Questa Domenica, ricorre la Festa della Liberazione. Una festa civile che però riguarda il nostro Paese per intero poiché in questo giorno, sessantacinque anni fa, l'Italia era finalmente riuscita a liberarsi dall'oppressione nazifascista (anche se non ovunque). Per questo motivo, oggi diamo spazio ad una testimonianza, dal libro "Il silenzio dei vivi" ( Elisa Springer, Marsilio Editori, 1997) di una vittima della deportazione e dell'orrore nazista. Vediamo molti che tendono a rivalutare quel periodo, addirittura a negare gli orrori compiuti e per questo la Vigna risponde così, dando voce ad una protagonista di quel periodo, affinché soprattutto le giovani generazioni, capiscano l'orrore dell'odio e della cultura della supremazia razziale. E soprattutto, cogliamo l'occasione per ribadire che tutto questo non può definirsi parte di un partito clericale e lo diciamo in risposta a chi tende a vedere il clericalismo di fondo del partito fascista che, è complice della barbarie nazista e ugualmente responsabile. Ecco la testimonianza:
Io ho vissuto per non dimenticare quella parte di me, rimasta nei lager, con i miei vent'anni.
Ho vissuto per difendere e raccontare l'odore dei morti che bruciavano nei crematori, per difendere la memoria di tutti i miei cari e di tanti innocenti, memoria che oggi si tenta ancora di infangare.
Ho vissuto per raccontare che le ferite del corpo si rimarginano col tempo, ma quelle dello spirito mai. Le mie sanguinano ancora. Nostra è, ancora oggi, e sempre, la sofferenza di quel tempo, il nostro camminare avanti, fra mille difficoltà.
Abbiamo vissuto la degenerazione, la nostra “vita indegna”, ma siamo sopravvissuti, cercando di cancellare la nebbia e il buio dalla nostra mente.
I nostri figli, tutto questo lo hanno già compreso, lo portano nel cuore. La nostra sofferenza, il nostro disagio, il nostro bisogno di riscatto, sono diventati la loro eredità. I nostri figli soffrono il nostro passato.
I nostri figli soffrono, oggi, il nostro malessere, le nostre ansie, le nostre paure. Gli altri sappiano che dalle macerie della nostra esistenza, sono nati loro, i nostri figli, stelle che abbiamo seguito per tutta la vita, con tutte le forze e che rappresentavano il riscatto, la vita che continua, nonostante tutto, la storia che va raccontata, che loro devono raccontare.
Auschwitz ha rappresentato, per noi, il buio, le nostre stelle son servite a illuminarlo. A settantesette anni sono tornata ad Auschwitz-Birkenau.
È stata la rivincita della mia vita sulle miserie della morte.
Mi sono ritrovata libera di camminare in quel deserto di morte senza speranza, libera di piangere la mia solitudine, appoggiandomi all'uomo che, mai, avrei sperato di conoscere: mio figlio.
Lui ha compreso il senso della mia esistenza: ho vissuto, per cinquantanni, ad Auschwitz all'ombra del Camino.
Da cinquant’anni, una volta all’anno, ritorno a Vienna, raggiungo il Zentral Friedhof e mi fermo davanti a una scritta: “Richard Springer, nato 5.11.1879 - morto 28.12.1938, Buchenwald”.
Prego sulla tomba di mio padre, e depongo, ogni volta, una pietra: la pietra dell'amore e della vita.
Penso che un altro anno è passato ... Il tempo scandisce la distanza che mi separa dai miei cari, ricordandomi che prima ancora di morire ho avuto la fortuna di rinascere per vivere.
Da cinquant'anni, ogni anno, mi fermo davanti al portone della “mia casa”, in Strozzigaße, 32: non ho più il coraggio di entrare, ma piango.
È strano, ho la sensazione di non essermi mai allontanata, è come se fossi rimasta lì ad aspettare la mia vita, il mio domani.
Ripenso a quel quadro appeso all'ingresso: raffigura una strada, senza inizio né fine, in mezzo a un bosco di betulle.
Lì ho lasciato il mio Passato. Lì si è fermato il mio Presente ...
Il mio Domani, adesso, ha gli occhi di mio figlio ...!
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10 anni fa
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