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venerdì 9 settembre 2011

Elvira - Figlia Spirituale di Padre Pio - II

Continuiamo a scoprire la figura di Elvira, figlia spirituale di San Pio da Pietrelcina: oggi ne cominciamo a scoprire la storia biografica, in particolare quella relativa alla sua giovinezza dove la fede è già presente:  

CAP. I
VICENDE DELLA VITA
GLI ANNI VERDI
 
Nata a RONCOFREDDO (Forlì) il 15 marzo 1908 da Antonio Perazzini e da Giulia Lucchi e trasferitasi poi con la famiglia a Sant'Arcangelo di Romagna, Elvira era la quarta di numerosi fratelli, alcuni dei quali morirono in tenera età, in gran parte falciati dalla "spagnola". Ne sopravvissero soltanto cinque, quelli che la mamma Giulia, al momento della nascita, "aveva messo nelle cinque piaghe di Nostro Signore".

"Te - dirà poi alla figlia - t'ho messa nella ferita del costato" Due di questi sopravvissuti, Costanzo e Gerardo, si faranno poi missionari francescani e andranno a svolgere il loro fecondo apostolato l'uno in Africa, l'altro in India.

Giulia era una donna di grande fede e pietà; dolce, ma inflessibile quando doveva correggere i figli, incuteva ad Elvira una gran soggezione. Le persone che l'hanno conosciuta affermano che "sapeva stare in mezzo alla gente, ma parlava solo quel tanto che era necessario". "Piuttosto che dire una parola di troppo, taceva. Del resto il suo pensiero era costantemente fisso in Dio e la sua giornata era una continua preghiera. Non raccontava favole ai suoi bambini, ma la sera, quando li vedeva tutti a letto, si metteva a narrar loro i fatti della vita di Gesù. Prima di andare a letto, però, bisognava riunirsi per recitare il Rosario, sotto lo sguardo vigile e severo del babbo.

Elvira crebbe quindi in un clima di grande religiosità, ma anche di grande disagio economico, tanto che all'età di 6 anni, per raggranellare qualche soldo, si era messa a far servizi a una vecchia cieca: le lavava i piedi, la puliva, la pettinava e... ne ereditava i pidocchi. La mamma, amante della pulizia com'era, ne era costernata; avrebbe voluto impedirle di tornare là, ma poi doveva cedere alla dura legge del bisogno. Elvira d'altra parte, sentiva per le persone anziane, specie se sole e ammalate, un'attrazione irresistibile.

Una volta, spinta da questo suo interesse per gli ammalati, avendo saputo che a CANONICA, un paesino poco lontano da Sant'Arcangelo, c'era una donna inferma che chiedeva di lei, s'incamminò verso Canonica all'insaputa della madre. Per far presto, poiché era novembre e le giornate erano corte, aveva preso la scorciatoia dell'USO, ma quando giunse al fiume s'accorse che il ponticello non c'era più, poiché la fiumana l'aveva portato via. Decisa ad attraversare a guado, senza pensare al pericolo della corrente, si levò le calze, si sollevò la gonna ed entrò nell'acqua gelida. S'accorse subito che stava sprofondando e fece per tornare indietro, ma non poteva più staccare i piedi e l'acqua stava per trascinarla via. Fu per un vero miracolo che riuscì a toccare la sponda del fiume, ma invece di tornarsene subito a casa, con le vesti inzuppate com'erano, proseguì il suo cammino verso quella povera inferma che l'aspettava.

Non è azzardato dire che in questo episodio si profila già quella che sarà la sua futura missione.

A 7 anni, poiché la cura che doveva prendersi dei fratellini e l'aiuto che doveva prestare in casa richiedevano tutto il suo tempo, Elvira dovette abbandonare la scuola senza aver completato nemmeno la Prima Elementare.

Era una povera bimba perennemente affamata e così consapevole di dover pensare agli altri che dimenticare se stessa le era divenuto facile e abituale. Nonostante le privazioni e le fatiche, però, era sempre sorridente e vivace e rallegrava tutti con la sua sola presenza: una caratteristica che si accentuerà con gli anni fino a fare di lei quella che oggi è la consolatrice di ogni dolore.

Quando ebbe 13 anni una signora volle condurla a Roma con se, perchè le facesse compagnia come una figlia. Però, dopo una sola settimana, Elvira dovette essere riaccompagnata a casa per la morte di una sorella. Durante il viaggio lo sportello del treno in corsa, contro cui stava appoggiata, all'improvviso si aprì e lei venne sbattacchiata violentemente contro la fiancata del treno. Certo avrebbe potuto cadere ed essere stritolata, ma una forza sovrumana l'aiutò a tenersi salda alla maniglia, finchè venne dato l'allarme e il treno si fermò.

Era tutta coperta di lividure, ma miracolosamente salva. Come in numerose altre circostanze, anche allora aveva avuto un segno di quella straordinaria protezione divina che doveva accompagnarla per tutta la vita.

Tornata a casa, fu assunta come operaia all'Essiccatoio del Tabacco. Era un lavoro troppo duro per una ragazzina come lei, indebolita dalla costante denutrizione e dalla salute sempre cagionevole.

Stesa bocconi sull'impiantito di legno, coperto di polvere, doveva tirar su a forza di braccia, dal piano sottostante, le lunghe corde a cui erano legati i pesanti fasci di foglie di tabacco che doveva poi allineare sui telai, nei ripiani più alti. Quando poi il tabacco era secco, si doveva tirarlo giù e disporlo nelle botti per la spedizione.

Toccava allora ad Elvira il compito più ingrato: quello di calarsi nella botte per stipare ogni strato di foglie pigiando con le mani e coi piedi. Allora la testa cominciava a girarle e le si annebbiava la vista per il forte gas che si sprigionava dal tabacco. Questa sensazione di smarrimento era accentuata anche dal fatto che andava al lavoro, la mattina, a stomaco vuoto, se non aveva avuto la fortuna di trovare da qualche parte una mela o una crosta di pane secco in mezzo alla semola. È vero che i Cappuccini qualcosa passavano alla sua famiglia, ma era poco per tante bocche da sfamare!

Quando fu un poco più grande, Elvira potè entrare come inserviente nella Locanda della Piazza, la più importante di tutto il paese; però non potè mai vedere il frutto delle sue fatiche, perchè regolarmente il padre, allo scadere del mese, andava a ritirare la sua paga e non le lasciava nemmeno un centesimo. Lei comunque non se ne lamentava; era abituata alle rinunce e sapeva di non potersi permettere i desideri di tutte le ragazze della sua età. C'era però una cosa che l'attirava irresistibilmente: il ballo. Come le piaceva ballare! Magari per la strada, con le compagne, o sotto i portici.

Un giorno (era l' 11 novembre, festa di S. Martino, gran Fiera a Sant'Arcangelo) lei stava lavando le erbe per il Ristorante alla fontana della Piazza, quando un'amica le si accostò e la invitò a seguirla fino alla SALA EDEN dove, in quel giorno particolare, si ballava fin dalle prime ore del mattino. La tentazione era troppo forte ed Elvira non seppe dire di no. Segui l'amica finchè, a un dato punto, il timore dei genitori e la consapevolezza che quel genere di divertimento, in quel locale, non era dei più consigliabili, la indussero a fermarsi e a tornare indietro. Alla fontana, però, non trovò più nè il secchio, nè le erbe. I padroni del Ristorante la rampognarono aspramente, ciò nonostante Elvira continuò a prestare la sua opera in quel locale. Siccome si era fatta molto carina e molti sguardi maschili la seguivano, aveva timore a riassettare le camere e un giorno lo disse alla padrona che la esentò da quel compito. Ogni tanto, però, come trascinata da una forza superiore, si portava di soppiatto nelle camere da letto a mettere, nei cassetti dei cornodini, certe medagliette che le davano le Suore. Evidente­mente già da allora il Signore si serviva di questa creatura per la salvezza delle anime, poiché si seppe poi che proprio da queste medaglie era venuto, per certe persone, il primo richiamo alla conversione.

Fu in questo periodo che, per questioni riguardanti i padroni della Locanda, Elvira conobbe Ferruccio Gazzoni, quel Carabiniere che doveva poi diventare suo marito. Egli ne era rimasto subito conquistato, al punto che un'amica disse poi ad Elvira: "Guarda, Elvira, che a giorni ti arriverà una dichiarazione!"

Quando la dichiarazione arrivò stilata a regola d'arte, Elvira si trovò in un grande imbarazzo, sia perché non conosceva quell'uomo, sia perché non sapeva come fare a rispondere, avendo poca dimestichezza con la penna. Un'amica compiacente venne in suo aiuto fissando un appuntamento. Il Carabiniere le piacque; fu subito colpita dalla sua prestanza fisica e dalla sua bella divisa e finì per accettarlo come fidanzato. Cominciò allora per lei un periodo penosissimo, data la povertà con cui doveva ospitare il suo promesso sposo che, dimessosi frattanto dall'Arma dei Carabinieri, veniva a trovarla da Gambettola in bicicletta.

Finalmente, come Dio volle, si giunse al matrimonio. Lei aveva circa 18 anni.

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