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sabato 2 luglio 2011

In difesa della vita - Evangelium vitae - XIX

 Torna l'appuntamento con la Lettera Enciclica "Evangelium vitae", in difesa della vita. Il beato Giovanni Paolo II si sofferma oggi sul significato e il valore attribuito alla vita nel contesto della Legge di Dio: egli parte dal riferimento alla Legge donata sul Monte Sinai al popolo ebraico per mezzo di Mosè per giungere al Vangelo della vita, vero compimento della Legge di Dio operato da Gesù Cristo con la Sua discesa dal Cielo:


«Quanti si attengono ad essa avranno la vita» (Bar 4, 1): dalla Legge del Sinai al dono dello Spirito

48. La vita porta indelebilmente inscritta in sé una sua verità. L'uomo, accogliendo il dono di Dio, deve impegnarsi amantenere la vita in questa verità, che le è essenziale. Distaccarsene equivale a condannare se stessi all'insignificanza e all'infelicità, con la conseguenza di poter diventare anche una minaccia per l'esistenza altrui, essendo stati rotti gli argini che garantiscono il rispetto e la difesa della vita, in ogni situazione.

La verità della vita è rivelata dal comandamento di Dio. La parola del Signore indica concretamente quale indirizzo la vita debba seguire per poter rispettare la propria verità e salvaguardare la propria dignità. Non è soltanto lo specifico comandamento «non uccidere» (Es 20, 13; Dt 5, 17) ad assicurare la protezione della vita: tutta intera la Legge del Signore è a servizio di tale protezione, perché rivela quella verità nella quale la vita trova il suo pieno significato.

Non meraviglia, dunque, che l'Alleanza di Dio con il suo popolo sia così fortemente legata alla prospettiva della vita, anche nella sua dimensione corporea. Il comandamento è in essa offerto come via della vita: «Io pongo oggi davanti a te la vita e il bene, la morte e il male; poiché io oggi ti comando di amare il Signore tuo Dio, di camminare per le sue vie, di osservare i suoi comandi, le sue leggi e le sue norme, perché tu viva e ti moltiplichi e il Signore tuo Dio ti benedica nel paese che tu stai per entrare a prendere in possesso» (Dt 30, 15-16). È in questione non soltanto la terra di Canaan e l'esistenza del popolo di Israele, ma il mondo di oggi e del futuro e l'esistenza di tutta l'umanità. Infatti, non è assolutamente possibile che la vita resti autentica e piena distaccandosi dal bene; e il bene, a sua volta, è essenzialmente legato ai comandamenti del Signore, cioè alla «legge della vita» (Sir 17, 9). Il bene da compiere non si sovrappone alla vita come un peso che grava su di essa, perché la ragione stessa della vita è precisamente il bene e la vita è costruita solo mediante il compimento del bene.

È dunque il complesso della Legge a salvaguardare pienamente la vita dell'uomo. Ciò spiega come sia difficile mantenersi fedeli al «non uccidere» quando non vengono osservate le altre «parole di vita» (At 7, 38), alle quali questo comandamento è connesso. Al di fuori di questo orizzonte, il comandamento finisce per diventare un semplice obbligo estrinseco, di cui ben presto si vorranno vedere i limiti e si cercheranno le attenuazioni o le eccezioni. Solo se ci si apre alla pienezza della verità su Dio, sull'uomo e sulla storia, la parola «non uccidere» torna a risplendere come bene per l'uomo in tutte le sue dimensioni e relazioni. In questa prospettiva possiamo cogliere la pienezza di verità contenuta nel passo del libro del Deuteronomio, ripreso da Gesù nella risposta alla prima tentazione: «L'uomo non vive soltanto di pane, ma... di quanto esce dalla bocca del Signore» (8, 3; cf. Mt 4, 4). È ascoltando la parola del Signore che l'uomo può vivere secondo dignità e giustizia; è osservando la Legge di Dio che l'uomo può portare frutti di vita e di felicità: «quanti si attengono ad essa avranno la vita, quanti l'abbandonano moriranno» (Bar 4, 1).

49. La storia di Israele mostra quanto sia difficile mantenere la fedeltà alla legge della vita, che Dio ha inscritto nel cuore degli uomini e ha consegnato sul Sinai al popolo dell'Alleanza. Di fronte alla ricerca di progetti di vita alternativi al piano di Dio, sono in particolare i Profeti a richiamare con forza che solo il Signore è l'autentica fonte della vita. Così Geremia scrive: «Il mio popolo ha commesso due iniquità: essi hanno abbandonato me, sorgente di acqua viva, per scavarsi cisterne, cisterne screpolate, che non tengono l'acqua» (2, 13). I Profeti puntano il dito accusatore su quanti disprezzano la vita e violano i diritti delle persone: «Calpestano come la polvere della terra la testa dei poveri» (Am 2, 7); «Essi hanno riempito questo luogo di sangue innocente» (Ger 19, 4). E tra essi il profeta Ezechiele più volte stigmatizza la città di Gerusalemme, chiamandola «la città sanguinaria» (22, 2; 24, 6.9), la «città che sparge il sangue in mezzo a se stessa» (22, 3).

Ma mentre denunciano le offese alla vita, i Profeti si preoccupano soprattutto di suscitare l'attesa di un nuovo principio di vita, capace di fondare un rinnovato rapporto con Dio e con i fratelli, dischiudendo possibilità inedite e straordinarie per comprendere e attuare tutte le esigenze insite nel Vangelo della vita . Ciò sarà possibile unicamente grazie al dono di Dio, che purifica e rinnova: «Vi aspergerò con acqua pura e sarete purificati; io vi purificherò da tutte le vostre sozzure e da tutti i vostri idoli; vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo» (Ez 36, 25-26; cf. Ger 31, 31-34). Grazie a questo «cuore nuovo» si può comprendere e realizzare il senso più vero e profondo della vita: quello di essere un dono che si compie nel donarsi. È il messaggio luminoso che sul valore della vita ci viene dalla figura del Servo del Signore: «Quan- do offrirà se stesso in espiazione, vedrà una discendenza, vivrà a lungo... Dopo il suo intimo tormento vedrà la luce» (Is 53, 10.11).

È nella vicenda di Gesù di Nazaret che la Legge si compie e il cuore nuovo viene donato mediante il suo Spirito. Gesù, infatti, non rinnega la Legge, ma la porta a compimento (cf. Mt 5, 17): Legge e Profeti si riassumono nella regola d'oro dell'amore reciproco (cf. Mt 7, 12). In Lui la Legge diventa definitivamente «vangelo», buona notizia della signoria di Dio sul mondo, che riporta tutta l'esistenza alle sue radici e alle sue prospettive originarie. È la Legge Nuova, «la legge dello Spirito che dà vita in Cristo Gesù» (Rm 8, 2), la cui espressione fondamentale, a imitazione del Signore che dà la vita per i propri amici (cf. Gv 15, 13), è il dono di sé nell'amore ai fratelli: «Noi sappiamo di essere passati dalla morte alla vita, perché amiamo i fratelli» (1 Gv 3, 14). È legge di libertà, di gioia e di beatitudine.

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