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domenica 31 ottobre 2010

Video Vangelo: XXXI Domenica Ordinario (C)

L'uomo nuovo


XXXI domenica tempo ordinario

Zaccheo, un altro pubblicano, anzi, addirittura un capo dei pubblicani (oltretutto simpaticissimo) che ha attirato lo sguardo di Gesù!

• 1) Tra una … frode e l’altra…

Egli vedeva che, tra una... frode e l’altra, aveva comunque conservato un cuore di fanciullo. Chi, se non un fanciullo, si metterebbe a correre e salire addirittura su un albero per poterLo vedere! Chi di noi, ad esempio, sarebbe disposto a fare una corsa e salire su di un ciliegio per vedere il Papa, la prossima volta che verrà?... Se poi lui ci vedesse e ci dicesse “Figliolo, scendi subito dal ciliegio“, sarebbe la cosa peggiore che ci possa capitare... Vi immaginate la scena? Essere scoperti in una posizione così poco dignitosa!!! Addio stima e considerazione dell’entourage.

• 2) Oggi devo fermarmi a casa tua…

Ma Zaccheo (che era addirittura un capo, una specie di presidente-direttore-generale) non si scompone per niente e Gesù, non solo non lo trova ridicolo, ma gli dimostra una grande stima dicendogli :”Zaccheo scendi subito, oggi verrò a casa tua” (con grande scandalo dei farisei). Perché questo onore? Perché vedeva in lui, l’uomo nuovo. Gesù vede sempre oltre; non si lascia impressionare dal nostro poco edificante passato, ma vede in anticipo il nostro glorioso futuro e quale meraviglia possiamo diventare, sotto l’azione della Sua grazia! (Vi ricordate l’Innominato dei Promessi Sposi al quale il Cardinal Federico diceva: ”Cosa può fare Dio di voi? Meraviglie può fare”!). In ogni uomo si nasconde un uomo nuovo, ed ognuno può sempre diventare migliore di quello che è, ma lo diventa rinnovandosi interiormente. “Il Regno dei Cieli è dentro di voi”. E’ l’interiorità che determina tutto, dalla nostra conversione alle sorti dell’umanità. Un atto di volontà (=decido di convertirmi o decido di fare la guerra) è un atto puramente spirituale e puramente interiore, eppure è quello che determina tutto il resto. Se avessimo potere sull’atto interiore di volontà di una persona, potremmo cambiare le sorti dell’umanità (se potessimo orientare la volontà dei terroristi verso il bene e distoglierla dal male, la guerra finirebbe subito!)
Quando un uomo decide di diventare migliore di quel che è, fa un atto interiore di volontà; i gesti esteriori saranno solo una conseguenza di questa decisione interiore, senza la quale, nessun cambiamento sarà possibile. La conversione del cuore ha ripercussioni ben più grandi della risurrezione di un morto!

• 3) Beati gli umili!

L’altro motivo per cui Zaccheo ha attirato lo sguardo benevolo di Gesù, è la sua umiltà. Infatti era umile: quale capo sarebbe salito su un albero per vederLo, e non si sarebbe per niente scomposto nell’essere scoperto e invitato a scendere?
L’umiltà attira sempre la simpatia, mentre non c’è niente che renda più antipatica una persona, quanto l’orgoglio. Perché? Perché l’orgoglioso non sa far spazio all’altro; ti chiude in faccia la porta del suo cuore, sempre pronto ad accentrare tutto su di sé e ad eliminare chiunque si avvicini ai suoi confini, per paura che gli tolga il suo prestigio! Quest’uomo si dimostra schiavo del suo “io” e non potrà mai ”rinascere dall’alto“ perché invece di lasciare che “Lui cresca ed io diminuisca” (come aveva ammirevolmente capito il Battista), fa esattamente il contrario. Ecco perché Gesù attaccò così duramente gli scribi, i farisei e i sommi sacerdoti. In loro non c’era nessuna interiorità, cioè spazio per Dio e per il fratello, ma solo esteriorità e apparenza (= salvaguardare il loro prestigio esteriore senza fare opera di verità interiore), attirandosi così l’epiteto di “sepolcri imbiancati”, da parte di Gesù.
Se vogliamo fare l’esperienza di Dio, dobbiamo aprire gli spazi del nostro cuore a Lui e ad ogni fratello. Solo così rinasceremo dall’alto e diventeremo quel uomo nuovo che potrà ricevere la veste candida ed essere così ammessi al banchetto del Regno Celeste.

Wilma Chasseur

sabato 30 ottobre 2010

Cos'è un aborto?

Non farlo (Storia di un aborto)

Nelle scorse settimane avevamo letto una testimonianza sul compimento di un aborto e abbiamo visto i suoi risvolti traumatici. Oggi, cominciamo a leggere una nuova testimonianza, sempre diffusa da Adorto (Movimento nazionale per la famiglia e la vita) che avrà il risvolto di trasmettere le emozioni, le terribili sensazioni e di aiutare a decidere coloro che si trovano in stato confusionale e non sanno cosa fare. L'invito di Adorto e ovviamente anche il nostro, è quello di trasmettere, di diffondere in qualunque modo queste testimonianze, ovviamente in forma integrale e senza modifiche alcune. Ecco la prima parte, l'inizio di una favola che ben presto si trasformerà purtroppo in un incubo:

Avevo da poco compiuto 24 anni. Era pieno Luglio e si prospettava una bella estate: ricca di divertimento, di serate con gli amici e di relax. Si prospettava come una delle estati più belle della mia vita, quelle da ricordare.
Un’estate di cui avere non poca nostalgia. Mi era stato proposto, per tutta la durata della stagione, di tenere delle lezioni di ginnastica in spiaggia, la domenica mattina, per rendere più allegre le vacanze ai turisti. Cercavano “personale qualificato”, ed io fui ritenuta la figura più adatta, vista la mia laurea con lode in Educazione Fisica. Era tutto perfetto. Il lavoro estivo mi gratificava molto. Ricevevo complimenti da parenti, amici e dai clienti del lido.
Era tutto perfetto… finché un giorno, per caso, in spiaggia arrivò un ragazzo. Piombò nel bel mezzo della mia lezione, mentre stavo cercando di spiegare un esercizio nel modo più chiaro possibile. Il microfono funzionava a tratti, e io avevo difficoltà a fornire spiegazioni precise sulla posizione corretta da mantenere. Ero perfezionista e scrupolosa nel mio lavoro. Insomma, a fine lezione il proprietario del lido mi presentò questo ragazzo.
Aveva la mia stessa età, un’aria molto sicura di sé e uno sguardo indagatore. Esordì stringendomi la mano con forza e pronunciando una frase del tutto inaspettata: “Hai una bella voce, lo sai?”. Credevo che mi stesse prendendo in giro. Il mio lavoro consisteva nel far fare ginnastica, non nell’intrattenere il pubblico con la mia “bella voce”… Non ero mica una cantante! Lo guardai con diffidenza, e lui si affrettò a spiegarsi meglio. Era il
proprietario, insieme a dei suoi amici, di una piccola radio locale (“Non ti viene in mente nulla se ti dico che sono MARCO?!”) e aveva bisogno di nuove “voci” da inserire nel palinsesto radiofonico.
Gli risposi onestamente che il suo nome non mi ricordava alcun famoso speaker, e questo lo indispettì non poco. Proseguì comunque nel suo intento e mi chiese se non avessi mai pensato di lavorare in radio. Trovava che avessi una voce chiara e dolce al tempo stesso. In quel momento non sapevo cosa rispondere. Mi sembrava tutto così strano, tutto troppo semplice… Però l’idea di poter fare quella nuova esperienza mi
attirava e, malgrado non ci avessi mai pensato prima, quella proposta mi sembrò entusiasmante.

Mi chiese di provare, senza impegno, ad andare negli studi radiofonici per intervenire nel suo programma. Magari anche solo rispondendo a qualche telefonata, o leggendo qualche sms in diretta, per avere l’opportunità di capire se fossi davvero portata per quel tipo di lavoro.
I primi giorni mi piacque lavorare in radio, sembrava un gioco divertente e stimolante. Mi piaceva avere un nuovo lavoro, diverso da ciò che avevo fatto fino allora, e mi faceva piacere passare del tempo con lui, Marco… Trascorrevamo insieme dei momenti di grande allegria. Dopo il programma andavamo a prendere l’aperitivo nel suo bar preferito, e lì ne approfittavamo per parlare un po’, per conoscerci anche come amici, non solo come “colleghi”. Fu così che iniziò velatamente a corteggiarmi. Mi ritrovavo dei messaggini
dolci e un po’ ambigui sul cellulare, e ogni mattina, quando ci incontravamo in radio, lui era sempre più premuroso nei miei riguardi. Dopo le prime due settimane, però, quel lavoro “divertente” cominciava a
diventare un impegno che non aveva più grosse attrattive per me. Ogni giorno sembrava uguale all’altro. Mi sembrava di perdere tempo. E tra l’altro non ero molto brava a “nascondermi” dietro ad un microfono, senza poter guardare negli occhi i miei interlocutori.
No, non era un lavoro adatto alle mie attitudini. Mi resi conto, da quella riflessione personale, che l’unica ragione per la quale continuavo ad andare ogni mattina in quegli studi, era l’opportunità di vedere lui. E questo mi fece capire quanto stesse diventando importante la sua presenza nella mia vita.
Ero felice di trascorrere del tempo col dolce ragazzo dagli occhi verdi; ogni giorno, anzi, il tempo volava quando eravamo insieme. E così, una mattina, durante il consueto programma radiofonico, al quale
oramai non partecipavo affatto, limitandomi a star seduta accanto a Marco, dietro ai microfoni, lui, con fare sempre più affettuoso, cominciò a parlarmi dolcemente, ad accarezzarmi il viso, a sorridermi con tenerezza… Finché non mi diede un bacio… Un bacio furtivo, spontaneo, anche se un po’ imbarazzato.
Inaspettato per entrambi, credo. Mi lasciò di stucco, non sapevo cosa dire, che reazione avere, cosa pensare di un gesto simile. Certamente entrambi desideravamo un contatto fisico. Era nell’aria, ma i miei dubbi riguardavano il significato che lui potesse aver dato a quel gesto. Lo attraevo fisicamente? Gli interessavo sul serio? Provava un sentimento che cresceva giorno per giorno dentro di sé, così come il mio, o mi
illudevo soltanto? Del resto, pensavo, chissà quante volte il suo lavoro lo avrà avvicinato ad una ragazza. Chissà quante volte si sarà trovato da solo con lei, in una situazione analoga, immerso in un’atmosfera romantica, con le canzoni d’amore in sottofondo, e le battute radiofoniche a doppio senso, che rivolgeva a
lei più che ad un’ipotetica ascoltatrice… Proprio come faceva in quel momento con me.
Mille pensieri mi scorrevano nella mente. Immagini che si susseguivano come in un film. Un film dove, in quell’istante, ero io la protagonista. Un film dove, dopo qualche giorno, la protagonista sarebbe potuta essere una qualsiasi altra ragazza.
Ero molto confusa subito dopo quel bacio, quindi preferii restare in silenzio. Lui capì il mio imbarazzo e mi strinse a sé. Trovai finalmente sollievo nel poter nascondere il mio viso tra le sue braccia: mi sentii compresa appieno, e questo mi rasserenò moltissimo.
Mi sembrava tutto talmente bello, romantico, perfetto! Ero felice. L’esperienza più traumatica e dolorosa della mia vita iniziò così, dipinta di rosa, come una favola.

venerdì 29 ottobre 2010

Il seme del dolore

Padre Pio - Sulla soglia del Paradiso - Quattordicesimo appuntamento

Torna l'appuntamento con la biografia che tratteggia una inedita "storia di Padre Pio raccontata dai suoi amici": "Sulla Soglia del Paradiso" di Gaeta Saverio:

V
Espiazione e sofferenza
 
Il mistero della croce

Nel 1913 Padre Pio scriveva al direttore spirituale: «Gesù mi fa vedere, come in uno specchio, tutta la mia vita futura non essere altro che un martirio». In questa sintetica frase scorrono come in un film i successivi 55 anni del cappuccino, trascorsi nella continua sofferenza espiatrice per esprimere il proprio amore verso Dio e verso il prossimo. E un fotogramma è tuttora visibile nella quinta stazione della Via Crucis di San Giovanni Rotondo, dove lo scultore Francesco Messina ha raffigurato il frate come il Cireneo che sostiene la croce di Cristo lungo la salita del Calvario.

Padre Pio considerava il dolore come un «dono di Dio». Una volta tossiva da far pena, tanto che il confratello padre Lino da Prata gli disse: «Padre, passi a me la sua tosse». E lui rispose sorpreso: «E che, i doni si regalano?». Il professor Nicola Bellantuono, al termine di una confessione, gli chiese invece se le stimmate fossero dolorose e Padre Pio reagì: «Credi che il Signore me le abbia date per bellezza?». Allora il professore si offrì: «Padre, date qualche cosa anche a me». E il frate, quasi irritato:

«I monili del Signore non si regalano!».

La prediletta figlia spirituale Cleonice Morcaldi ha documentato che queste parole non erano soltanto un modo di dire: «Il demonio mi voleva persuadere che il Padre era tutto piagato, ma soltanto misticamente. Il Signore sfatò il bugiardo.

Mi suggerì di mandare nei giorni di gran caldo una camicia di tela bianca al Padre. Ero convinta che la rifiutasse. La tenne. Me la rimandò dopo tre giorni tutta insanguinata, anche le maniche lunghe e larghe».

Don Pierino Galeone ricevette direttamente da Padre Pio la dettagliata spiegazione di quale dovesse essere per il cristiano l'itinerario della sofferenza: «Anzitutto si accetta il dolore da Dio per riparare il passato, purificare l'anima e vincere ogni ripugnanza; poi si abbracciano i patimenti con ardore e risolutezza, con la gioia di percorrere con Cristo la via dolorosa, dal Presepio al Calvario. Si ammira, si loda, si ama ogni stato doloroso di Gesù: della povertà e dell'esilio, degli oscuri lavori della vita nascosta, dei faticosi travagli della vita pubblica e dei patimenti fisici e morali della lunga e dolorosa Passione».

Continuò il cappuccino: «Allora l'anima si sente più coraggiosa di fronte al dolore e alla tristezza, si stende amorosamente sulla nuda croce accanto a Gesù, posa compassionevolmente lo sguardo su di lui e ode dal suo labbro: "Beati quelli che soffrono per amore della giustizia". La speranza di partecipare sempre di più alla gloria con Cristo rende meglio sopportabile la crocifissione con lui, fino a ral­legrarsi delle miserie e delle tribolazioni. Soffrire con Cristo è amarlo e consolarlo perfettamente. Diventano sempre più grandi il desiderio e l'amore alla sofferenza, quanto maggiori sono l'amore a Gesù e alle anime».

Per Padre Pio la sofferenza era una condizione indispensabile all'adempimento della propria missione. Sono in molti a poter testimoniare quanto tutta la sua vita e la sua opera fossero ispirate al fine di soffrire con Cristo per la salvezza delle anime. Una volta il signor Enzo Bertani gli disse: «Mi dia un po' della sua sofferenza», e il Padre rispose senza esitazione: «Io soffro quando non soffro». Che il dolore fosse il suo pane quotidiano lo con-fermò, appena una decina di giorni prima di morire, a padre Paolo Covino, il quale gli suggeriva di pregare il Signore affinché gli alleggerisse un po' di sofferenze: «Figlio mio, se ciò avvenisse morirei di dolore».

Quello che però lo faceva davvero patire nell'anima era la scarsa comprensione del mistero del dolore da parte di quella folla di pellegrini che ogni giorno invocavano aiuto, guarigione, conforto per le loro sofferenze fisiche e morali: «Tutti vengono qua per farsi togliere la croce, nessuno per imparare a portarla», mormorava rattristato. Lo confermò al dottor Mario Frisotti: «Se gli uomini conoscessero la proficuità spirituale del dolore vorrebbero essere messi tutti in croce».

A don Pierino Galeone, che gli chiedeva: «Padre, come fate voi a soffrire tanto e ad avere il volto sempre sereno e gioioso, mentre io soffro pochissimo e non so nascondere la pena sul mio volto?», suggerì: «Figlio mio, comincia ad accogliere con dolce rassegnazione le contrarietà e le afflizioni, e il Signore non mancherà di metterti nel cuore la serenità, la pace, la gioia e, quindi, la beatitudine nel patire. Così ho fatto io, così fa' anche tu».

Ne è testimonianza autobiografica il pensiero che Padre Pio scrisse il 22 gennaio 1953, in occasione del cinquantesimo anniversario della propria vestizione: «Cinquant'anni di vita religiosa, cinquant'anni confitto sulla croce, cinquant'anni di fuoco divoratore per Te, Signore, per i tuoi redenti. Che altro desidera l'animo mio se non condurre tutti a Te, o Signore, e attendere pazientemente che bruci tutte le mie viscere nel cu pio dissolvi per essere completamente in Te?».

giovedì 28 ottobre 2010

Santa Brigida compatrona d'Europa

Udienza Generale Papa Benedetto XVI - 27 Ottobre 2010


BENEDETTO XVI

UDIENZA GENERALE

Piazza San Pietro
Mercoledì, 27 ottobre 2010

 

Santa Brigida di Svezia

Cari fratelli e sorelle,

nella fervida vigilia del Grande Giubileo dell’Anno Duemila, il Venerabile Servo di Dio Giovanni Paolo II proclamò santa Brigida di Svezia compatrona di tutta l’Europa. Questa mattina vorrei presentarne la figura, il messaggio, e le ragioni per cui questa santa donna ha molto da insegnare – ancor oggi – alla Chiesa e al mondo.

Conosciamo bene gli avvenimenti della vita di santa Brigida, perché i suoi padri spirituali ne redassero la biografia per promuoverne il processo di canonizzazione subito dopo la morte, avvenuta nel 1373. Brigida era nata settant’anni prima, nel 1303, a Finster, in Svezia, una nazione del Nord-Europa che da tre secoli aveva accolto la fede cristiana con il medesimo entusiasmo con cui la Santa l’aveva ricevuta dai suoi genitori, persone molto pie, appartenenti a nobili famiglie vicine alla Casa regnante.

Possiamo distinguere due periodi nella vita di questa Santa.

Il primo è caratterizzato dalla sua condizione di donna felicemente sposata. Il marito si chiamava Ulf ed era governatore di un importante distretto del regno di Svezia. Il matrimonio durò ventott’anni, fino alla morte di Ulf. Nacquero otto figli, di cui la secondogenita, Karin (Caterina), è venerata come santa. Ciò è un segno eloquente dell’impegno educativo di Brigida nei confronti dei propri figli. Del resto, la sua saggezza pedagogica fu apprezzata a tal punto che il re di Svezia, Magnus, la chiamò a corte per un certo periodo, con lo scopo di introdurre la sua giovane sposa, Bianca di Namur, nella cultura svedese.

Brigida, spiritualmente guidata da un dotto religioso che la iniziò allo studio delle Scritture, esercitò un influsso molto positivo sulla propria famiglia che, grazie alla sua presenza, divenne una vera “chiesa domestica”. Insieme con il marito, adottò la Regola dei Terziari francescani. Praticava con generosità opere di carità verso gli indigenti; fondò anche un ospedale. Accanto alla sua sposa, Ulf imparò a migliorare il suo carattere e a progredire nella vita cristiana. Al ritorno da un lungo pellegrinaggio a Santiago di Compostela, effettuato nel 1341 insieme ad altri membri della famiglia, gli sposi maturarono il progetto di vivere in continenza; ma poco tempo dopo, nella pace di un monastero in cui si era ritirato, Ulf concluse la sua vita terrena.

Questo primo periodo della vita di Brigida ci aiuta ad apprezzare quella che oggi potremmo definire un’autentica “spiritualità coniugale”: insieme, gli sposi cristiani possono percorrere un cammino di santità, sostenuti dalla grazia del Sacramento del Matrimonio. Non poche volte, proprio come è avvenuto nella vita di santa Brigida e di Ulf, è la donna che con la sua sensibilità religiosa, con la delicatezza e la dolcezza riesce a far percorrere al marito un cammino di fede. Penso con riconoscenza a tante donne che, giorno dopo giorno, ancor oggi illuminano le proprie famiglie con la loro testimonianza di vita cristiana. Possa lo Spirito del Signore suscitare anche oggi la santità degli sposi cristiani, per mostrare al mondo la bellezza del matrimonio vissuto secondo i valori del Vangelo: l’amore, la tenerezza, l’aiuto reciproco, la fecondità nella generazione e nell’educazione dei figli, l’apertura e la solidarietà verso il mondo, la partecipazione alla vita della Chiesa.

Quando Brigida rimase vedova, iniziò il secondo periodo della sua vita. Rinunciò ad altre nozze per approfondire l’unione con il Signore attraverso la preghiera, la penitenza e le opere di carità. Anche le vedove cristiane, dunque, possono trovare in questa Santa un modello da seguire. In effetti, Brigida, alla morte del marito, dopo aver distribuito i propri beni ai poveri, pur senza mai accedere alla consacrazione religiosa, si stabilì presso il monastero cistercense di Alvastra. Qui ebbero inizio le rivelazioni divine, che l’accompagnarono per tutto il resto della sua vita. Esse furono dettate da Brigida ai suoi segretari-confessori, che le tradussero dallo svedese in latino e le raccolsero in un’edizione di otto libri, intitolati Revelationes (Rivelazioni). A questi libri si aggiunge un supplemento, che ha per titolo appunto Revelationes extravagantes (Rivelazioni supplementari).

Le Rivelazioni di santa Brigida presentano un contenuto e uno stile molto vari. A volte la rivelazione si presenta sotto forma di dialoghi fra le Persone divine, la Vergine, i santi e anche i demoni; dialoghi nei quali anche Brigida interviene. Altre volte, invece, si tratta del racconto di una visione particolare; e in altre ancora viene narrato ciò che la Vergine Maria le rivela circa la vita e i misteri del Figlio. Il valore delle Rivelazioni di santa Brigida, talvolta oggetto di qualche dubbio, venne precisato dal Venerabile Giovanni Paolo II nella Lettera Spes Aedificandi: “Riconoscendo la santità di Brigida la Chiesa, pur senza pronunciarsi sulle singole rivelazioni, ha accolto l'autenticità complessiva della sua esperienza interiore” (n. 5).

Di fatto, leggendo queste Rivelazioni siamo interpellati su molti temi importanti. Ad esempio, ritorna frequentemente la descrizione, con dettagli assai realistici, della Passione di Cristo, verso la quale Brigida ebbe sempre una devozione privilegiata, contemplando in essa l’amore infinito di Dio per gli uomini. Sulla bocca del Signore che le parla, ella pone con audacia queste commoventi parole: “O miei amici, Io amo così teneramente le mie pecore che, se fosse possibile, vorrei morire tante altre volte, per ciascuna di esse, di quella stessa morte che ho sofferto per la redenzione di tutte” (Revelationes, Libro I, c. 59). Anche la dolorosa maternità di Maria, che la rese Mediatrice e Madre di misericordia, è un argomento che ricorre spesso nelle Rivelazioni.

Ricevendo questi carismi, Brigida era consapevole di essere destinataria di un dono di grande predilezione da parte del Signore: “Figlia mia – leggiamo nel primo libro delle Rivelazioni –, Io ho scelto te per me, amami con tutto il tuo cuore ... più di tutto ciò che esiste al mondo” (c. 1). Del resto, Brigida sapeva bene, e ne era fermamente convinta, che ogni carisma è destinato ad edificare la Chiesa. Proprio per questo motivo, non poche delle sue rivelazioni erano rivolte, in forma di ammonimenti anche severi, ai credenti del suo tempo, comprese le Autorità religiose e politiche, perché vivessero coerentemente la loro vita cristiana; ma faceva questo sempre con un atteggiamento di rispetto e di fedeltà piena al Magistero della Chiesa, in particolare al Successore dell’Apostolo Pietro.

Nel 1349 Brigida lasciò per sempre la Svezia e si recò in pellegrinaggio a Roma. Non solo intendeva prendere parte al Giubileo del 1350, ma desiderava anche ottenere dal Papa l’approvazione della Regola di un Ordine religioso che intendeva fondare, intitolato al Santo Salvatore, e composto da monaci e monache sotto l’autorità dell’abbadessa. Questo è un elemento che non deve stupirci: nel Medioevo esistevano fondazioni monastiche con un ramo maschile e un ramo femminile, ma con la pratica della stessa regola monastica, che prevedeva la direzione dell’Abbadessa. Di fatto, nella grande tradizione cristiana, alla donna è riconosciuta una dignità propria, e – sempre sull’esempio di Maria, Regina degli Apostoli – un proprio posto nella Chiesa, che, senza coincidere con il sacerdozio ordinato, è altrettanto importante per la crescita spirituale della Comunità. Inoltre, la collaborazione di consacrati e consacrate, sempre nel rispetto della loro specifica vocazione, riveste una grande importanza nel mondo d’oggi.

A Roma, in compagnia della figlia Karin, Brigida si dedicò a una vita di intenso apostolato e di orazione. E da Roma si mosse in pellegrinaggio in vari santuari italiani, in particolare ad Assisi, patria di san Francesco, verso il quale Brigida nutrì sempre grande devozione. Finalmente, nel 1371, coronò il suo più grande desiderio: il viaggio in Terra Santa, dove si recò in compagnia dei suoi figli spirituali, un gruppo che Brigida chiamava “gli amici di Dio”.

Durante quegli anni, i Pontefici si trovavano ad Avignone, lontano da Roma: Brigida si rivolse accoratamente a loro, affinché facessero ritorno alla sede di Pietro, nella Città Eterna.

Morì nel 1373, prima che il Papa Gregorio XI tornasse definitivamente a Roma. Fu sepolta provvisoriamente nella chiesa romana di San Lorenzo in Panisperna, ma nel 1374 i suoi figli Birger e Karin la riportarono in patria, nel monastero di Vadstena, sede dell’Ordine religioso fondato da santa Brigida, che conobbe subito una notevole espansione. Nel 1391 il Papa Bonifacio IX la canonizzò solennemente.

La santità di Brigida, caratterizzata dalla molteplicità dei doni e delle esperienze che ho voluto ricordare in questo breve profilo biografico-spirituale, la rende una figura eminente nella storia dell’Europa. Proveniente dalla Scandinavia, santa Brigida testimonia come il cristianesimo abbia profondamente permeato la vita di tutti i popoli di questo Continente. Dichiarandola compatrona d’Europa, il Papa Giovanni Paolo II ha auspicato che santa Brigida – vissuta nel XIV secolo, quando la cristianità occidentale non era ancora ferita dalla divisione – possa intercedere efficacemente presso Dio, per ottenere la grazia tanto attesa della piena unità di tutti i cristiani. Per questa medesima intenzione, che ci sta tanto a cuore, e perché l’Europa sappia sempre alimentarsi dalle proprie radici cristiane, vogliamo pregare, cari fratelli e sorelle, invocando la potente intercessione di santa Brigida di Svezia, fedele discepola di Dio e compatrona d’Europa. Grazie per l’attenzione.

[Saluti in varie lingue]

* * *

Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto i fedeli della diocesi di Sulmona-Valva, guidati dal Vescovo Mons. Angelo Spina, qui convenuti per ricambiare la visita, che ho avuto la gioia di compiere nella loro terra nello scorso mese di luglio. Cari amici, ancora una volta vi ringrazio per l’affetto con cui mi avete accolto, ed auspico che da quel nostro incontro scaturisca per la vostra Comunità diocesana una rinnovata e generosa adesione a Cristo e alla sua Chiesa. Saluto il pellegrinaggio promosso dalle Suore del Preziosissimo Sangue e guidato dall’Arcivescovo di Vercelli, Mons. Enrico Masseroni, in occasione della beatificazione di Alfonsa Clerici ed esorto ciascuno a proseguire, sull'esempio della nuova Beata, nell'impegno di testimonianza evangelica. Saluto i rappresentanti del Gruppo di preghiera “Madonna Pellegrina di Schoenstatt” di Sant’Angelo di Alife, accompagnati dal loro Pastore, Mons. Valentino Di Cerbo, ed assicuro la mia preghiera perché si rafforzi in ciascuno il fermo desiderio di annunciare a tutti Gesù Cristo, unico Salvatore del mondo. Saluto le Suore dell’Ordine del Santissimo Salvatore e Santa Brigida – Brigidine, riunite per il loro Capitolo generale e prego il Signore perché da questa assemblea scaturiscano generosi propositi di vita evangelica per l’intero Istituto.

Mi rivolgo, infine, ai giovani, ai malati ed agli sposi novelli. Carissimi, celebreremo domani la festa dei santi Apostoli Simone e Giuda Taddeo. La loro gloriosa testimonianza sostenga voi tutti nel rispondere generosamente alla chiamata del Signore.

APPELLO

Nelle ultime ore, un nuovo terribile tsunami si è abbattuto sulle coste dell’Indonesia, colpita anche da un’eruzione vulcanica, provocando numerosi morti e dispersi. Ai familiari delle vittime esprimo il più vivo cordoglio per la perdita dei loro cari ed a tutta la popolazione indonesiana assicuro la mia vicinanza e la mia preghiera.

Sono, inoltre, vicino alla cara popolazione del Benin, colpita da continue alluvioni, che hanno lasciato molte persone senza tetto e in precarie situazioni igienico-sanitarie. Sulle vittime e sull’intera Nazione invoco la benedizione ed il conforto del Signore.

Alla comunità internazionale chiedo di prodigarsi per fornire il necessario aiuto e per alleviare le pene di quanti soffrono per queste devastazioni.


© Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana

mercoledì 27 ottobre 2010

Abbracciami Gesu'

Fides et ratio - La scienza della fede e le esigenze della ragione filosofica

Torna l'appuntamento settimanale con la Lettera Enciclica del Venerabile Giovanni Paolo II "Fides et Ratio", per riflettere sui rapporti tra fede e ragione:

CAPITOLO VI

INTERAZIONE
TRA TEOLOGIA E FILOSOFIA

La scienza della fede e le esigenze della ragione filosofica

70. Il tema, poi, del rapporto con le culture merita una riflessione specifica, anche se necessariamente non esaustiva, per le implicanze che ne derivano sia sul versante filosofico che su quello teologico. Il processo di incontro e confronto con le culture è un'esperienza che la Chiesa ha vissuto fin dagli inizi della predicazione del Vangelo. Il comando di Cristo ai discepoli di andare in ogni luogo, « fino agli estremi confini della terra » (At 1, 8), per trasmettere la verità da Lui rivelata, ha posto la comunità cristiana nella condizione di verificare ben presto l'universalità dell'annuncio e gli ostacoli derivanti dalla diversità delle culture. Un brano della lettera di san Paolo ai cristiani di Efeso offre un valido aiuto per comprendere come la comunità primitiva abbia affrontato questo problema. Scrive l'Apostolo: « Ora invece, in Cristo Gesù, voi che un tempo eravate i lontani siete diventati i vicini grazie al sangue di Cristo. Egli infatti è la nostra pace, colui che ha fatto dei due un popolo solo, abbattendo il muro di separazione che era frammezzo » (2, 13-14).

Alla luce di questo testo la nostra riflessione s'allarga alla trasformazione che si è venuta a creare nei Gentili una volta arrivati alla fede. Davanti alla ricchezza della salvezza operata da Cristo, cadono le barriere che separano le diverse culture. La promessa di Dio in Cristo diventa, adesso, un'offerta universale: non più limitata alla particolarità di un popolo, della sua lingua e dei suoi costumi, ma estesa a tutti come patrimonio a cui ciascuno può attingere liberamente. Da diversi luoghi e tradizioni tutti sono chiamati in Cristo a partecipare all'unità della famiglia dei figli di Dio. E Cristo che permette ai due popoli di diventare « uno ». Coloro che erano « i lontani » diventano « i vicini » grazie alla novità operata dal mistero pasquale. Gesù abbatte i muri di divisione e realizza l'unificazione in modo originale e supremo mediante la partecipazione al suo mistero. Questa unità è talmente profonda che la Chiesa può dire con san Paolo: « Non siete più stranieri né ospiti, ma siete concittadini dei santi e familiari di Dio » (Ef 2, 19).

In una così semplice annotazione è descritta una grande verità: l'incontro della fede con le diverse culture ha dato vita di fatto a una realtà nuova. Le culture, quando sono profondamente radicate nell'umano, portano in sé la testimonianza dell'apertura tipica dell'uomo all'universale e alla trascendenza. Esse presentano, pertanto, approcci diversi alla verità, che si rivelano di indubbia utilità per l'uomo, a cui prospettano valori capaci di rendere sempre più umana la sua esistenza.(94) In quanto poi le culture si richiamano ai valori delle tradizioni antiche, portano con sé — anche se in maniera implicita, ma non per questo meno reale — il riferimento al manifestarsi di Dio nella natura, come si è visto precedentemente parlando dei testi sapienziali e dell'insegnamento di san Paolo.

71. Essendo in stretto rapporto con gli uomini e con la loro storia, le culture condividono le stesse dinamiche secondo cui il tempo umano si esprime. Si registrano di conseguenza trasformazioni e progressi dovuti agli incontri che gli uomini sviluppano e alle comunicazioni che reciprocamente si fanno dei loro modelli di vita. Le culture traggono alimento dalla comunicazione di valori, e la loro vitalità e sussistenza è data dalla capacità di rimanere aperte all'accoglienza del nuovo. Qual è la spiegazione di queste dinamiche? Ogni uomo è inserito in una cultura, da essa dipende, su di essa influisce. Egli è insieme figlio e padre della cultura in cui è immerso. In ogni espressione della sua vita, egli porta con sé qualcosa che lo contraddistingue in mezzo al creato: la sua apertura costante al mistero ed il suo inesauribile desiderio di conoscenza. Ogni cultura, di conseguenza, porta impressa in sé e lascia trasparire la tensione verso un compimento. Si può dire, quindi, che la cultura ha in sé la possibilità di accogliere la rivelazione divina.

Il modo in cui i cristiani vivono la fede è anch'esso permeato dalla cultura dell'ambiente circostante e contribuisce, a sua volta, a modellarne progressivamente le caratteristiche. Ad ogni cultura i cristiani recano la verità immutabile di Dio, da Lui rivelata nella storia e nella cultura di un popolo. Nel corso dei secoli continua così a riprodursi l'evento di cui furono testimoni i pellegrini presenti a Gerusalemme nel giorno di Pentecoste. Ascoltando gli Apostoli, si domandavano: « Costoro che parlano non sono forse tutti Galilei? E com'è che li sentiamo ciascuno parlare la nostra lingua nativa? Siamo Parti, Medi, Elamiti e abitanti della Mesopotamia, della Giudea, della Cappadocia, del Ponto e dell'Asia, della Frigia e della Panfilia, dell'Egitto e delle parti della Libia vicino a Cirene, stranieri di Roma, Ebrei e proseliti, Cretesi e Arabi e li udiamo annunziare nelle nostre lingue le grandi opere di Dio » (At 2, 7-11). L'annuncio del Vangelo nelle diverse culture, mentre esige dai singoli destinatari l'adesione della fede, non impedisce loro di conservare una propria identità culturale. Ciò non crea divisione alcuna, perché il popolo dei battezzati si distingue per una universalità che sa accogliere ogni cultura, favorendo il progresso di ciò che in essa vi è di implicito verso la sua piena esplicazione nella verità.

Conseguenza di ciò è che una cultura non può mai diventare criterio di giudizio ed ancor meno criterio ultimo di verità nei confronti della rivelazione di Dio. Il Vangelo non è contrario a questa od a quella cultura come se, incontrandosi con essa, volesse privarla di ciò che le appartiene e la obbligasse ad assumere forme estrinseche che non le sono conformi. Al contrario, l'annuncio che il credente porta nel mondo e nelle culture è forma reale di liberazione da ogni disordine introdotto dal peccato e, nello stesso tempo, è chiamata alla verità piena. In questo incontro, le culture non solo non vengono private di nulla, ma sono anzi stimolate ad aprirsi al nuovo della verità evangelica per trarne incentivo verso ulteriori sviluppi.

72. Il fatto che la missione evangelizzatrice abbia incontrato sulla sua strada per prima la filosofia greca, non costituisce indicazione in alcun modo preclusiva per altri approcci. Oggi, via via che il Vangelo entra in contatto con aree culturali rimaste finora al di fuori dell'ambito di irradiazione del cristianesimo, nuovi compiti si aprono all'inculturazione. Problemi analoghi a quelli che la Chiesa dovette affrontare nei primi secoli si pongono alla nostra generazione.

Il mio pensiero va spontaneamente alle terre d'Oriente, così ricche di tradizioni religiose e filosofiche molto antiche. Tra esse, l'India occupa un posto particolare. Un grande slancio spirituale porta il pensiero indiano alla ricerca di un'esperienza che, liberando lo spirito dai condizionamenti del tempo e dello spazio, abbia valore di assoluto. Nel dinamismo di questa ricerca di liberazione si situano grandi sistemi metafisici.

Spetta ai cristiani di oggi, innanzitutto a quelli dell'India, il compito di estrarre da questo ricco patrimonio gli elementi compatibili con la loro fede così che ne derivi un arricchimento del pensiero cristiano. Per questa opera di discernimento, che trova la sua ispirazione nella Dichiarazione conciliare Nostra aetate, essi terranno conto di un certo numero di criteri. Il primo è quello dell'universalità dello spirito umano, le cui esigenze fondamentali si ritrovano identiche nelle culture più diverse. Il secondo, derivante dal primo, consiste in questo: quando la Chiesa entra in contatto con grandi culture precedentemente non ancora raggiunte, non può lasciarsi alle spalle ciò che ha acquisito dall'inculturazione nel pensiero greco-latino. Rifiutare una simile eredità sarebbe andare contro il disegno provvidenziale di Dio, che conduce la sua Chiesa lungo le strade del tempo e della storia. Questo criterio, del resto, vale per la Chiesa di ogni epoca, anche per quella di domani, che si sentirà arricchita dalle acquisizioni realizzate nell'odierno approccio con le culture orientali e troverà in questa eredità nuove indicazioni per entrare fruttuosamente in dialogo con quelle culture che l'umanità saprà far fiorire nel suo cammino incontro al futuro. In terzo luogo, ci si guarderà dal confondere la legittima rivendicazione della specificità e dell'originalità del pensiero indiano con l'idea che una tradizione culturale debba rinchiudersi nella sua differenza ed affermarsi nella sua opposizione alle altre tradizioni, ciò che sarebbe contrario alla natura stessa dello spirito umano.

Quanto è qui detto per l'India vale anche per l'eredità delle grandi culture della Cina, del Giappone e degli altri Paesi dell'Asia, come pure delle ricchezze delle culture tradizionali dell'Africa, trasmesse soprattutto per via orale.

73. Alla luce di queste considerazioni, il rapporto che deve opportunamente instaurarsi tra la teologia e la filosofia sarà all'insegna della circolarità. Per la teologia, punto di partenza e fonte originaria dovrà essere sempre la parola di Dio rivelata nella storia, mentre obiettivo finale non potrà che essere l'intelligenza di essa via via approfondita nel susseguirsi delle generazioni. Poiché, d'altra parte, la parola di Dio è Verità (cfr Gv 17, 17), alla sua migliore comprensione non può non giovare la ricerca umana della verità, ossia il filosofare, sviluppato nel rispetto delle leggi che gli sono proprie. Non si tratta semplicemente di utilizzare, nel discorso teologico, l'uno o l'altro concetto o frammento di un impianto filosofico; decisivo è che la ragione del credente eserciti le sue capacità di riflessione nella ricerca del vero all'interno di un movimento che, partendo dalla parola di Dio, si sforza di raggiungere una migliore comprensione di essa. E chiaro, peraltro, che, muovendosi entro questi due poli — parola di Dio e migliore sua conoscenza —, la ragione è come avvertita, e in qualche modo guidata, ad evitare sentieri che la porterebbero fuori della Verità rivelata e, in definitiva, fuori della verità pura e semplice; essa viene anzi stimolata ad esplorare vie che da sola non avrebbe nemmeno sospettato di poter percorrere. Da questo rapporto di circolarità con la parola di Dio la filosofia esce arricchita, perché la ragione scopre nuovi e insospettati orizzonti.

74. La conferma della fecondità di un simile rapporto è offerta dalla vicenda personale di grandi teologi cristiani che si segnalarono anche come grandi filosofi, lasciando scritti di così alto valore speculativo, da giustificarne l'affiancamento ai maestri della filosofia antica. Ciò vale sia per i Padri della Chiesa, tra i quali bisogna citare almeno i nomi di san Gregorio Nazianzeno e sant'Agostino, sia per i Dottori medievali, tra i quali emerge la grande triade di sant'Anselmo, san Bonaventura e san Tommaso d'Aquino. Il fecondo rapporto tra filosofia e parola di Dio si manifesta anche nella ricerca coraggiosa condotta da pensatori più recenti, tra i quali mi piace menzionare, per l'ambito occidentale, personalità come John Henry Newman, Antonio Rosmini, Jacques Maritain, Étienne Gilson, Edith Stein e, per quello orientale, studiosi della statura di Vladimir S. Solov'ev, Pavel A. Florenskij, Petr J. Caadaev, Vladimir N. Lossky. Ovviamente, nel fare riferimento a questi autori, accanto ai quali altri nomi potrebbero essere citati, non intendo avallare ogni aspetto del loro pensiero, ma solo proporre esempi significativi di un cammino di ricerca filosofica che ha tratto considerevoli vantaggi dal confronto con i dati della fede. Una cosa è certa: l'attenzione all'itinerario spirituale di questi maestri non potrà che giovare al progresso nella ricerca della verità e nell'utilizzo a servizio dell'uomo dei risultati conseguiti. C'è da sperare che questa grande tradizione filosofico-teologica trovi oggi e nel futuro i suoi continuatori e i suoi cultori per il bene della Chiesa e dell'umanità.

martedì 26 ottobre 2010

Ecco il legno della Croce

Il Papa per la costruzione della pace in M.O.

Riteniamo giusto e proficuo pubblicare il testo dell'omelia pronunciata dal Papa Benedetto XVI in occasione della conclusione dei lavori del Sinodo che è stato un punto di fondamentale importanza per il ristabilimento della pace in Medio-Oriente (soprattutto a livello di libertà di religione che si deve tradurre in una vera libertà di professione della propria fede, senza condizionamenti o intimidazioni). Il Papa ha giustamente chiamato questi territori ed in particolare i cristiani, a cercare di costruire una pace che è urgente e che non bisogna mai rassegnarsi nel cammino per la sua costruzione. Ecco il testo integrale che auspichiamo sia una pietra miliare per il processo di integrazione e di pacificazione del Medio-Oriente, ormai troppo sconvolto da guerre e persecuzioni, nonché martiri ed emigrazioni:

CAPPELLA PAPALE PER LA CONCLUSIONE
DELL'ASSEMBLEA SPECIALE DEL SINODO DEI VESCOVI
PER IL MEDIO ORIENTE

OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

Basilica Vaticana
Domenica, 24 ottobre 2010


Venerati Fratelli,
illustri Signori e Signore,
cari fratelli e sorelle!

A distanza di due settimane dalla Celebrazione di apertura, ci siamo radunati nuovamente nel giorno del Signore, intorno all’Altare della Confessione della Basilica di San Pietro, per concludere l’Assemblea Speciale per il Medio Oriente del Sinodo dei Vescovi. Nei nostri cuori c’è una profonda gratitudine a Dio che ci ha donato questa esperienza davvero straordinaria, non solo per noi, ma per il bene della Chiesa, del Popolo di Dio che vive nelle terre tra il Mediterraneo e la Mesopotamia. Come Vescovo di Roma, desidero partecipare questa riconoscenza a voi, venerati Padri sinodali: Cardinali, Patriarchi, Arcivescovi, Vescovi. Ringrazio in particolare il Segretario Generale, i quattro Presidenti Delegati, il Relatore Generale, il Segretario Speciale e tutti i collaboratori, che in questi giorni hanno lavorato senza risparmio.

Stamani abbiamo lasciato l’Aula del Sinodo e siamo venuti “al tempio per pregare”; per questo, ci riguarda direttamente la parabola del fariseo e del pubblicano raccontata da Gesù e riportata dall’evangelista san Luca (cfr 18,9-14). Anche noi potremmo essere tentati, come il fariseo, di ricordare a Dio i nostri meriti, magari pensando all’impegno di queste giornate. Ma, per salire al Cielo, la preghiera deve partire da un cuore umile, povero. E quindi anche noi, al termine di questo evento ecclesiale, vogliamo anzitutto rendere grazie a Dio, non per i nostri meriti, ma per il dono che Lui ci ha fatto. Ci riconosciamo piccoli e bisognosi di salvezza, di misericordia; riconosciamo che tutto viene da Lui e che solo con la sua Grazia si realizzerà quanto lo Spirito Santo ci ha detto. Solo così potremo “tornare a casa” veramente arricchiti, resi più giusti e più capaci di camminare nelle vie del Signore.

La prima lettura e il Salmo responsoriale insistono sul tema della preghiera, sottolineando che essa è tanto più potente presso il cuore di Dio quanto più chi prega è in condizione di bisogno e di afflizione. “La preghiera del povero attraversa le nubi”, afferma il Siracide (35,21); e il salmista aggiunge: “Il Signore è vicino a chi ha il cuore spezzato, / egli salva gli spiriti affranti” (34,19). Il pensiero va a tanti fratelli e sorelle che vivono nella regione mediorientale e che si trovano in situazioni difficili, a volte molto pesanti, sia per i disagi materiali, sia per lo scoraggiamento, lo stato di tensione e talvolta di paura. La Parola di Dio oggi ci offre anche una luce di speranza consolante, là dove presenta la preghiera, personificata, che “non desiste finché l’Altissimo non sia intervenuto e abbia reso soddisfazione ai giusti e ristabilito l’equità” (Sir 35,21-22). Anche questo legame tra preghiera e giustizia ci fa pensare a tante situazioni nel mondo, in particolare nel Medio Oriente. Il grido del povero e dell’oppresso trova un’eco immediata in Dio, che vuole intervenire per aprire una via di uscita, per restituire un futuro di libertà, un orizzonte di speranza.

Questa fiducia nel Dio vicino, che libera i suoi amici, è quella che testimonia l’apostolo Paolo nell’epistola odierna, tratta dalla Seconda Lettera a Timoteo. Vedendo ormai prossima la fine della vita terrena, Paolo traccia un bilancio: “Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede” (2 Tm 4,7). Per ognuno di noi, cari fratelli nell’episcopato, questo è un modello da imitare: ci conceda la Bontà divina di fare nostro un simile consuntivo! “Il Signore – prosegue san Paolo – mi è stato vicino e mi ha dato forza, perché io potessi portare a compimento l’annuncio del Vangelo e tutte le genti lo ascoltassero” (2 Tm 4,16-17). E’ una parola che risuona con particolare forza in questa domenica in cui celebriamo la Giornata Missionaria Mondiale! Comunione con Gesù crocifisso e risorto, testimonianza del suo amore. L’esperienza dell’Apostolo è paradigmatica per ogni cristiano, specialmente per noi Pastori. Abbiamo condiviso un momento forte di comunione ecclesiale. Ora ci lasciamo per tornare ciascuno alla propria missione, ma sappiamo che rimaniamo uniti, rimaniamo nel suo amore.

L’Assemblea sinodale che oggi si chiude ha tenuto sempre presente l’icona della prima comunità cristiana, descritta negli Atti degli Apostoli: “La moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuore solo e un’anima sola” (At 4,32). E’ una realtà sperimentata nei giorni scorsi, in cui abbiamo condiviso le gioie e i dolori, le preoccupazioni e le speranze dei cristiani del Medio Oriente. Abbiamo vissuto l’unità della Chiesa nella varietà delle Chiese presenti in quella Regione. Guidati dallo Spirito Santo, siamo diventati “un cuore solo e un’anima sola” nella fede, nella speranza e nella carità, soprattutto durante le Celebrazioni eucaristiche, fonte e culmine della comunione ecclesiale, come pure nella Liturgia delle Ore, celebrata ogni mattina in uno dei 7 Riti cattolici del Medio Oriente. Abbiamo così valorizzato la ricchezza liturgica, spirituale e teologica delle Chiese Orientali Cattoliche, oltre che della Chiesa Latina. Si è trattato di uno scambio di doni preziosi, di cui hanno beneficiato tutti i Padri sinodali. E’ auspicabile che tale esperienza positiva si ripeta anche nelle rispettive comunità del Medio Oriente, favorendo la partecipazione dei fedeli alle celebrazioni liturgiche degli altri Riti cattolici e quindi ad aprirsi alle dimensioni della Chiesa universale.

La preghiera comune ci ha aiutato anche ad affrontare le sfide della Chiesa Cattolica nel Medio Oriente. Una di esse è la comunione all’interno di ogni Chiesa sui iuris, come pure nei rapporti tra le varie Chiese Cattoliche di diverse tradizioni. Come ci ha ricordato l’odierna pagina del Vangelo (cfr Lc 18,9-14), abbiamo bisogno di umiltà, per riconoscere i nostri limiti, i nostri errori ed omissioni, per poter veramente formare “un cuore solo e un’anima sola”. Una più piena comunione all’interno della Chiesa Cattolica favorisce anche il dialogo ecumenico con le altre Chiese e Comunità ecclesiali. La Chiesa Cattolica ha ribadito anche in quest’Assise sinodale la sua profonda convinzione di proseguire tale dialogo, affinché si realizzi compiutamente la preghiera del Signore Gesù “perché tutti siano una sola cosa” (Gv 17,21).

Ai cristiani nel Medio Oriente si possono applicare le parole del Signore Gesù: “Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto dare a voi il Regno” (Lc 12,32). Infatti, anche se poco numerosi, essi sono portatori della Buona Notizia dell’amore di Dio per l’uomo, amore che si è rivelato proprio in Terra Santa nella persona di Gesù Cristo. Questa Parola di salvezza, rafforzata con la grazia dei Sacramenti, risuona con particolare efficacia nei luoghi in cui, per divina Provvidenza, è stata scritta, ed è l’unica Parola in grado di rompere il circolo vizioso della vendetta, dell’odio, della violenza. Da un cuore purificato, in pace con Dio e con il prossimo, possono nascere propositi ed iniziative di pace a livello locale, nazionale ed internazionale. In tale opera, alla cui realizzazione è chiamata tutta la comunità internazionale, i cristiani, cittadini a pieno titolo, possono e debbono dare il loro contributo con lo spirito delle beatitudini, diventando costruttori di pace ed apostoli di riconciliazione a beneficio di tutta la società.

Da troppo tempo nel Medio Oriente perdurano i conflitti, le guerre, la violenza, il terrorismo. La pace, che è dono di Dio, è anche il risultato degli sforzi degli uomini di buona volontà, delle istituzioni nazionali ed internazionali, in particolare degli Stati più coinvolti nella ricerca della soluzione dei conflitti. Non bisogna mai rassegnarsi alla mancanza della pace. La pace è possibile. La pace è urgente. La pace è la condizione indispensabile per una vita degna della persona umana e della società. La pace è anche il miglior rimedio per evitare l’emigrazione dal Medio Oriente. “Chiedete pace per Gerusalemme” – ci dice il Salmo (122,6). Preghiamo per la pace in Terra Santa. Preghiamo per la pace nel Medio Oriente, impegnandoci affinché tale dono di Dio offerto agli uomini di buona volontà si diffonda nel mondo intero.

Un altro contributo che i cristiani possono apportare alla società è la promozione di un’autentica libertà religiosa e di coscienza, uno dei diritti fondamentali della persona umana che ogni Stato dovrebbe sempre rispettare. In numerosi Paesi del Medio Oriente esiste la libertà di culto, mentre lo spazio della libertà religiosa non poche volte è assai limitato. Allargare questo spazio di libertà diventa un’esigenza per garantire a tutti gli appartenenti alle varie comunità religiose la vera libertà di vivere e professare la propria fede. Tale argomento potrebbe diventare oggetto di dialogo tra i cristiani e i musulmani, dialogo la cui urgenza ed utilità è stata ribadita dai Padri sinodali.

Durante i lavori dell’Assemblea è stata spesso sottolineata la necessità di riproporre il Vangelo alle persone che lo conoscono poco, o che addirittura si sono allontanate dalla Chiesa. Spesso è stato evocato l’urgente bisogno di una nuova evangelizzazione anche per il Medio Oriente. Si tratta di un tema assai diffuso, soprattutto nei Paesi di antica cristianizzazione. Anche la recente creazione del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione risponde a questa profonda esigenza. Per questo, dopo aver consultato l’episcopato del mondo e dopo aver sentito il Consiglio Ordinario della Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi, ho deciso di dedicare la prossima Assemblea Generale Ordinaria, nel 2012, al seguente tema: “Nova evangelizatio ad christianam fidem tradendam - La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana”.

Cari fratelli e sorelle del Medio Oriente! L’esperienza di questi giorni vi assicuri che non siete mai soli, che vi accompagnano sempre la Santa Sede e tutta la Chiesa, la quale, nata a Gerusalemme, si è diffusa nel Medio Oriente e in seguito nel mondo intero. Affidiamo l’applicazione dei risultati dell’Assemblea Speciale per il Medio Oriente, come pure la preparazione di quella Generale Ordinaria, all’intercessione della Beata Vergine Maria, Madre della Chiesa e Regina della Pace. Amen.

© Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana

lunedì 25 ottobre 2010

Riflessione vangelo: XXX ordinario (C)

Angelus di Papa Benedetto XVI - 24 ottobre 2010


BENEDETTO XVI

ANGELUS

Piazza San Pietro
Domenica, 24 ottobre 2010



Cari fratelli e sorelle!

Con la solenne Celebrazione di questa mattina nella Basilica Vaticana si è conclusa l’Assemblea Speciale per il Medio Oriente del Sinodo dei Vescovi, sul tema: “La Chiesa Cattolica in Medio Oriente: comunione e testimonianza”. In questa domenica, inoltre, ricorre la Giornata Missionaria Mondiale, che ha per motto: “La costruzione della comunione ecclesiale è la chiave della missione”. Colpisce la somiglianza tra i temi di questi due eventi ecclesiali. Entrambi invitano a guardare alla Chiesa come mistero di comunione che, per sua natura, è destinato a tutto l’uomo e a tutti gli uomini. Il Servo di Dio Papa Paolo VI così affermava: “La Chiesa esiste per evangelizzare, vale a dire per predicare ed insegnare, essere il canale del dono della grazia, riconciliare i peccatori con Dio, perpetuare il sacrificio del Cristo nella Santa Messa che è il memoriale della sua morte e della sua gloriosa risurrezione” (Esort. Ap. Evangelii nuntiandi, 8 dicembre 1975, 14: AAS 68, [1976], p. 13). Per questo la prossima Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, nel 2012, sarà dedicata al tema “La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana”. In ogni tempo e in ogni luogo – anche oggi nel Medio Oriente – la Chiesa è presente e opera per accogliere ogni uomo e offrirgli in Cristo la pienezza della vita. Come scriveva il teologo italo-tedesco Romano Guardini: “La realtà «Chiesa» implica tutta la pienezza dell’essere cristiano che si sviluppa nella storia, in quanto essa abbraccia la pienezza dell’umano che è in rapporto con Dio” (Formazione liturgica, Brescia 2008, 106-107).

Cari amici, nella Liturgia odierna si legge la testimonianza di san Paolo riguardo al premio finale che il Signore consegnerà “a tutti coloro che hanno atteso con amore la sua manifestazione” (2 Tm 4,8). Non si tratta di un’attesa inoperosa o solitaria, al contrario! L’Apostolo ha vissuto in comunione con Cristo risorto per “portare a compimento l’annuncio del Vangelo” così che “tutte le genti lo ascoltassero” (2 Tm 4,17). Il compito missionario non è rivoluzionare il mondo, ma trasfigurarlo, attingendo la forza da Gesù Cristo che “ci convoca alla mensa della sua Parola e dell’Eucaristia, per gustare il dono della sua Presenza, formarci alla sua scuola e vivere sempre più consapevolmente uniti a Lui, Maestro e Signore” (Messaggio per la 84.ma Giornata Missionaria Mondiale). Anche i cristiani di oggi – come è scritto nella lettera A Diogneto – “mostrano come sia meravigliosa e … straordinaria la loro vita associata. Trascorrono l’esistenza sulla terra, ma sono cittadini del cielo. Obbediscono alle leggi stabilite, ma con il loro modo di vivere oltrepassano le leggi … Sono condannati a morte, e da essa traggono vita. Pur facendo il bene, sono … perseguitati e crescono di numero ogni giorno». (V, 4.9.12.16; VI, 9 [SC 33], Paris 1951, 62-66).

Alla Vergine Maria, che da Gesù Crocifisso ha ricevuto la nuova missione di essere Madre di tutti coloro che vogliono credere in Lui e seguirlo, affidiamo le comunità cristiane del Medio Oriente e tutti i missionari del Vangelo.

Dopo l'Angelus

Sono lieto di ricordare che ieri, a Vercelli, è stata proclamata beata Suor Alfonsa Clerici, della Congregazione del Preziosissimo Sangue di Monza, nata a Lainate, presso Milano, nel 1860, e morta a Vercelli nel 1930. Rendiamo grazie a Dio per questa nostra Sorella, che Egli ha guidato alla perfetta carità.

[Saluti in varie lingue - Saludo con afecto a los peregrinos de lengua española presentes en esta oración mariana, en particular a los fieles peruanos y de otros países latinoamericanos de la Hermandad del Señor de los Milagros, de Roma. En este domingo, la Iglesia celebra la Jornada Mundial de las Misiones. Invito a todos a orar al Señor por aquellos que han entregado generosamente su vida a la evangelización de los pueblos, a menudo entre grandes dificultades. Confío a todos los misioneros del mundo a la protección maternal de la Santísima Virgen María, que en el transcurso de este mes invocamos especialmente con el título de Nuestra Señora del Rosario, para que no les falte nunca nuestro apoyo espiritual y material en el desempeño de su hermosa tarea apostólica. Feliz domingo.]

Saluto infine con affetto i pellegrini di lingua italiana, in particolare quelli che hanno preso parte all’iniziativa “Le Vie di Roma nel Lazio”, per valorizzare gli antichi itinerari di pellegrinaggio verso Roma. Saluto le Suore di Carità dell’Assunzione con un gruppo della Fraternità di Comunione e Liberazione, e i partecipanti all’Ecorally San Marino-Città del Vaticano. A tutti auguro una buona domenica e una buona settimana. Grazie.

© Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana

domenica 24 ottobre 2010

Video Vangelo: XXX domenica ordinario (C)

Una Luce nella notte


XXX domenica tempo ordinario


• 1) Tutto troppo avanti.

Il fariseo e il pubblicano. Il primo avanza dritto impettito verso l’altare, si fa avanti, guarda davanti, mette avanti i suoi meriti e le sue pretese... Tutto troppo avanti. Il Dio a cui parla non è lì; è rimasto indietro, in fondo. Se si voltasse lo vedrebbe chino sul pubblicano, tutto attento ad ascoltare la sua preghiera e tutto intento a non giudicarlo. Mentre lui, il fariseo, ha appena finito di giudicarlo e ha anche appena finito di stabilire chi dei due sia migliore e si dice in cuor suo “ho visto la differenza fra lui e me e ho scelto me” (come diceva una nota canzone). E pretende che anche il Signore faccia lo stesso. Se invece si voltasse a guardare il pubblicano rimasto in fondo a capo chino, con uno sguardo di benevolenza, allora e solo allora, incontrerebbe anche lui lo sguardo del Signore. Ma lui guarda solo davanti, verso qualcuno che non c’è e non sa che farsene delle sue decime e dei suoi digiuni, mentre nel cuore ha il disprezzo per il fratello. Ha sbagliato direzione, guarda sempre troppo avanti. E sta troppo dritto per poter incontrare lo sguardo del Signore; dovrebbe chinarsi quel tanto che basta per riuscire a battersi il petto e dire come il pubblicano: ”Pietà di me, peccatore”. ALLORA Sì CHE LO INCONTREREBBE!

• 2) Il Signore ci aspetta in fondo

Il Signore con questa parabola, vuole dirci che Lui sta indietro, ci aspetta in fondo. In fondo alla nostra povertà: è lì che lo incontriamo. Più ci innalziamo e meno lo incontriamo. La strada inizia... per terra. Se vogliamo camminare dobbiamo prima posare i piedi a terra, cioè scendere dal piedistallo del nostro orgoglio che ci fa planare a mezz’aria impedendoci di avanzare. E impedendoci di essere nella verità. Dobbiamo dare e dire al Signore ciò che è veramente nostro, cioè la nostra miseria e non fantomatiche virtù che -anche nel caso le avessimo- sono sempre dono Suo.
“Dammi i tuoi peccati, quelli sì che sono tuoi -ci dice il Signore come già aveva detto a tanti santi- e Io, dopo averli distrutti ti darò le Mie virtù”. Ecco in cosa consiste l’ammirabile commercio.
Dobbiamo essere veri davanti a Dio e sinceri con noi stessi; non c’è niente che piaccia di più al Signore, e ci attiri le sue grazie, quanto un cuore contrito e umiliato. Come diceva il priore di un monastero: ”Vengono a bussare alla nostra porta dei poveretti che chiedono la carità e ci raccontano storie inverosimili per impietosirci ‘Ho cinque figli, moglie all’ospedale, io sono malato‘ ecc. ecc. Se invece ci dicessero la verità ‘sono un povero ubriacone, ho tutto speso e non ho più niente’, quanto più il nostro cuore si aprirebbe e parteciperebbe al loro dolore, con la carità non solo materiale, ma fatta anche di comprensione e sincera solidarietà”.

• 3) Una luce splende nella notte…

Ecco, è così che noi dobbiamo essere col Signore. Allora riceveremo il Suo perdono e la sua grazia che sgorgano dal Suo Cuore compassionevole e saremo inondati dai fiumi di acqua viva che ci renderanno nuovi fiammanti e splendenti di luce. L’umiltà è la virtù più importante per avanzare nel cammino verso Dio. In Cielo potranno entrare anche grandi peccatori che magari erano iracondi, intemperanti, impazienti ecc…, ma non potrà entrare nessuno che non abbia l’umiltà. Tutte le altre miserie, il Signore le perdona e a volte non ce le toglie neanche perché gli servono a meraviglia per contrastare il nostro orgoglio, ma la mancanza di umiltà è la più grande barriera che ci impedisce di entrare in comunione con Dio, perché ci fa preferire noi stessi a Lui. Ci ferma su noi stessi e ci impedisce di alzare lo sguardo verso di Lui, dal quale ci viene ogni dono perfetto, e riconoscerlo come l’unico Signore e datore di ogni virtù.
L’umiltà è come una luce che si accende nella notte e, dissipando le tenebre dell’orgoglio, ci permetterà di vedere la Stella lucente, l’Astro divino che inonderà anche noi di luce gloriosa., rendendoci simili a Lui per i secoli eterni.

Wilma Chasseur

sabato 23 ottobre 2010

Diario di un Bambino mai nato - NO ALL'ABORTO

Vivere o uccidere una vita - Quinta parte

Continuiamo la lettura della testimonianza di una persona anonima sulla realtà dolorosa dell'aborto. Oggi la parte finale della testimonianza ci mostra la tortura del dopo, quando lo scempio si è compiuto e il cuore comincia a languire perchè non può più tornare indietro:

Al fiacco risveglio, mi sentii letteralmente rovesciare sul letto. Avevo un lenzuolo in mezzo alle gambe per assorbire l’emorragia in corso. Non riuscivo a muovermi bene. Ero ancora semiparalizzata. Più vivo che mai è il senso di tormento provato quando mi resi conto di non essere più mamma... Perché mamma si diventa nel momento in cui scopri che non sei più sola, ma c’è una parte di te che sta nascendo dentro di te. E’ una nuova vita, è tuo figlio.
Sentivo le lacrime calde e silenziose solcarmi il viso: da quel preciso istante iniziò il mio tormento. “Non c’è più. Non c’è più” – mi disperavo con quel briciolo di forza che mi rimaneva. Squillò il telefono. Con gran fatica risposi. Era la mia amica Liliana con cui mi sfogai piangendo e dicendo di nuovo: “Non c'è più, non c’è più...”. Pochi minuti e rientrò da quella sala dell’orrore anche la terza ragazza: così lo scempio si era compiuto. I nostri singhiozzi, isolati dall’allegria di chi, nelle vicine stanze, si preparava a vivere l’evento più straordinario della vita, richiamavano il buio in cui eravamo vergognosamente precipitate.
Chi mi avrebbe salvato, restituendomi alla luce della Grazia Divina? Chi mi avrebbe reso la dignità di donna che avevo soffocato con le mie stesse mani? Ma soprattutto, chi mi avrebbe ridato mio figlio, anzi la mia bambina? Eh sì, perché ero certa che sarebbe stata una femminuccia. Straziante il pentimento che aveva bussato da subito al mio cuore. Da allora non ho più pace. Non mi perdonerò mai per aver deciso di far
morire quella che doveva essere la persona più importante della mia esistenza. Ecco, amica mia, ora conosci la mia storia e hai letto il mio dolore, per quanto possibile.
Tuttora non so spiegarti che cosa mi abbia davvero spinto a diventare quella che non sono. Probabilmente si è trattato di paura di crescere, o di essere abbandonata, o di non essere più amata, o di tenere accanto a me una
persona che pensavo potesse sentirsi in trappola, o semplicemente di non farcela, di non saper essere una brava mamma e una valida donna. Non lo so, non lo so, non lo so…
La mente umana è complessa e tortuosa e, spesso, neanche noi conosciamo bene tutti i labirinti del nostro inconscio. Quel che è certo è che si è trattato di un gesto sconsiderato, frutto del mio egoismo più abbietto e che non rifarei, mai e poi mai, se solo potessi tornare indietro.
Lo so, anche tu ti senti sola, non vedi via d’uscita al tuo turbamento. Provi un disagio per una situazione che non sai come gestire e che non ti appartiene perché nuova, più grande di te, del mondo in cui finora hai
vissuto. Hai il timore di essere giudicata per ciò che provi in realtà, che nessuno possa capirti, e sei convinta che abortire sia la cosa più giusta da fare; che basteranno pochi minuti del tuo tempo per dare una risposta
indolore e definitiva alla tua angoscia. Ma, purtroppo, sarà solo definitiva, perché il dolore per non aver pazientato e aver assecondato la morte di tuo figlio, non riuscirai più a cancellarlo.
Non sentirti sola. Molto più vicino di quanto pensi c’è qualcuno disposto ad ascoltarti, a tenderti la mano per non farti cadere, ad essere tuo amico, un amico sinceramente dispiaciuto per ciò che stai passando e che vuole offrirti il proprio aiuto.
Hai bisogno di parlare. Sfogati pure, fai tutto quel che è necessario per salvarVi, ne hai il diritto ed anche il dovere. Proteggiti da te stessa; proteggi l’amore che già vive in te.
Capisco quanto, adesso, ogni cosa sembri difficile, impossibile da superare, ma tira fuori tutta la forza che hai dentro, perché sono certa che tu ne abbia tanta. Noi donne siamo speciali: creature fragili, ma che sanno essere anche forti rocce…
E’ vero, l’ignoto spaventa, irrigidisce, ma pensa che può rivelarsi una meravigliosa sorpresa. La vita ti stupisce soprattutto quando sei convinto che non ci sia più luce per te, e ti emoziona come l’abbraccio inaspettato di
un bambino.
Dio ti ha scelta come mamma di tuo figlio: crede in te. Tu hai scelto tuo figlio e lui ha voluto te e non un’altra mamma!! Coraggio!! Sono sicura che basterà guardarlo negli occhi, tenere la sua tenera mano nella tua, stringerlo a te e sentire il suo profumo per cancellare i brutti pensieri, le angosce, le incertezze. Lui sarà la tua forza e tu sarai il suo faro, sempre acceso.
Se qualcuno avesse deciso di farci morire non avremmo potuto scoprire com’è bello cantare, avere amici, innamorarsi, rimanere stupefatti dinanzi alla bellezza del mare…. essere ciò che siamo.
Quante volte ci siamo lasciati sopraffare dalla rabbia perché non ci hanno lasciato liberi di scegliere. Non arroghiamoci allora il diritto di decidere se far vivere o morire un essere umano, ossia la carne della nostra carne. Non negarti l’amore di tuo figlio come ho fatto io.
Di fronte ad ogni donna in attesa ti chiederai “perché io no?” e non potrai rimproverare nessuno se non te stessa. Sapessi che pena si scatenerà in te nel vedere una mamma felice in compagnia del proprio bambino, perché avresti potuto godere della stessa felicità e l’hai rifiutata. Comincerai a contare i mesi e poi gli anni che
avrebbe compiuto tuo figlio se non lo avessi fatto morire. Cercherai di immaginare il suo volto, l’espressione dei suoi occhi, il suo sorriso e li rivedrai in ogni bambino che incrocerai per strada.
Non puoi pensare che le mie siano solo parole. Chi meglio di me può capirti? Io sono stata all’inferno e non voglio che lo conosca anche tu. Ti prego. Ascolta solo il tuo cuore e se qualcuno ti spinge a credere che
abortire sia per il tuo bene, allontanalo perché non sa quello che dice, e non ti ama davvero. Se deciderai di interrompere la tua gravidanza, ricordalo, non potrai tornare più indietro. Sarà una ferita sempre aperta, sempre sanguinante. Non mortificarti… ti supplico come fossi mia sorella…
Ora ti lascio, amica mia, con un messaggio che ho scritto il giorno seguente l’aborto. Dovevo liberare in qualche modo il dolore che mi stava consumando fino a togliermi anche il respiro.

“Sto male, malissimo. Vorrei morire e solo Dio, che tutto vede, sa il perché.. Ieri è stato il giorno più brutto della mia vita…l’inferno in terra… Ora cerco il perdono, ma non ho neanche il coraggio di chiederlo. Spero solo che Dio Misericordioso, abbia pietà di me, ultimo degli esseri, e cambi il mio cuore, quello stesso cuore che credevo migliore e che, invece, mi ha fatto tradire la vita…” Mi auguro fortemente che domani mattina, al risveglio, tu sorrida perché avrai deciso di iniziare una nuova, straordinaria avventura …
… con TUO FIGLIO.

venerdì 22 ottobre 2010

San Francesco d'Assisi: l'uomo semplice

Padre Pio - Sulla soglia del Paradiso - Tredicesimo appuntamento

Torna l'appuntamento con la biografia che tratteggia una inedita "storia di Padre Pio raccontata dai suoi amici": "Sulla Soglia del Paradiso" di Gaeta Saverio:

IV

Dio, Gesù e Spirito Santo

Un "altro Cristo" come san Francesco

A Cleonice Morcaldi, che gli domandava: «Che cosa devo chiedere a Dio per voi?», Padre Pio rispose: «Ch'io sia un altro Gesù, tutto e sempre Gesù». La tensione spirituale nella quale il cappuccino era costantemente immerso aveva infatti come termine di paragone san Francesco d'Assisi, che i contemporanei del Trecento definivano alter Christus, un altro Cristo.

Per Padre Pio il richiamarsi a Gesù non era mancanza d'umiltà, bensì serena consapevolezza del proprio stato e della missione affidatagli dal Signore. Lo sapevano bene anche i suoi figli spirituali, tanto che al professor Gerardo De Caro non parve strano quanto gli accadde un giorno nel quale il frate era a letto ammalato: «Il professor Attilio Massa ed io entrammo nella sua cella solo per sa­lutarlo. Nel commiato gli dissi con l'amico: "Il Signore sia con voi . Ed egli rispose: "E io con voi Allora pensai che Padre Pio parlasse davvero come alter Christus».

«Viva Gesù! Questa è la parola interiore sotto cui dobbiamo vivere e morire», scriveva nel 1917 il Padre, poco dopo aver iniziato il definitivo ministero che si sarebbe protratto per cinquant'anni a San Giovanni Rotondo. Ed era così elevato il suo amore a Cristo, da farlo prorompere - secondo la testimonianza del dottor Francesco Di Raimondo, che narra un episodio avvenuto il 7 settembre del 1956 - in un frammento di vera poesia teologica: «E valsa la pena che l'uomo portasse le conseguenze del peccato originale, dal momento che questo ha provocato l'incarnazione di Cristo». Per questo non appare come una semplice osservazione scherzosa quanto si legge sulla sua cartella clinica del maggio 1959, alla voce professione: «Portatore di anime a Cristo»!

Uno degli studiosi dei suoi scritti, padre Melchiorre da Pobladura, ha sintetizzato in sei aspetti la spiritualità cristocentrica di Padre Pio: Gesù ideale di vita cristiana; Gesù modello nel quale tutti devono rispecchiarsi; Gesù vivo nei suoi misteri; Gesù sempre con noi; il Cuore divino di Gesù; Gesù nell'Eucaristia. Proprio Gesù Sacramentato era al centro della sua devozione, come testimonia la preghiera di comunione spirituale, composta da sant'Alfonso Maria de' Liguori, che Padre Pio recitava ogni sera: «Gesù mio, credo che voi siete nel santissimo Sacramento. Vi amo sopra ogni cosa e vi desidero nell'anima mia. Poiché ora non posso ricevervi sacramentalmente, venite almeno spiritualmente nel mio cuore. Come già venuto, io vi abbraccio e tutto mi unisco a voi; non permettete che io mi abbia mai a separare da voi». «Guardate Gesù, e non me», era l'ordine che rivolgeva ai devoti che si voltavano verso di lui mentre pregava. E se quando lui usciva dal confessionale era in corso la celebrazione eucaristica in qualche altare laterale, racconta padre Marcellino lasenzaniro, alla gente che faceva ala al suo passaggio tentando di toccarlo o chiedendogli la benedizione si rivolgeva con fermezza dicendo: «Si sta celebrando la Messa: state voltando le spalle a Gesù Sacramentato».

Era così grande l'amore di Padre Pio per l'Eucaristia, che a padre Alberto D'Apolito, quando nel 1922 si vociferava del trasferimento da San Giovanni Rotondo, confidò di sentirsi estremamente tranquillo, perché «dovunque andrò troverò Gesù Sacramentato, un pane da mangiare, un panno per coprirmi». E a suor Maria Francesca Consolata -che si lamentava per alcuni problemi in ospedale, dicendogli: «Me ne scapperei davvero da Casa Sollievo, se non fosse per Gesù e per voi» - Padre Pio rispose con dolcezza: «E quello che dico sempre anch'io, figlia mia... Credi tu che starei qui se non fosse per Gesù?».

La sua identificazione con Cristo raggiungeva talvolta livelli impensabili, come attesta una straordinaria esperienza di don Pierino Galeone mentre stava per ricevere la comunione: «Padre Pio si mise davanti a me e, prendendo fra le dita la particola, la guardava con tanta intensità da tenerla per un bel po' ferma. Con mia sorpresa, vidi chiaramente cambiare le sue sembianze in quelle di Gesù. Era di statura normale, in abiti sacerdotali, occhi sereni, volto dolce, labbra con cenno di sorriso. Aveva una trentina d'anni, capelli biondi e lunghi, barba discreta e ben ordinata, occhi azzurri, volto ovale e bello. Vidi muovere quella mano, dapprima immobile, che teneva fra le dita la particola, avvicinarsi lentamente alla mia bocca e dire "Questo è il mio corpo". Aprii la bocca e presi la particola: ancora le sue sembianze erano quelle di Gesù. Poi abbassai il capo, chiudendo gli occhi in raccoglimento. Quando li riaprii, vidi Padre Pio riprendere le sue sembianze con semplicità e passare oltre con disinvolta naturalezza».

L'invito a vivere nella gioia di Gesù Cristo faceva il pari con la sollecitazione che Padre Pio rivolgeva ai figli spirituali «a non dare mai luogo nel vostro cuore alla tristezza... poiché essa impedisce la libera operazione dello Spirito Santo». Che cosa intendesse dire, lo spiegò alla nobildonna Raffaelina Ce-rase: «Lasciate che lo Spirito Santo operi in voi, abbandonandovi a tutti i suoi trasporti, e non te­mete. Egli è tanto sapiente, soave e discreto da non causare che il bene. Quale bontà di questo Spirito Paraclito per tutti, ma quale per voi massimamente che lo cercate».

Di fatto, per Padre Pio la consapevolezza che l'anima è il tempio dello Spirito Santo aveva come immediata e logica conseguenza la necessità per ogni cristiano di «non dar luogo al nemico di farsi strada per entrare nel nostro spirito e far contaminare questo tempio». Come concreto aiuto in tal senso, un semplice ed efficace suggerimento: la preghiera allo Spirito Paraclito affinché illumini «intorno a tre grandi verità specialmente: che ci faccia conoscere l'eccellenza della nostra vocazione cristiana; che ci illumini intorno all'immensità dell'eterna eredità a cui la bontà del celeste Padre ci ha destinati; che ci faccia penetrare il mistero della nostra giustificazione, che da miseri peccatori ci trasse a salute».

giovedì 21 ottobre 2010

Sant' Elisabetta d'Ungheria

Udienza Generale Papa Benedetto XVI - 20 Ottobre 2010


BENEDETTO XVI

UDIENZA GENERALE

Piazza San Pietro
Mercoledì, 20 ottobre 2010

 

Santa Elisabetta d’Ungheria

Cari fratelli e sorelle,

oggi vorrei parlarvi di una delle donne del Medioevo che ha suscitato maggiore ammirazione; si tratta di santa Elisabetta d’Ungheria, chiamata anche Elisabetta di Turingia.

Nacque nel 1207; gli storici discutono sul luogo. Suo padre era Andrea II, ricco e potente re di Ungheria, il quale, per rafforzare i legami politici, aveva sposato la contessa tedesca Gertrude di Andechs-Merania, sorella di santa Edvige, la quale era moglie del duca di Slesia. Elisabetta visse nella Corte ungherese solo i primi quattro anni della sua infanzia, assieme a una sorella e tre fratelli. Amava il gioco, la musica e la danza; recitava con fedeltà le sue preghiere e mostrava già particolare attenzione verso i poveri, che aiutava con una buona parola o con un gesto affettuoso.

La sua fanciullezza felice fu bruscamente interrotta quando, dalla lontana Turingia, giunsero dei cavalieri per portarla nella sua nuova sede in Germania centrale. Secondo i costumi di quel tempo, infatti, suo padre aveva stabilito che Elisabetta diventasse principessa di Turingia. Il langravio o conte di quella regione era uno dei sovrani più ricchi ed influenti d’Europa all’inizio del XIII secolo, e il suo castello era centro di magnificenza e di cultura. Ma dietro le feste e l’apparente gloria si nascondevano le ambizioni dei principi feudali, spesso in guerra tra di loro e in conflitto con le autorità reali ed imperiali. In questo contesto, il langravio Hermann accolse ben volentieri il fidanzamento tra suo figlio Ludovico e la principessa ungherese. Elisabetta partì dalla sua patria con una ricca dote e un grande seguito, comprese le sue ancelle personali, due delle quali le rimarranno amiche fedeli fino alla fine. Sono loro che ci hanno lasciato preziose informazioni sull’infanzia e sulla vita della Santa.

Dopo un lungo viaggio giunsero ad Eisenach, per salire poi alla fortezza di Wartburg, il massiccio castello sopra la città. Qui si celebrò il fidanzamento tra Ludovico ed Elisabetta. Negli anni successivi, mentre Ludovico imparava il mestiere di cavaliere, Elisabetta e le sue compagne studiavano tedesco, francese, latino, musica, letteratura e ricamo. Nonostante il fatto che il fidanzamento fosse stato deciso per motivi politici, tra i due giovani nacque un amore sincero, animato dalla fede e dal desiderio di compiere la volontà di Dio. All’età di 18 anni, Ludovico, dopo la morte del padre, iniziò a regnare sulla Turingia. Elisabetta divenne però oggetto di sommesse critiche, perché il suo modo di comportarsi non corrispondeva alla vita di corte. Così anche la celebrazione del matrimonio non fu sfarzosa e le spese per il banchetto furono in parte devolute ai poveri. Nella sua profonda sensibilità Elisabetta vedeva le contraddizioni tra la fede professata e la pratica cristiana. Non sopportava i compromessi. Una volta, entrando in chiesa nella festa dell’Assunzione, si tolse la corona, la depose dinanzi alla croce e rimase prostrata al suolo con il viso coperto. Quando la suocera la rimproverò per quel gesto, ella rispose: “Come posso io, creatura miserabile, continuare ad indossare una corona di dignità terrena, quando vedo il mio Re Gesù Cristo coronato di spine?”. Come si comportava davanti a Dio, allo stesso modo si comportava verso i sudditi. Tra i Detti delle quattro ancelle troviamo questa testimonianza: “Non consumava cibi se prima non era sicura che provenissero dalle proprietà e dai legittimi beni del marito. Mentre si asteneva dai beni procurati illecitamente, si adoperava anche per dare risarcimento a coloro che avevano subito violenza” (nn. 25 e 37). Un vero esempio per tutti coloro che ricoprono ruoli di guida: l’esercizio dell’autorità, ad ogni livello, dev’essere vissuto come servizio alla giustizia e alla carità, nella costante ricerca del bene comune.

Elisabetta praticava assiduamente le opere di misericordia: dava da bere e da mangiare a chi bussava alla sua porta, procurava vestiti, pagava i debiti, si prendeva cura degli infermi e seppelliva i morti. Scendendo dal suo castello, si recava spesso con le sue ancelle nelle case dei poveri, portando pane, carne, farina e altri alimenti. Consegnava i cibi personalmente e controllava con attenzione gli abiti e i giacigli dei poveri. Questo comportamento fu riferito al marito, il quale non solo non ne fu dispiaciuto, ma rispose agli accusatori: “Fin quando non mi vende il castello, ne sono contento!”. In questo contesto si colloca il miracolo del pane trasformato in rose: mentre Elisabetta andava per la strada con il suo grembiule pieno di pane per i poveri, incontrò il marito che le chiese cosa stesse portando. Lei aprì il grembiule e, invece del pane, comparvero magnifiche rose. Questo simbolo di carità è presente molte volte nelle raffigurazioni di santa Elisabetta.

Il suo fu un matrimonio profondamente felice: Elisabetta aiutava il coniuge ad elevare le sue qualità umane a livello soprannaturale, ed egli, in cambio, proteggeva la moglie nella sua generosità verso i poveri e nelle sue pratiche religiose. Sempre più ammirato per la grande fede della sposa, Ludovico, riferendosi alla sua attenzione verso i poveri, le disse: “Cara Elisabetta, è Cristo che hai lavato, cibato e di cui ti sei presa cura”. Una chiara testimonianza di come la fede e l’amore verso Dio e verso il prossimo rafforzino la vita familiare e rendano ancora più profonda l’unione matrimoniale.

La giovane coppia trovò appoggio spirituale nei Frati Minori, che, dal 1222, si diffusero in Turingia. Tra di essi Elisabetta scelse frate Ruggero (Rüdiger) come direttore spirituale. Quando egli le raccontò la vicenda della conversione del giovane e ricco mercante Francesco d’Assisi, Elisabetta si entusiasmò ulteriormente nel suo cammino di vita cristiana. Da quel momento, fu ancora più decisa nel seguire Cristo povero e crocifisso, presente nei poveri. Anche quando nacque il primo figlio, seguito poi da altri due, la nostra Santa non tralasciò mai le sue opere di carità. Aiutò inoltre i Frati Minori a costruire ad Halberstadt un convento, di cui frate Ruggero divenne il superiore. La direzione spirituale di Elisabetta passò, così, a Corrado di Marburgo.

Una dura prova fu l’addio al marito, a fine giugno del 1227 quando Ludovico IV si associò alla crociata dell’imperatore Federico II, ricordando alla sposa che quella era una tradizione per i sovrani di Turingia. Elisabetta rispose: “Non ti tratterrò. Ho dato tutta me stessa a Dio ed ora devo dare anche te”. La febbre, però, decimò le truppe e Ludovico stesso cadde malato e morì ad Otranto, prima di imbarcarsi, nel settembre 1227, all’età di ventisette anni. Elisabetta, appresa la notizia, ne fu così addolorata che si ritirò in solitudine, ma poi, fortificata dalla preghiera e consolata dalla speranza di rivederlo in Cielo, ricominciò ad interessarsi degli affari del regno. La attendeva, tuttavia, un’altra prova: suo cognato usurpò il governo della Turingia, dichiarandosi vero erede di Ludovico e accusando Elisabetta di essere una pia donna incompetente nel governare. La giovane vedova, con i tre figli, fu cacciata dal castello di Wartburg e si mise alla ricerca di un luogo dove rifugiarsi. Solo due delle sue ancelle le rimasero vicino, la accompagnarono e affidarono i tre bambini alle cure degli amici di Ludovico. Peregrinando per i villaggi, Elisabetta lavorava dove veniva accolta, assisteva i malati, filava e cuciva. Durante questo calvario sopportato con grande fede, con pazienza e dedizione a Dio, alcuni parenti, che le erano rimasti fedeli e consideravano illegittimo il governo del cognato, riabilitarono il suo nome. Così Elisabetta, all’inizio del 1228, poté ricevere un reddito appropriato per ritirarsi nel castello di famiglia a Marburgo, dove abitava anche il suo direttore spirituale Fra’ Corrado. Fu lui a riferire al Papa Gregorio IX il seguente fatto: “Il venerdì santo del 1228, poste le mani sull’altare nella cappella della sua città Eisenach, dove aveva accolto i Frati Minori, alla presenza di alcuni frati e familiari, Elisabetta rinunziò alla propria volontà e a tutte le vanità del mondo. Ella voleva rinunziare anche a tutti i possedimenti, ma io la dissuasi per amore dei poveri. Poco dopo costruì un ospedale, raccolse malati e invalidi e servì alla propria mensa i più miserabili e i più derelitti. Avendola io rimproverata su queste cose, Elisabetta rispose che dai poveri riceveva una speciale grazia ed umiltà” (Epistula magistri Conradi, 14-17).

Possiamo scorgere in quest’affermazione una certa esperienza mistica simile a quella vissuta da san Francesco: il Poverello di Assisi dichiarò, infatti, nel suo testamento, che, servendo i lebbrosi, quello che prima gli era amaro fu tramutato in dolcezza dell’anima e del corpo (Testamentum, 1-3). Elisabetta trascorse gli ultimi tre anni nell’ospedale da lei fondato, servendo i malati, vegliando con i moribondi. Cercava sempre di svolgere i servizi più umili e lavori ripugnanti. Ella divenne quella che potremmo chiamare una donna consacrata in mezzo al mondo (soror in saeculo) e formò, con altre sue amiche, vestite in abiti grigi, una comunità religiosa. Non a caso è patrona del Terzo Ordine Regolare di San Francesco e dell’Ordine Francescano Secolare.

Nel novembre del 1231 fu colpita da forti febbri. Quando la notizia della sua malattia si propagò, moltissima gente accorse a vederla. Dopo una decina di giorni, chiese che le porte fossero chiuse, per rimanere da sola con Dio. Nella notte del 17 novembre si addormentò dolcemente nel Signore. Le testimonianze sulla sua santità furono tante e tali che, solo quattro anni più tardi, il Papa Gregorio IX la proclamò Santa e, nello stesso anno, fu consacrata la bella chiesa costruita in suo onore a Marburgo.

Cari fratelli e sorelle, nella figura di santa Elisabetta vediamo come la fede, l'amicizia con Cristo creino il senso della giustizia, dell'uguaglianza di tutti, dei diritti degli altri e creino l'amore, la carità. E da questa carità nasce anche la speranza, la certezza che siamo amati da Cristo e che l'amore di Cristo ci aspetta e così ci rende capaci di imitare Cristo e di vedere Cristo negli altri. Santa Elisabetta ci invita a riscoprire Cristo, ad amarLo, ad avere la fede e così trovare la vera giustizia e l'amore, come pure la gioia che un giorno saremo immersi nell'amore divino, nella gioia dell'eternità con Dio. Grazie.

[Saluti in varie lingue]

* * *

Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto i partecipanti al pellegrinaggio promosso dalle Suore Catechiste del Sacro Cuore, in occasione della canonizzazione di santa Giulia Salzano, ed auguro che il suo esempio vi sia di incoraggiamento, i suoi insegnamenti vi orientino, e la sua intercessione vi sostenga nelle fatiche quotidiane. Saluto i cresimati della diocesi di Faenza-Modigliana, accompagnati dal loro Vescovo Mons. Claudio Stagni, ed assicuro la mia preghiera affinché ciascuno possa testimoniare, con il buon esempio e l’assidua pratica delle virtù cristiane, gli insegnamenti del Vangelo. Saluto i fedeli della parrocchia Sacro Cuore di Gesù, in Viterbo, augurando di partecipare con crescente generosità alla vita della comunità cristiana.

Rivolgo, infine, il mio pensiero ai giovani, ai malati ed agli sposi novelli. Cari amici, il mese di ottobre ci invita a rinnovare la nostra attiva cooperazione alla missione della Chiesa. Con le fresche energie della giovinezza, con la forza della preghiera e del sacrificio e con le potenzialità della vita coniugale, sappiate essere missionari del Vangelo, offrendo il vostro concreto sostegno a quanti faticano per portarlo a chi ancora non lo conosce.

* * *

ANNUNCIO DI CONCISTORO
PER LA CREAZIONE DI NUOVI CARDINALI

E adesso con gioia annuncio che il prossimo 20 novembre terrò un Concistoro nel quale nominerò nuovi Membri del Collegio Cardinalizio. I Cardinali hanno il compito di aiutare il Successore dell’Apostolo Pietro nell’adempimento della sua missione di principio e fondamento perpetuo e visibile dell’unità della fede e della comunione nella Chiesa (cfr Lumen gentium, n. 18).

Ecco i nomi dei nuovi Porporati:

1. Mons. Angelo Amato, S.D.B., Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi;

2. S.B. Antonios Naguib, Patriarca di Alessandria dei Copti (Egitto);

3. Mons. Robert Sarah, Presidente del Pontificio Consiglio "Cor Unum";

4. Mons. Francesco Monterisi, Arciprete della Basilica Papale di San Paolo fuori le Mura;

5. Mons. Fortunato Baldelli, Penitenziere Maggiore;

6. Mons. Raymond Leo Burke, Prefetto del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica;

7. Mons. Kurt Koch, Presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani;

8. Mons. Paolo Sardi, Vice Camerlengo di Santa Romana Chiesa;

9. Mons. Mauro Piacenza, Prefetto della Congregazione per il Clero;

10. Mons. Velasio De Paolis, C.S., Presidente della Prefettura degli Affari Economici della Santa Sede;

11. Mons. Gianfranco Ravasi, Presidente del Pontificio Consiglio della Cultura;

12. Mons. Medardo Joseph Mazombwe, Arcivescovo emerito di Lusaka (Zambia);

13. Mons. Raúl Eduardo Vela Chiriboga, Arcivescovo emerito di Quito (Ecuador);

14. Mons. Laurent Monsengwo Pasinya, Arcivescovo di Kinshasa (Rep. Democratica del Congo);

15. Mons. Paolo Romeo, Arcivescovo di Palermo (Italia);

16. Mons. Donald William Wuerl, Arcivescovo di Washington (Stati Uniti d'America);

17. Mons. Raymundo Damasceno Assis, Arcivescovo di Aparecida (Brasile);

18. Mons. Kazimierz Nycz, Arcivescovo di Warszawa (Polonia);

19. Mons. Albert Malcolm Ranjith Patabendige Don, Arcivescovo di Colombo (Sri Lanka);

20. Mons. Reinhard Marx, Arcivescovo di München und Freising (Germania).

Ho deciso, inoltre, di elevare alla dignità cardinalizia due Presuli e due Ecclesiastici, che si sono distinti per la loro generosità e dedizione nel servizio alla Chiesa.

Essi sono:

1. Mons. José Manuel Estepa Llaurens, Arcivescovo Ordinario Militare emerito (Spagna);

2. Mons. Elio Sgreccia, già Presidente della Pontificia Accademia per la Vita (Italia);

3. Mons. Walter Brandmüller, già Presidente del Pontificio Comitato di Scienze Storiche (Germania);

4. Mons. Domenico Bartolucci, già Maestro Direttore della Cappella Musicale Pontificia (Italia).


Nella lista dei nuovi Porporati si riflette l’universalità della Chiesa; essi, infatti, provengono da varie parti del mondo e svolgono differenti compiti a servizio della Santa Sede o a contatto diretto con il Popolo di Dio quali Padri e Pastori di Chiese particolari.

Vi invito a pregare per i nuovi Cardinali, chiedendo la particolare intercessione della Santissima Madre di Dio, affinché svolgano con frutto il loro ministero nella Chiesa.

© Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana