Pages

mercoledì 30 novembre 2011

Avvento. Il Verbo di Dio

La Summa Teologica - Quarantasettesima parte

Torniamo ad addentrarci nella Summa Teologica di San Tommaso d'Aquino, un'opera che diede un fondamento scientifico, filosofico e teologico alla dottrina cristiana. Continuiamo a scoprire la parte dedicata al Trattato relativo all'essenza di Dio e gli articolo relativi al tema dell'eternità.


Prima parte 
Trattato relativo all'essenza di Dio

L'eternità di Dio > Se essere eterno sia proprietà esclusiva di Dio

Prima parte
Questione 10
Articolo 3

SEMBRA che essere eterno non sia esclusiva proprietà di Dio. Infatti:1. È detto nella Scrittura: "Quelli che istruiranno molti alla giustizia, saranno come astri nelle eternità senza fine". Ora, non ci sarebbero molte eternità se soltanto Dio fosse eterno. Non è dunque eterno soltanto Dio.

2. Nel Vangelo è scritto: "Andate via da me, maledetti, nel fuoco eterno". Dunque non il solo Dio è eterno.

3. Tutto ciò che è necessario è eterno. Ora, molte cose sono necessarie, p. es., tutti i principi della dimostrazione e tutte le proposizioni dimostrative. Dunque eterno non è solo Dio.

IN CONTRARIO: S. Girolamo scrive: "Soltanto Dio è senza inizio". Ora, tutto ciò che ha un inizio non è eterno. Quindi soltanto Dio è eterno.

RISPONDO: L'eternità veramente e propriamente è soltanto in Dio. Perché l'eternità deriva dall'immutabilità, come si è già provato; e d'altra parte solo Dio è del tutto immutabile, come abbiamo visto sopra. Tuttavia nella misura in cui alcune cose partecipano da Dio l'immutabilità da lui partecipano anche l'eternità.
Certe cose dunque partecipano da Dio l'immutabilità in questo senso che mai cessano di esistere, come nella Scrittura è detto della terra che "eternamente sussiste". Certe altre sono dette eterne nella Sacra Scrittura per la diuturnità della durata, sebbene siano corruttibili, come nei Salmi son chiamate "eterne le montagne", ed anche nel Deuteronomio si parla "dei frutti dei colli eterni". Altre cose anche più ampiamente partecipano la natura dell'eternità in quanto sono immutabili o nell'essere, o anche perfino nell'operare, com'è degli angeli e dei beati, ammnessi alla fruizione del Verbo; perché relativamente a quella visione del Verbo nei santi non ci sono "pensieri variabili", come dice S. Agostino. Cosicché di coloro che vedono Dio si dice che possiedono la vita eterna, secondo il detto della Scrittura: "la vita eterna consiste nel conoscere (Te, solo Dio vero)...".

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Si dicono molte le eternità per indicare che sono molti coloro che partecipano dell'eternità per la contemplazione di Dio.

2. Il fuoco dell'inferno è detto eterno unicamente perché non finirà mai. Però nelle pene dei dannati vi saranno delle trasmutazionl, secondo il detto della Scrittura: "Ad eccessivo calore passi egli dalle acque delle nevi". Quindi nell'inferno non vi è vera eternità, ma piuttosto il tempo, secondo la frase del Salmo: "Il loro tempo si estenderà per tutti i secoli".

3. Necessario indica una modalità del vero. E il vero, a detta del Filosofo, è nell'intelletto. Per conseguenza le cose vere e necessarie sono eterne in quanto esistono in un intelletto eterno, che è soltanto l'intelletto divino. Non ne viene perciò che oltre Dio vi sia qualche cosa di eterno.

martedì 29 novembre 2011

Sant'Andrea apostolo

Sant'Andrea Apostolo e la chiamata di Gesù

Torna l'appuntamento settimanale, volto alla scoperta dei nostri cari Santi! Domani, la Chiesa Cattolica celebra il ricordo di uno dei primi discepoli di Gesù e cioè Sant'Andrea, il quale diverrà apostolo fino al martirio. La sua storia è molto interessante e mostra una chiara passione nel voler seguire il Maestro, sin dall'inizio e cioè sin dal momento in cui San Giovanni Battista indicò in Gesù, il Messia! Oggi, approfondiamo la conoscenza di quest'apostolo perchè possiamo imparare anche noi a dire Sì a Gesù, senza condizioni e senza pensieri di sorta. Sant'Andrea è la chiara dimostrazione di un vero fedele che si affida al Signore con tutta la sua vita, provvedendo affinché anche gli altri, a cominciare da suo fratello, si accorgano della grandezza e della meraviglia della presenza di Gesù Cristo nelle nostre vite. Diamo primo uno sguardo biografico (opera del noto sito Santi e Beati), seguito da un auspicio di Paolo Curtaz e poi immergiamoci in una meditazione evangelica del Movimento Apostolico:

Tra gli apostoli è il primo che incontriamo nei Vangeli: il pescatore Andrea, nato a Bethsaida di Galilea, fratello di Simon Pietro. Il Vangelo di Giovanni (cap. 1) ce lo mostra con un amico mentre segue la predicazione del Battista; il quale, vedendo passare Gesù da lui battezzato il giorno prima, esclama: "Ecco l’agnello di Dio!". Parole che immediatamente spingono Andrea e il suo amico verso Gesù: lo raggiungono, gli parlano e Andrea corre poi a informare il fratello: "Abbiamo trovato il Messia!". Poco dopo, ecco pure Simone davanti a Gesù; il quale "fissando lo sguardo su di lui, disse: “Tu sei Simone, figlio di Giovanni: ti chiamerai Cefa”". Questa è la presentazione. Poi viene la chiamata. I due fratelli sono tornati al loro lavoro di pescatori sul “mare di Galilea”: ma lasciano tutto di colpo quando arriva Gesù e dice: "Seguitemi, vi farò pescatori di uomini" (Matteo 4,18-20).Troviamo poi Andrea nel gruppetto – con Pietro, Giacomo e Giovanni – che sul monte degli Ulivi, “in disparte”, interroga Gesù sui segni degli ultimi tempi: e la risposta è nota come il “discorso escatologico” del Signore, che insegna come ci si deve preparare alla venuta del Figlio dell’Uomo "con grande potenza e gloria" (Marco 13). Infine, il nome di Andrea compare nel primo capitolo degli Atti con quelli degli altri apostoli diretti a Gerusalemme dopo l’Ascensione.
E poi la Scrittura non dice altro di lui, mentre ne parlano alcuni testi apocrifi, ossia non canonici. Uno di questi, del II secolo, pubblicato nel 1740 da L.A. Muratori, afferma che Andrea ha incoraggiato Giovanni a scrivere il suo Vangelo. E un testo copto contiene questa benedizione di Gesù ad Andrea: "Tu sarai una colonna di luce nel mio regno, in Gerusalemme, la mia città prediletta. Amen". Lo storico Eusebio di Cesarea (ca. 265-340) scrive che Andrea predica il Vangelo in Asia Minore e nella Russia meridionale. Poi, passato in Grecia, guida i cristiani di Patrasso. E qui subisce il martirio per crocifissione: appeso con funi a testa in giù, secondo una tradizione, a una croce in forma di X; quella detta poi “croce di Sant’Andrea”. Questo accade intorno all’anno 60, un 30 novembre.
Nel 357 i suoi resti vengono portati a Costantinopoli; ma il capo, tranne un frammento, resta a Patrasso. Nel 1206, durante l’occupazione di Costantinopoli (quarta crociata) il legato pontificio cardinale Capuano, di Amalfi, trasferisce quelle reliquie in Italia. E nel 1208 gli amalfitani le accolgono solennemente nella cripta del loro Duomo. Quando nel 1460 i Turchi invadono la Grecia, il capo dell’Apostolo viene portato da Patrasso a Roma, dove sarà custodito in San Pietro per cinque secoli. Ossia fino a quando il papa Paolo VI, nel 1964, farà restituire la reliquia alla Chiesa di Patrasso. (Santi e Beati)

La tradizione vuole che Andrea abbia concluso i suoi giorni evangelizzando le comunità dell'attuale Grecia che riconosce in lui il fondatore della Chiesa di Costantinopoli, come Pietro fu Vescovo di Roma. Roma e Costantinopoli, due esperienze di Chiesa drammaticamente separate dalle incomprensioni e gli errori della storia: separata dalla chiesa cattolica romana da quasi mille anni, la chiesa ortodossa ha continuato il suo cammino fino a noi oggi, evangelizzando le immense pianure russe e i paesi dell'est. Che la volontà di riunificazione, così profondamente cercata dagli ultimi papi, venga fecondata dalla preghiera di Andrea apostolo. Che sia lui a spingere la barca della sua Chiesa verso il dialogo e l'unione nel rispetto delle diversità. In attesa del ritorno del Signore la Chiesa torni ad essere una perché il mondo creda. (Paolo Curtaz)

Il Vangelo è un oceano infinito di verità. Ogni sua parola è un mare immenso. Di questa acqua di vita eterna noi quasi sempre attingiamo una goccia. Non riusciamo a prenderne di più. Tuttavia se perseveriamo nella lettura, meditazione, contemplazione, studio, analisi, esame, se mettiamo tutto il nostro cuore e la nostra intelligenza, una goccia della sua verità al giorno ci basta per giungere fino a sera. Poi l'indomani si ricomincia di nuovo, come al primo giorno, con una sete ancora più grande.
Il Vangelo contiene il pensiero perfetto di Dio, manifestato e realizzato attraverso Cristo Gesù. Interprete e realizzatore nella nostra vita di questo pensiero perfetto è lo Spirito Santo. A Lui dobbiamo chiedere ogni giorno che ci prenda per mano e ci faccia da Guida, Maestro, Consigliere, perché dal Vangelo traiamo quella verità che disseta e sfama il nostro desiderio di Dio. Senza una comunione perenne con lo Spirito Santo, senza la sua abitazione di grazia nel nostro cuore, il Vangelo diverrà anche per noi un libro di altri tempi, un racconto di una verità che è stata, ma che mai potrà dirsi nostra.
La chiamata degli Apostoli è la prima opera di Gesù. Oggi Gesù vede Simone, chiamato Pietro, e Andrea suo fratello. Vede Giacomo. Figlio di Zebedeo, e Giovanni suo fratello. Li chiama. Promette loro di farli pescatori di uomini. Loro ascoltano la voce di Gesù, lasciano tutto e lo seguono. Ora chiediamoci: perché questa chiamata è la prima opera di Gesù? Perché essa è posta all'inizio della sua missione? Perché è essenziale questa chiamata proprio in questo istante?
La missione evangelizzatrice è una ed è quella di Gesù Signore. La missione di salvezza è una: è la realizzazione sulla terra della volontà salvifica del Padre. Gesù è nel seno del Padre dall'eternità. Sa cosa il Padre vuole. Sa come bisogna realizzarlo. Viene sulla terra, ma non perde il contatto con Lui. Ogni giorno Cristo Gesù è in colloquio con il Padre. Questi gli manifesta la sua volontà ed Lui la realizza tutta.
Se Gesù avesse chiamato i suoi discepoli all'ultimo istante della sua vita, cosa avrebbero potuto realizzare costoro? Niente. Nulla. Non avrebbero potuto, perché nulla hanno ascoltato, nulla hanno visto, nessuna opera di salvezza hanno sperimentato. Un allievo più frequenta il suo maestro e più impara da lui. Gesù è il Maestro. I discepoli fin dal primo istante vedono tutto e tutto ascoltano, possono ora compiere la missione sul suo modello ed esempio. Ciò che Cristo ha fatto, loro ora lo sanno fare.
Il fallimento di molta formazione nella Chiesa oggi è dovuto proprio alla non esemplarità, alla non sequela. È dovuta al fatto che non vi sono né maestri e né allievi. Vi sono professori e alunni che trattano materie astratte. Vi sono presbiteri e laici che vivono in una lontananza cosmica. Vi sono Vescovi e presbiteri con relazioni esteriori, ma non di vera fede, autentica carità, forte speranza, evangelica comunione. Chi sta in alto, qualsiasi posizione occupi, è obbligato ad essere vero Maestro per quanti sono sotto la sua responsabilità. Deve essere vero maestro di fede, carità, speranza, dottrina, insegnamento, opere, compimento di tutta la volontà di Dio.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, tu sei stata Maestra di vera carità, speranza e fede. Angeli e Santi di Dio, fate che ognuno sia maestro per l'altro come Gesù. (Movimento Apostolico).

lunedì 28 novembre 2011

Angelus del 27 Novembre 2011

Angelus di Papa Benedetto XVI - 27 Novembre 2011


BENEDETTO XVI

ANGELUS

Piazza San Pietro
 Domenica, 27 novembre 2011


Cari fratelli e sorelle!

Oggi iniziamo con la Chiesa il nuovo Anno liturgico: un nuovo cammino di fede, da vivere insieme nelle comunità cristiane, ma anche, come sempre, da percorrere all’interno della storia del mondo, per aprirla al mistero di Dio, alla salvezza che viene dal suo amore. L’Anno liturgico inizia con il Tempo di Avvento: tempo stupendo in cui si risveglia nei cuori l’attesa del ritorno di Cristo e la memoria della sua prima venuta, quando si spogliò della sua gloria divina per assumere la nostra carne mortale.
“Vegliate!”. Questo è l’appello di Gesù nel Vangelo di oggi. Lo rivolge non solo ai suoi discepoli, ma a tutti: “Vegliate!” (Mt 13,37). E’ un richiamo salutare a ricordarci che la vita non ha solo la dimensione terrena, ma è proiettata verso un “oltre”, come una pianticella che germoglia dalla terra e si apre verso il cielo. Una pianticella pensante, l’uomo, dotata di libertà e responsabilità, per cui ognuno di noi sarà chiamato a rendere conto di come ha vissuto, di come ha utilizzato le proprie capacità: se le ha tenute per sé o le ha fatte fruttare anche per il bene dei fratelli.

Anche Isaia, il profeta dell’Avvento, ci fa riflettere oggi con una preghiera accorata, rivolta a Dio a nome del popolo. Egli riconosce le mancanze della sua gente, e a un certo punto dice: “Nessuno invocava il tuo nome, nessuno si risvegliava per stringersi a te; perché tu avevi nascosto da noi il tuo volto, ci avevi messo in balìa della nostra iniquità” (Is 64,6). Come non rimanere colpiti da questa descrizione? Sembra rispecchiare certi panorami del mondo post-moderno: le città dove la vita diventa anonima e orizzontale, dove Dio sembra assente e l’uomo l’unico padrone, come se fosse lui l’artefice e il regista di tutto: le costruzioni, il lavoro, l’economia, i trasporti, le scienze, la tecnica, tutto sembra dipendere solo dall’uomo. E a volte, in questo mondo che appare quasi perfetto, accadono cose sconvolgenti, o nella natura, o nella società, per cui noi pensiamo che Dio si sia come ritirato, ci abbia, per così dire, abbandonati a noi stessi.

In realtà, il vero “padrone” del mondo non è l’uomo, ma Dio. Il Vangelo dice: “Vegliate dunque: voi non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino; fate in modo che, giungendo all’improvviso, non vi trovi addormentati” (Mc 13,35-36). Il Tempo di Avvento viene ogni anno a ricordarci questo, perché la nostra vita ritrovi il suo giusto orientamento, verso il volto di Dio. Il volto non di un “padrone”, ma di un Padre e di un Amico. Con la Vergine Maria, che ci guida nel cammino dell’Avvento, facciamo nostre le parole del profeta. “Signore, tu sei nostro padre; noi siamo argilla e tu colui che ci plasma, tutti noi siamo opera delle tue mani” (Is 64,7).

Dopo l'Angelus

Cari amici,

domani cominceranno a Durban, in Sud Africa, i lavori della Convenzione dell’ONU sui cambiamenti climatici e del Protocollo di Kyoto. Auspico che tutti i membri della comunità internazionale concordino una risposta responsabile, credibile e solidale a questo preoccupante e complesso fenomeno, tenendo conto delle esigenze delle popolazioni più povere e delle generazioni future.

{Saluti in varie lingue: En ce début d’année liturgique, j’accueille avec joie les pèlerins francophones venus pour la prière de l’Angélus. Ce premier dimanche de l’Avent nous invite à demeurer vigilant. Menacé par l’assoupissement, ne laissons pas s’endormir notre dynamisme spirituel. Notre monde a besoin de veilleurs et de porteurs d’espérance. N’attendons pas passivement, mettons en œuvre activement et joyeusement ce temps de grâce en ouvrant tout grand nos cœurs et nos esprits à la lumière de l’Évangile. À la suite de la Vierge Marie, veillons et prions dans l’attente du retour du Seigneur ! Bonne et heureuse année liturgique !

I offer a warm welcome to the English-speaking pilgrims and visitors present at this Angelus prayer. Today, the Church begins the celebration of Advent, which marks the beginning of a new liturgical year and our spiritual preparation for the celebration of Christmas. Let us heed the message in today’s Gospel by entering prayerfully into this holy season, so that we may be ready to greet Jesus Christ, who is God with us. I wish you all a good Sunday. May God bless all of you!

Ganz herzlich grüße ich die Pilger und Besucher deutscher Sprache an diesem ersten Adventssonntag. Im Kirchenlied „O Heiland reiß die Himmel auf“ klingt der Flehruf des Propheten Jesaja nach, den wir heute in der ersten Lesung gehört haben: „Reiß doch den Himmel auf, und komm herab!“ (63, 19b). Auch wir dürfen uns in der Zeit des Advents diesen Ruf zu eigen machen im festen Vertrauen, daß Gott unser Beten hört, daß ihn alle Not berührt und er als Heiland, als der, der alles heil machen will, zu uns kommt. Der Herr schenke euch eine gesegnete Adventszeit.

Saludo con afecto a los peregrinos de lengua española presentes en esta oración mariana. Iniciamos hoy el tiempo de Adviento que nos dispone a celebrar la venida del Señor a nuestra tierra, y que aviva también nuestra esperanza en su venida gloriosa. Este misterio nos invita a ser administradores vigilantes de la casa de Dios, que es el mundo. Invoquemos a la Virgen Madre, que nos enseñe a ser cada vez más testigos de la acción y presencia de Dios en medio de todos, y poder así recibir un día los bienes que nos tiene prometidos. Feliz domingo.

Saúdo com particular afecto os peregrinos de língua portuguesa presentes nesta oração do Angelus, nomeadamente os fiéis vindos de Lisboa e de Setúbal. O tempo do Advento convida-nos a fazer nossa a primeira vinda do Filho de Deus a fim de nos prepararmos para o seu regresso glorioso. Neste sentido, tomai por modelo e intercessora a Virgem Maria. E que Deus vos abençoe!

Słowo pozdrowienia przekazuję wszystkim Polakom. Nieszporami I Niedzieli Adwentu rozpoczęliśmy nowy rok liturgiczny. Dzieje świata, Kościoła, każdego z nas, znów przenika atmosfera refleksji, nadziei, radosnego oczekiwania. Ożywa w nas wspomnienie narodzin Mesjasza, Zbawiciela, zapowiedź Jego powtórnego przyjścia w chwale. Czuwajmy, by nasze serca – myśli, uczucia, pragnienia – „były bez zarzutu w dzień Pana naszego Jezusa Chrystusa” (1 Kor 1,8). Na czas adwentowego czuwania z serca wam błogosławię.

 [Rivolgo il mio saluto a tutti i Polacchi. Con i Vespri della I Domenica d’Avvento abbiamo iniziato il nuovo anno liturgico. Un’atmosfera di riflessione, di speranza e di gioiosa attesa pervade di nuovo la storia del mondo, della Chiesa e di ciascuno di noi. Si ravviva in noi il ricordo della nascita del Messia, il Salvatore, l’annunzio della sua nuova venuta nella gloria. Dobbiamo vigilare affinché i nostri cuori – pensieri, sentimenti, desideri – “siano irreprensibili nel giorno del Signore nostro Gesù Cristo” (1 Cor 1, 8). Per questo tempo di vigilanza d’Avvento, vi benedico di cuore.]}

Rivolgo un cordiale saluto ai responsabili europei della Società di San Vincenzo De Paoli, e li incoraggio nel loro impegno per affrontare con lo spirito del Vangelo vecchie e nuove povertà.

Saluto con affetto i pellegrini di lingua italiana, in particolare i fedeli provenienti da Lugano, Torino, Trieste e Avellino; il gruppo di ragazzi della Diocesi di Milano che si preparano alla professione di fede; e un saluto speciale anche alla comunità cubana della diocesi di Bergamo e al “Servizio universitario africano” di Roma. A tutti auguro una buona domenica e un buon cammino di Avvento. Grazie! Buon Avvento e buona Domenica.

© Copyright 2011 - Libreria Editrice Vaticana

domenica 27 novembre 2011

I Domenica di Avvento 2011

Tutto passa, Dio solo resta

(Mc 13, 33-37)
I domenica di Avvento

Il tempo vola. Siamo giunti ancora una volta alla fine dell’anno liturgico e con questa domenica ne iniziamo uno nuovo. Liturgicamente parlando siamo nell’anno B, abbiamo lasciato Matteo e meditiamo sul vangelo di Marco.

• Avanti o indietro?

Ma - sempre liturgicamente parlando - invece di andare avanti, torniamo indietro. Sapete perché? Perché domenica scorsa con Cristo Re e il giudizio finale eravamo alla fine dei tempi. Oggi, con la prima domenica d’Avvento, siamo all’inizio della nostra storia di redenti. Perché “avvento”significa sia venuta che attesa e quindi siamo sempre nell’attesa della venuta di Colui che viene (anche se è già venuto e, in incognito, c’è sempre). Ma, cronologicamente parlando, andiamo sempre avanti. Questo scorrere inesorabile dei giorni che non torneranno mai più, è forse la cosa più misteriosa della nostra vita, e non ci facciamo neanche caso. Passiamo nel tempo e col tempo che lascia il segno incancellabile sui nostri volti, ma nessuno lo può fermare. Basta uno specchio per capire quanto il tempo passi e vedere i “segni” del tempo… Si ha un bel cercare antidoti contro l’invecchiamento, ma finché non si riuscirà a fermare il tempo, non si fermerà neppure quello. Nessuno, per quanto potente, potrà mai far tornare indietro il giorno di ieri che è passato!

• Quaggiù, niente è inesauribile

Questa nostra corsa nella vita e nel tempo ha un’unica e incontrovertibile direzione: va solo e sempre verso il futuro. Nel passato nessuno torna più! Tutto è di passaggio verso il futuro. Dove va l’Universo? Verso il futuro. E tutto - compresi cielo e terra - va verso una fine. Ogni cosa che ha avuto un inizio, avrà anche una fine: Terra, Sole, stelle, galassie esauriscono inesorabilmente le loro scorte che non saranno eterne. Anche se recentemente, alcuni astrofisici, premio Nobel, hanno scoperto l’energia oscura che fa da propulsore, accelerando i corpi celesti più lontani, non ci risolvono il problema dell’esaurimento delle scorte. Anzi, anche la materia e l’energia oscura si esauriranno: l’inesauribile non è ancora stato scoperto. La finitezza è inscritta in ogni realtà creata. Solo Dio è increato, quindi infinito ed eterno. E per noi che abbiamo un’anima spirituale, la fine della vita non sarà una fine, ma un entrare in una dimensione nuova dove non ci sarà più “né lutto, né affanno, né lamento perché le cose di prima sono passate”. E faremo l’esperienza dei nuovi cieli e nuova terra perché “io faccio nuove tutte le cose”. Promessa solenne di Gesù le cui parole non passeranno mai! Quelle sì che non passano!

• Il colpo d’ala…

Fine dell’anno dunque e tempo di bilanci. Facciamoci qualche domanda per entrare nell’Avvento un po’ rinnovati. Come va la mia vita ? C’è qualcosa che va rivisto? Qual è il mio fine principale? So dare grandi orientamenti al mio esistere o vivo alla giornata rincorrendo obiettivi solo contingenti: lavoro, studio, svago, senza mai alzare la testa verso le cose di lassù? Se la nostra vita è priva di grandi orizzonti chiediamo la grazia di saperle dare un colpo d’ala e orientarla verso un fine eterno. Altrimenti rischiamo di banalizzare questi grandi temi escatologici di queste domeniche. L’escatologia (dal greco eschatos = realtà ultime) ci invita a guardare al nostro destino futuro che sarà eterno e ad essere vigilanti per trovarci pronti ad accogliere il Signore quando verrà. “Vegliate dunque (…) affinché il padrone, quando tornerà, non vi trovi addormentati. Quello che dico a voi, lo dico a tutti: vegliate!”. Ricordiamoci sempre che tutto passa, Dio solo resta. Quante volte Dio è venuto nella nostra vita, nell’anno appena trascorso? Quante volte abbiamo saputo riconoscerlo? Chiediamo occhi per vedere il Suo passaggio e riconoscerne gli annunci!

Wilma Chasseur

sabato 26 novembre 2011

Papa: La fede può spostare le montagne.

In difesa della vita - Evangelium vitae - XXXIX

Torna l'appuntamento con la Lettera Enciclica "Evangelium vitae", in difesa della vita. Continuiamo a leggere l'esortazione del Beato Giovanni Paolo II  che ci ricorda che la fede non giova se non è seguita dalle opere e che invita tutti noi a dare il proprio contributo in base al proprio ruolo nella società:

«Che giova, fratelli miei se uno dice di avere la fede ma non ha le opere?» (Gc 2, 14): servire il Vangelo della vita


89. Queste strutture e luoghi di servizio alla vita, e tutte le altre iniziative di sostegno e solidarietà che le situazioni potranno di volta in volta suggerire, hanno bisogno di essere animate da persone generosamente disponibili e profondamente consapevoli di quanto decisivo sia il Vangelo della vita per il bene dell'individuo e della società.

Peculiare è la responsabilità affidata agli operatori sanitari: medici, farmacisti, infermieri, cappellani, religiosi e religiose, amministratori e volontari. La loro professione li vuole custodi e servitori della vita umana. Nel contesto culturale e sociale odierno, nel quale la scienza e l'arte medica rischiano di smarrire la loro nativa dimensione etica, essi possono essere talvolta fortemente tentati di trasformarsi in artefici di manipolazione della vita o addirittura in operatori di morte. Di fronte a tale tentazione la loro responsabilità è oggi enormemente accresciuta e trova la sua ispirazione più profonda e il suo sostegno più forte proprio nell'intrinseca e imprescindibile dimensione etica della professione sanitaria, come già riconosceva l'antico e sempre attuale giuramento di Ippocrate, secondo il quale ad ogni medico è chiesto di impegnarsi per il rispetto assoluto della vita umana e della sua sacralità.

Il rispetto assoluto di ogni vita umana innocente esige anchel'esercizio dell'obiezione di coscienza di fronte all'aborto procurato e all'eutanasia. Il «far morire» non può mai essere considerato come una cura medica, neppure quando l'intenzione fosse solo quella di assecondare una richiesta del paziente: è, piuttosto, la negazione della professione sanitaria che si qualifica come un appassionato e tenace «sì» alla vita. Anche la ricerca biomedica, campo affascinante e promettente di nuovi grandi benefici per l'umanità, deve sempre rifiutare sperimentazioni, ricerche o applicazioni che, misconoscendo l'inviolabile dignità dell'essere umano, cessano di essere a servizio degli uomini e si trasformano in realtà che, mentre sembrano soccorrerli, li opprimono.

90. Uno specifico ruolo sono chiamate a svolgere le persone impegnate nel volontariato: esse offrono un apporto prezioso nel servizio alla vita, quando sanno coniugare capacità professionale e amore generoso e gratuito. Il Vangelo della vita le spinge ad elevare i sentimenti di semplice filantropia all'altezza della carità di Cristo; a riconquistare ogni giorno, tra fatiche e stanchezze, la coscienza della dignità di ogni uomo; ad andare alla scoperta dei bisogni delle persone iniziando — se necessario — nuovi cammini là dove più urgente è il bisogno e più deboli sono l'attenzione e il sostegno.

Il realismo tenace della carità esige che il Vangelo della vita sia servito anche mediante forme di animazione sociale e di impegno politico, difendendo e proponendo il valore della vita nelle nostre società sempre più complesse e pluraliste. Singoli, famiglie, gruppi, realtà associative hanno, sia pure a titolo e in modi diversi, una responsabilità nell'animazione sociale e nell'elaborazione di progetti culturali, economici, politici e legislativi che, nel rispetto di tutti e secondo la logica della convivenza democratica, contribuiscano a edificare una società nella quale la dignità di ogni persona sia riconosciuta e tutelata, e la vita di tutti sia difesa e promossa.

Tale compito grava in particolare sui responsabili della cosa pubblica. Chiamati a servire l'uomo e il bene comune, hanno il dovere di compiere scelte coraggiose a favore della vita, innanzitutto nell'ambito delle disposizioni legislative. In un regime democratico, ove le leggi e le decisioni si formano sulla base del consenso di molti, può attenuarsi nella coscienza dei singoli che sono investiti di autorità il senso della responsabilità personale. Ma a questa nessuno può mai abdicare, soprattutto quando ha un mandato legislativo o decisionale, che lo chiama a rispondere a Dio, alla propria coscienza e all'intera società di scelte eventualmente contrarie al vero bene comune. Se le leggi non sono l'unico strumento per difendere la vita umana, esse però svolgono un ruolo molto importante e talvolta determinante nel promuovere una mentalità e un costume. Ripeto ancora una volta che una norma che viola il diritto naturale alla vita di un innocente è ingiusta e, come tale, non può avere valore di legge. Per questo rinnovo con forza il mio appello a tutti i politici perché non promulghino leggi che, misconoscendo la dignità della persona, minano alla radice la stessa convivenza civile.

La Chiesa sa che, nel contesto di democrazie pluraliste, per la presenza di forti correnti culturali di diversa impostazione, è difficile attuare un'efficace difesa legale della vita. Mossa tuttavia dalla certezza che la verità morale non può non avere un'eco nell'intimo di ogni coscienza, essa incoraggia i politici, cominciando da quelli cristiani, a non rassegnarsi e a compiere quelle scelte che, tenendo conto delle possibilità concrete, portino a ristabilire un ordine giusto nell'affermazione e promozione del valore della vita. In questa prospettiva, occorre rilevare che non basta eliminare le leggi inique. Si dovranno rimuovere le cause che favoriscono gli attentati alla vita, soprattutto assicurando il dovuto sostegno alla famiglia e alla maternità: la politica familiare deve essere perno e motore di tutte le politiche sociali. Pertanto, occorre avviare iniziative sociali e legislative capaci di garantire condizioni di autentica libertà nella scelta in ordine alla paternità e alla maternità; inoltre è necessario reimpostare le politiche lavorative, urbanistiche, abitative e dei servizi, perché si possano conciliare tra loro i tempi del lavoro e quelli della famiglia e diventi effettivamente possibile la cura dei bambini e degli anziani.

91. Un capitolo importante della politica per la vita è costituito oggi dalla problematica demografica. Le pubbliche autorità hanno certo la responsabilità di prendere «iniziative al fine di orientare la demografia della popolazione»; 114 ma tali iniziative devono sempre presupporre e rispettare la responsabilità primaria ed inalienabile dei coniugi e delle famiglie e non possono ricorrere a metodi non rispettosi della persona e dei suoi diritti fondamentali, a cominciare dal diritto alla vita di ogni essere umano innocente. È, quindi, moralmente inaccettabile che, per regolare le nascite, si incoraggi o addirittura si imponga l'uso di mezzi come la contraccezione, la sterilizzazione e l'aborto.

Ben altre sono le vie per risolvere il problema demografico: i Governi e le varie istituzioni internazionali devono innanzitutto mirare alla creazione di condizioni economiche, sociali, medico-sanitarie e culturali che consentano agli sposi di fare le loro scelte procreative in piena libertà e con vera responsabilità; devono poi sforzarsi di «potenzia re le possibilità e distribuire con maggiore giustizia le ricchezze, affinché tutti possano partecipare equamente ai beni del creato. Occorre creare soluzioni a livello mondiale, instaurando un'autentica economia di comunione e condivisione dei beni, sia sul piano internazionale che su quello nazionale».115 Questa sola è la strada che rispetta la dignità delle persone e delle famiglie, oltre che l'autentico patrimonio culturale dei popoli.

Vasto e complesso è dunque il servizio al Vangelo della vita. Esso ci appare sempre più come ambito prezioso e favorevole per una fattiva collaborazione con i fratelli delle altre Chiese e Comunità ecclesiali nella linea di quell'ecumenismo delle opere che il Concilio Vaticano II ha autorevolmente incoraggiato.116 Esso, inoltre, si presenta come spazio provvidenziale per il dialogo e la collaborazione con i seguaci di altre religioni e con tutti gli uomini di buona volontà: la difesa e la promozione della vita non sono monopolio di nessuno, ma compito e responsabilità di tutti. La sfida che ci sta di fronte, alla vigilia del terzo millennio, è ardua: solo la concorde cooperazione di quanti credono nel valore della vita potrà evitare una sconfitta della civiltà dalle conseguenze imprevedibili.

venerdì 25 novembre 2011

Benedetto XVI: conversione è andare controcorrente e lasciarsi trasforma...

Elvira - Figlia spirituale di Padre Pio - XII

Continuiamo a scoprire la figura di Elvira, figlia spirituale di San Pio da Pietrelcina: continuiamo a vedere alcune conversioni ottenute proprio da Elvira:

CAPITOLO II
LE CONVERSIONI


ARMIDA

Un giorno portarono all'Ospedale una ragazza che, all'altezza della Madonna della Scala, si era buttata dal finestrino di un treno in corsa. Veniva da Genova. Era molto malconcia, tumefatta in viso e con le costole rotte. Fortunatamente il figlio che portava in grembo era illeso. Elvira l'assistette con molto amore e quando, dopo qualche mese, la passarono all'Aiuto Materno, continuò a farle visita ogni giorno, a portarle il latte, a parlarle di tante cose buone.

Armida le aveva raccontato il suo dramma di ragazza sedotta dal giovane presso la cui famiglia prestava servizio ed Elvira le aveva più volte suggerito di raccontare tutto alla madre del ragazzo, ma lei non ne voleva sapere. Finalmente arrivò il giorno che diede alla luce una bella bambina per la quale Elvira, pur trovandosi in ristrettezze finanziarie, aveva preparato un corredino completo e che, naturalmente, tenne a Battesimo.

La povera ragazza meditava di abbandonare la sua creatura, nonostante la sua benefattrice la scongiurasse di non farlo. Elvira allora decise di scrivere alla madre del giovane responsabile e la risposta arrivò quasi subito: si comportasse bene che tutto si sarebbe rimediato. C'era un po' di speranza, ma tutto qui.

Passano dei mesi. Armida viene dimessa dall'Aiuto Materno ed Elvira se la prende in casa con la sua bambina. Un bel giorno, non risolvendosi la situazione, le viene l'ispirazione di accompagnarla a Genova. Suonano a quella porta e viene ad aprire la stessa padrona di casa alla quale presentano la piccina come sua nipote. Fortunatamente la signora ha veri sentimenti cristiani ed accoglie mamma e figlia con buona grazia.

Elvira può così tornarsene a casa contenta per aver condotto felicemente a termine la sua missione. Dopo un po' le arriva la partecipazione di nozze.


ETTORE DI CESENA

Una sera viene a casa di Elvira una sua vicina, la Tonina, a supplicarla di andare da Padre Pio, per chiedere la conversione di un ammalato che le sta a cuore. L'ammalato, già molto grave, è senza Dio come tutti i suoi familiari e abita in una frazione di Cesena.

Elvira, pur essendo tornata da poco da San Giovanni Rotondo, dove ha accompagnato dei giovani di Lugo, acconsente e parte subito.

Quando Padre Pio la vede, esprime la sua sorpresa dandole uno schiaffetto e dicendole:

"Ma tu sei ancora qui? E che vuoi?"

"Padre, sono venuta per uno che è malato nel corpo, ma lo è ancor più nell’anima, poiché non si confessa da cinquant'anni. " E il Padre, come sapendo che il viaggio è stato pagato dalla Tonina: "Benedetta quell'anima che ti ha mandata. Io pregherò, ma voi pregate molto."

Così Elvira torna a casa, dopo aver raccomandato al santo Cappuccino tutti gli altri suoi ammalati.

Intanto la Tonina ha tenuto "sotto osservazione" Ettore, per vedere se c'è in lui qualche piccola reazione, ma non ha notato nulla di particolare. Non c'è altro da fare che metterlo in diretto contatto con Elvira, ma questa, trattandosi di una abitazione privata, ha qualche reticenza a presentarsi a casa dell'ammalato. Comunque, poiché si approssima la Settimana Santa, promette che pregherà per la sua conversione. La Tonina frattanto prepara il terreno dicendo ad Ettore che c'è una signora, che fa l'infermiera, che desidera andare a trovarlo.

Finalmente arriva il giorno fissato per la visita. Elvira e Tonina salgono sulla corriera che deve portarle a Cesena e, neanche a farlo apposta, vi trovano la figlia del malato che fa pesare su Elvira il suo sguardo ironico per tutta la durata del viaggio.

Elvira però, memore della promessa di Padre Pio, non se ne cura.

Entra coraggiosamente in quella casa e si mette a parlare di tante cose, ma si accorge ben presto che quella gente è completamente digiuna di istruzione religiosa e, quel che è peggio, ha il tipico atteggiamento di chi è convinto di essere "un dritto". Infine, con aria annoiata, la nuora le dice: "Signora, guardi, se proprio vuol venire su dall’ammalato, venga pure, tanto lui non capisce più niente..."

E’ una bugia bella e buona, perché non soltanto il malato capisce ma, avendo la porta della camera aperta, è stato ad ascoltare, con la massima attenzione, tutto quanto la visitatrice ha raccontato giù in cucina, alle sue donne. Quando Elvira gli si presenta, lui non può trattenersi dal dirle che non ha mai udito niente di simile in vita sua.

Viene subito conquistato dall'amabilità di questa infermiera eccezionale e lei ne approfitta per indagare se, per caso, non abbia sentito niente di particolare il giorno in cui è stato raccomandato a Padre Pio.

"Signora, guardi - confida Ettore - quel giorno m'è venuta in mente una cosa che non racconterei mai ai miei familiari, ma a lei la posso dire. Mi sono ricordato di quando sono passato alla Prima Comunione. Dopo di allora ho perso la via della Chiesa, mi sono fatto vecchio e non ho più pensato alla Religione. Anzi, ho anche lasciato detto che non voglio il prete e che voglio i funerali civili."

Elvira non si scoraggia; prende a parlare di Dio, della sua misericordia, del perdono dei peccati e, alla fine, porge al vecchio Ettore il Crocifisso benedetto da Padre Pio, per farglielo baciare. Il malato lo stringe, lo bacia, scoppia in un pianto dirotto e, fissando il Cristo in croce, domanda: "Ma è vero, signora, che "Questo" mi perdonerà tutti i miei peccati?"

Poi aggiunge: "Se avrò la fortuna di guarirmi comincerò un’altra vita." "Senta - gli dice Elvira - il Signore l'ha già perdonata, però lei deve ricevere i Sacramenti. Faccia la Santa Pasqua. Io la preparo, poi, se vuole, andiamo a chiamare il prete. " "Subito ci vada! Ci vada subito!" Implora lui.

Elvira non se lo fa ripetere e, chiamata la Tonina, la spedisce in cerca del prete, nonostante i mugugni e le facce inorridite delle donne di casa. Arriva il Parroco tutto sorpreso, perché, pur essendo in quel paese da trent'anni, non ha mai potuto entrare in quella casa, nemmeno per la benedizione pasquale. Elvira stende sul comodino del malato il tovagliolino che porta sempre con se, accende due candeline, si inginocchia e recita il Confiteor; poi, quando il malato ha ricevuto la Comunione, si trattiene con lui per fargli fare il ringraziamento, mentre le donne scappano disotto, verdi per la rabbia.

Dopo un po' si sente al pian terreno un gran baccano: sono tutti i vicini e i parenti che le due donne hanno convocato e che ora vogliono bastonare il prete. Guardano in su con facce diaboliche, mentre sghignazzano all'indirizzo del malato: "Ettore, i t'ha purté e baghin?" (Ettore, ti hanno portato il maiale?)

Elvira s'affaccia al pianerottolo, poi scende le scale tremando, ma sempre fiduciosa nell'aiuto di Padre Pio, e si presenta a quegli energumeni a chiedere cosa ci sia da gridare tanto. "Il prete! Il prete!" urlano quelli.

"Ma cos'ha mai fatto questo prete! Ragioniamone un po' insieme!"

Per tutta risposta quelli se la squagliano come la nebbia al sole.

Intanto il malato, traboccante di riconoscenza, non sa più staccarsi dal Crocifisso, tanto che Elvira decide di lasciarglielo.

Oramai la sua missione è compiuta e lei può tornarsene a casa. Prima di partire, però, vuol fare una capatina nel Circolo che Ettore frequentava coi suoi amici, col pretesto di prendere un caffè. Come entra tutti si voltano a guardarla e le chiedono se è "quella che era da Ettore".

"Si, ero io e l'ho trovato in piena facoltà mentale e vi auguro che tutti voi facciate quello che ha fatto lui."

La guardano ammirati e le offrono il caffè. Elvira è anche molto carina e quando la bellezza si unisce alla virtù e al coraggio, soggioga sempre.

Espletato il suo compito, Elvira torna da Padre Pio a ringraziarlo per il miracolo ottenuto e il Padre le assicura che quell'anima è già a posto".

Nel frattempo Ettore muore e lo trasportano al cimitero col funerale civile, ma la sua anima ha già il passaporto per il Paradiso. Sicura di questo, dopo qualche giorno Elvira si presenta al Parroco di quel paese e gli dice: "Senta, Reverendo, dal momento che è morto in grazia di Dío, vorrei far celebrare delle Messe per lui. Lei intanto dica all’altare che il tal giorno ci sarà l'Ufficio funebre per Ettore. Se qualcuno vorrà intervenire..."

Nel giorno fissato la Chiesa è piena di gente. Ci sono tutti gli amici di Ettore, attenti e commossi, e, in prima fila, i parenti del defunto i quali, finita la Messa, chiamano Elvira, la ringraziano e la pregano di andare a pranzo da loro. Tra una portata e l'altra Elvira continua il suo apostolato e tutti i parenti si convertono fino al punto da additarle le case in cui avrebbe dovuto andare per convertire altre anime. Infatti ci fu una lunga catena di conversioni.

Dopo un po' di tempo il Parroco morì e la famiglia di Ettore espose la sua foto-ricordo nella propria stanza da pranzo.

giovedì 24 novembre 2011

Papa: I cristiani sono uomini di speranza

Udienza Generale di Papa Benedetto XVI - 23 Novembre 2011

BENEDETTO XVI

UDIENZA GENERALE

Aula Paolo VI
Mercoledì, 23 novembre 2011



Viaggio Apostolico in Benin

Cari Fratelli e Sorelle,

sono ancora vive in me le impressioni suscitate dal recente Viaggio Apostolico nel Benin, sul quale desidero quest’oggi soffermarmi. Sgorga spontaneo dal mio animo il rendimento di grazie al Signore: nella sua provvidenza, Egli ha voluto che ritornassi in Africa per la seconda volta come successore di Pietro, in occasione del 150° anniversario dell’inizio dell’evangelizzazione del Benin e per firmare e consegnare ufficialmente alle comunità ecclesiali africane l’Esortazione apostolica postsinodale Africae munus. In questo importante documento, dopo aver riflettuto sulle analisi e sulle proposte scaturite dalla Seconda Assemblea Speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi, svoltasi in Vaticano nell’ottobre del 2009, ho voluto offrire alcune linee per l’azione pastorale nel grande Continente africano. In pari tempo, ho voluto rendere omaggio e pregare sulla tomba di un illustre figlio del Benin e dell’Africa, e grande uomo di Chiesa, l’indimenticabile Cardinale Bernardin Gantin, la cui venerata memoria è più che mai viva nel suo Paese, che lo considera un Padre della patria, e nell’intero Continente.

Desidero oggi ripetere il mio più vivo ringraziamento a coloro che hanno contribuito alla realizzazione di questo mio pellegrinaggio. Anzitutto sono molto grato al Signor Presidente della Repubblica, che con grande cortesia mi ha offerto il cordiale saluto suo e di tutto il Paese; all’Arcivescovo di Cotonou e agli altri venerati Fratelli nell’episcopato, che mi hanno accolto con affetto. Ringrazio, inoltre, i sacerdoti, i religiosi e le religiose, i diaconi, i catechisti e gli innumerevoli fratelli e sorelle, che con tanta fede e calore mi hanno accompagnato durante quei giorni di grazia. Abbiamo vissuto insieme una toccante esperienza di fede e di rinnovato incontro con Gesù Cristo vivo, nel contesto del 150° anniversario della evangelizzazione del Benin.

Ho deposto i frutti della Seconda Assemblea Speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi ai piedi della Vergine Santa, venerata in Benin specialmente nella Basilica dell’Immacolata Concezione di Ouidah. Sul modello di Maria, la Chiesa in Africa ha accolto la Buona Novella del Vangelo, generando molti popoli alla fede. Ora le comunità cristiane dell’Africa – come sottolineato sia dal tema del Sinodo, sia dal motto del mio Viaggio Apostolico – sono chiamate a rinnovarsi nella fede per essere sempre più al servizio della riconciliazione, della giustizia e della pace. Esse sono invitate a riconciliarsi al loro interno per diventare strumenti gioiosi della misericordia divina, ognuna apportando le proprie ricchezze spirituali e materiali all’impegno comune.

Questo spirito di riconciliazione è indispensabile, naturalmente, anche sul piano civile e necessita un’apertura alla speranza che deve animare anche la vita sociopolitica ed economica del Continente, come ho avuto modo di rilevare nell’incontro con le Istituzioni politiche, il Corpo Diplomatico e i Rappresentanti delle Religioni. In questa circostanza ho voluto porre l’accento proprio sulla speranza che deve animare il cammino del Continente, rilevando l’ardente desiderio di libertà e di giustizia che, specialmente in questi ultimi mesi, anima i cuori di numerosi popoli africani. Ho sottolineato poi la necessità di costruire una società in cui i rapporti tra etnie e religioni diverse siano caratterizzati dal dialogo e dall’armonia. Ho invitato tutti ad essere veri seminatori di speranza in ogni realtà e in ogni ambiente.

I cristiani sono di per sé uomini di speranza, che non si possono disinteressare dei propri fratelli e sorelle: ho ricordato questa verità anche all'immensa folla convenuta per la Celebrazione eucaristica domenicale nello stadio dell’Amicizia di Cotonou. E’ stato, questa Messa della domenica, uno straordinario momento di preghiera e di festa alla quale hanno preso parte migliaia di fedeli del Benin e di altri Paesi africani, dai più anziani ai più giovani: una meravigliosa testimonianza di come la fede riesca ad unire le generazioni e sappia rispondere alle sfide di ogni stagione della vita.

Durante questa toccante e solenne celebrazione, ho consegnato ai Presidenti delle Conferenze Episcopali dell’Africa l’Esortazione apostolica postsinodale Africae munus - che avevo firmato il giorno prima a Ouidah - destinata ai Vescovi, ai sacerdoti, ai religiosi ed alle religiose, ai catechisti ed ai laici dell’intero Continente africano. Affidando ad essi i frutti della Seconda Assemblea Speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi, ho chiesto loro di meditarli attentamente e di viverli in pienezza, per rispondere efficacemente alla impegnativa missione evangelizzatrice della Chiesa pellegrina nell’Africa del terzo millennio. In questo importante testo ogni fedele troverà le linee fondamentali che guideranno e incoraggeranno il cammino della Chiesa in Africa, chiamata ad essere sempre più il “sale della terra” e la “luce del mondo” (Mt 5,13-14).

A tutti ho rivolto l’appello ad essere costruttori instancabili di comunione, di pace e di solidarietà, per cooperare così alla realizzazione del piano di salvezza di Dio per l’umanità. Gli africani hanno risposto con il loro entusiasmo all’invito del Papa, e sui loro volti, nella loro fede ardente, nella loro adesione convinta al Vangelo della vita ho riconosciuto ancora una volta segni consolatori di speranza per il grande Continente africano.

Ho toccato con mano questi segni anche nell’incontro con i bambini e con il mondo della sofferenza. Nella chiesa parrocchiale di Santa Rita, ho veramente gustato la gioia di vivere, l’allegria e l’entusiasmo delle nuove generazioni che costituiscono il futuro dell’Africa. Alla schiera festosa dei Bambini, una delle tante risorse e ricchezze del Continente, ho additato la figura di san Kizito, un ragazzo ugandese, ucciso perché voleva vivere secondo il Vangelo, ed ho esortato ciascuno a testimoniare Gesù ai propri coetanei. La visita al Foyer “Pace e Gioia”, gestito dalle Missionarie della Carità di Madre Teresa, mi ha fatto vivere un momento di grande commozione incontrando bambini abbandonati e malati e mi ha consentito di vedere concretamente come l’amore e la solidarietà sanno rendere presente nella debolezza la forza e l’affetto di Cristo risorto.

La gioia e l’ardore apostolico che ho riscontrato tra i sacerdoti, i religiosi, le religiose, i seminaristi e i laici, convenuti in gran numero, costituisce un segno di sicura speranza per il futuro della Chiesa in Benin. Ho esortato tutti ad una fede autentica e viva e ad una vita cristiana caratterizzata dalla pratica delle virtù, e ho incoraggiato ciascuno a vivere la rispettiva missione nella Chiesa con fedeltà agli insegnamenti del Magistero, in comunione fra loro e con i Pastori, indicando specialmente ai sacerdoti la via della santità, nella consapevolezza che il ministero non è una semplice funzione sociale, ma è portare Dio all’uomo e l’uomo a Dio.

Momento intenso di comunione è stato l’incontro con l’Episcopato del Benin, per riflettere in particolare sull’origine dell’annuncio evangelico nel loro Paese, ad opera di missionari che hanno generosamente donato la loro vita, talvolta in modo eroico, affinché l’amore di Dio fosse annunciato a tutti. Ai Vescovi ho rivolto l’invito a porre in atto opportune iniziative pastorali per suscitare nelle famiglie, nelle parrocchie, nelle comunità e nei movimenti ecclesiali una costante riscoperta della Sacra Scrittura, quale sorgente di rinnovamento spirituale e occasione di approfondimento della la fede. Da tale rinnovato approccio alla Parola di Dio e dalla riscoperta del proprio Battesimo, i fedeli laici troveranno la forza per testimoniare la loro fede in Cristo e nel suo Vangelo nella loro vita quotidiana. In questa fase cruciale per l’intero Continente, la Chiesa in Africa, con il suo impegno al servizio del Vangelo, con la coraggiosa testimonianza di fattiva solidarietà, potrà essere protagonista di una nuova stagione di speranza. In Africa ho visto una freschezza del sì alla vita, una freschezza del senso religioso e della speranza, una percezione della realtà nella sua totalità con Dio e non ridotta ad un positivismo che, alla fine, spegne la speranza. Tutto ciò dice che in quel Continente c’è una riserva di vita e di vitalità per il futuro, sulla quale noi possiamo contare, sulla quale la Chiesa può contare.

Questo mio viaggio ha costituito un grande appello all'Africa, perché orienti ogni sforzo ad annunciare il Vangelo a coloro che ancora non lo conoscono. Si tratta di un rinnovato impegno per l’evangelizzazione, alla quale ogni battezzato è chiamato, promuovendo la riconciliazione, la giustizia e la pace.

A Maria, Madre della Chiesa e Nostra Signora d’Africa, affido coloro che ho avuto modo di incontrare in questo mio indimenticabile Viaggio Apostolico. A Lei raccomando la Chiesa in Africa. La materna intercessione di Maria «il cui cuore è sempre orientato alla volontà di Dio, sostenga ogni impegno di conversione, consolidi ogni iniziativa di riconciliazione e renda efficace ogni sforzo in favore della pace in un mondo che ha fame e sete di giustizia» (Africae munus, 175). Grazie.

Saluti:

Je salue les pèlerins francophones, particulièrement la Fraternité des Béninois à Rome, l’Association ‘Saint Benoît patron de l’Europe’ et le groupe du Carmel de Marie Vierge Missionnaire de Teyssières. Laissez-vous habiter par la joie que donne la foi au Christ pour témoigner de l’espérance partout où vous êtes ! Avec ma bénédiction !

I offer a cordial greeting to the Sisters of Jesus and Mary taking part in a course of spiritual renewal. I also greet the international group of Marist and Marianist Brothers. My warm welcome likewise goes to the pilgrims from Indonesia. Upon all the English-speaking visitors present at today’s Audience, including the groups from Nigeria, South Korea and the United States of America, I invoke God’s blessings of joy and peace.

Ganz herzlich grüße ich alle Pilger und Besucher deutscher Sprache. Zeigen doch auch wir unsere Solidarität mit den Christen in der Welt: in unserem Einsatz für das Evangelium und mit unserem Zeugnis gelebter Hoffnung. Gott schenke euch gesegnete Tage hier in Rom.

Saludo a los peregrinos de lengua española, en particular a los grupos de España, Argentina, México y otros países latinoamericanos. Invito a todos a dar gracias al Señor por esta Visita Apostólica a Benin. Que María, madre de la Iglesia, acompañe toda conversión, consolide cada iniciativa de reconciliación, y dé eficacia a los esfuerzos en favor de la paz. Muchas gracias.

Queridos amigos e irmãos de língua portuguesa, que hoje parais junto do túmulo de São Pedro e neste Encontro com o Seu Sucessor: Obrigado pela vossa presença! A todos saúdo, especialmente aos brasileiros da Comunidade Arca da Aliança, confiando à Virgem Maria os vossos corações e os vossos passos ao serviço da evangelização e do anúncio da Palavra de Deus. Para vós e vossas famílias, a minha Bênção!

Saluto in lingua polacca:

Pozdrawiam pielgrzymów polskich. Serdecznie dziękuję wam za modlitwy w intencji mojej podróży do Beninu. Pozdrawiam Rektorów Uczelni Wrocławia, Opola, Częstochowy i Zielonej Góry. Raz jeszcze dziękuję za przyznany mi honorowy Laur Akademicki. Wiem, że dotychczas otrzymał go tylko błogosławiony Jan Paweł II. Dlatego jest dla mnie szczególnym wyróżnieniem. Kolegium Rektorów, przedstawicielom Uczelni, ich wspólnotom akademickim i wszystkim tu obecnym z serca błogosławię.

Traduzione italiana:

Saluto cordialmente i pellegrini polacchi. Vi ringrazio di cuore per le preghiere per il mio viaggio in Benin. Saluto il Collegio dei Rettori Magnifici degli Atenei di Wrocław, Opole, Częstochowa e Zielona Góra. Esprimo nuovamente la mia gratitudine per l’onorifico “Alloro” Accademico. So che fino a oggi lo ha ricevuto solo il beato Giovanni Paolo II. Per questo sia per me un particolare riconoscimento. Benedico di cuore il Collegio dei Rettori, i rappresentanti degli Atenei, le loro comunità accademiche e tutti i presenti.

Saluto in lingua croata:

Od srca pozdravljam sve hrvatske hodočasnike. S posebnom radošću pozdravljam svećenike i vjernike Grkokatoličke Križevačke Biskupije predvođene njihovim Pastirom Mons. Nikolom Kekićem. Dragi prijatelji, započeli ste u vašoj eparhiji proslavu jubileja, četiristo godina od sjedinjenja s Rimskom Crkvom i uspostave grkokatoličke eparhije u Marči. Ovim hodočašćem na grobove apostola Petra i Pavla zahvaljujete za sve darove koje ste primili. Vaša višestoljetna povezanost s Rimskim Biskupom neka vam pomogne biti graditeljima crkvenoga zajedništva kršćanskog Istoka i Zapada. Dok se pridružujem vašoj zahvali, zazivam nad vas zaštitu Presvete Bogorodice te vas blagoslivljam. Hvaljen Isus i Marija!

Traduzione italiana:

Di cuoresalutotutti i pellegriniCroati. Con gioia particolare saluto i sacerdoti ed i fedeli della Diocesi Greco-cattolica di Križevci guidati dal loro Pastore Mons. Nikola Kekić.Cariamici, avete cominciato nella vostra eparchia la celebrazione di un giubileo, i 400 anni dell’unione con la Chiesa di Roma e dell’istituzione dell’Eparchia di Marča. Oggi ringraziate Dio, con questo pellegrinaggio alle tombe degli apostoli Pietro e Paolo, per tutti i doni che avete ricevuto. La vostra unione plurisecolare con il Vescovo di Roma vi aiuti ad essere costruttori di comunione tra l’Oriente e l’Occidente cristiano. Mentre vi accompagno nel vostro ringraziamento, invoco la protezione della Beata Vergine Maria e vi benedico. Siano lodati Gesù e Maria!

Saluto in lingua ungherese:

Szeretettel köszöntöm a magyar zarándokokat, különösen is a Tolna Megyei Cigány Önkormányzat csoportját. A hit ragyogása vezessen benneteket az élet útjain. Szívesen adom rátok és jószándékaitokra Apostoli Áldásomat.

Dicsértessék a Jézus Krisztus!

Traduzione italiana:

Un saluto cordiale ai pellegrini ungheresi, specialmente al gruppo degli Zingari della Provincia di Tolna. Vi guidi lo splendore della fede sulle vie della vita.

Volentieri imparto la Benedizione Apostolica a voi ed alle vostre intenzioni. Sia lodato Gesù Cristo!

Saluto in lingua ucraina:

Щиро вітаю україномовних учасників. Нехай ваша проща до могил святих Апостолів та зустріч з традиціями Вічного Міста скріплять вашу віру та стануть джерелом духовного росту. Всім вам уділяю своє благословення! Слава Ісусу Христу!

Traduzione italiana:

Saluto cordialmente i partecipanti di lingua ucraina. Il vostro pellegrinaggio alle Tombe degli Apostoli e l’incontro con la tradizione della Città Eterna rafforzino la vostra fede e diventino fonte di crescita spirituale. A tutti voi la mia benedizione!Sia lodato Gesù Cristo!

* * *

Sono particolarmente lieto di accogliere la Delegazione del Forum Cattolico-Ortodosso, composta da numerosi Presuli ai quali rivolgo il mio più cordiale saluto. Ai membri cattolici, in particolare, porgo un sentito augurio in occasione del 40° anniversario del Consiglio delle Conferenze Episcopali Europee.

Un caloroso benvenuto, infine, ai pellegrini di lingua italiana, in particolare ai gruppi parrocchiali di Sant’Elpidio a Mare e di San Giovanni Battista in Napoli Chiaiano; ai militari dell’Associazione Nazionale Carabinieri di Salerno e agli alunni e ai docenti di numerose scuole.

Un pensiero va ora, come di consueto, ai giovani, ai malati e agli sposi novelli.

Stiamo vivendo gli ultimi giorni dell’Anno liturgico, che ci invitano a considerare con sguardo di fede il tempo che passa. Cari giovani, sintonizzate il vostro cammino personale con quello della Chiesa, scandito dalla Liturgia, e preparatevi a vivere il Tempo dell’Avvento come tempo di attesa interiore del Messia nostro Salvatore; cari malati, invocate da Dio il dono della speranza, offrendo per questo anche le vostre sofferenze; e voi, cari sposi novelli, abbiate sempre fiducia nella divina Provvidenza, che guida e accompagna le famiglie cristiane.

© Copyright 2011 - Libreria Editrice Vaticana

mercoledì 23 novembre 2011

Gloria All'Eterno

La Summa Teologica - Quarantaseiesima parte

Torniamo ad addentrarci nella Summa Teologica di San Tommaso d'Aquino, un'opera che diede un fondamento scientifico, filosofico e teologico alla dottrina cristiana. Continuiamo a scoprire la parte dedicata al Trattato relativo all'essenza di Dio e gli articolo relativi al tema dell'eternità.

Prima parte
Trattato relativo all'essenza di Dio

L'eternità di Dio > Se Dio sia eterno

Prima parte
Questione 10
Articolo 2

SEMBRA che Dio non sia eterno. Infatti:
1. Niente di ciò che è causato può attribuirsi a Dio. Ora, l'eternità è qualche cosa di causato; dice infatti Boezio che "l'istante fluente fa il tempo, l'istante permanente fa l'eternità"; e S. Agostino dice che "Dio è autore dell'eternità". Dunque Dio non è eterno.

2. Ciò che è prima e dopo l'eternità non è misurato dall'eternità. Ora, Dio è prima dell'eternità, come dice il Liber De Causis, e dopo l'eternità, come appare dalla Scrittura che dice: "Il Signore regnerà in eterno, e al di là". Dunque a Dio non compete di essere eterno.

3. L'eternità è una misura. Ora, Dio non può essere misurato. Dunque l'eternità non gli appartiene.

4. Nell'eternità, perché simultanea, come si è detto, non esiste presente, passato e futuro. Ma nelle Scritture si adoperano, parlando di Dio, verbi al tempo presente, passato e futuro. Dunque Dio non è eterno.

IN CONTRARIO: Dice S. Atanasio: "Eterno è il Padre, eterno il Figlio, eterno lo Spirito Santo".

RISPONDO: La nozione di eternità nasce dall'immutabilità, come quella di tempo deriva dal movimento, come risulta da ciò che si è detto. Quindi, essendo Dio sommamente immutabile, a lui in modo assoluto compete di essere eterno. E non è soltanto eterno, ma è anche la sua stessa eternità, mentre nessun'altra cosa è la propria durata, perché non è il proprio essere. Dio invece è il suo stesso essere uniforme, e perciò come è la sua essenza, così è la sua eternità.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Quando si dice che l'istante permanente fa l'eternità, ci si riferisce al nostro modo d'intendere. Infatti, come in noi viene causata l'idea di tempo in quanto concepiamo il fluire dell'istante, così in noi vien prodotta l'idea di eternità con l'apprendere l'immobilità dell'istante. - Riguardo poi a quel che dice S. Agostino che "Dio è l'autore dell'eternità", s'intende dell'eternità partecipata, perché Dio partecipa ad alcuni esseri la sua eternità al modo stesso che partecipa loro la sua immutabilità.

2. Con ciò resta risolta anche la seconda difficoltà. Si dice infatti che Dio è avanti l'eternità, intendendosi qui l'eternità partecipata dalle sostanze spirituali. E così nel medesimo libro si dice anche che "l'intelligenza è equiparata all'eternità". - Quanto alla frase della Scrittura: "Il Signore regnerà in eterno, e al di là", bisogna sapere che in quel punto la parola eterno sta per secolo, come si ha in altra versione. Così dunque si dice che Dio regnerà al di là dell'eternità, perché perdura oltre qualunque secolo, cioè oltre qualsiasi durata stabilita: per secolo infatti non s'intende altro che una durata periodica di una cosa qualsiasi, come dice Aristotele. - Oppure si dice che regna oltre l'eternità per indicare che se anche ci fosse qualche altra cosa che esistesse sempre (come, p. es., il movimento del cielo, secondo alcuni naturalisti), tuttavia Dio regnerebhe anche più in là (cioè in maniera più perfetta), in quanto il suo regno è tutto insieme (senza successione).

3. L'eternità non è altro che Dio medesimo. Quindi Dio si dice eterno non come se fosse in qualche modo misurato; ma l'idea di misura qui si prende solo secondo il nostro modo d'intendere.

4. Si applicano a Dio verbi di tempi diversi, perché la sua eternità include tutti i tempi; non già perché egli sia soggetto alla variabilità del presente, del passato e del futuro.

martedì 22 novembre 2011

Santa Cecilia

Riscoprire i Santi - Santa Cecilia

Torna l'appuntamento settimanale, volto alla scoperta dei nostri cari Santi! Oggi ricordiamo Santa Cecilia la cui memoria è celebrata in questo giorno dalla Chiesa Cattolica. Vergine e martire, che si tramanda abbia conseguito la sua duplice palma per amore di Cristo nel cimitero di Callisto sulla via Appia. Il suo nome è fin dall’antichità nel titolo di una chiesa di Roma a Trastevere. Riscopriamo la sua, seppur frammentaria, storia attraverso la biografia del sito Santi & Beati seguita da una breve preghiera:

Tutti i fondatori, uomini e donne, dei " titoli " delle basiliche romane sono stati soppressi nel Calendario universale della Chiesa, perché non si può affermare che siano stati Martiri o confessori della fede, ma soltanto persone benefiche che hanno donato alla Chiesa le case o i palazzi diventati più tardi basiliche.
Soltanto il nome di Santa Cecilia è restato alla data tradizionale.
Moltissimi antichi Martiri, che presentavano gravi difficoltà storiche, sono stati anch'essi soppressi in occasione della revisione del Calendario. Non perché si possa affermare che tali Santi non siano esistiti, ma perché la loro esistenza non è suffragata da prove storiche abbastanza consistenti e convincenti.
Soltanto la memoria di Santa Cecilia è stata conservata, per quanto anche la sua figura presenti simili gravi difficoltà storiche.
Si dice - ma è soltanto un " si dice " - che questa doppia eccezione nei confronti di Santa Cecilia, sia do-vuta a una particolare insistenza, in occasione del Concilio ecumenico Vaticano Il, del Papa Giovanni XXIII.
Ed è certo che, senza il nome di Santa Cecilia, venerata come Martire e onorata come patrona dei musicisti, il Calendario sarebbe risultato un po' più povero, mentre il rigore storico non avrebbe guadagnato un gran che. Perché due fatti almeno sono certi ed eloquenti: che il " titolo " basilicale di Cecilia è antichissimo, sicuramente anteriore all'anno 313, cioè all'età di Costantino. E che la festa della Santa veniva già celebrata, nella sua basilica di Trastevere, nell'anno 545.
Altra circostanza non priva di significato è che Cecilia venne sepolta nelle Catacombe di San Callisto, in un posto d'onore, accanto alla cosiddetta " Cripta dei Papi ". Più tardi, il Papa Pasquale I, grande devoto della Santa, ne trasferì il corpo nella cripta della basilica trasteverina.
Alla fine del '500, il sarcofago venne aperto, e il corpo della Santa apparve in eccezionale stato di conservazione, avvolto in un abito di seta e d'oro. Il Maderna scolpì allora la celebre statua in marmo, a fedele riproduzione - così si disse - dell'aspetto e della posizione del corpo dell'antica Martire.
Tutto il resto è opinabile, sul conto della donna devota che dette il proprio nome alla basilica romana, e che probabilmente regalò alla Chiesa un fabbricato di sua proprietà; sulla fanciulla alla quale una celebre passione -che è però un testo letterario più che storico - attribuisce una serie di drammatiche avventure, terminate con le più crudeli torture e conclusesi con il taglio della testa, che tre colpi di spada non riuscirono a distaccare.
Resterebbe da spiegare come mai, dalla fine del Medioevo, la Santa Romana sia stata considerata musicista e patrona di musicisti, quale è ormai universalmente nota. Anche ciò si spiega con un passo della leggendaria Passione, in cui si dice che " mentre gli organi suonavano, ella cantava nel suo cuore soltanto per il Signore ".
Nella stessa maniera, non soltanto i musicisti, ma tutte le creature dovrebbero, prima d'ogni altra cosa, dar lode a Dio datore di tutte le grazie, compresa quella dell'arte.

Fonte:
Archivio Parrocchia

PREGHIERA A SANTA CECILIA

O Santa Cecilia,
che hai cantato con la tua vita e il tuo martirio,
le lodi del Signore e sei venerata nella Chiesa,
quale patrona della musica e del canto,
aiutaci a testimoniare,
con la nostra voce e con la voce dei nostri strumenti,
quella gioia del cuore
che viene dal fare sempre la volontà di Dio
e dal vivere con coerenza il nostro ideale cristiano.
Aiutaci ad animare in modo degno la santa Liturgia,
da cui sgorga la vita della Chiesa,
consapevoli dell’importanza del nostro servizio.
Ti doniamo le fatiche ed anche le gioie del nostro impegno,
perché tu le ponga nelle mani di Maria Santissima,
come canto armonioso di amore per Suo Figlio Gesù.
Amen.

lunedì 21 novembre 2011

Papa: Ascoltate il grido del povero e dell'emarginato.

Omelia e Angelus di Papa Benedetto XVI - 20 Novembre 2011

VIAGGIO APOSTOLICO IN BENIN
18-20 NOVEMBRE 2011

SANTA MESSA E CONSEGNA
DELL'ESORTAZIONE APOSTOLICA POST-SINODALE
AI VESCOVI DELL'AFRICA

OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

Stadio dell’Amicizia - Cotonou
Domenica, 20 novembre 2011


Cari Fratelli nell’episcopato e nel sacerdozio,
cari fratelli e sorelle!

Sulla scia del mio beato Predecessore, il Papa Giovanni Paolo II, è per me una grande gioia visitare per la seconda volta questo caro Continente africano, venendo tra voi, in Benin, e rivolgervi un messaggio di speranza e di pace. Desidero anzitutto ringraziare molto cordialmente Monsignor Antoine Ganyé, Arcivescovo di Cotonou, per le sue parole di benvenuto e salutare i Vescovi del Benin, come pure tutti i Cardinali e i Vescovi giunti da numerosi Paesi dell’Africa e di altri continenti. E a voi tutti, amati fratelli e sorelle, venuti per partecipare a questa Messa celebrata dal Successore di Pietro, rivolgo il mio più caloroso saluto. Penso certo agli abitanti del Benin, ma anche ai fedeli dei Paesi francofoni vicini, il Togo, il Burkina Faso, il Niger ed altri. La nostra celebrazione eucaristica in questa solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’universo è l’occasione per rendere grazie a Dio per il 150° anniversario degli inizi dell’evangelizzazione del Benin, come pure per la Seconda Assemblea Speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi, tenutasi a Roma vari mesi fa.

Il Vangelo che abbiamo appena ascoltato ci dice che Gesù, il Figlio dell’uomo, il giudice ultimo delle nostre vite, ha voluto prendere il volto di quanti hanno fame e sete, degli stranieri, di quanti sono nudi, malati o prigionieri, insomma di tutte le persone che soffrono o sono messe da parte; il comportamento che noi abbiamo nei loro confronti sarà dunque considerato come il comportamento che abbiamo nei confronti di Gesù stesso. Non vediamo in questo una semplice formula letteraria, una semplice immagine! Tutta l’esistenza di Gesù ne è una dimostrazione. Lui, il Figlio di Dio, è diventato uomo, ha condiviso la nostra esistenza, sino nei dettagli più concreti, facendosi il servo del più piccolo dei suoi fratelli. Lui che non aveva dove posare il capo, sarà condannato a morire su una croce. Questo è il Re che celebriamo!

Indubbiamente questo ci può sembrare sconcertante! Ancor oggi, come 2000 anni fa, abituati a vedere i segni della regalità nel successo, nella potenza, nel denaro o nel potere, facciamo fatica ad accettare un simile re, un re che si fa servo dei più piccoli, dei più umili, un re il cui trono è una croce. E tuttavia, ci dicono le Scritture, è così che si manifesta la gloria di Cristo: è nell’umiltà della sua esistenza terrena che Egli trova il potere di giudicare il mondo. Per Lui, regnare è servire! E ciò che ci chiede è di seguirlo su questa via, di servire, di essere attenti al grido del povero, del debole, dell’emarginato. Il battezzato sa che la sua decisione di seguire Cristo può condurlo a grandi sacrifici, talvolta persino a quello della vita. Ma, come ci ha ricordato san Paolo, Cristo ha vinto la morte e ci trascina dietro di Sé nella sua risurrezione. Ci introduce in un mondo nuovo, un mondo di libertà e di felicità. Ancora oggi tanti legami con il mondo vecchio, tante paure ci tengono prigionieri e ci impediscono di vivere liberi e lieti. Lasciamo che Cristo ci liberi da questo mondo vecchio! La nostra fede in Lui, che è vincitore di tutte le nostre paure, di ogni nostra miseria, ci fa entrare in un mondo nuovo, un mondo in cui la giustizia e la verità non sono una parodia, un mondo di libertà interiore e di pace con noi stessi, con gli altri e con Dio. Ecco il dono che Dio ci ha fatto nel Battesimo!

“Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo” (Mt 25,34). Accogliamo questa parola di benedizione che il Figlio dell’uomo rivolgerà, nel giorno del Giudizio, agli uomini e alle donne che avranno riconosciuto la sua presenza fra i più umili dei loro fratelli, in un cuore libero e pieno dell’amore del Signore! Fratelli e sorelle, questo passo del Vangelo è veramente una parola di speranza, poiché il Re dell’universo s’è fatto vicinissimo a noi, servo dei più piccoli e dei più umili. E io vorrei rivolgermi con affetto a tutte le persone che soffrono, ai malati, a quanti sono colpiti dall’AIDS o da altre malattie, a tutti i dimenticati della società. Abbiate coraggio! Il Papa vi è vicino con la preghiera e con il ricordo. Abbiate coraggio! Gesù ha voluto identificarsi con i piccoli, con i malati; ha voluto condividere la vostra sofferenza e riconoscere in voi dei fratelli e delle sorelle, per liberarli da ogni male, da ogni sofferenza! Ogni malato, ogni povero merita il nostro rispetto e il nostro amore, perché attraverso di lui Dio ci indica la via verso il cielo.

E quest’oggi vi invito ancora a rallegrarvi con me. In effetti, sono 150 anni che la croce di Cristo è stata piantata sulla vostra terra, che il Vangelo è stato annunciato in essa per la prima volta. In questo giorno rendiamo grazie a Dio per l’opera compiuta dai missionari, dagli “operai apostolici” originari di casa vostra o venuti da altre parti, vescovi, sacerdoti, religiosi, religiose, catechisti, tutti coloro che, ieri come oggi, hanno permesso l’estendersi della fede in Gesù Cristo sul Continente africano! Saluto qui la memoria del venerato Cardinale Bernardin Gantin, esempio di fede e di sapienza per il Benin e per tutto il Continente africano!

Cari fratelli e sorelle, tutti coloro che hanno ricevuto il dono meraviglioso della fede, questo dono dell’incontro con il Signore risorto, sentono anche il bisogno di annunciarlo agli altri. La Chiesa esiste per annunciare questa Buona Novella! E tale compito è sempre urgente! Dopo 150 anni, molti sono coloro che non hanno ancora udito il messaggio della salvezza di Cristo! Molti sono anche quanti fanno resistenza ad aprire il proprio cuore alla Parola di Dio! Molti sono coloro la cui fede è debole, e la cui mentalità, le abitudini, il modo di vivere ignorano la realtà del Vangelo, pensando che la ricerca di un benessere egoista, del guadagno facile o del potere sia lo scopo ultimo della vita umana. Con entusiasmo siate testimoni ardenti della fede che avete ricevuto! Fate risplendere in ogni luogo il volto amorevole del Salvatore, in particolare davanti ai giovani alla ricerca di ragioni di vita e di speranza in un mondo difficile!

La Chiesa in Benin ha ricevuto molto dai missionari: essa deve a sua volta recare questo messaggio di speranza ai popoli che non conoscono o non conoscono più il Signore Gesù. Cari fratelli e sorelle, vi invito ad avere questa preoccupazione per l’evangelizzazione, nel vostro Paese e tra i popoli del vostro Continente e del mondo intero. Il recente Sinodo dei Vescovi per l’Africa lo ricorda insistentemente: uomo di speranza, il cristiano non si può disinteressare dei propri fratelli e sorelle. Questo sarebbe in aperta contraddizione con il comportamento di Gesù. Il cristiano è un costruttore instancabile di comunione, di pace e di solidarietà, doni che Gesù stesso ci ha fatto. Nell’esservi fedeli, noi collaboriamo alla realizzazione del piano di salvezza di Dio per l’umanità.

Cari fratelli e sorelle, vi invito perciò a rafforzare la vostra fede in Gesù Cristo, operando un’autentica conversione alla sua persona. Soltanto Lui ci dà la vera vita e ci può liberare da tutte le nostre paure e lentezze, da ogni nostra angoscia. Ritrovate le radici della vostra esistenza nel Battesimo che avete ricevuto e che fa di voi dei figli di Dio! Che Cristo Gesù dia a tutti voi la forza di vivere da cristiani e di cercare di trasmettere generosamente alle nuove generazioni ciò che avete ricevuto dai vostri Padri nella fede!

In lingua fon: AKLUNƆ NI KƆN FƐNU TƆN LƐ DO MI JI [Che il Signore vi colmi delle sue grazie!].

On this feast day, we rejoice together in the reign of Christ the King over the whole world. He is the one who removes all that hinders reconciliation, justice and peace. We are reminded that true royalty does not consist in a show of power, but in the humility of service; not in the oppression of the weak, but in the ability to protect them and to lead them to life in abundance (cf. Jn 10:10). Christ reigns from the Cross and, with his arms open wide, he embraces all the peoples of the world and draws them into unity. Through the Cross, he breaks down the walls of division, he reconciles us with each other and with the Father. We pray today for the people of Africa, that all may be able to live in justice, peace and the joy of the Kingdom of God (cf. Rom 14:17). With these sentiments I affectionately greet all the English-speaking faithful who have come from Ghana and Nigeria and neighbouring countries. May God bless all of you!

[In questo giorno di festa, ci rallegriamo insieme per il regno di Cristo Re su tutta la terra. E’ Lui che rimuove tutto ciò che ostacola la riconciliazione, la giustizia e la pace. Noi sappiamo che la vera regalità non consiste in una dimostrazione di potenza, ma nell’umiltà del servizio, non consiste nell’oppressione dei deboli, ma nella capacità di proteggerli e condurli alla vita in abbondanza (cfr Gv 10,10). Cristo regna dalla Croce e, con le sue braccia aperte, abbraccia tutti i popoli della terra e li attira verso l’unità. Mediante la Croce, abbatte i muri della divisione, ci riconcilia gli uni con gli altri e con il Padre. Preghiamo oggi per i popoli dell’Africa, affinché tutti possano essere capaci di vivere nella giustizia, nella pace e nella gioia del Regno di Dio (cfr Rm 14,17). Con questi sentimenti saluto affettuosamente tutti i fedeli di lingua inglese venuti dal Ghana, dalla Nigeria, e dai Paesi limitrofi. Dio vi benedica tutti!]

Queridos irmãos e irmãs da África lusófona que me ouvis, a todos dirijo a minha saudação e convido a renovar a vossa decisão de pertencer a Cristo e de servir o seu Reino de reconciliação, de justiça e de paz. O seu Reino pode ser posto em perigo no nosso coração. Aqui Deus cruza-se com a nossa liberdade. Nós – e só nós – podemos impedi-Lo de reinar sobre nós mesmos e, em consequência, tornar difícil a sua realeza sobre a família, a sociedade e a história. Por causa de Cristo, tantos homens e mulheres se opuseram, vitoriosamente, às tentações do mundo para viver fielmente a sua fé, às vezes mesmo até ao martírio. A seu exemplo, amados pastores e fiéis, sede sal e luz de Cristo na terra africana! Amen.

[Cari fratelli e sorelle dell’Africa lusofona che mi ascoltate, rivolgo a tutti il mio saluto e vi invito a rinnovare la vostra decisione di appartenere a Cristo e di servire il suo Regno di riconciliazione, di giustizia e di pace! Il suo Regno può esser messo in pericolo nel nostro cuore. Qui, Dio si incontra con la nostra libertà. Noi – e soltanto noi – possiamo impedirgli di regnare su noi stessi e, di conseguenza, rendere difficile la sua signoria sulla famiglia, sulla società e sulla storia. A causa di Cristo, numerosi uomini e donne si sono vittoriosamente opposti alle tentazioni del mondo per vivere fedelmente la propria fede, talvolta sino al martirio. Cari Pastori e fedeli, siate, sul loro esempio, sale e luce di Cristo nella terra africana! Amen.]

ANGELUS

Cotonou, Stadio dell'Amicizia
 Domenica, 20 novembre 2011 

Cari fratelli e sorelle!

Al termine di questa solenne celebrazione eucaristica, uniti da Cristo, ci rivolgiamo con fiducia verso sua Madre, per pregare l’Angelus. Dopo aver consegnato l’Esortazione apostolica Africae Munus, desidero affidare alla Vergine Maria, Nostra Signora d’Africa, la nuova tappa che si apre per la Chiesa in questo Continente, affinché ella accompagni il futuro di questa evangelizzazione dell’intera Africa e particolarmente quella di questa terra del Benin.

Maria ha accolto gioiosamente l’invito del Signore a diventare la Madre di Gesù. Che ella ci porti a rispondere alla missione che Dio ci affida oggi! Maria è questa donna della nostra terra che ha ricevuto il privilegio di dare alla luce il Salvatore del mondo. Chi meglio di Lei conosce il valore e la bellezza della vita umana? Che mai venga meno il nostro stupore davanti al dono della vita! Chi meglio di Lei conosce i nostri bisogni di uomini e donne ancora in pellegrinaggio sulla terra? Ai piedi della Croce, unita al suo Figlio crocifisso, Ella è la Madre della speranza. Questa speranza ci permette di assumere il quotidiano con la forza che dà la verità manifestata da Gesù.

Cari fratelli e sorelle dell’Africa, terra ospitale per la Santa Famiglia, continuate a coltivare i valori familiari cristiani. Mentre tante famiglie sono divise, esiliate, funestate da conflitti senza fine, siate gli artefici della riconciliazione e della speranza. Con Maria, la Vergine del Magnificat, possiate sempre rimanere nella gioia. Questa gioia sia al cuore delle vostre famiglie e dei vostri Paesi!

Con le parole dell’Angelus rivolgiamoci ora verso la nostra amata Madre. Affidiamole le intenzioni che portiamo nel cuore e preghiamola per l’Africa e per il mondo intero.

© Copyright 2011 - Libreria Editrice Vaticana

domenica 20 novembre 2011

Video Vangelo: Cristo Re

Cristo Re: un Re dell'altro mondo...

(Mt 25, 31-46)
XXXIV Domenica del Tempo Ordinario

Siamo giunti ancora una volta alla fine dell’anno – anno liturgico – e lo concludiamo con la solenne e bellissima festa di Cristo Re, Signore dell’Universo e della storia.

• … che vince perdendo

Gesù non aveva negato di essere re: a Pilato aveva risposto: “Tu lo dici, Io lo sono”. Un re dunque. E un re che è in procinto di salire sul trono e di essere incoronato! Ma il suo trono è una Croce; la sua corona, una corona di spine e il suo regno non è di questo mondo. Mai visto un re di questo genere: invece di regnare, serve. E invece di trionfare, fallisce. Ma è così che vince! Sconvolgendo ogni schema di regalità e potenza umana, ha vinto la più grande battaglia, e ha sconfitto il più grande nemico del genere umano: la morte eterna. E solo dopo - contrariamente ad ogni logica umana - avverrà la solenne ed eterna intronizzazione, quando, all’Ascensione, Gesù salirà per sempre alla destra del Padre. La logica umana infatti, prima fa i re e poi fa le battaglie, mentre qui, Gesù, ha dovuto prima sconfiggere, con la morte di Croce, il tremendo e mortale nemico e poi essere intronizzato.
Ma ora è veramente il Sovrano assoluto, lo splendore della gloria del Padre, “esaltato al di sopra di ogni altro nome, perché nel nome di Gesù, ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sottoterra, ed ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore a gloria di Dio Padre” .

• Scortato dagli Angeli…

E poi sarà la fine “quando - dopo aver ridotto al nulla ogni principato, potestà e potenza - egli consegnerà il regno a Dio Padre. Bisogna infatti che egli regni, finché non abbia posto tutti i suoi nemici, sotto i suoi piedi. L’ultimo nemico ad essere annientato sarà la morte” (seconda lettura).
Allora, in quel misteriosissimo ultimo giorno che Lui solo conosce, non solo l’uomo, ma tutta la creazione sarà di Cristo. Egli farà l’ingresso nella nuova Gerusalemme, scortato da tutti gli angeli, regnerà sui nuovi cieli e la nuova terra, e “consegnerà il mondo a Dio Padre, affinché Egli sia tutto in tutti”. Sarà l’inaugurazione del Regno di Dio in tutto il suo splendore. Saremo definitivamente liberati dal nemico mortale che sarà precipitato in fondo agli abissi e sarà un Regno dove non ci sarà più traccia di male, pena, colpa, dolore e morte.

• …è un Re di cuori

Gesù Re dell’universo dunque. Ma il mondo è formato da miliardi di uomini e donne. Miliardi di cuori: sette miliardi per la precisione. Gesù vuole essere soprattutto re dei cuori, ma per essere realmente il re di questo universo interiore, deve poter essere il re di ogni cuore, compreso il mio e il tuo. Se infatti Egli non regna nel tuo e nel mio cuore, non è il re dell’universo. O meglio: è re dell’universo in sé, ma non lo è per me e te.
Se tu ed io non lo lasciamo regnare nel nostro cuore, gli impediamo di abitare l’intero universo, perché c’è uno spazio – quello del nostro cuore – in cui Egli non regna. E non può essere “tutto in tutti”. Chiediamoci dunque se abbiamo un cuore libero per ospitare il Re dell’universo! Oppure l’abbiamo riempito di mille cianfrusaglie a cui siamo visceralmente attaccati e ci importa poco o niente del Re dell’universo? L’uomo non si accorge che più mette da parte Gesù più diventa schiavo di miti e idoli vari imposti dalle mode di turno che diventano i suoi regnanti in carica.
Ma il Regno dei Cieli, non è solo una realtà che ci aspetta dopo la morte, è anche quel regno che è dentro di noi, quella capacità di diventare sempre migliori di ciò che siamo e sempre più somiglianti all’immagine divina scolpita in noi .
Se Gesù sarà veramente il Re del nostro cuore, sperimenteremo fin da quaggiù, questo regno di verità e di grazia, di luce, di amore e di pace.

Wilma Chasseur

sabato 19 novembre 2011

La fede senza le opere è morta

In difesa della vita - Evangelium vitae - XXXVIII

Torna l'appuntamento con la Lettera Enciclica "Evangelium vitae", in difesa della vita. Oggi il Beato Giovanni Paolo II ci ricorda che la fede non giova se non è seguita dalle opere:


«Che giova, fratelli miei se uno dice di avere la fede ma non ha le opere?» (Gc 2, 14): servire il Vangelo della vita

87. In forza della partecipazione alla missione regale di Cristo, il sostegno e la promozione della vita umana devono attuarsi mediante il servizio della carità, che si esprime nella testimonianza personale, nelle diverse forme di volontariato, nell'animazione sociale e nell'impegno politico. È, questa, un'esigenza particolarmente pressante nell'ora presente, nella quale la «cultura della morte» così fortemente si contrappone alla «cultura della vita» e spesso sembra avere il sopravvento. Ancor prima, però, è un'esigenza che nasce dalla «fede che opera per mezzo della carità» (Gal 5, 6), come ci ammonisce la Lettera di Giacomo: «Che giova, fratelli miei, se uno dice di avere la fede ma non ha le opere? Forse che quella fede può salvarlo? Se un fratello o una sorella sono senza vestiti e sprovvisti del cibo quotidiano e uno di voi dice loro: "Andatevene in pace, riscaldatevi e saziatevi", ma non date loro il necessario per il corpo, che giova? Così anche la fede: se non ha le opere, è morta in se stessa» (2, 14-17).

Nel servizio della carità c'è un atteggiamento che ci deve animare e contraddistinguere: dobbiamo prenderci cura dell'altro in quanto persona affidata da Dio alla nostra responsabilità. Come discepoli di Gesù, siamo chiamati a farci prossimi di ogni uomo (cf. Lc 10, 29-37), riservando una speciale preferenza a chi è più povero, solo e bisognoso. Proprio attraverso l'aiuto all'affamato, all'assetato, al forestiero, all'ignudo, al malato, al carcerato — come pure al bambino non ancora nato, all'anziano sofferente o vicino alla morte — ci è dato di servire Gesù, come Egli stesso ha dichiarato: «Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me» (Mt 25, 40). Per questo, non possiamo non sentirci interpellati e giudicati dalla pagina sempre attuale di san Giovanni Crisostomo: «Vuoi onorare il corpo di Cristo? Non trascurarlo quando si trova nudo. Non rendergli onore qui nel tempio con stoffe di seta, per poi trascurarlo fuori, dove patisce freddo e nudità».113

Il servizio della carità nei riguardi della vita deve essere profondamente unitario: non può tollerare unilateralismi e discriminazioni, perché la vita umana è sacra e inviolabile in ogni sua fase e situazione; essa è un bene indivisibile. Si tratta dunque di «prendersi cura» di tutta la vita e della vita di tutti. Anzi, ancora più profondamente, si tratta di andare fino alle radici stesse della vita e dell'amore.

Proprio partendo da un amore profondo per ogni uomo e donna, si è sviluppata lungo i secoli una straordinaria storia di carità, che ha introdotto nella vita ecclesiale e civile numerose strutture di servizio alla vita, che suscitano l'ammirazione di ogni osservatore non prevenuto. È una storia che, con rinnovato senso di responsabilità, ogni comunità cristiana deve continuare a scrivere con una molteplice azione pastorale e sociale. In tal senso si devono mettere in atto forme discrete ed efficaci diaccompagnamento della vita nascente, con una speciale vicinanza a quelle mamme che, anche senza il sostegno del padre, non temono di mettere al mondo il loro bambino e di educarlo. Analoga cura deve essere riservata alla vita nella marginalità o nella sofferenza, specie nelle sue fasi finali.

88. Tutto questo comporta una paziente e coraggiosa opera educativa che solleciti tutti e ciascuno a farsi carico dei pesi degli altri (cf. Gal 6, 2); richiede una continua promozione di vocazioni al servizio, in particolare tra i giovani; implica la realizzazione di progetti e iniziative concrete, stabili ed evangelicamente ispirate.

Molteplici sono gli strumenti da valorizzare con competenza e serietà di impegno. Alle sorgenti della vita, i centri per i metodi naturali di regolazione della fertilità vanno promossi come un valido aiuto per la paternità e maternità responsabili, nella quale ogni persona, a cominciare dal figlio, è riconosciuta e rispettata per se stessa e ogni scelta è animata e guidata dal criterio del dono sincero di sé. Anche i consultori matrimoniali e familiari, mediante la loro specifica azione di consulenza e di prevenzione, svolta alla luce di un'antropologia coerente con la visione cristiana della persona, della coppia e della sessualità, costituiscono un prezioso servizio per riscoprire il senso dell'amore e della vita e per sostenere e accompagnare ogni famiglia nella sua missione di «santuario della vita». A servizio della vita nascente si pongono pure i centri di aiuto alla vita e le case o i centri di accoglienza della vita. Grazie alla loro opera, non poche madri nubili e coppie in difficoltà ritrovano ragioni e convinzioni e incontrano assistenza e sostegno per superare disagi e paure nell'accogliere una vita nascente o appena venuta alla luce.

Di fronte alla vita in condizioni di disagio, di devianza, di malattia e di marginalità, altri strumenti — come le comunità di recupero per tossicodipendenti, le comunità alloggio per i minori o per i malati mentali, i centri di cura e accoglienza per malati di AIDS, le cooperative di solidarietà soprattutto per i disabili — sono espressione eloquente di ciò che la carità sa inventare per dare a ciascuno ragioni nuove di speranza e possibilità concrete di vita.

Quando poi l'esistenza terrena volge al termine, è ancora la carità a trovare le modalità più opportune perché gli anziani, specialmente se non autosufficienti, e i cosiddetti malati terminali possano godere di un'assistenza veramente umana e ricevere risposte adeguate alle loro esigenze, in particolare alla loro angoscia e solitudine. Insostituibile è in questi casi il ruolo delle famiglie; ma esse possono trovare grande aiuto nelle strutture sociali di assistenza e, quando necessario, nel ricorso alle cure palliative, avvalendosi degli idonei servizi sanitari e sociali, operanti sia nei luoghi di ricovero e cura pubblici che a domicilio.

In particolare, deve essere riconsiderato il ruolo degli ospedali, delle cliniche e delle case di cura: la loro vera identità non è solo quella di strutture nelle quali ci si prende cura dei malati e dei morenti, ma anzitutto quella di ambienti nei quali la sofferenza, il dolore e la morte vengono riconosciuti ed interpretati nel loro significato umano e specificamente cristiano. In modo speciale tale identità deve mostrarsi chiara ed efficace negli istituti dipendenti da religiosi o, comunque, legati alla Chiesa.

venerdì 18 novembre 2011

La pecorella smarrita

Elvira - Figlia spirituale di Padre Pio - XI

Continuiamo a scoprire la figura di Elvira, figlia spirituale di San Pio da Pietrelcina: continuiamo a vedere alcune conversioni ottenute proprio da Elvira:

CAPITOLO II
LE CONVERSIONI

TILDE E L'ALTRA

S'è detto come mirabilmente siano talvolta concatenate l'una all'altra le conversioni ottenute da Mamma Elvira. L'episodio che ora riportiamo ne è un chiaro esempio.

Il 22 ottobre del '53 c'era stata a Rimini la terribile esplosione di un'autobotte di benzina che poi si era incendiata provocando danni ingenti per un vastissimo raggio. Furono tanti gli ustionati, che l'Ospedale di Rimini non era sufficiente a contenerli tutti e si era dovuto ammassarli anche nei corridoi. Era uno spettacolo raccapricciante. Elvira aveva dovuto lavorare giorno e notte medicando quelle piaghe purulenti, in mezzo a un fetore insopportabile, senza un attimo di sosta, senza mangiare, senza dormire, confortando, assistendo i moribondi.

Era da poco tornata la normalità, quando conobbe TILDE, una giovane sposa con due figli, malata di tumore all'utero, che aveva subito sette operazioni. Cominciò ad assisterla, trascorrendo con lei delle mezze giornate, stando sempre in piedi, accanto al suo letto, a farle vento, logorando più di un ventaglio, per mitigare l'ardore di quel mese di luglio.

Tilde le diceva: "Signora, lei dice che ho un male brutto?»

"Ma no, vedrà che si riprenderà..." cercava di confortarla Elvira.

"Allora, se è vero, mangi col mio cucchiaio e beva nel mio bicchiere" e le porgeva gli avanzi del suo pasto.

Che fare? Elvira, incoraggiata dall'esempio di Santa Caterina, acconsentiva a fare quanto la malata le chiedeva, per ridarle un po' di fiducia, vincendo la ripugnanza di tutto il suo essere.

Intanto raccoglieva le sue confidenze e veniva così a sapere che aveva condotto una vita peccaminosa, spintavi dal marito stesso, per amore di denaro. Un giorno Elvira le disse:

"Adesso io devo partire, ma mi raccomando, chiami il suo Parroco per fare una bella confessione."

Partì così per San Giovanni Rotondo, dove si trattenne alcuni giorni. Intanto Tilde veniva rimandata a casa. Quando Elvira andò a trovarla, le disse: "Signora, è venuto il prete, sa?"

Pareva contenta, ma il male progrediva e dopo qualche giorno fu riportata all'Ospedale. Il ricovero durò per molto tempo e intorno al letto dell'ammalata era un continuo via vai di parenti, nessuno dei quali credeva in Dio. Anche Elvira non tralasciava giorno senza andare a trovarla, perché, pur avendo attorno tanta gente, la malata gradiva soltanto la sua compagnia. Solo i suoi racconti, infatti, le davano sollievo.

Finalmente Tilde si aggrava ed Elvira, avvertita per telefono, corre all'Ospedale la mattina prestissimo, ma la malata è già in coma e così resta per quattro giorni.

Elvira è preoccupata; ha l'impressione che quella poveretta non si sia confessata bene, sente che è in gioco la sua anima. Allora, piena di angoscia, si rivolge a Padre Pio: "Senti, Padre Pio, se non si è confessata bene, fa che si riprenda!"

E nel formulare questa preghiera, dà un pizzicotto alla mano della malata. Quella, istantaneamente, apre gli occhi. Senza frapporre indugio Elvira chiama il medico e la Suora, perché la portino in un'altra stanza. La malata si riprende, però non parla. Intanto i suoi parenti non la lasciano un momento.

Nel frattempo Elvira presta le sue cure anche a un'altra ammalata. Come la vede quasi morente, dice alle sorelle di lei: "Perché non le avete fatto fare la confessione?" "Perché noi non crediamo queste cose" rispondono. '"a se la poverina lo volesse, voi siete responsabili davanti a Dio!"

Dicendo questo alza la corona davanti agli occhi dell'ammalata e la esorta: "Se vuoi i Sacramenti, stringi la corona!"

L'inferma afferra la corona e tira con tutte le sue forze. Elvira è gongolante e chiama la Suora: "Suora, guardi, che questa ammalata vuole i Sacramenti!" "Ah, sì, sì, ci penso io" promette la Suora.

Elvira se ne va a casa perché è l'ora di pranzo, però non è tranquilla. Sbriga alla svelta le sue faccende e, come attirata da qualcosa, torna giù all'Ospedale per vedere se la Suora ha fatto quanto ha promesso. Neanche per sogno! Allora lei stessa chiama Padre Angelo e lo trascina dall'ammalata che, appena si è confessata, muore.

Ora Elvira torna da Tilde e vede che, contrariamente al solito, non c'è nessuno dei suoi parenti. C'è solo un'ammalata che le fa compagnia, appoggiata al suo letto. L'una e mezzo del pomeriggio. Ancora sotto l'impressione dell'esperienza avuta da poco, Elvira racconta quanto è successo all'altra ammalata e Tilde, nell'udire questo racconto, grida concitata:

"Signora, signora, chiami il prete, subito, anche per me, che non mi sono confessata bene. Corra! Corra!"

Elvira corre in cerca di Padre Angelo, ma saputo che è andato a letto, perché sta poco bene, si precipita fuori a chiamare il Parroco della vicina Chiesa del Suffragio. Tilde, sinceramente pentita, vuol fare la confessione pubblica di tutti i suoi peccati e poi dice ad Elvira: "Signora, si ricordi di dire tutto ai miei, quando vengono! Che facciano la Comunione anche loro!"

Quando, ricevuti ormai i Sacramenti, vede arrivare il marito, gli dice trionfante:

"Guarda che io ho fatto questo e questo e questo..." E lui, a denti stretti, risponde:

"Valà, che siti sera me, ta ne fevi!" (Và che se c’ero io non lo facevi!"

"Proprio così - pensa Elvira - Per questo il Signore ha permesso che io trovassi sola l’ammalata a quest'ora!"

Quella sera stessa Tilde muore.