GLI ANNI DELLA GUERRA
Si era giunti frattanto agli anni cruciali della guerra e anche il marito di Elvira veniva richiamato alle armi. Fortunatamente, dopo sei mesi, veniva rimandato a casa e poteva così seguire le sorti della famigliuola che nel frattempo era sfollata a S. Vito e poi a S. Mauro Pascoli, dove Elvira si era adattata a fare i più umili lavori per tirare avanti. Furono sofferenze di ogni genere, sopportate con rassegnazione per i peccatori e per la pace nel mondo. Elvira si prodigava soprattutto per alleviare i dolori dei vecchi e dei malati, per cui sentiva una grande compassione.
Una volta dovette persino prestare la sua opera come levatrice in una situazione altamente drammatica. Verso le 4 del mattino si era presentato a cercare di lei un uomo, tutto affannato per il pericolo corso sotto la pioggia delle granate e per l'urgenza del caso che lo aveva spinto fin lì: la moglie era in procinto di partorire e non si riusciva a trovare un'ostetrica.
"Mi hanno detto che qui c'è una donna che se ne intende... " spiegò.
Chi poteva averglielo detto? La cosa era strana, perchè a S. Mauro-Mare, da dove veniva quell'uomo, nessuno conosceva Elvira. Comunque ella non stette a porsi domande: l'insistenza del pover'uomo era così disperata che decise tosto di seguirlo, nonostante l'imperversare dei proiettili. All'Aiuto Materno aveva visto altre volte delle ostetriche in azione e le riuscì facile porgere il suo aiuto nel miglior modo possibile.
Dopo aver finito di prestare le più amorevoli cure alla puerpera e al bambino, mentre a casa i suoi familiari l'aspettavano con ansia crescente, sul far della sera, le riuscì di congedarsi e di riprendere la strada del ritorno. Camminava tra un imperversare di sibili, di esplosioni, di lampi, stringendo disperatamente il Crocifisso regalatole da Padre Pio. Ogni tanto si fermava a qualche casolare per riprender fiato e qui esortava tutti a pregare con lei e si metteva a recitare il Rosario. Verso le 22 (era il mese di settembre, quindi già notte inoltrata) come Dio volle, arrivò a S. Mauro e, tutta affannata, ma contentissima, potè raccontare al marito e ai figli le sue peripezie.
Quando si trattava di portare aiuto a qualcuno, Elvira non misurava certo i pericoli e i rischi personali. Altamente significativa è, a questo riguardo, la testimonianza di Valerio Manfroni di Rimini, testimonianza che merita di essere riportata per intero: "Erano i giorni drammatici del passaggio del fronte: ovunque terrore, distruzione, rovine, morte. Al pericolo dei bombardamenti aerei e navali si era aggiunta la paura dei Tedeschi, traditi e divenuti brutalmente inumani. Anche nella piccola frazione di S. Vito, dove sono nato e vissuto, allora rifugio di molte famiglie sfollate, giunse, come un uragano, la violenza nazista. Un giorno, mentre nell’aria si sentiva il tuono del cannone, una pattuglia delle SS irruppe nel nostro piccolo borgo per un'azione di "rastrellamento". Tutti gli uomini venivano presi e caricati su un camion per destinazione ignota. Al pianto delle donne e dei bambini si mescolavano le dure parole degli ufficiali che non avevano pietà per nessuno, nemmeno per i più piccoli che singhiozzavano impauriti, pur non comprendendo la triste sorte toccata ai loro cari.
Fra quegli uomini cera anche mio padre, Manfroni Giuseppe, che, trascinato a viva forza dai nazisti, guardava disperatamente la mamma e le due bambine piccole a lei aggrappate, mentre, con gli occhi pieni di lacrime, chiedeva pietà.
A un tratto, vista la scena, una donna, la signora Elvira Gazzoni, sfollata a San Vito, si precipitava, incurante del pericolo, per fermare il soldato che spingeva mio padre. Poiché vide che era vano ogni tentativo di commuovere il soldato, si precipitò di corsa al Comando della SS, che distava duecento metri circa, pregando, supplicando in diverse maniere il Comandante, affinchè lasciasse libero quel padre di famiglia. Non so, ma forse fu per un miracolo, quel Tedesco, nel vedere il coraggio, la presenza di spirito, la carica di altruismo che animava quella giovane donna, ebbe a commuoversi ed ordinò che il Manfroni venisse lasciato libero.
Ora, a distanza di tempo da quel fatto, che poteva concludersi con la morte di mio padre in un campo di concentramento in Germania o in una camera a gas, noi tutti in famiglia non abbiamo dimenticato la signora Elvira per cui sentiamo una riconoscenza ancora vivissima. Ricordiamo la sua bontà, il suo disinteresse, il suo amore veramente cristiano dimostrato in cento occasioni verso tutti quelli che in quel momento di dolore hanno avuto bisogno di un conforto, di un aiuto morale e materiale. Ella si è prodigata per tutti e quanto sopra è stato detto corrisponde pienamente alla verità e costituisce un documento di testimonianza".
Nonostante tutti i disagi e i rischi di quegli anni tremendi, Elvira non perdeva mai la sua fiducia in Dio, conscia di quella particolare protezione che l'aveva sempre accompagnata fin dalla sua infanzia. In verità sfuggì alla morte più di una volta, per puro miracolo, come quando si rifiutò di ripararsi con gli altri in un rifugio, che poi sotto le bombe crollò, o come quando, in compagnia del marito e dei figli, recandosi da San Mauro a San Vito, attraversò un campo disseminato di mine a forma di piatto, senza che nemmeno una esplodesse, anche se lei, non conoscendo la natura di quei piatti, non aveva usato nessuna particolare precauzione.
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