I PRIMI ANNI DI MATRIMONIO
Se gli inizi di un "menage familiare" sono difficoltosi per tutti, lo furono in modo specialissimo per Elvira. Ella non ama ricordare quel primo periodo che possiamo sintetizzare in una frase da lei usata più tardi per indicare il carattere di perpetua crocifissione della sua esistenza: "Tribolare per tirare avanti".
Quando il marito ottenne di poter entrare nel Corpo dei Vigili Urbani, si trasferirono da Gambettola a Rimini dove nacquero Idalgo ed Edgarda, ma anche questo fu un periodo tristissimo per un accavallarsi incredibile di difficoltà e di malattie di ogni genere. Si ammalò di cancro il suocero, di broncopolmonite il bambino, lei stessa era colpita da malattie tanto misteriose che nemmeno quattro medici a consulto erano riusciti a diagnosticare.
Durante una di queste malattie, una notte, mentre il marito era in servizio, Elvira si accorse che la figliuoletta Edgarda era divorata da un'altissima febbre ed aveva il rantolo. Al pensiero che potesse trattarsi di difterite, Elvira non pose tempo in mezzo e, ammalata com'era, si alzò, avvolse la piccola in una coperta e la portò all'Ospedale, dove subito si provvide con una puntura a scongiurare quel terribile morbo che allora falciava tante vittime. Lo sforzo compiuto, però, provocò in Elvira tali complicazioni che lei si ridusse in fin di vita. Rimase in coma per tre giorni. Cosa accadde in lei, in questi tre giorni, Dio solo lo sa. Quando per le preghiere ardenti del suo santo confessore Padre Antonio Musconi, Cappuccino, che era accorso da Sant'Arcangelo per celebrare una Messa in camera sua, Elvira si riebbe, si accorse di essere cambiata. Quella malattia l'aveva tanto elevata spiritualmente che si può dire abbia da essa inizio il suo apostolato.
Prese allora l'abitudine di recarsi ogni giorno, per far giocare i bambini, ai Giardini Pubblici, e mentre i piccoli scorazzavano tra le aiuole, faceva in modo di avvicinare tante povere ragazze avviate per una cattiva strada per distoglierle dal male e aiutarle in qualche maniera. Offriva anche la merendina dei propri figliuoli nell'intento di farsele amiche. Fu così che molte di esse poterono essere riportate sulla retta via.
Frequentava anche ogni giorno la Chiesa del Suffragio, adiacente all'Ospedale, dove vedeva giungere tanti ammalati le cui sofferenze le stringevano il cuore. Così il Signore le veniva additando un altro futuro campo del suo apostolato.
Trovava sempre un grande conforto nel fare il bene. Ora aveva l'assoluta certezza che solo dimenticando completamente se stessa per darsi agli altri sarebbe stata felice. Non le mancava l'appoggio spirituale di Mons. Primo Grilli, Penitenziere del Duomo, che Elvira ricorda ancora costantemente nelle sue preghiere. Intanto frequentava l'Aiuto Materno dove prestava la sua assistenza riuscendo a salvare molte ragazze dall'infame proposito di abbandonare i propri figli. Andava anche spesso all'Ospizio dei vecchi dove tre vecchierelli, che ricorda ancora con particolare tenerezza, avevano tanto bisogno di lei.
Il Signore non le risparmiava pene e sofferenze, ma lei trovava conforto nei suoi due angioletti: "Che gioia pregare la sera fra i loro due lettini! Come li raccomandavo al Signore!" Ricorda ancora con rimpianto. La sera li conduceva in Chiesa e tutti si voltavano a guardarli, meravigliati per la loro compostezza.
Non conduceva mai i suoi piccoli alla spiaggia, piuttosto li portava sul Colle delle Grazie e, mentre loro giocavano sul piazzale antistante alla Chiesa, lei pregava in compagnia di un'amica.
La preghiera, che oggi è l'ansia costante di Elvira, era anche allora un'elevazione così totale a Dio, di tutto il suo essere, da farle dimenticare ogni altra cosa. Questo ci spiega come una volta venisse rinchiusa nel Duomo, senza che lei se ne avvedesse e dovesse poi rimanerci fino alle 4 del pomeriggio.
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