XX
Visitatori e "persecutori"
Visitatori e "persecutori"
Un registratore in convento
Fino al 1960, anche se continuavano le visite di ricognizione a San Giovanni Rotondo di inviati romani, Padre Pio fu lasciato libero di esercitare il ministero sacerdotale e di portare avanti le proprie iniziative. Nella primavera di quell'anno cominciarono i tempi della persecuzione più dura, con l'ingresso in campo di monsignor Umberto Terenzi, parroco del santuario mariano del Divino Amore a Roma.
C'è tuttora il dubbio sulla reale motivazione dell'operato di monsignor Terenzi: la convinzione che Padre Pio tenesse comportamenti scorretti con le figlie spirituali, il rancore per non aver ottenuto da lui un prestito per i lavori in corso presso il suo santuario, il desiderio di fare bella figura con i Superiori vaticani ed essere così nominato vescovo. O forse un intreccio fra tutto ciò.
Fatto sta che, con l'autorizzazione ufficiosa del cardinale Alfredo Ottaviani, responsabile del Sant'Offizio, monsignor Terenzi e alcuni frati registrarono numerose conversazioni di Padre Pio, e in particolare quelle con l'amministratore della Casa Sollievo, Angelo Battisti, e con le cosiddette "pie donne": le figlie spirituali Cleonice Morcaldi, Caterina Giostrelli Telfner e Clementina Belloni. A suo parere, dalle registrazioni emergeva che con il primo Padre Pio trattava discutibili affari della clinica e con le altre il Padre scambiava illecite effusioni.
Una Commissione pontificia esaminerà in seguito quei nastri magnetici (almeno 25, secondo un testimone diretto): come confidò uno dei membri a padre Carmelo Durante, «dall'esame attento e ripetuto delle registrazioni operate non risultò nulla d'incriminabile per Padre Pio». Intanto, però, alle insinuazioni di Terenzi avevano dato credito sia il cardinale Ottaviani che il suo vice, monsignor Pietro Parente, i quali ne parlarono con Giovanni XXIII, chiedendogli di poter inviare un ulteriore visitatore apostolico a San Giovanni Rotondo.
Pure il Ministro generale dei cappuccini, padre Clemente da Milwaukee (anch'egli a conoscenza della vicenda dei registratori), aveva nel frattempo sollecitato un'ispezione della Santa Sede per verificare la correttezza nella gestione amministrativa della Casa Sollievo e per controllare l'equa ripartizione delle offerte fra il convento e la clinica. A tali vicende non era poi estraneo il fallimento del finanziere Giuffrè, in cui la Provincia cappuccina di Foggia aveva perso cifre notevoli, a copertura delle quali era stato chiesto un prestito proprio alla Casa Sollievo.
1130 luglio 1960 giunse a San Giovanni Rotondo il visitatore apostolico monsignor Carlo Maccari, con l'incarico di «regolare alcuni aspetti del funzionamento del convento dei Frati minori cappuccini di Santa Maria delle Grazie in San Giovanni Rotondo e della Casa Sollievo della Sofferenza, nonché di tutte le associazioni e opere dipendenti dai due enti soprannominati».
Durante la cinquantina di giorni della sua presenza nel paese, incontrò nove volte Padre Pio e dieci volte Angelo Battisti, oltre a numerosi cappuccini e a diverse altre persone, fra cui le tre figlie spirituali "incriminate". 115 novembre consegnò al cardinale Ottaviani la relazione di 208 pagine, più due cartelle di documenti. Alcuni anni dopo, per incarico dello stesso Sant'Offizio, monsignor Mario Crovini rilesse e sintetizzò il testo, e il suo commento fu: «La stesura del lavoro è tendenziosa, in quanto procede più come una tesi da dimostrare che come un fatto su cui indagare».
Evidentemente però in quei tempestosi giorni i pareri del Sant'Offizio erano orientati in diverso senso, tanto che, il 31 gennaio 1961, il cardinale Ottaviani firmò la lettera che indicava i sei provvedimenti da eseguire d'urgenza: ricondurre Padre Pio, con la carità voluta dalle sue condizioni di età e di salute, alla regolare osservanza conventuale; interdire ai sacerdoti e ai vescovi di servire la Messa del Padre; variare per quanto possibile l'orario della sua Messa; far rispettare la distanza fra il confessionale di Padre Pio e i fedeli in attesa per la confessione; evitare l'assiduità eccessiva dei devoti, e specialmente delle devote, di San Giovanni Rotondo al confessionale del Padre; inibire al Padre di ricevere donne da solo nel parlatorio del convento o altrove.
Poche settimane dopo, con una lettera del 24 aprile 1961 firmata questa volta dall'assessore monsignor Parente, il Sant'Offizio tornava sull'argomento, ribadendo le precedenti disposizioni e ordinando che «Padre Pio celebri la Messa in mezz'ora o al massimo in quaranta minuti e venga invitato ad ottemperare a questa regola in virtù dell'ubbidienza religiosa e, nel caso di una deprecabile inadempienza, non si escluda l'uso delle pene canoniche».
Soltanto nel 1963, dopo la morte di Giovanni XXIII (3 giugno), cominciò la definitiva riabilitazione di Padre Pio, con la lettera del 20 luglio nella quale il cardinale Ottaviani faceva giungere al Guardiano di San Giovanni Rotondo, padre Rosario d'Aliminusa, l'invito a «essere largo il più possibile» con la gente che andava a vedere Padre Pio. Il 30 gennaio 1964, lo stesso cardinale convocò il Provinciale di Foggia, padre Clemente da Santa Maria in Punta, per comunicargli, su mandato di Paolo VI, che Padre Pio veniva autorizzato a svolgere il proprio ministero in piena libertà.
Ha testimoniato nel processo canonico padre Carmelo Durante: «In un colloquio privato di fine dicembre 19630 inizio 1964, Paolo VI, al termine di una rievocazione degli avvenimenti di San Giovanni Rotondo del 1960, così si espresse: "L'essenziale in tutta questa vicenda è di restituire, immacolata, alla Chiesa la figura di Padre Pio. Tutto il resto è marginale"». Con l'elevazione di Padre Pio all'onore degli altari, l'auspicio di Papa Montini ha finalmente trovato compimento.
Lo vuoi capire che io sono responsabile delle anime che il Signore mi manda e debbo far loro del bene e non del male?». Conferma Giovanni Binda:
«Era capace di rimproverare qualche suo figlio per un piccolo difetto e di abbracciare un grosso peccatore. Il risultato però era che il peccatore si convertiva e il buono cercava di diventare perfetto».
Dalle risposte che Padre Pio diede in gioventù ai "casi di morale" si individua quella che per lui era la figura ideale di confessore: un sacerdote «serio, attento, retto, accorto, molto prudente, fermo, deciso, sicuro, amoroso, paterno, comprensivo, paziente, caritatevole, esperto», che deve «formarsi alla capacità di accoglienza; possedere la capacità di ascolto; esortare a vivere il Vangelo e a rispettare gli insegnamenti della Chiesa; spogliarsi delle proprie idee e presentare la genuina morale cattolica; essere sempre aggiornato per conoscere e quindi tradurre nella pratica le norme morali; avere il coraggio di rettificare le idee e gli atteggiamenti sbagliati dei suoi penitenti esercitando con competenza l'ufficio di maestro».
Quando Padre Pio aveva una fila di molte confessioni, per sbrigarne il più possibile era lui che diceva al penitente: «Tu rispondi sì o no», e gli diceva tutti i peccati che aveva commessi. Il preside Antonio Bianchi una volta reagì: «La formulazione della domanda dimostra che lei già conosce quanto chiede. Senza perder tempo: lei ha chiesto, lei risponda». E il Padre: «Anche il medico nel vedere il malato non dubita della bontà della sua diagnosi. Tuttavia fa parlare il malato per verificare l'esattezza della sua intuizione. Quindi a te, rispondi».
Diversamente dal medico, ha commentato Bianchi, «Padre Pio non domandava per verificare la sua idea: la gioia di ascoltare una risposta aperta e piena di fiducia gli accendeva un ineffabile sorriso e gli illuminava lo sguardo». Se invece i penjtenti gli resistevano, ne soffriva profondamente: «E perché constato la mancanza di disposizioni che sono così accasciato e mi sento tanto male», confidò una sera a padre Rosario da Aliminusa.
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