25^ Domenica Tempo Ordinario
(Mt 20,1-16)
Il Vangelo di domenica scorsa si era concluso con un pareggio: ”Così anche il Padre mio celeste, farà a ciascuno di voi…”. In altre parole, eravamo noi a stabilire la misura di perdono che avremmo ricevuto, in base a quella data agli altri. Oggi va molto al di là: Dio si comporta davvero da gran re e dà molto più del giusto dovuto. Come, del resto, ci perdona molto più del giusto dovuto e rimette a noi infiniti più debiti di quanti noi ne rimettiamo ai nostri debitori (staremmo freschi, se no!…).Abbiamo, certo, il dovere di perdonare, ma ci riusciremo nella misura in cui chiederemo al Signore di farlo in noi e con noi.
• Dio guarda l’ora?
Oggi vediamo dunque il gran re che esce di casa all’alba, a cercare lavoratori da mandare alla vigna. Ai primi dice: ”Andate alla mia vigna e quello che è giusto ve lo darò”. Quindi, alla fine della giornata, dà loro il giusto dovuto, ma a quelli che arrivarono per ultimi, dà molto più del giusto dovuto: dà anche ciò che non è loro dovuto e li paga come se avessero lavorato tutto il giorno, con gran dispetto degli altri! Cosa ne possiamo concludere? O che DIO non ha l’orologio e nemmeno guarda l’ora al campanile, il che sarebbe più che giusto perché, essendo l’Eterno, non ha certamente bisogno di consultare quegli strumenti che misurano il tempo che passa, visto che per Lui non passa proprio! Anzi, per Lui, neppure esiste questo tempo che a noi scappa da tutte le parti e siamo sempre lì a rincorrerlo a perdifiato e a misurarlo ad ogni piè sospinto, consultando freneticamente quell’aggeggino che tutti portiamo al polso, oppressi da quella fretta e agitazione che pare siano diventate le vere “con-sorti” dell’uomo moderno…
Oppure dobbiamo concludere che DIO conosce solo la gratuità. Il Regno dei Cieli è gratuito: dobbiamo contare solo sulle nostre… mani vuote (”dopo aver fatto tutto quel che dovevate fare, dite: siamo servi inutili” (Luca 17,10) .
• Come districarsi?
Guai se ci presentiamo alla porta del Regno, contando solo sui nostri meriti e rivendicando la salvezza come un dovuto, dicendo pressappoco: ”Guarda come sono stato bravo, vedi tutto il bene che ho fatto? Devi proprio darmi il Paradiso”. Allora non siamo più servi inutili, ma neanche… utili per la nostra salvezza. Però il bene va fatto! Eccome! Allora, come districarsi?
Il bene va fatto, si capisce! Anzi, per salvarsi, va fatto SOLO quello e non il male che ci perde. Ma dobbiamo sapere che poter fare il bene è già una grazia (“senza di Me non potete fare nulla” (Gv. 15,5): non dobbiamo dunque attribuircelo come se fosse dovuto solo ai nostri sforzi. Un adagio domenicano dice che è grazia anche la capacità di corrispondere alla grazia.
• Altro che fatica!
Ed è già un anticipo del regno dei Cieli, poter lavorare tutta la giornata per il Signore, perché è una grande gioia poter stare tutto il giorno con Lui a lavorare nella sua vigna. Altro che fatica! Mentre gli operai che hanno iniziato a lavorare solo alle cinque del pomeriggio, fino a quell’ora, erano stati lontani da Lui e dalla sua vigna, e anche se poi hanno ricevuto la stessa paga degli altri, hanno però ricevuto di meno, perché non hanno avuto la grazia e la gioia di essere stati chiamati fin dalle prime ore a lavorare e a stare con Lui, il che, lungi dall’essere un peso, è un grande privilegio.
L’importante è sapere che ciò che più conta, in quel che facciamo, non è tanto la quantità, quanto la qualità: la fonte del merito è l’amore. “E’ l’amore che voglio, non il sacrificio” (Mt 9,13). Se lavoreremo con tanto amore per Dio e per il prossimo - anche se saremo gli operai dell’ultima ora - diventeremo, in breve tempo, molto graditi al Signore.
Wilma Chasseur
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