XXIII domenica del tempo ordinario
Siamo di nuovo alle prese con le tremende esigenze della chiamata, e soprattutto con un difficilissimo punto chiave (di cui nessuno vuol più sentir parlare!) del nostro cammino verso DIO: la rinuncia, anche alla propria vita se occorre: ”Chi avrà perduto la propria vita per causa mia la troverà”.
• 1) Monte Rosa o Monte Bianco?
L’uomo è stato creato libero; ora, libertà significa capacità di scelta e capacità di scelta implica a sua volta, capacità di rinuncia: se oggi scelgo di scalare il Monte Rosa, devo per forza rinunciare a salire contemporaneamente al Monte Bianco. Solo che questa capacità di scelta, oggi la si vuol ridurre a quella che si fa al supermercato o col telecomando: scelgo il detersivo onda verde piuttosto che onda blu, il canale France 3 piuttosto che Antenne 4 ecc. ecc. Ma l’uomo ha una dignità ben più grande ed è capace di scelte di ben altra portata. E il cristiano deve ad ogni istante scegliere, cioè rinunciare a ciò che è incompatibile con la propria fede. La stessa storia della Salvezza inizia con un invito alla rinuncia: ”Di tutti gli alberi del giardino potrai mangiare, ma di quello che è in mezzo no, se no morrai”. Era l’unico comandamento! Se avessero saputo osservarlo, non ci sarebbe stato bisogno di istituirne altri, ma con la trasgressione sono aumentati pure i comandamenti, e anche ora vediamo che più l’uomo trasgredisce, più aumentano le leggi. E la vita si complica sempre più proprio perché l’uomo non è capace di rinunciare, cioè non è capace di scegliere il bene al posto del male.
• 2) Ma perché la rinuncia?
Ma perché la rinuncia a cose legittime, doverose, salutari e anche convenienti (almeno, a noi pare così!)? Questa, per me, è la prova più certa e anche più bella dell’esistenza di Dio. E non solo della Sua esistenza, ma anche e soprattutto del Suo amore per noi: infatti se non fossimo destinati alla Gloria e non fossimo chiamati alla comunione con Lui fin da quaggiù, e se Lui non volesse venire ad abitare in noi, non ci sarebbe proprio nessuna rinuncia da fare. Cosa vuole Dio da me? Te lo sarai chiesto tante volte. Ebbene, Dio da te vuole ...te! Nientemeno! Ecco perché ci chiede di rinunciare a tutto ciò che ingombra il nostro cuore. Questo cuore Lui, vuole riempirlo di Sé stesso. “Apri la bocca, la voglio riempire” dice un salmo. Sì, apri la bocca, o il cuore
o la mano, che il frutto della Gloria, Io te lo voglio dare (dice Dio), ma guai se la richiudi, perché richiudendola prenderesti solo del finito, mentre Io sono l’infinito. L’unica cosa che Io non ti posso dare, è quella che tu ti vuoi prendere per rapina. Rinunciare significa non richiudere la mano, ma rimanere a mani e cuore aperto, come un povero mendicante che sa che può solo ricevere. Mentre chiudere la mano sul frutto, vuol dire appropriarsi di cose finite, limitate, effimere, che non sazieranno mai il nostro bisogno d’infinito, ma serviranno solo a riempire il nostro cuore di un gran vuoto.
• 3) Siamo appetito di DIO?
Noi siamo fatti di intelligenza e volontà (oltre che di corporeità). Ora, la definizione filosofica dell’intelligenza è di essere appetito della verità, e quella della volontà è di essere appetito del bene (o del massimo bene che è DIO). Ma dopo il peccato originale e ogni altro peccato, queste nostre facoltà spirituali, hanno perso il loro orientamento naturale verso l’alto e si sono ripiegate verso il basso (S. Anselmo la definiva la “natura curva”), di modo che, invece di appetito di Dio, sono diventate appetito di potere, denaro, dominio ecc. ecc. La rinuncia a questi attaccamenti , è proprio quella che ci permette di ridiventare appetito del bene, e di ritrovare la signoria su noi stessi e liberarci dalla schiavitù delle cose. Quindi la rinuncia è una vera e propria beatitudine perché ci rende di nuovo capaci di volere Dio, raddrizzando la nostra natura curva e orientandola verso DIO.
Se vogliamo ritrovare la sanità originaria della nostra anima, che è di essere come un bellissimo fiore che è naturalmente orientato verso il Sole, dobbiamo saper vivere la rinuncia come una beatitudine: quella che ci permetterà di diventare dei puri ricettacoli della Luce divina, riflettendone gli splendori.
Wilma Chasseur
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