Pages

domenica 5 febbraio 2012

Video Vangelo: V domenica ordinario (B 2012)

Com'erano le giornate di Gesù?

V Domenica Tempo Ordinario
( Mc 1, 29-39) 

La prima domanda, la più scontata che facciamo a un nuovo amico è: “cosa fai nella vita?” Indice non di banale curiosità, ma di interesse per ciò che lo riguarda. E volete che non ci interessi sapere com’erano le giornate di Gesù? Prima di tutto era sempre in movimento: basta leggere il Vangelo di oggi per capirlo. Poi esercitava tutte le professioni: dal libero docente a tutta la gamma della sanità. Però mentre gli altri medici curavano le malattie (o, almeno, tentavano di curarle) lui le scacciava ordinando loro di andarsene e di non farsi mai più vedere. E queste obbedivano all’istante.

• Mattino

Guardiamo dunque gli impegni di Gesù. E’ sabato mattina: entra nella sinagoga e si mette ad insegnare destando grande stupore ed ammirazione per il modo con cui lo fa perché: “ insegnava con autorità e non come gli scribi (mi chiedo: come avranno insegnato gli scribi?). Gli si presenta allora un ossesso ed ecco che vediamo l’autorità di Gesù in atto: comanda allo spirito immondo e quello subito obbedisce ed esce dall’uomo. Ecco la vera autorità: si traduce subito in fatti. In Gesù l’autorità gli viene dal fatto di essere Dio e qualsiasi “potenza”, fosse pure demoniaca, non può che essere sconfitta davanti all’onnipotenza del Figlio di Dio. Dopo aver liberato l’ossesso e scatenato una discussione dei presenti sul suo straordinario potere, Gesù esce dalla sinagoga.

• Mezzogiorno

Verso mezzogiorno va a casa di Pietro (forse nella speranza di trovare un po’ di tranquillità) ma ecco che trova la suocera a letto con la febbre. Allora accostatosi, Gesù la sollevò prendendola per la mano e subito la febbre la lasciò.
Gesù, infatti, dopo aver lasciato Nazaret era andato a stabilirsi a Cafarnao, e precisamente nella casa di Pietro, e quella città era diventata la sua seconda patria. Essendo situata vicino alla grande strada – la via maris – battuta dalle carovane provenienti dalla Siria e dalla Mesopotamia e dirette in Palestina e in Egitto, era una città importante: c’era un ufficio delle imposte e un presidio di soldati romani comandati da un centurione. Per il continuo passaggio di carovane era un luogo ideale per l’annuncio del Vangelo. Ora non esiste più: fu completamente distrutta, forse da un terremoto, nel 665, e mai più ricostruita. Ci sono le rovine che ne confermano l’esistenza. E furono trovati anche i ruderi della casa di Pietro.

• Sera

Venuta la sera, iniziò la processione: tutta la città affluì davanti alla porta portandoGli tutti i malati e gli indemoniati e ne guarì molti. Il sole era tramontato, ma a Cafarnao, davanti alla casa di Pietro, splendeva una luce intramontabile. E tutti accorrevano…
Quel successo strepitoso, lungi dal centrarlo su di sé e fargli nascere anche un minimo e legittimo compiacimento sull’opera compiuta, gli suscita invece un grande bisogno di appartarsi per entrare in comunione con il Padre. E così vediamo Gesù che all’alba, quando ancora è tutto buio, esce di casa e si ritira in un luogo deserto a pregare. Mentre gli altri dormivano ancora, il Maestro si sprofondava in un’intensa adorazione e preghiera prolungata. Ecco il tratto più caratteristico e ricorrente della personalità di Gesù : il suo rapporto con il Padre. E poi arrivano gli apostoli a dirgli che “tutti lo cercano” ma Lui non soccombe alla tentazione del successo e dice: “Andiamocene altrove, perché io predichi anche là: per questo sono venuto”. E così si è conclusa la giornata di Gesù con tutti i suoi impegni: è andato in sinagoga dove ha insegnato e liberato un ossesso; ha guarito la suocera di Pietro e molti altri malati, liberato indemoniati, predicato e soprattutto pregato. Questo ci deve insegnare che l’unica vera ricarica dopo un’intensa giornata di lavoro è la preghiera. Tutto il resto, compresi schermi e teleschermi vari, servono solo a riempirci di vuoto e, lungi dal ricaricarci, a lasciarci più stanchi di prima. E’ urgente saperci centrare o ricentrare su Dio.

Wilma Chasseur

venerdì 3 febbraio 2012

Elvira - Figlia spirituale di Padre Pio - XIX

Continuiamo a scoprire la figura di Elvira, figlia spirituale di San Pio da Pietrelcina; nell'appuntamento odierno vediamo come è Elvira oggi:


CAPITOLO IV 
ELVIRA OGGI 

Col passare degli anni l'attività di Elvira non si è fermata, anzi si direbbe che più diminuiscono le sue forze fisiche, più s'accentua in lei la capacità d'azione e il potere di conquistare anime.

Per giungere fin qui, però, quante difficoltà ha dovuto superare! L'incomprensione, la persecuzione, l'invidia, la gelosia le hanno ingombrato il cammino, ma lei è sempre stata sorretta da Dio che non poteva mancare in suo aiuto, perché lavorava per la sua gloria e cosi ha potuto farsi strada, tra maree altissime e voragini spaventose, passando di vittoria in vittoria.

Padre Pio aveva ben capito di che stoffa fosse quella "paesana": una donna spinta all'impegno sociale da profonde motivazioni interiori, una donna dolce e combattiva, dotata di intuito e di sensibilità, di forza di volontà e di capacità operativa, ricca di comunicativa, disponibile alla donazione di se e al servizio.

L'ebbe cara come figlia spirituale sapendo che il chicco, gettato in quel terreno, avrebbe fruttato il cento per uno.

Oggi Elvira è, a sua volta, la MAMMA di una numerosa figliuolanza spirituale; è circondata da persone che la amano e confortata dalla stima di molti sacerdoti. Ispira in tutti una grande fiducia, perché è una donna di molto buon senso, ben illuminata dalla ragione, equilibrata, padrona di se. Quando deve prendere qualche decisione esamina con maturità le cose, soppesando bene il da farsi, circospetta, cauta, previdente. A questa sua prudenza, però, va congiunta una volontà ferrea che non la fa arrestare davanti a nessuna avversità e, senza lasciarsi smontare dalle obiezioni degli altri, quando vede che una iniziativa è conforme alla volontà di Dio, anche se appare difficile e rischiosa, vi si lancia decisa ad arrivare fino in fondo.. Nel sopportare le contraddizioni rivela una fortezza invincibile, una pazienza sovrumana. Sopporta ogni male sempre vedendo la sapiente mano di Dio che tutto dirige per il felice compimento della sua volontà.

Quello che incide soprattutto nelle anime, però, è la carità, da lei veramente vissuta ed espressa nelle forme più calde, in tutte le circostanze in cui è chiamata a trovarsi. E l'amore alla base di ogni sua azione: veramente la si direbbe nata per gli altri. Nessuno sa piegarsi sulle miserie dei fratelli con tanta sollecitudine, con così commossa partecipazione come sa fare Elvira. Chiunque l'abbia avvicinata ha sperimentato il balsamo di questa sua bontà, perché lei sa darsi tutta a tutti, sempre, completamente incurante di se stessa. Conosce le dimensioni reali delle cose e delle vicende umane e non si sconcerta dinanzi ai limiti delle persone e delle situazioni, per cui tutti si trovano a proprio agio davanti a lei.

Forse pochi sacerdoti al mondo ebbero le confidenze che Elvira ha dalle anime e lei, dal cuore veramente sacerdotale, convoglia ogni anima a Dio con saggezza, con franchezza e con carità sublime. È sempre pronta a coprire col velo pietoso dell'anonimato chiunque vada da lei per avere un colloquio a cuore aperto e questa precauzione raggiunge addirittura lo scrupolo quando si tratta di sacerdoti. Usa sempre una grande discrezione e non indaga più in là di quanto le si dice, estremamente rispettosa della libertà altrui.

È categorica nel giudicare, ma altrettanto magnanima nel compatire.

È difficile che chi ha parlato con lei non se ne parta col serio proposito di emendare la propria vita. C'è chi, dopo aver fatto le prime conquiste spirituali, le scrive:

"Signora, volevo dirle questo: sapesse come sono cambiata! In quest'ultimo periodo, dopo la rivoluzione interiore, ho avuto tanti lumi di grazia ai quali, per quanto ho potuto, ho risposto. Tramite il suo aiuto, signora Elvira, sono riuscita a rinunciare a tutte le cose vane: sigarette, giornali, televisione. Ho usato il tempo, che impiegavo in queste stupidaggini, per pregare. Come mi sento più contenta! Quanta gioia provo dentro! Ogni sofferenza la offro alla Madonna e così la sento più leggera. Avevo bisogno di dirgliele queste cose, perché, come non si può tenere per sé tanta tristezza, così non si può tenere neanche tanta gioia...

giovedì 2 febbraio 2012

Benedetto XVI: se segue la volontà di Dio, l'uomo è libero

Udienza Generale di Papa Benedetto XVI - 01 Febbraio 2012

BENEDETTO XVI

UDIENZA GENERALE

Aula Paolo VI
Mercoledì, 1° febbraio 2012


Cari fratelli e sorelle,

oggi vorrei parlare della preghiera di Gesù al Getsemani, al Giardino degli Ulivi. Lo scenario della narrazione evangelica di questa preghiera è particolarmente significativo. Gesù si avvia al Monte degli Ulivi, dopo l'Ultima Cena, mentre sta pregando insieme con i suoi discepoli. Narra l’Evangelista Marco: «Dopo aver cantato l’inno, uscirono verso il monte degli Ulivi» (14,26). Si allude probabilmente al canto di alcuni Salmi dell'hallèl con i quali si ringrazia Dio per la liberazione del popolo dalla schiavitù e si chiede il suo aiuto per le difficoltà e le minacce sempre nuove del presente. Il percorso fino al Getsemani è costellato di espressioni di Gesù che fanno sentire incombente il suo destino di morte e annunciano l'imminente dispersione dei discepoli.

Giunti al podere sul Monte degli Ulivi, anche quella notte Gesù si prepara alla preghiera personale. Ma questa volta avviene qualcosa di nuovo: sembra non voglia restare solo. Molte volte Gesù si ritirava in disparte dalla folla e dagli stessi discepoli, sostando «in luoghi deserti» (cfr Mc 1,35) o salendo «sul monte», dice san Marco (cfr Mc 6,46). Al Getsemani, invece, egli invita Pietro, Giacomo e Giovanni a stargli più vicino. Sono i discepoli che ha chiamato ad essere con Lui sul monte della Trasfigurazione (cfr Mc 9,2-13). Questa vicinanza dei tre durante la preghiera al Getsemani è significativa. Anche in quella notte Gesù pregherà il Padre «da solo», perché il suo rapporto con Lui è del tutto unico e singolare: è il rapporto del Figlio Unigenito. Si direbbe, anzi, che soprattutto in quella notte nessuno possa veramente avvicinarsi al Figlio, che si presenta al Padre nella sua identità assolutamente unica, esclusiva. Gesù però, pur giungendo «da solo» nel punto in cui si fermerà a pregare, vuole che almeno tre discepoli rimangano non lontani, in una relazione più stretta con Lui. Si tratta di una vicinanza spaziale, una richiesta di solidarietà nel momento in cui sente approssimarsi la morte, ma è soprattutto una vicinanza nella preghiera, per esprimere, in qualche modo, la sintonia con Lui, nel momento in cui si appresta a compiere fino in fondo la volontà del Padre, ed è un invito ad ogni discepolo a seguirlo nel cammino della Croce. L’Evangelista Marco narra: «Prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e cominciò a sentire paura e angoscia. Disse loro: “La mia anima è triste fino alla morte. Restate qui e vegliate”» (14,33-34).

Nella parola che rivolge ai tre, Gesù, ancora una volta, si esprime con il linguaggio dei Salmi: «La mia anima è triste», una espressione del Salmo 43 (cfr Sal 43,5). La dura determinazione «fino alla morte», poi, richiama una situazione vissuta da molti degli inviati di Dio nell’Antico Testamento ed espressa nella loro preghiera. Non di rado, infatti, seguire la missione loro affidata significa trovare ostilità, rifiuto, persecuzione. Mosè sente in modo drammatico la prova che subisce mentre guida il popolo nel deserto, e dice a Dio: «Non posso io da solo portare il peso di tutto questo popolo; è troppo pesante per me. Se mi devi trattare così, fammi morire piuttosto, fammi morire, se ho trovato grazia ai tuoi occhi» (Nm 11,14-15). Anche per il profeta Elia non è facile portare avanti il servizio a Dio e al suo popolo. Nel Primo Libro dei Re si narra: «Egli s’inoltrò nel deserto una giornata di cammino e andò a sedersi sotto una ginestra. Desideroso di morire, disse: “Ora basta, Signore! Prendi la mia vita, perché io non sono migliore dei miei padri”» (19,4).

Le parole di Gesù ai tre discepoli che vuole vicini durante la preghiera al Getsemani, rivelano come Egli provi paura e angoscia in quell'«Ora», sperimenti l’ultima profonda solitudine proprio mentre il disegno di Dio si sta attuando. E in tale paura e angoscia di Gesù è ricapitolato tutto l'orrore dell'uomo davanti alla propria morte, la certezza della sua inesorabilità e la percezione del peso del male che lambisce la nostra vita.

Dopo l’invito a restare e a vegliare in preghiera rivolto ai tre, Gesù «da solo» si rivolge al Padre. L’Evangelista Marco narra che Egli «andato un po’ innanzi, cadde a terra e pregava che, se fosse possibile, passasse via da lui quell’ora» (14,35). Gesù cade faccia a terra: è una posizione della preghiera che esprime l’obbedienza alla volontà del Padre, l’abbandonarsi con piena fiducia a Lui. E’ un gesto che si ripete all’inizio della Celebrazione della Passione, il Venerdì Santo, come pure nella professione monastica e nelle Ordinazioni diaconale, presbiterale ed episcopale, per esprimere, nella preghiera, anche corporalmente, l’affidarsi completo a Dio, il confidare in Lui. Poi Gesù chiede al Padre che, se fosse possibile, passasse via da lui quest’ora. Non è solo la paura e l’angoscia dell’uomo davanti alla morte, ma è lo sconvolgimento del Figlio di Dio che vede la terribile massa del male che dovrà prendere su di Sé per superarlo, per privarlo di potere.

Cari amici, anche noi, nella preghiera dobbiamo essere capaci di portare davanti a Dio le nostre fatiche, la sofferenza di certe situazioni, di certe giornate, l’impegno quotidiano di seguirlo, di essere cristiani, e anche il peso del male che vediamo in noi e attorno a noi, perché Egli ci dia speranza, ci faccia sentire la sua vicinanza, ci doni un po’ di luce nel cammino della vita.

Gesù continua la sua preghiera: «Abbà! Padre! Tutto è possibile a te: allontana da me questo calice! Però non ciò che voglio io, ma ciò che vuoi tu» (Mc 14,36). In questa invocazione ci sono tre passaggi rivelatori. All'inizio abbiamo il raddoppiamento del termine con cui Gesù si rivolge a Dio: «Abbà! Padre!» (Mc 14,36a). Sappiamo bene che la parola aramaica Abbà è quella che veniva usata dal bambino per rivolgersi al papà ed esprime quindi il rapporto di Gesù con Dio Padre, un rapporto di tenerezza, di affetto, di fiducia, di abbandono. Nella parte centrale dell'invocazione c’è il secondo elemento: la consapevolezza dell'onnipotenza del Padre – «tutto è possibile a te» -, che introduce una richiesta in cui, ancora una volta, appare il dramma della volontà umana di Gesù davanti alla morte e al male: «allontana da me questo calice!». Ma c’è la terza espressione della preghiera di Gesù ed è quella decisiva, in cui la volontà umana aderisce pienamente alla volontà divina. Gesù, infatti, conclude dicendo con forza: «Però non ciò che voglio io, ma ciò che vuoi tu» (Mc 14,36c). Nell'unità della persona divina del Figlio la volontà umana trova la sua piena realizzazione nell’abbandono totale dell’Io al Tu del Padre, chiamato Abbà. San Massimo il Confessore afferma che dal momento della creazione dell’uomo e della donna, la volontà umana è orientata a quella divina ed è proprio nel “sì” a Dio che la volontà umana è pienamente libera e trova la sua realizzazione. Purtroppo, a causa del peccato, questo “sì” a Dio si è trasformato in opposizione: Adamo ed Eva hanno pensato che il “no” a Dio fosse il vertice della libertà, l’essere pienamente se stessi. Gesù al Monte degli Ulivi riporta la volontà umana al “sì” pieno a Dio; in Lui la volontà naturale è pienamente integrata nell’orientamento che le dà la Persona Divina. Gesù vive la sua esistenza secondo il centro della sua Persona: il suo essere Figlio di Dio. La sua volontà umana è attirata dentro l’Io del Figlio, che si abbandona totalmente al Padre. Così Gesù ci dice che solo nel conformare la sua propria volontà a quella divina, l’essere umano arriva alla sua vera altezza, diventa “divino”; solo uscendo da sé, solo nel “sì” a Dio, si realizza il desiderio di Adamo, di noi tutti, quello di essere completamente liberi. E’ ciò che Gesù compie al Getsemani: trasferendo la volontà umana nella volontà divina nasce il vero uomo, e noi siamo redenti.

Il Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica insegna sinteticamente: «La preghiera di Gesù durante la sua agonia nell'Orto del Getsemani e le sue ultime parole sulla Croce rivelano la profondità della sua preghiera filiale: Gesù porta a compimento il disegno d'amore del Padre e prende su di sé tutte le angosce dell'umanità, tutte le domande e le intercessioni della storia della salvezza. Egli le presenta al Padre che le accoglie e le esaudisce, al di là di ogni speranza, risuscitandolo dai morti» (n. 543). Davvero «in nessun'altra parte della Sacra Scrittura guardiamo così profondamente dentro il mistero interiore di Gesù come nella preghiera sul Monte degli Ulivi» (Gesù di Nazaret II, 177).

Cari fratelli e sorelle, ogni giorno nella preghiera del Padre nostro noi chiediamo al Signore: «sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra» (Mt 6,10). Riconosciamo, cioè, che c'è una volontà di Dio con noi e per noi, una volontà di Dio sulla nostra vita, che deve diventare ogni giorno di più il riferimento del nostro volere e del nostro essere; riconosciamo poi che è nel “cielo” dove si fa la volontà di Dio e che la “terra” diventa “cielo”, luogo della presenza dell’amore, della bontà, della verità, della bellezza divina, solo se in essa viene fatta la volontà di Dio. Nella preghiera di Gesù al Padre, in quella notte terribile e stupenda del Getsemani, la “terra” è diventata “cielo”; la “terra” della sua volontà umana, scossa dalla paura e dall’angoscia, è stata assunta dalla sua volontà divina, così che la volontà di Dio si è compiuta sulla terra. E questo è importante anche nella nostra preghiera: dobbiamo imparare ad affidarci di più alla Provvidenza divina, chiedere a Dio la forza di uscire da noi stessi per rinnovargli il nostro “sì”, per ripetergli «sia fatta la tua volontà», per conformare la nostra volontà alla sua. E’ una preghiera che dobbiamo fare quotidianamente, perché non sempre è facile affidarci alla volontà di Dio, ripetere il “sì” di Gesù, il “sì” di Maria. I racconti evangelici del Getsemani mostrano dolorosamente che i tre discepoli, scelti da Gesù per essergli vicino, non furono capaci di vegliare con Lui, di condividere la sua preghiera, la sua adesione al Padre e furono sopraffatti dal sonno. Cari amici, domandiamo al Signore di essere capaci di vegliare con Lui in preghiera, di seguire la volontà di Dio ogni giorno anche se parla di Croce, di vivere un’intimità sempre più grande con il Signore, per portare in questa «terra» un po’ del «cielo» di Dio. Grazie.

{Saluti in varie lingue: Je salue les pèlerins francophones, particulièrement le groupe du Collège du Sacré-Cœur d’Aix-en-Provence. Chers amis, dans la prière, n’hésitons pas à confier à Dieu ce qui fait notre vie, nos joies et nos soucis. Je vous invite à chercher en tout sa volonté, et à renouveler votre engagement à vivre en chrétien, en suivant Jésus, la lumière de notre vie. Avec ma bénédiction à tous, et particulièrement aux personnes consacrées, dont nous célébrerons la fête demain !

I offer a warm welcome to the group of British Army Chaplains taking part in today’s Audience. My greeting also goes to the many student and parish groups present. Upon all the English-speaking pilgrims and visitors, including those from Hong Kong and the United States of America, I cordially invoke God’s blessings of joy and peace!

Mit Freude grüße ich die deutschsprachigen Pilger und Besucher. Wollen wir immer wieder Zeiten der Stille und des persönlichen Gebetes suchen und gerade in Stunden der Not vertrauensvoll unsere Sorgen dem himmlischen Vater übergeben. Wir wissen: ihm ist alles möglich und er kann auch das Schwere zum Guten führen. Gott segne euch alle!

Saludo cordialmente a los peregrinos de lengua española, en particular a los grupos provenientes de España, Chile, Argentina, México y otros países latinoamericanos. Queridos amigos pidamos al Señor para que seamos capaces de vigilar con Él en oración, de cumplir su voluntad cada día aunque comporte sacrificio. Que estemos dispuestos a vivir una intimidad cada vez más grande con Él. Muchas gracias.

Amados peregrinos de língua portuguesa, a todos dou as boas-vindas, pedindo a Deus que vos encha de esperança e conceda a luz para descobrir a sua vontade sobre a vossa vida e fazer dela o ponto de referimento diário do vosso querer e do vosso ser. E que as Suas Bênçãos sempre vos acompanhem. Ide em paz!

Saluto in lingua polacca:

Pozdrawiam polskich pielgrzymów. Modlitwa Jezusa w ogrodzie Getsemani jest wyrazem całkowitego poddania swojej woli i zawierzenia życia Bogu Ojcu. Wszyscy jesteśmy zaproszeni do tej ufności i pełnienia woli Bożej. Jednak szczególnymi świadkami takiego oddania są w Kościele osoby konsekrowane. Obchodząc jutro ich dzień, prośmy Boga, aby mocą Ducha Świętego umacniał je na drodze pełnienia Jego woli. Wam wszystkim tu obecnym niech Bóg błogosławi.

Traduzione italiana:

Saluto i pellegrini polacchi. La preghiera di Gesù nell’orto del Getsemani è un’espressione della totale sottomissione della propria volontà e dell’affidamento della vita a Dio Padre. Tutti siamo invitati a tale fiducia e a compiere la volontà di Dio. Tuttavia i testimoni speciali di tale dedizione sono nella Chiesa le persone consacrate. Celebrando domani la loro giornata, chiediamo a Dio che con la potenza dello Spirito Santo li rafforzi nel cammino dell’adempimento della Sua volontà. Dio benedica tutti voi qui presenti!}

* * *

Rivolgo un cordiale benvenuto a tutti i pellegrini di lingua italiana. In particolare saluto i Vescovi amici della Comunità di Sant’Egidio, provenienti da vari Paesi dell'Europa, dell'Africa e dell'Asia, e li incoraggio ad operare con entusiasmo al servizio del Vangelo, nonostante le difficoltà che a volte possono incontrare nella loro missione. Saluto con affetto i rappresentanti della Marina Militare di Grottaglie; cari amici, vi ringrazio per la vostra presenza e vi esorto a vivere con fedeltà il vostro lavoro e ad arricchirlo con la vostra personale testimonianza cristiana.

Desidero rivolgere infine il mio saluto ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli. La figura di san Giovanni Bosco, che ieri abbiamo ricordato, ci porta a considerare quanto sia importante educare le nuove generazioni agli autentici valori umani e spirituali della vita. Cari giovani, invoco su di voi la particolare protezione del Santo della gioventù e vi auguro di trovare sempre educatori saggi e guide sicure. Cari ammalati, la vostra sofferenza, offerta con generosità al Signore, possa rendere fecondo l'impegno che la Chiesa dedica al mondo giovanile. E voi, sposi novelli, preparatevi ad essere i primi ed insostituibili educatori dei figli che il Signore vi donerà.

© Copyright 2012 - Libreria Editrice Vaticana

mercoledì 1 febbraio 2012

Fatti guardare negli occhi

La Summa Teologica - Cinquantatreesima parte

Torniamo ad addentrarci nella Summa Teologica di San Tommaso d'Aquino, un'opera che diede un fondamento scientifico, filosofico e teologico alla dottrina cristiana. Continuiamo a scoprire la parte dedicata al Trattato relativo all'essenza di Dio ed in particolare la parte relativa all'unità di Dio:

Prima parte
Trattato relativo all'essenza di Dio

L'unità di Dio > Se Dio sia uno

Prima parte
Questione 11
Articolo 3



SEMBRA che Dio non sia uno. Infatti:
1. S. Paolo dice: "Ci sono molti dei e molti signori".

2. L'uno che è principio del numero non si può attribuire a Dio, perché a Dio non si può attribuire nessuna quantità. Parimente non gli si può attribuire l'uno che si identifica con l'ente, perché esso importa privazione, e ogni privazione è un'imperfezione, che disdice a Dio. Non deve dirsi, dunque, che Dio sia uno.

IN CONTRARIO: Nel Deuteronomio sta scritto: "Ascolta, Israele: Il Signore Dio tuo è uno solo".

RISPONDO: Che Dio sia uno si dimostra in tre modi. Primo, dalla sua semplicità. È evidente che ciò, per cui un essere singolo viene costituito soggetto individuale, in nessuna maniera è comunicabile a più d'uno. P. es., ciò per cui Socrate è uomo, è comunicabile a molti; ma ciò per cui Socrate è quest'uomo qui, non può convenire che a uno solo. Se dunque Socrate fosse costituito uomo da ciò per cui è quest'uomo, come non vi possono essere più Socrati, così non vi potrebbero essere più uomini. Ora, questo avviene di Dio: perché Dio è la sua stessa natura, come si è già dimostrato. Per l'identico motivo, dunque, egli è Dio e questo Dio. Impossibile, quindi, che vi siano più dei.
Secondo, dall'infinità della sua perfezione. Si è dimostrato sopra che Dio comprende in se stesso tutta la perfezione dell'essere. Se dunque ci fossero più dei, bisognerebbe che in qualche cosa differissero: quindi qualche cosa converrebbe all'uno che non converrebbe all'altro. E se questo qualche cosa fosse una privazione, l'uno non sarebbe pienamente perfetto; se poi fosse una perfezione, l'altro ne sarebbe mancante. È dunque impossibile che vi siano più dei. Ond'è che gli stessi filosofi dell'antichità, come costretti dalla verità stessa, riconoscendo l'esistenza di un principio infinito, riconobbero che questo principio è uno soltanto.
Terzo, dall'unità del mondo. Le cose tutte che esistono si mostrano vicendevolmente ordinate dal momento che le une servono alle altre. Ora, cose diverse non concordebbero in un medesimo ordinamento, se non vi fossero indirizzate da un agente unico. Infatti, più cose sono riunite meglio in un ordine da un solo agente che da molti; perché l'uno è causa per se dell'unità, mentre i molti non sono causa dell'unità se non accidentalmente, in quanto cioè anch'essi in qualche modo formano un'unità. Siccome, dunque, quello che è primo è perfettissimo e per se (cioè in forza di se stesso), e non per accidens (in forza di altro), è necessario che il primo agente che riunisce tutte le cose in un solo ordine, sia uno solamente. E questi è Dio.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Si parla di molti dei secondo l'errore di certuni che adoravano molti dei, pensando che i pianeti e le altre stelle, oppure le singole parti del mondo fossero dei. Cosicché (l'Apostolo) soggiunge: "Ma per noi c'è un unico Dio".

2. L'uno che è principio del numero non si attribuisce a Dio; ma solo alle cose (corporee) che hanno l'essere nella materia. L'uno, infatti, che è principio del numero, è del genere delle entità matematiche, le quali esistono (di fatto) nella materia, ma dalla ragione vengono astratte e separate da essa. L'uno invece, che si identifica con l'ente, è un'entità metafisica, che essenzialmente non dipende dalla materia. E sebbene in Dio non vi sia privazione di sorta, tuttavia, dato il nostro modo di intendere, da noi non è conosciuto se non per via di negazioni e di eliminazioni. E così niente vieta che si enuncino di Dio termini negativi; p. es., che è incorporeo, infinito. E in tal modo si dice che Dio è uno.