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venerdì 15 luglio 2011

Padre Pio - Sulla soglia del Paradiso - Quarantasettesimo appuntamento

Torna l'appuntamento con la biografia che tratteggia un'inedita "storia di Padre Pio raccontata dai suoi amici: "Sulla Soglia del Paradiso" di Gaeta Saverio. Entriamo nel capitolo conclusivo dell'intero racconto con il primo paragrafo nel quale si narra dell'indagine della Chiesa sul Frate stigmatizzato del Gargano, attraverso gli inviati apostolici. Dagli episodi che vedremo oggi possiamo impariamo da San Pio l'obbedienza, la rassegnazione alla Divina Volontà e la fede nella Provvidenza. Tanta era la fiducia di Padre Pio in Gesù e tanto era l'amore per la Chiesa Cattolica Corpo Mistico di Cristo da amarla anche quando essa lo "bastonava", sapendo perdonare quanti lo perseguitavano. Quante persecuzioni subì quell'umile frate che tanto amò la Chiesa, Madre di santi e peccatori. Persino l'allora Sant'Offizio gli dava filo da torcere. Anche in ambiente ecclesiastico come vedremo a breve, scaturiscono le spine della gelosia, ma San Pio che ha saputo bene incarnare la dottrina di amore e misericordia di Cristo ha sempre perdonato e anche pregato per coloro che lo disturbavano con quei stratagemmi. Dai Santi dobbiamo imparare soprattutto questo: amare e perdonare i nostri fratelli anche quando ci fanno tanto male:



XX

Visitatori e "persecutori"

Il controllo del Sant'Offizio

Furono circa una settantina i visitatori apostolici, gli ispettori cappuccini e gli inviati ufficiosi della Santa Sede che giunsero a San Giovanni Rotondo fra gli anni Venti e gli anni Sessanta. Di tutti questi sopralluoghi fanno memoria i faldoni conservati nella Curia generale dei Frati cappuccini e gli oltre tremila documenti custoditi in ventitré cartelle nel­l'Archivio segreto del Sant'Offizio (oggi Congrega­zione per la Dottrina della fede).

In ogni circostanza, come ha testimoniato l'allora sindaco del paese Francesco Morcaldi, Padre Pio «continuava nella sua vita di raccoglimento, di preghiera e di apostolato, senza alcun apparente turbamento». E a quanti gli manifestavano preoc­cupazioni e timori, suggeriva: «Abbiamo fiducia nella Provvidenza!». Per Padre Pio tutte le prove cui era sottoposto facevano infatti parte del piano provvidenziale che il Signore aveva su di lui e sul­la sua opera: «La Chiesa è madre nostra; anche quando ci bastona ci vuole bene», era la considera­zione che gli senti fare il confratello Onorato Mar­cucci.

La "data fatidica" alla quale si può far risalire gran parte dei problemi vissuti da Padre Pio fu il 18 aprile 1920, quando giunse in convento padre Agostino Gemelli (il fondatore dell'Università cat­tolica del Sacro Cuore). La sua intenzione era di ve­dere le stimmate. Non essendo però stato autoriz­zato dai Superiori cappuccini, Padre Pio non glielo permise. Dopo pochi minuti, Gemelli andò via,

inaugurando il registro dei visitatori con una frase che pareva manifestare amicizia: «Ogni giorno constatiamo che l'albero francescano dà nuovi frut­ti e questo è il conforto più grande a chi trae ali­mento e vita da questo meraviglioso albero».

In realtà, offeso da quella risposta negativa, il giorno dopo padre Gemelli inviò al Sant'Offizio una relazione nella quale asseriva invece di aver visto le stimmate, dandone un giudizio fortemente critico. La presa di posizione di padre Gemelli ser­vì a dare corpo alle accuse che erano intanto state inviate in Vaticano dall'arcivescovo di Manfredo­nia, monsignor Pasquale Gagliardi, sobillato da sa­cerdoti di San Giovanni Rotondo che erano gelosi perché le fedeli del luogo andavano a confessarsi dal cappuccino. Del resto, la vigilanza del Sant'Of­fizio si era inaugurata già nel 1919, quando in Vati­cano erano cominciate a giungere lettere che descrivevano i miracoli operati da Padre Pio.

In seguito a tali vicende, la Santa Sede inviò il primo visitatore ufficiale, il vescovo Raffaele Rossi, che fra il 1921 e il 1922 si recò diverse volte a San Giovanni Rotondo. Nella relazione riferì di aver ri­cevuto una buona impressione da Padre Pio, criti­cando invece le cosiddette "fedelissime" e riscon­trando in padre Benedetto da San Marco in Lamis scarse capacità di direzione spirituale.

Il 2 giugno 1922 giunse così al Ministro generale dei cappuccini il primo provvedimento del San­t'Offizio, nel quale si ordinava che venisse interrot­ta ogni comunicazione fra Padre Pio e padre Be­nedetto. Occorreva inoltre allontanare al più pre­sto Padre Pio in un convento lontano, in modo da impedire il fanatismo di taluni suoi devoti. Ma la notizia del trasferimento si diffuse immediatamente e la popolazione insorse, riuscendo a farlo sospendere.

Nel luglio del 1922, nuove notizie diffamatorie contro Padre Pio e i confratelli convinsero il Mini­stro generale dei Cappuccini a inviare a San Gio­vanni Rotondo un collaboratore di estrema fiducia, padre Celestino da Desio, per una rigorosa visita canonica. Il risultato fu di completa assoluzione:

«Dalle indagini da me fatte coscienziosamente è ri­sultato che i detti padri sono puramente vittime dell'invidia di alcuni malintenzionati, i quali vedo­no di mal occhio il molto bene che compiono quei religiosi, e per paralizzarlo si divertono ad inven­tare cose totalmente false».

Intanto il Sant'Offizio proseguì nella propria azione. Il 31 maggio 1923 dichiarò «non constargli la sovrannaturalità di quei fatti» attribuiti a Padre Pio ed esortò «i fedeli a conformare i propri atti a questa dichiarazione». Il 17 giugno successivo in­viò al padre Guardiano del convento due secchi or­dini da comunicare a Padre Pio: non celebrare più in pubblico e ad ora fissa, né rispondere più alle lettere che gli venivano indirizzate da persone de­vote. Immediatamente ci fu una sollevazione spon­tanea dei fedeli che fece revocare l'imposizione. Il 30 luglio giunse un nuovo ordine di trasferimento del Padre, ma un'altra protesta popolare, che mi­nacciava di diventare una sommossa, riuscì a far differire anche questo ordine.

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