La festa di tutti i Santi, il 1 novembre si diffuse nell’Europa latina nei secoli VIII-IX. Si iniziò a celebrare la festa di tutti i santi anche a Roma, fin dal sec. IX.
Un’unica festa per tutti i Santi, ossia per la Chiesa gloriosa, intimamente unita alla Chiesa ancora pellegrinante e sofferente. Oggi è una festa di speranza: “l’assemblea festosa dei nostri fratelli” rappresenta la parte eletta e sicuramente riuscita del popolo di Dio; ci richiama al nostro fine e alla nostra vocazione vera: la santità, cui tutti siamo chiamati non attraverso opere straordinarie, ma con il compimento fedele della grazia del battesimo.
Dai “Discorsi” di san Bernardo, abate
A che serve dunque la nostra lode ai santi, a che il nostro tributo di gloria, a che questa stessa nostra solennità? Perché ad essi gli onori di questa stessa terra quando, secondo la promessa del Figlio, il Padre celeste li onora? A che dunque i nostri encomi per essi? I santi non hanno bisogno dei nostri onori e nulla viene a loro dal nostro culto. E’ chiaro che, quando ne veneriamo la memoria, facciamo i nostri interessi, non i loro. Per parte mia devo confessare che, quando penso ai santi, mi sento ardere da grandi desideri. Il primo desiderio, che la memoria dei santi o suscita o stimola maggiormente in noi, é quello di godere della loro tanto dolce compagnia e di meritare di essere concittadini e familiari degli spiriti beati, di trovarci insieme all’assemblea dei patriarchi, alle schiere dei profeti, al senato degli apostoli, agli eserciti numerosi dei martiri, alla comunità dei confessori, ai cori delle vergini, di essere insomma riuniti e felici nella comunione di tutti i santi.
Ci attende la primitiva comunità dei cristiani, e noi ce ne disinteresseremo? I santi desiderano di averci con loro e noi e ce ne mostreremo indifferenti? I giusti ci aspettano, e noi non ce ne prenderemo cura? No, fratelli, destiamoci dalla nostra deplorevole apatia. Risorgiamo con Cristo, ricerchiamo le cose di lassù, quelle gustiamo. Sentiamo il desiderio di coloro che ci desiderano, affrettiamoci verso coloro che ci aspettano, anticipano con i voti dell’anima la condizione di coloro che ci attendono. Non soltanto dobbiamo desiderare la compagnia dei santi, ma anche di possederne la felicità. Mentre dunque bramiamo di stare insieme a loro, stimoliamo nel nostro cuore l’aspirazione più intensa a condividerne la gloria. Questa bramosia non é certo disdicevole, perché una tale fame di gloria é tutt’altro che pericolosa. Vi é un secondo desiderio che viene suscitato in noi dalla commemorazione dei santi, ed é quello che Cristo, nostra vita, si mostri anche a noi come a loro, e noi pure facciamo con lui la nostra apparizione nella gloria. Frattanto il nostro capo si presenta a noi non come é ora in cielo, ma nella forma che ha voluto assumere per noi qui in terra. Lo vediamo quindi non coronato di gloria, ma circondato dalle spine dei nostri peccati. Si vergogni perciò ogni membro di far sfoggio di ricercatezza sotto un capo coronato di spine. Comprenda che le sue eleganze non gli fanno onore, ma lo espongono al ridicolo. Giungerà il momento della venuta di Cristo, quando non si annunzierà più la sua morte. Allora sapremo che anche noi siamo morti e che la nostra vita é nascosta con lui in Dio. Allora Cristo apparirà come capo glorioso e con lui brilleranno le membra glorificate. Allora trasformerà il nostri corpo umiliato, rendendolo simile alla gloria del capo, che é lui stesso.
Nutriamo dunque liberamente la brama della gloria. Ne abbiamo ogni diritto. Ma perché la speranza di una felicità così incomaparabile abbia a diventare realtà, ci é necessario il soccorso dei santi. Sollecitiamolo premurosamente. Così, per loro intercessione, arriveremo là dove da soli non potremmo mai pensare di giungere. (Disc. 2; Opera omnia, ed. Cisterc. 5 [1968] 364-368)
Godete e rallegratevi, perché grande è la vostro ricompensa nei cieli.
La beatitudine, consiste nel raggiungimento di ciò che colma e fa felice definitivamente il cuore dell’uomo. È la felicita che hanno conseguito i santi, che oggi celebriamo riuniti in un’unica festa. È una schiera che nessuno può numerare e che hanno lavato le loro vesti nel sangue dell’ Agnello, hanno cioè sperimentato in vita e in morte l’infinita misericordia di divina e vivono, anche per le loro virtù, nella beatitudine eterna. Una beatitudine a cui ogni fedele aspira nella speranza che lo stesso Cristo ci infonde. Il Cristo annuncia una felicità che non è nell’ordine dei valori terreni, ma è in vista del Regno, proclamato da lui, e, pur cominciando già su questa terra per coloro che accolgono Cristo e le sue esigenze, sarà definitiva solo nell’eternità. La Chiesa, formata da tutti i santi, ci invita oggi a guardare al futuro e al premio che Dio ha riservato a coloro che lo seguono nel difficile cammino della perfezione evangelica. Tutti vorremmo che, dopo la nostra morte, questo giorno fosse anche la nostra festa. Gesù ci invita a godere e rallegrarci già durante il percorso in vista dell’approdo finale. La santità quindi non è la meta di pochi privilegiati, ma l’aspirazione continua e costante di ogni credente, nella ferma convinzione che questa è innanzi tutto un progetto divino che nessuno esclude e che ci è stata confermata a prezzo del sacrificio di Cristo, che ha dato la vita per la nostra salvezza, quindi per la nostra santità. Non conseguire la meta allora significherebbe rendersi responsabile di quel grande peccato, che nessuno speriamo commetta, di vanificare l’opera redentiva del salvatore. Sant’Agostino, mosso da santa invidia soleva ripetersi: “Se tanti e tante perché non io?”
Autore: Monaci Benedettini Silvestrini
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Solennità di tutti i Santi: il giorno decisivo della vita
di mons. Antonio Riboldi
Credo che la saggezza di ognuno di noi è nel pensare alla vita come ad un cammino con una vocazione: una grande prova, che tutti, senza eccezioni, siamo chiamati a superare.
La vita è un dono del Padre e, come tutti i suoi doni, appartiene all'eternità. Qui sulla terra abbiamo un compito: adempiere la Sua volontà - che è il nostro vero bene - per godere della Sua gioia, da oggi fino all'eternità.
Ognuno di noi ha la sua strada da percorrere, ma è già stata tracciata da Dio. Anzi Dio è la nostra strada. Possiamo quindi considerarci pellegrini, ma con una meta fissa: il Paradiso.
Non sappiamo però quando, con la morte, giungerà la fine del nostro pellegrinaggio.
Le persone veramente sapienti - come le vergini sagge del Vangelo - attendono l'arrivo dello Sposo con le lampade accese. Si fanno cioè trovare pronte a seguirlo alle nozze.
Le persone stolte non si preoccupano dell'olio della lampada, troppo prese da altro. E così quando arriva lo Sposo si trovano impreparate. Inutile correre ed affannarsi dopo, quando ormai è troppo tardi. Trovano la porta del Regno chiusa e bussando sentono una condanna terribile: 'Non vi conoscò. Gesù ci avverte che la vita è una continua veglia o vigilia, che non ammette distrazioni, È davvero una cosa seria.
La morte non spaventa chi ha vissuto come pellegrino verso il Cielo, anche se occupato in tante cose, che sono la realtà della vita e fanno parte del pellegrinaggio, come l'olio delle vergini. Sono tanti coloro che vivono 'in attesa della chiamatà e non ne hanno paura.
Ma sono troppi quelli che credono di vivere eternamente qui, in questo inferno di mondo, spendendo tutto per raccattare le briciole che il mondo dona e non sono l'olio della lampada.
Quando la morte li coglie si ritrovano a 'mani vuote', con il rischio di sentirsi dire: 'Non vi conoscò. È vero che c'è chi non vuole neppure pensare alla morte.
Ma serve questo bendarsi gli occhi e la coscienza? O non è forse 'un suicidio dell'anima'? La Chiesa oggi ci fa fermare sulla vera bellezza che è, dopo la morte, in Cielo.
Così la descrive Giovanni nell'Apocalisse:
"Io, Giovanni, vidi un angelo che saliva dall'oriente e aveva il sigillo del Dio vivente. E gridò a gran voce ai quattro angeli ai quali era stato concesso il potere di devastare la terra e il mare: 'Non devastate né la terra né il mare, né le piante, finché non abbiamo impresso il sigillo di Dio sulla fronte dei suoi servi'. Poi udii il numero di coloro che furono segnati con il sigillo: 144.000.
Dopo ciò apparve una moltitudine immensa che nessuno poteva contare, di ogni nazione, razza, popolo e lingua. Tutti stavano in piedi davanti al trono e davanti all'Agnello, avvolti in vesti candide e portavano palme nelle mani e gridavano a gran voce: 'La salvezza appartiene al nostro Dio, seduto sul trono e all'Agnello'. Allora tutti gli Angeli che stavano attorno al trono e i vegliardi e i quattro esseri viventi si inchinarono profondamente con la faccia davanti al trono e adorarono Dio dicendo: 'Amen! Lode, gloria, sapienza, azione di grazie, onore, potenza e forza al nostro Dio nei secoli dei secoli. Amen'. Uno dei vegliardi allora si rivolse a me e disse: 'Quelli vestiti di bianco chi sono e donde vengono?: Gli risposi: 'Signore, tu lo sai!:
E lui: 'Essi sono coloro che sono passati attraverso la grande tribolazione e hanno lavato le loro vesti rendendole candide col sangue dell'Agnello'.'' (Ap. 7, 2-14).
Un brano che sembra svelarci ciò che sarà il giorno in cui tutti saremo davanti al cospetto del Padre... se ne saremo degni.
Ma ci pensiamo che la nostra sorte ce la giochiamo ogni giorno con il nostro modo di vivere? Ha senso dunque un'esistenza vissuta tutta al presente, senza la visione del futuro?
Scriveva Paolo VI: "Siamo gente tutta occupata dai desideri e dagli affari di questo mondo, come se altro noi non dovessimo cercare e amare. Così noi non siamo più spiriti veramente religiosi, che conoscono la contingenza radicale delle cose presenti: e non siamo più allenati ad estrarre i valori superiori, che sono quelli morali, connessi al nostro destino eterno. Ecco allora il ricordo della morte fa risuonare, come nell'assunzione di Maria, alle nostre anime, quasi uno squillo di trombe celesti, una chiamata che parte di là, dall'altra riva della vita, quella dell'eternità e della vita soprannaturale. Tutto ciò ci obbliga a verificare se la vita, che ciascuno di noi percorre, è rivolta verso il sommo traguardo e a rettificarla decisamente verso di esso. Nessuna età è stata tentata come la nostra di ‘temporalismo', cioè di amore verso le cose presenti, come se questi fossero gli unici e sommi beni da conseguire; perché nessuna, come la nostra età, è stata capace di scoprirli fecondi e stupendi... dobbiamo 'guardare in alto', verso l'orizzonte dell'altra vita.
Maria ci chiami, Maria ci dia la fede nel Paradiso e la speranza di raggiungerlo". (15 agosto 1961) Quante volte ripenso ai miei morti, a tantissime persone con cui ho avuto la fortuna di 'camminare', anche se con sacrificio, con gli occhi rivolti al Cielo, come se l'OGGI fosse solo l'attesa di quel grande giorno.
Ripenso a mamma, che portava sempre lo stesso grembiule e il cui desiderio era quello di indicarci la via del Paradiso. 'A me, qui in terra, basta questo grembiule' - mi diceva - 'in attesa della veste bianca del Paradiso, se Dio mi vorrà'.
Quante persone ritroveremo Lassù, che qui abbiamo ammirato ed ammiriamo come santi! E, speriamo, quanti amici, che qui hanno attraversato la nostra vita!
E il Vangelo di oggi, e anche di domani, Commemorazione dei defunti, ci dà la 'carta d'identità', che è la carta di riconoscimento dei 'beati'. Dovrebbe essere la 'cartà da possedere e vivere qui, già da ora, perché è il segreto della gioia OGGI e, domani, in Cielo.
"In quel tempo Gesù, vedendo le folle sulla montagna, messosi a sedere, gli si avvicinarono i suoi discepoli. Prendendo allora la parola li ammaestrava dicendo:
'Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli.
Beati gli afflitti, perché saranno consolati.
Beati i miti, perché erediteranno la terra.
Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati.
Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia.
Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio.
Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio.
Beati i perseguitati per causa della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli.
Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e mentendo diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia.
Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli" (Mt. 5, 1-12).
Le beatitudini sono il segreto della vera felicità, che tutti vorremmo possedere e vivere, perché ci accorgiamo che quello che ci circonda è 'tutto vanità', e neppure a volte vale la pena ricordarlo e, peggio ancora, affidargli il nostro cuore.
A volte, pensando al Paradiso, pare di sognare una meta irraggiungibile, soprattutto verificando la grande fatica che facciamo per trapiantare il 'divino in noi'.
Vorremmo essere umili e vediamo tanti nostri gesti imbrattati di superbia.
Vorremmo essere poveri in spirito e ci sentiamo le mani continuamente sporche delle cose, cui siamo attaccati fino a diventare chiusi e gretti anche nella più elementare generosità, che ci consentirebbe di liberarci da noi stessi per aprirci alla bellezza dell'amore.
Eppure il Paradiso è la nostra Casa. Il Padre ci attende e tutto ha predisposto perché lo raggiungiamo. Non con le nostre miserevoli buone intenzioni o povere forze, ma 'lavando le nostre vesti e rendendole candide col sangue dell'Agnello', che ci ha salvati, 'quando ancora eravamo peccatori'.
Domani la Chiesa ci invita a ricordarci dei nostri defunti.
È un pellegrinaggio in cui siamo chiamati a ricordare, non solo esteriormente, chi ci è caro e ci ha preceduto nell'eternità. Orniamo pure le loro tombe di fiori, ma non dimentichiamo che forse quello di cui necessitano davvero sono í nostri suffragi, il nostro sostegno, con la preghiera, per la loro totale beatificazione.
E se per un momento dovessimo fermarci e davvero 'ascoltare nel cuore' quello che ci dicono dal Cielo e dall'eternità, usciremmo dai cimiteri diversi.
Loro hanno raggiunto il traguardo e, quindi, sanno qual è il senso vero della vita e come dovremmo 'essere' ed operare per acquisirlo.
Quante volte visitando le poche ossa rimaste di papà, mamma, dei miei fratelli, che ormai riposano in Dio, ne ascolto la voce come a farmi ammaestrare. Il 'giorno dei morti' dovrebbe essere, non solo il giorno del ricordo, ma il giorno dell'ascolto, della più vera e profonda comunione.
Davvero ora, più ancora di prima, ci sono 'cari'.
"Le anime dei giusti - ci ricorda il libro della Sapienza - sono nelle mani di Dio e nessun tormento le toccherà. Agli occhi degli stolti parve che morissero; la loro fine fu ritenuta una sciagura; la loro partenza da noi una rovina, ma essi sono nella pace.
Anche se agli occhi degli uomini subiscono castighi, la loro speranza è piena di immortalità.
Per una breve pena riceveranno grandi benefici, perché Dio li ha provati e li ha trovati degni di Sé. Li ha saggiati come oro nel crogiolo e li ha graditi come un olocausto" (Sap 3, 1-9).
E noi, è giusto chiederci oggi, saremo in Cielo tra i 'giusti'?
Non resta che tentare con tutte le forze, con totale abbandono e fiducia nel Cuore Misericordioso del Figlio Gesù, morto per salvarci e risorto per portarci con Lui, e nella Mamma Celeste, che ci aiuti ora e ci accolga domani: 'Ave Maria... prega per noi peccatori adesso e nell'ora della nostra morte'. E ancora riflettiamo e preghiamo con don Tonino Bello:
"Santa Maria, donna dell'ultima ora, disponici al grande viaggio.
Aiutaci ad allentare gli ormeggi senza paura.
Sbriga tu stessa le pratiche del nostro passaporto.
Se ci sarà il tuo visto, non avremo più nulla da temere.
Aiutaci a saldare, con i segni del pentimento e la richiesta del perdono,
le ultime pendenze nei confronti della giustizia di Dio.
Mettici insomma in regola le carte, perché giunti alla porta del Paradiso,
essa si spalanchi al nostro bussare.
Ed entreremo finalmente nel Regno, accompagnati dall'eco dello Stabat Mater,
che tante volte cantavamo nelle nostre chiese al termine della Via Crucis:
'Quando corpus morietur, fac ut animae donetur paradisi gloria'
(Quando il corpo morirà fa' che all'anima sia donata la gloria del paradiso)".
E così sia per tutti noi, carissimi, che insieme abbiamo cercato di misurare i nostri passi con la Parola di Dio, sempre con fede e tanto amore.
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