio gli disse: «Oggi c'è una lettera davvero importantissima». Egli lesse l'indirizzo e poggiò la busta sul tavolo. Subito dopo la riprese in mano e, con volto serio, approvando con un movimento della testa, esclamò: «Padre Pio re dei peccatori! Finalmente, fratelli miei, c'è stato uno che mi ha conosciuto. Sì, Padre Pio re dei peccatori, ecco chi sono».
Profondamente convinto delle proprie colpe, Padre Pio desiderava ogni settimana confessarsi con il direttore spirituale. E l'atteggiamento che egli aveva quando si accostava al sacramento della riconciliazione veniva additato come esempio luminoso dai confratelli, i quali vedevano nel suo sguardo soprattutto la fiducia nella divina misericordia. In particolare padre Mariano Paladino e fra Celestino Di Muro, testimoniando nel processo di canonizzazione, hanno ricordato il commovente particolare di Padre Pio che, pur in tarda età e con i suoi malanni, faceva la sua confessione in ginocchio e mettendosi sul collo il cordone del saio, in segno di penitenza come gli era stato insegnato in noviziato.
Al pari dell'obbedienza verso i Superiori diretti in Padre Pio coesisteva la venerazione verso chi aveva responsabilità nell'Ordine cappuccino, a prescindere da età e capacità personali. Nel giugno 1965 padre Giacinto da Sant'Elia a Pianisi si recò da lui per pregarlo di assisterlo spiritualmente, essendo divenuto Provinciale. Appena lo vide, Padre Pio si alzò dalla poltrona; ma padre Giacinto cercò di bloccarlo dicendo: «Padre Spirituale, quando io vengo nella sua stanza non deve scomodarsi, perché lei mi ha fatto da padre e da mamma, sin da quando ero fanciullo: debbo essere io ad ossequiarla». E il Padre, senza esitazione: «Adesso rappresenti san Francesco ed io debbo riverirti».
Don Pierino Galeone ha potuto affermare che «l'umiltà di Padre Pio era tale da unire con semplicità la convinta consapevolezza del suo nulla e della sua grandezza». A conferma, ha portato l'esempio di quando Padre Pio, di ritorno dalle confessioni, si fermò dinanzi alla cella di padre Agostino e gli disse scherzando: «Che fai a letto? Alzati!». Padre Agostino, infuriato, gridò: «Padre Pio, smettila! Non hai pietà di un povero ammalato?». Il Padre, pallido, rimase muto, con gli occhi bassi. Poi:
«Fratello mio, come ti senti?», e dopo un po' se ne andò a capo chino nella propria cella.
Ai figli spirituali, Padre Pio indicava l'umiltà come la virtù da far primeggiare, in quanto «fondamento dell'edificio spirituale». Per indicarne il valore utilizzava un gustoso apologo: «Un ricco signore, per trasportare il proprio oro da una villa all'altra, si servi di un asino vecchio e malandato. L'asino, nel vedersi tanto ricco e onorato, si mise a ragliare per la gioia. Passando per i campi ove incontrava altri animali, ragliava più forte, credendosi superiore a tutti. Quando il padrone gli tolse il prezioso carico, il povero asino si avvide che non era quello che si credeva: restava il misero asino di sempre, al quale nessun animale dava importanza». Poi spiegava che la stessa cosa sarebbe accaduta a quanti non si fossero mantenuti nell'umiltà, perché ciò che di buono c'è nell'uomo è opera di Dio, mentre alla creatura appartiene soltanto una sconfinata miseria.
E con ancor più durezza concluse una riflessione proprio sull'umiltà, mentre si trovava con alcuni intimi nell'orto del convento. «Sapete come si chiama il diavolo?», domandò. «Belzebù... satana... demonio... lucifero», provarono a rispondere i presenti. Ma lui sempre a scuotere la testa: «No... no... no...». «Padre, allora ce lo dica lei». E Padre Pio:
«Quando diciamo: io faccio, io posso, io riesco. Io, io, io, ecco, questo è il diavolo!».
Nonostante gli straordinari doni soprannaturali che aveva ricevuto dal Signore, Padre Pio mantenne sempre un atteggiamento di profonda umiltà, se non addirittura di disistima, nei riguardi di se stesso. Lo documenta l'episodio di cui fu testimone il Guardiano del convento di San Giovanni Rotondo, padre Paolino da Casacalenda, un giorno nel quale i fedeli acclamavano invano Padre Pio per farlo affacciare alla finestra e riceverne la benedizione. Temendo che gli fosse accaduto qualcosa, padre Paolino entrò nella cella e trovò Padre Pio in lacrime. Gliene chiese il motivo e si sentì rispondere fra i singhiozzi: «Fratello mio, ma non vedi che questa gente, invece di andare dal Padrone, viene dal garzone...».
A padre Atanasio Lonardo, che all'inizio degli anni Cinquanta si occupava della posta diretta al Padre, accadde una volta di maneggiare una lettera dal singolare indirizzo: «A Padre Pio, re dei peccatori». Incuriosito, l'aprì e la lesse ai tre confratelli con cui lavorava. Si trattava di alcuni fogli pieni di spregevoli insulti e di epiteti offensivi nei riguardi di Padre Pio: ipocrita, crapulone, mistificatore... I quattro si consultarono se passarla o meno al Padre. Per delicatezza, decisero di consegnargli soltanto la busta. Quando, secondo il solito, Padre Pio giunse in ufficio per benedire la corrispondenza in partenza, padre Atanasio gli disse: «Oggi c'è una lettera davvero importantissima». Egli lesse l'indirizzo e poggiò la busta sul tavolo. Subito dopo la riprese in mano e, con volto serio, approvando con un movimento della testa, esclamò: «Padre Pio re dei peccatori! Finalmente, fratelli miei, c'è stato uno che mi ha conosciuto. Sì, Padre Pio re dei peccatori, ecco chi sono».
Profondamente convinto delle proprie colpe, Padre Pio desiderava ogni settimana confessarsi con il direttore spirituale. E l'atteggiamento che egli aveva quando si accostava al sacramento della riconciliazione veniva additato come esempio luminoso dai confratelli, i quali vedevano nel suo sguardo soprattutto la fiducia nella divina misericordia. In particolare padre Mariano Paladino e fra Celestino Di Muro, testimoniando nel processo di canonizzazione, hanno ricordato il commovente particolare di Padre Pio che, pur in tarda età e con i suoi malanni, faceva la sua confessione in ginocchio e mettendosi sul collo il cordone del saio, in segno di penitenza come gli era stato insegnato in noviziato.
Al pari dell'obbedienza verso i Superiori diretti in Padre Pio coesisteva la venerazione verso chi aveva responsabilità nell'Ordine cappuccino, a prescindere da età e capacità personali. Nel giugno 1965 padre Giacinto da Sant'Elia a Pianisi si recò da lui per pregarlo di assisterlo spiritualmente, essendo divenuto Provinciale. Appena lo vide, Padre Pio si alzò dalla poltrona; ma padre Giacinto cercò di bloccarlo dicendo: «Padre Spirituale, quando io vengo nella sua stanza non deve scomodarsi, perché lei mi ha fatto da padre e da mamma, sin da quando ero fanciullo: debbo essere io ad ossequiarla». E il Padre, senza esitazione: «Adesso rappresenti san Francesco ed io debbo riverirti».
Don Pierino Galeone ha potuto affermare che «l'umiltà di Padre Pio era tale da unire con semplicità la convinta consapevolezza del suo nulla e della sua grandezza». A conferma, ha portato l'esempio di quando Padre Pio, di ritorno dalle confessioni, si fermò dinanzi alla cella di padre Agostino e gli disse scherzando: «Che fai a letto? Alzati!». Padre Agostino, infuriato, gridò: «Padre Pio, smettila! Non hai pietà di un povero ammalato?». Il Padre, pallido, rimase muto, con gli occhi bassi. Poi:
«Fratello mio, come ti senti?», e dopo un po' se ne andò a capo chino nella propria cella.
Ai figli spirituali, Padre Pio indicava l'umiltà come la virtù da far primeggiare, in quanto «fondamento dell'edificio spirituale». Per indicarne il valore utilizzava un gustoso apologo: «Un ricco signore, per trasportare il proprio oro da una villa all'altra, si servi di un asino vecchio e malandato. L'asino, nel vedersi tanto ricco e onorato, si mise a ragliare per la gioia. Passando per i campi ove incontrava altri animali, ragliava più forte, credendosi superiore a tutti. Quando il padrone gli tolse il prezioso carico, il povero asino si avvide che non era quello che si credeva: restava il misero asino di sempre, al quale nessun animale dava importanza». Poi spiegava che la stessa cosa sarebbe accaduta a quanti non si fossero mantenuti nell'umiltà, perché ciò che di buono c'è nell'uomo è opera di Dio, mentre alla creatura appartiene soltanto una sconfinata miseria.
E con ancor più durezza concluse una riflessione proprio sull'umiltà, mentre si trovava con alcuni intimi nell'orto del convento. «Sapete come si chiama il diavolo?», domandò. «Belzebù... satana... demonio... lucifero», provarono a rispondere i presenti. Ma lui sempre a scuotere la testa: «No... no... no...». «Padre, allora ce lo dica lei». E Padre Pio:
«Quando diciamo: io faccio, io posso, io riesco. Io, io, io, ecco, questo è il diavolo!».
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