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venerdì 22 luglio 2011

Padre Pio - Sulla soglia del Paradiso - Quarantottesimo appuntamento

Torna l'appuntamento con la biografia che tratteggia un'inedita "storia di Padre Pio raccontata dai suoi amici: "Sulla Soglia del Paradiso" di Gaeta Saverio. Continuiamo a vedere il clima ostile che circondò la vita di Padre Pio sino all'impedimento più devastante per lui e cioè il divieto di confessare (ancora una volta grande è la dimostrazione di obbedienza ed umiltà, sia verso i superiori e sia verso Dio):

XX

Visitatori e "persecutori"
 
Una rivoltella puntata sul petto

A dimostrazione del clima che si viveva in quei mesi, al termine della benedizione eucaristica del 10 agosto 1923, mentre Padre Pio stava per rientrare in sacrestia, gli si parò dinanzi un giovane il quale, puntandogli la rivoltella sul petto, gridò:

«Meglio morto per noi che vivo per gli altri». Fortunatamente i fedeli presenti riuscirono a disarmarlo.

Dal 1924 al 1931, si manifestò un'escalation di provvedimenti del Sant'Offizio. Il 24 luglio 1924 ammonì «con più gravi parole i fedeli di astenersi dal mantenere qualunque relazione, sia pure epistolare, a scopo di devozione con Padre Pio». 1115 luglio 1925 ordinò che ogni bimestre il padre Provinciale di Foggia inviasse una relazione su Padre Pio. L'11 luglio 1926 rinnovò ai fedeli il dovere «di astenersi dall'andare a visitarlo, o mantenere con lui relazioni anche semplicemente epistolari».

Fra il 1927 e il 1928 vennero finalmente svolte due visite apostoliche nella diocesi di Manfredonia, a cura dei monsignori Felice Bevilacqua e Giuseppe Bruno, per appurare la verità sul comportamento dell' arcivescovo Gagliardi, dell'arciprete Giuseppe Prencipe e dei canonici Domenico Palla-dino e Michele De Nittis, anch'essi oggetto di accuse da parte di confratelli della zona. In seguito alle due inchieste, monsignor Gagliardi venne costretto alle dimissioni e don Palladino fu allontanato dal paese.

Ciò nonostante, la situazione per Padre Pio non migliorò di molto, tanto che il successore in diocesi, il vescovo Alessandro Macchi, sollecitò nuovamente al Sant'Offizio il trasferimento del Padre.

Il 23 maggio 1931 il Sant'Offizio decise che Padre Pio avrebbe dovuto celebrare da solo, nella cappella interna del convento. La disposizione, che comprendeva anche l'impedimento a confessare, venne attuata dall'li giugno. Ha testimoniato padre Raffaele da Sant'Elia a Pianisi: «Quando gli comunicai la notizia, Padre Pio alzò gli occhi al cielo e disse: "Sia fatta la volontà di Dio". Poi si copri gli occhi con le mani, chinò il capo e più non fiatò».

Cominciò allora una nascosta e spietata lotta fra i nemici di Padre Pio, che desideravano seppellirlo nel silenzio, e i suoi sostenitori, fra i quali spiccava Emanuele Brunatto, che giunse anche al ricatto -minacciando la pubblicazione di un libro nel quale venivano denunciati scandali ed episodi poco edificanti di alcune personalità ecclesiastiche - se il Sant'Offizio non avesse rivisto le proprie posizioni. Nel frattempo era divenuto arcivescovo di Manfredonia monsignor Alfredo Cesarano, il quale cercò, pur fra alterne vicissitudini, di appianare il contrasto.

Il 16 luglio 1933 Padre Pio tornò a celebrare la Messa in pubblico, ma dovettero passare diversi mesi prima che potesse riprendere a confessare gli uomini, il 25 marzo 1934, e le donne, il 12 maggio successivo. Alla figlia spirituale Lucia Iadanza che gli diceva: «Quanto è stato brutto questo periodo»; Padre Pio rispose: «Per voi? E per me?! Gesù mi ha mandato per la salvezza delle anime: che cosa ho fatto in questi tre anni? Ho pregato, ma la preghiera non è sufficiente al compito che mi è stato affidato. Aiutatemi: ho bisogno del vostro aiuto. Chiediamo a Gesù che questo non avvenga più. Gesù ha bisogno di anime. Gesù ha bisogno di salvare anime».

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