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lunedì 26 settembre 2011

Omelia e Angelus di Papa Benedetto XVI - 25 Settembre 2011

 
VIAGGIO APOSTOLICO IN GERMANIA
22-25 SETTEMBRE 2011

SANTA MESSA

OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

Aeroporto turistico di Freiburg im Breisgau
 Domenica, 25 settembre 2011


Cari fratelli e sorelle!

Per me è emozionante celebrare qui l’Eucaristia, il Ringraziamento, con tanta gente proveniente da diverse parti della Germania e dai Paesi confinanti. Vogliamo rivolgere il nostro ringraziamento soprattutto a Dio, nel quale viviamo, ci muoviamo ed esistiamo (cfr At 17,28). Ma vorrei ringraziare anche voi tutti per la vostra preghiera a favore del Successore di Pietro, affinché egli possa continuare a svolgere il suo ministero con gioia e fiduciosa speranza e confermare i fratelli nella fede.

“O Dio, che riveli la tua onnipotenza soprattutto con la misericordia e il perdono…”, abbiamo detto nella colletta del giorno. Nella prima lettura abbiamo ascoltato come Dio nella storia di Israele ha manifestato il potere della sua misericordia. L’esperienza dell’esilio babilonese aveva fatto cadere il popolo in una profonda crisi di fede: perché era sopravvenuta questa sciagura? Forse Dio non era veramente potente?

Ci sono teologi che, di fronte a tutte le cose terribili che avvengono oggi nel mondo, dicono che Dio non possa essere affatto onnipotente. Di fronte a questo, noi professiamo Dio, l’Onnipotente, il Creatore del cielo e della terra. E noi siamo lieti e riconoscenti che Egli sia onnipotente. Ma dobbiamo, al contempo, renderci conto che Egli esercita il suo potere in maniera diversa da come noi uomini siamo soliti fare. Egli stesso ha posto un limite al suo potere, riconoscendo la libertà delle sue creature. Noi siamo lieti e riconoscenti per il dono della libertà. Tuttavia, quando vediamo le cose tremende, che a causa di essa avvengono, ci spaventiamo. Fidiamoci di Dio, il cui potere si manifesta soprattutto nella misericordia e nel perdono. E siamo certi, cari fedeli: Dio desidera la salvezza del suo popolo. Desidera la nostra salvezza, la mia salvezza, la salvezza di ciascuno. Sempre, e soprattutto in tempi di pericolo e di cambiamento radicale, Egli ci è vicino e il suo cuore si commuove per noi, si china su di noi. Affinché il potere della sua misericordia possa toccare i nostri cuori, ci vuole l’apertura a Lui, ci vuole la libera disponibilità di abbandonare il male, di alzarsi dall’indifferenza e di dare spazio alla sua Parola. Dio rispetta la nostra libertà. Egli non ci costringe. Egli attende il nostro “sì” e lo mendica, per così dire.

Gesù nel Vangelo riprende questo tema fondamentale della predicazione profetica. Racconta la parabola dei due figli che sono invitati dal padre a lavorare nella vigna. Il primo figlio rispose: “«Non ne ho voglia»; ma poi, pentitosi, ci andò” (Mt 21,29). L’altro, invece, disse al padre: “«Sì, signore», ma non andò” (Mt 21,30). Alla domanda di Gesù, chi dei due abbia compiuto la volontà del padre, gli ascoltatori giustamente rispondono: “Il primo” (Mt 21,31). Il messaggio della parabola è chiaro: non contano le parole, ma l’agire, le azioni di conversione e di fede. Gesù – lo abbiamo sentito - rivolge questo messaggio ai sommi sacerdoti e agli anziani del popolo di Israele, cioè agli esperti di religione del suo popolo. Essi, prima, dicono “sì” alla volontà di Dio. Ma la loro religiosità diventa routine, e Dio non li inquieta più. Per questo avvertono il messaggio di Giovanni Battista e il messaggio di Gesù come un disturbo. Così, il Signore conclude la sua parabola con parole drastiche: “I pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. Giovanni infatti venne a voi sulla via della giustizia, e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, avete visto queste cose, ma poi non vi siete nemmeno pentiti così da credergli” (Mt 21,31-32). Tradotta nel linguaggio del tempo, l’affermazione potrebbe suonare più o meno così: agnostici, che a motivo della questione su Dio non trovano pace; persone che soffrono a causa dei loro peccati e hanno desiderio di un cuore puro, sono più vicini al Regno di Dio di quanto lo siano i fedeli “di routine”, che nella Chiesa vedono ormai soltanto l’apparato, senza che il loro cuore sia toccato da questo, dalla fede.

Così, la parola deve far riflettere molto, anzi, deve scuotere tutti noi. Questo, però, non significa affatto che tutti coloro che vivono nella Chiesa e lavorano per essa siano da valutare come lontani da Gesù e dal Regno di Dio. Assolutamente no! No, piuttosto è questo il momento per dire una parola di profonda gratitudine ai tanti collaboratori impiegati e volontari, senza i quali la vita nelle parrocchie e nell’intera Chiesa sarebbe impensabile. La Chiesa in Germania ha molte istituzioni sociali e caritative, nelle quali l’amore per il prossimo viene esercitato in una forma anche socialmente efficace e fino ai confini della terra. A tutti coloro che si impegnano nella Caritas tedesca o in altre organizzazioni, oppure che mettono generosamente a disposizione il loro tempo e le loro forze per incarichi di volontariato nella Chiesa, vorrei esprimere, in questo momento, la mia gratitudine e il mio apprezzamento. Tale servizio richiede innanzitutto una competenza oggettiva e professionale. Ma nello spirito dell’insegnamento di Gesù ci vuole di più: il cuore aperto, che si lascia toccare dall’amore di Cristo, e così dà al prossimo, che ha bisogno di noi, più che un servizio tecnico: l’amore, in cui all’altro si rende visibile il Dio che ama, Cristo. Allora interroghiamoci, anche a partire dal Vangelo di oggi: come è il mio rapporto personale con Dio, nella preghiera, nella partecipazione alla Messa domenicale, nell’approfondimento della fede mediante la meditazione della Sacra Scrittura e lo studio del Catechismo della Chiesa Cattolica? Cari amici, il rinnovamento della Chiesa, in ultima analisi, può realizzarsi soltanto attraverso la disponibilità alla conversione e attraverso una fede rinnovata.

Nel Vangelo di questa Domenica - lo abbiamo visto - si parla di due figli, dietro i quali, però, ne sta, in modo misterioso, un terzo. Il primo figlio dice di sì, ma non fa ciò che gli è stato ordinato. Il secondo figlio dice di no, ma compie poi la volontà del padre. Il terzo figlio dice di “sì” e fa anche ciò che gli viene ordinato. Questo terzo figlio è il Figlio unigenito di Dio, Gesù Cristo, che ci ha tutti riuniti qui. Gesù, entrando nel mondo, ha detto: “Ecco, io vengo […] per fare, o Dio, la tua volontà” (Eb 10,7). Questo “sì”, Egli non l’ha solo pronunciato, ma l’ha compiuto e sofferto fin dentro la morte. Nell’inno cristologico della seconda lettura si dice: “Egli, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini. Dall’aspetto riconosciuto come uomo, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce” (Fil 2, 6-8). In umiltà ed obbedienza, Gesù ha compiuto la volontà del Padre, è morto sulla croce per i suoi fratelli e le sue sorelle - per noi - e ci ha redenti dalla nostra superbia e caparbietà. Ringraziamolo per il suo sacrificio, pieghiamo le ginocchia davanti al suo Nome e proclamiamo insieme con i discepoli della prima generazione: “Gesù Cristo è il Signore – a gloria di Dio Padre” (Fil 2,10).

La vita cristiana deve misurarsi continuamente su Cristo: “Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù” (Fil 2,5), scrive san Paolo nell’introduzione all’inno cristologico. E qualche versetto prima, egli già ci esorta: “Se dunque c’è qualche consolazione in Cristo, se c’è qualche conforto, frutto della carità, se c’è qualche comunione di spirito, se ci sono sentimenti di amore e di compassione, rendete piena la mia gioia con un medesimo sentire e con la stessa carità, rimanendo unanimi e concordi” (Fil 2,1-2). Come Cristo era totalmente unito al Padre ed obbediente a Lui, così i suoi discepoli devono obbedire a Dio ed avere un medesimo sentire tra loro. Cari amici, con Paolo oso esortarvi: rendete piena la mia gioia con l’essere saldamente uniti in Cristo! La Chiesa in Germania supererà le grandi sfide del presente e del futuro e rimarrà lievito nella società, se i sacerdoti, le persone consacrate e i laici credenti in Cristo, in fedeltà alla propria vocazione specifica, collaborano in unità; se le parrocchie, le comunità e i movimenti si sostengono e si arricchiscono a vicenda; se i battezzati e cresimati, in unione con il Vescovo, tengono alta la fiaccola di una fede inalterata e da essa lasciano illuminare le loro ricche conoscenze e capacità. La Chiesa in Germania continuerà ad essere una benedizione per la comunità cattolica mondiale, se rimane fedelmente unita con i Successori di san Pietro e degli Apostoli, se cura in molteplici modi la collaborazione con i Paesi di missione e si lascia anche “contagiare” in questo dalla gioia nella fede delle giovani Chiese.

Con l’esortazione all’unità, Paolo collega il richiamo all’umiltà. Egli dice: “Non fate nulla per rivalità o vanagloria, ma ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a se stesso. Ciascuno non cerchi l’interesse proprio, ma anche quello degli altri” (Fil 2,3-4). L’esistenza cristiana è una pro-esistenza: un esserci per l’altro, un impegno umile per il prossimo e per il bene comune. Cari fedeli, l’umiltà è una virtù che nel mondo di oggi e, in genere, di tutti i tempi, non gode di grande stima. Ma i discepoli del Signore sanno che questa virtù è, per così dire, l’olio che rende fecondi i processi di dialogo, possibile la collaborazione e cordiale l’unità. Humilitas, la parola latina per “umiltà”, ha a che fare con humus, cioè con l’aderenza alla terra, alla realtà. Le persone umili stanno con ambedue i piedi sulla terra. Ma soprattutto ascoltano Cristo, la Parola di Dio, la quale rinnova ininterrottamente la Chiesa ed ogni suo membro.

Chiediamo a Dio il coraggio e l’umiltà di camminare sulla via della fede, di attingere alla ricchezza della sua misericordia e di tenere fisso lo sguardo su Cristo, la Parola che fa nuove tutte le cose, che per noi è “la via, la verità e la vita” (Gv 14,6), che è il nostro futuro. Amen.

***

ANGELUS

Aeroporto turistico di Freiburg im Breisgau
 Domenica, 25 settembre 2011

Cari fratelli e sorelle,

vogliamo concludere ora questa solenne Santa Messa con l’Angelus. Questa preghiera ci fa ricordare sempre di nuovo l’inizio storico della nostra salvezza. L’Arcangelo Gabriele presenta alla Vergine Maria il piano di salvezza di Dio, secondo il quale Ella avrebbe dovuto diventare la Madre del Redentore. Maria rimane turbata. Ma l’Angelo del Signore Le dice una parola di consolazione: “Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio.” Così Maria può dire il suo grande “sì”. Questo “sì” all’essere serva del Signore è l’affermazione fiduciosa al piano di Dio e alla nostra salvezza. E, infine, Maria dice questo “sì” a tutti noi, che sotto la croce le siamo stati affidati come figli (cfr Gv 19,27). Non revoca mai questa promessa. Ed è per questo che Ella deve essere chiamata felice, anzi, beata perché ha creduto nel compimento di ciò che Le era stato detto dal Signore (cfr Lc 1,45). Recitando ora questo saluto dell’Angelo, possiamo unirci a questo “sì” di Maria e aderire fiduciosamente alla bellezza del piano di Dio e della provvidenza che Egli, nella sua grazia, ha riservato per noi. Allora, anche nella nostra vita l'amore di Dio diventerà, per così dire, carne, prenderà sempre più forma. Non dobbiamo avere paura in mezzo a tutte le nostre preoccupazioni. Dio è buono. Allo stesso tempo, possiamo sentirci sostenuti dalla comunità dei tanti fedeli che in quest’ora pregano l’Angelus con noi, in tutto il mondo, attraverso la televisione e la radio.

© Copyright 2011 - Libreria Editrice Vaticana

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