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martedì 28 febbraio 2012

La Summa Teologica - Cinquantaseiesima parte

Torna l'appuntamento di approfondimento della Summa Teologica di San Tommaso d'Aquino, un'opera che diede un fondamento scientifico, filosofico e teologico alla dottrina cristiana. Continuiamo a scoprire la parte dedicata al Trattato relativo all'essenza di Dio, e continuiamo a soffermarci sulla nostra conoscenza di Dio:

Prima parte
Trattato relativo all'essenza di Dio

La nostra conoscenza di Dio > Se l'essenza di Dio sia vista dall'intelletto mediante una specie creata

Prima parte
Questione 12
Articolo 2



SEMBRA che l'essenza di Dio sia vista dall'intelletto creato per mezzo di una qualche immagine. Infatti:
1. Sta scritto: "Sappiamo che quando si manifesterà, saremo simili a lui (cioè ne avremo la somiglianza o l'immagine), e lo vedremo così come egli è".

2. Scrive S. Agostino: "Quando conosciamo Dio, si forma in noi una certa immagine di Dio".

3. L'intelletto in atto è l'(oggetto) intelligibile in atto, come il senso in atto è il sensibile in atto. Ora, ciò non accade se non perché il senso è informato dalla rappresentazione della cosa sensibile e l'intelletto dall'immagine della cosa intelligibile. Dunque, se Dio è visto in atto dall'intelletto creato, è necessario che sia visto mediante una qualche immagine.

IN CONTRARIO: S. Agostino osserva che quando l'Apostolo dice: "in questo momento noi vediamo attraverso uno specchio in enigma", "col nome di specchio e di enigma si possono intendere designate dal medesimo Apostolo tutte le immagini capaci di farci conoscere Dio". Ma vedere Dio per essenza non è visione enigmatica o speculare, ma ad essa si contrappone. Dunque la divina essenza non è vista per mezzo di immagini.

RISPONDO: Per ogni visione, sia sensibile che intellettuale, si richiedono due cose, cioè la facoltà visiva e l'unione della cosa vista con la vista; infatti non si dà visione in atto se non per questo, che la cosa vista è in qualche modo in chi vede. Quanto alle cose corporali è chiaro che la cosa vista non può essere con la sua essenza in chi vede, ma soltanto con la sua immagine: così nell'occhio c'è la rappresentazione della pietra, per mezzo della quale si ha la visione in atto, ma non la sostanza stessa della pietra. Se però si desse una cosa che nello stesso tempo fosse e causa della potenza visiva e oggetto visibile, colui che vede riceverebbe da essa necessariamente e la potenza visiva e la forma per la quale vedrebbe.
Ora è chiaro che Dio è autore dell'acume della nostra mente e può essere insieme oggetto della nostra intelligenza. E poiché l'acume intellettuale della creatura non è l'essenza di Dio, resta che sia una somiglianza e una partecipazione di lui che è la prima intelligenza. Perciò la capacità intellettiva della creatura è detta luce intellettuale, come derivazione dalla Prima Luce; sia che si tratti della capacità naturale, sia che si tratti d'una perfezione sopraggiunta nell'ordine della grazia o della gloria. Dunque nella facoltà conoscitiva si richiede per vedere Dio una certa somiglianza (o immagine) di Dio, che renda l'intelletto capace di vedere Dio.
Ma come oggetto visibile, il quale necessariamente deve in qualche maniera unirsi al soggetto conoscente, è impossibile che l'essenza di Dio sia vista mediante una qualche immagine creata. Prima di tutto, perché in nessuna maniera, come dice Dionigi, si possono conoscere cose superiori con immagini di cose d'ordine inferiore: con l'immagine, p. es., di un corpo non si può conoscere l'essenza di una cosa incorporea. Molto meno, quindi, può essere vista l'essenza di Dio mediante una qualsiasi specie creata. - In secondo luogo, perché l'essenza di Dio è il suo stesso essere, come si è dimostrato sopra; la quale cosa non può competere a nessuna forma creata. Nessuna forma creata può dunque essere immagine capace di rappresentare l'essenza di Dio al soggetto che vede. - Finalmente, perché la divina essenza è qualche cosa d'illimitato che contiene in se stessa in modo sovraeminente tutto ciò che può essere significato o inteso da un intelletto creato. E questo in nessuna maniera può essere rappresentato da una qualsiasi specie creata; perché ogni forma creata è sempre determinata secondo un certo grado o di sapienza, o di potenza, o dell'essere stesso, o di cose simili. Quindi il dire che Dio è visto mediante qualche immagine, equivale a dire che l'essenza di Dio non è vista affatto: il che è falso.
Bisogna dunque concludere che per vedere l'essenza di Dio si richiede da parte della potenza visiva una certa (partecipazione o) somiglianza (di lui), cioè la luce della gloria, che corrobori l'intelletto alla visione di Dio; della quale luce è detto nel Salmo: "nella tua luce noi vedremo la luce". Non però si può vedere l'essenza di Dio mediante qualche immagine creata, che rappresenti questa divina essenza, così come è in se stessa.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Quel testo si riferisce alla somiglianza che si ha con la partecipazione della luce della gloria.

3. L'essenza divina è lo stesso esistere. Quindi, come le altre forme intelligibili, che non sono la loro esistenza, si uniscono all'intelletto mediante un determinato atto di esistenza, col quale informano l'intelletto e l'attuano; così l'essenza divina si unisce all'intelletto creato come oggetto già attualmente intelligibile, ponendo così in atto l'intelletto per mezzo di se medesima.

lunedì 27 febbraio 2012

ANGELUS 2012-02-26

Angelus di Papa Benedetto XVI - 19 Febbraio 2012


BENEDETTO XVI
ANGELUS 
Piazza San Pietro
Domenica, 26 febbraio 2012



Cari fratelli e sorelle!

In questa prima domenica di Quaresima, incontriamo Gesù che, dopo aver ricevuto il battesimo nel fiume Giordano da Giovanni il Battista (cfr Mc 1,9), subisce la tentazione nel deserto (cfr Mc 1,12-13). La narrazione di san Marco è concisa, priva dei dettagli che leggiamo negli altri due Vangeli di Matteo e di Luca. Il deserto di cui si parla ha diversi significati. Può indicare lo stato di abbandono e di solitudine, il "luogo" della debolezza dell’uomo dove non vi sono appoggi e sicurezze, dove la tentazione si fa più forte. Ma esso può indicare anche un luogo di rifugio e di riparo, come lo fu per il popolo di Israele scampato alla schiavitù egiziana, dove si può sperimentare in modo particolare la presenza di Dio. Gesù «nel deserto rimase quaranta giorni, tentato da Satana» (Mc 1,13). San Leone Magno commenta che «il Signore ha voluto subire l’attacco del tentatore per difenderci con il suo aiuto e per istruirci col suo esempio» (Tractatus XXXIX,3 De ieiunio quadragesimae: CCL 138/A, Turnholti 1973, 214-215).

Che cosa può insegnarci questo episodio? Come leggiamo nel Libro dell’Imitazione di Cristo, «l’uomo non è mai del tutto esente dalla tentazione finché vive… ma è con la pazienza e con la vera umiltà che diventeremo più forti di ogni nemico» (Liber I, c. XIII, Città del Vaticano 1982, 37), la pazienza e l’umiltà di seguire ogni giorno il Signore, imparando a costruire la nostra vita non al di fuori di Lui o come se non esistesse, ma in Lui e con Lui, perché è la fonte della vera vita. La tentazione di rimuovere Dio, di mettere ordine da soli in se stessi e nel mondo contando solo sulle proprie capacità, è sempre presente nella storia dell’uomo.

Gesù proclama che «il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino» (Mc 1,15), annuncia che in Lui accade qualcosa di nuovo: Dio si rivolge all’uomo in modo inaspettato, con una vicinanza unica concreta, piena di amore; Dio si incarna ed entra nel mondo dell’uomo per prendere su di sé il peccato, per vincere il male e riportare l’uomo nel mondo di Dio. Ma questo annuncio è accompagnato dalla richiesta di corrispondere ad un dono così grande. Gesù, infatti, aggiunge: «convertitevi e credete nel vangelo» (Mc 1,15); è l’invito ad avere fede in Dio e a convertire ogni giorno la nostra vita alla sua volontà, orientando al bene ogni nostra azione e pensiero. Il tempo della Quaresima è il momento propizio per rinnovare e rendere più saldo il nostro rapporto con Dio, attraverso la preghiera quotidiana, i gesti di penitenza, le opere di carità fraterna.

Supplichiamo con fervore Maria Santissima perché accompagni il nostro cammino quaresimale con la sua protezione e ci aiuti ad imprimere nel nostro cuore e nella nostra vita le parole di Gesù Cristo, per convertirci a Lui. Affido, inoltre, alla vostra preghiera la settimana di Esercizi spirituali che questa sera inizierò con i miei Collaboratori della Curia Romana.

Dopo l'Angelus

En ce premier dimanche de Carême je suis heureux de vous accueillir, chers frères et sœurs francophones. Le temps du Carême est exigeant car il nous invite à revenir vers Dieu. Jésus après son baptême, au début de sa mission, est conduit au désert. Avec Lui, expérimentons ce temps de désert et de solitude. Sachons rejeter tout ce qui peut nous conduire loin de Dieu et profitons de ce Carême pour revenir vers Lui. Prenons avec courage les chemins de la prière. Redécouvrons l’importance de notre relation à Dieu et « faisons attention les uns aux autres pour nous stimuler dans la charité et les œuvres bonnes » (He 10,24). Que la Vierge Marie nous aide à faire totalement la volonté de notre Dieu ! Bon Carême à tous !

I am pleased to greet all the English-speaking visitors and pilgrims present for this moment of prayer. In these first days of Lent, I invite you to embrace the spirit of this holy season, through prayer, fasting and almsgiving. As we do so, may the Lord accompany us, so that, at the end of Lent, we may worthily celebrate his victory on the cross. God bless all of you abundantly!

Von Herzen heiße ich an diesem ersten Fastensonntag alle deutschsprachigen Pilger und Besucher willkommen. Die österliche Bußzeit ist eine Einladung zu Gebet und Umkehr, um zu einer tieferen Erkenntnis Jesu Christi zu gelangen. Sie will uns helfen, den Glauben mit neuem Schwung zu leben und vermehrt die Nächstenliebe zu üben. Dazu leitet uns auch das Wort aus dem Hebräerbrief an, das ich der diesjährigen Botschaft zur Fastenzeit vorangestellt habe: „Laßt uns aufeinander achten und uns zur Liebe und zu guten Taten anspornen" (Hebr 10,24). Gehen wir daher gemeinsam mit dem Herrn den Weg durch diese heiligen vierzig Tage. Er geleitet uns auf sicheren Pfaden.

Saludo con afecto a los peregrinos de lengua española, en particular a los fieles de la Hermandad de La Virgen de la Victoria, de Huelva. En el Evangelio de este primer domingo de Cuaresma, Jesús es conducido por el Espíritu al desierto «para ser tentado por el diablo». Él supera la tentación y proclama con vigor el preludio de la gran sinfonía de la redención, invitando a la conversión y la fe. Al comenzar este santo tiempo, animo a todos a que, guiados por la fuerza de Dios, intensifiquen la oración, la penitencia y la práctica de la caridad, para así llegar victoriosos y purificados a las celebraciones pascuales. Confiemos a la Virgen María estas intenciones. Muchas gracias.

Słowo serdecznego pozdrowienia kieruję do wszystkich Polaków. „Bliskie jest królestwo Boże. Nawracajcie się i wierzcie w Ewangelię!" (Mk 1,15). Tymi słowami, Chrystus wzywa nas dzisiaj do pokuty i przemiany życia. Bądźmy dla świata ewangelicznym zaczynem prawdy przez gesty miłosierdzia, przebaczenia i pojednania. Życzę wszystkim obfitych owoców duchowych Wielkiego Postu i z serca błogosławię.

[Rivolgo il mio cordiale saluto a tutti i Polacchi. "Il regno di Dio è vicino, convertitevi e credete al Vangelo" (Mc 1,15). Con tali parole, Cristo ci esorta a fare penitenza e a cambiare vita. Bisogna che diventiamo per il mondo lievito evangelico della verità attraverso i gesti della misericordia, del perdono e della riconciliazione. Auguro a ciascuno di voi abbondanti frutti spirituali nella Quaresima e di cuore vi benedico.]

Saluto con affetto i pellegrini di lingua italiana, in particolare i fedeli venuti da Cento di Ferrara e dalla Diocesi di Bologna, da Vicenza, Bari e Modugno. Saluto i ragazzi di alcune Parrocchie della Diocesi di Milano che si stanno preparando alla professione di fede, come pure la delegazione dei "Consigli Comunali dei Ragazzi" della Provincia di Catania. A tutti auguro una buona domenica e una buona Quaresima.

© Copyright 2012 - Libreria Editrice Vaticana

domenica 26 febbraio 2012

Video Vangelo: I Domenica di Quaresima

Come vincere le tentazioni?

I Domenica di Quaresima
(Mc 1, 12-15) 

Quaresima. Oggi andiamo con Gesù nel deserto, luogo dell’incontro e dell’intimità con Dio, ma anche della lotta con il tentatore: quello, non va mai in ferie e neanche in pensione, ed è sempre lì dietro l’angolo a farci lo sgambetto. Da quando è caduto e decaduto non sopporta di vederci in piedi e cerca di farci cadere per renderci striscianti come lui. Ecco cosa fa il peccato: ci rende striscianti.

• In che modo vincere?

Se vogliamo vincere, non dobbiamo mai separarci da Cristo, perché allora è Lui che vince in noi. Ma c’è una differenza fondamentale tra la sua tentazione e la nostra: Lui l’avvertiva solo dall’esterno e scivolava via come l’acqua sull’impermeabile (essendo Dio era esente dalla concupiscenza), in noi trova invece la complicità interiore di una natura ferita e attratta dal peccato. La differenza sta tutta qui: noi abbiamo la concupiscenza; Lui no! Per noi il peccato ha un “fascino”; per Lui no! Ma viviamo in una società in cui il termine “peccato” chissà dov’è andato a finire! Bisogna addirittura eliminarlo dal vocabolario, per non traumatizzare la gente (a partire dai bambini) e renderla schiava di una mentalità ormai superata, dove pare che il peccato, non corrisponda più al linguaggio e alla realtà della nostra cultura. Come se l’uomo moderno fosse passato, in virtù di chissà quale progresso, dallo stadio di animale razionale a quello di animale tout court! Altro che progresso!

• Chi è che non pecca?...

Ad un uomo che asseriva di non peccare mai un celebre predicatore rispose: “Ah sì? Può anche darsi, ma io conosco solo due categorie di persone che non peccano: quelle che non hanno ancora l’uso della ragione e quelle che l’hanno persa del tutto!”. Ecco cosa sta perdendo il mondo: la ragione! E l’unica proposta che ci fa è questa: cosa preferite essere: animali o uomini senza ragione? E per di più mentitori perché San Giovanni dice che “chi afferma di essere senza peccato è un mentitore.” Ma, per fortuna, c’è ancora chi è capace di ammettere di essere peccatore, ma ha paura di riconoscerlo. Ebbene questa paura è la più pericolosa che ci sia: il peccato è perdonabile e il peccatore è salvabile: anzi, è salvabile solo quando si riconosce tale. “Le tue colpe ti saranno rimesse nel momento stesso in cui le riconoscerai”, diceva sant’Ambrogio. E i Padri del deserto dicevano che chi sa riconoscere i propri peccati è più grande di chi risuscita un morto.

• Il giudice interiore

E’ solo il saper riconoscere con lucidità e fiducia la propria colpa e chiederne perdono, che ci libera totalmente e libera anche il nostro inconscio da ogni complesso di colpa che, altrimenti, rimane annidato nell’inconscio causando disastri. Infatti la colpa non ammessa, continua ad esserci rimproverata dal nostro giudice interiore e ad agire nell’inconscio, punendoci nel modo più nefasto e rendendoci infelici. Ma Gesù vuole liberarci totalmente e darci la sua pace profonda e definitiva. Non quella che dà il mondo, facendoci credere che non siamo peccatori e quindi non abbiamo nessun bisogno di un Salvatore! No! Gesù viene a dirci che è morto per ognuno di noi; per il peccato mio e vostro e della nostra civiltà e cultura! Egli continua a dirci che viene oggi come ieri per salvarci. Da che? Dal peccato! Se non ci riconosciamo peccatori, non potremo mai essere salvati. E’ probabilmente questo il peccato contro lo Spirito Santo: non riconoscerci bisognosi di salvezza. Ma se lo riconosciamo, allora faremo l’esperienza della Sua pace, e la sua gioia in noi sarà piena, senza ombre né amarezze. “Poter dire come Pietro: Signore allontanati da me che sono un peccatore, significa essere pronti per riceverlo” (André Louf).

Wilma Chasseur

venerdì 24 febbraio 2012

Elvira - Figlia spirituale di Padre Pio - XXII

Continuiamo a scoprire la figura di Elvira, figlia spirituale di San Pio da Pietrelcina; nell'appuntamento odierno l'attenzione si sposta sul cenacolo di Elvira:

CAPITOLO V
IL CENACOLO DELLA S.S. TRINITÀ
I GRUPPI DI PREGHIERA

IL CENACOLO DI ELVIRA

Nel 1950 Elvira Gazzoni ebbe da Padre Pio l'incarico di istituire e di dirigere a Rimini uno di questi Gruppi di Preghiera che verrà poi chiamato "I1 Cenacolo".

Furono dapprima poche donne quelle che, aderendo all'invito di Elvira, si riunivano in casa sua per pregare; creature umili e semplici che avevano però avuta chiara la percezione di quanto fosse importante il compito al quale venivano chiamate a collaborare: riparare i peccati degli uomini, consolare il cuore di Gesù, implorare luce per il mondo intero.

Cosi, nell'umiltà e nel nascondimento, questo piccolo Cenacolo, come un fiore delicato, spandeva il suo profumo senza che nessuna notizia trapelasse all'esterno di quanto avveniva in casa di Elvira. "Discrezione" era la parola d'ordine, inconfondibile suggello di ogni opera divina.

Si andò avanti così per più di una decina d'anni, poi altre persone si aggiunsero al Gruppo, tanto che, a un dato momento, la casa di Mamma Elvira non fu più sufficiente a contenerle tutte e si dovette cercare un altro locale più ampio, e poi un altro più ampio ancora, per le riunioni di preghiera.

Con l'aiuto del cielo e il suo costante impegno Mamma Elvira era riuscita a stabilire fra se e la sua gente uno stretto rapporto di affetti e di intenti, a comunicare a tutti i caratteri della sua religiosità semplice e attiva, tanto che ognuno dei suoi si era trasformato in apostolo.

Ella poi insegnava con l'esempio a stabilirsi in una dolce umiltà, a non opporre resistenza, a giungere all'uguaglianza nell'amore. Un compito non certo facile il suo, poiché doveva favorire l'armonia e l'unione tenendo conto dei caratteri, dei difetti, delle tentazioni cui ognuno era sottoposto. Doveva richiamare senza imporsi, blandire senza solleticare la vanità, smorzare senza deprimere, incoraggiare gli sfiduciati quando lei stessa era nella prova. Doveva far sentire a tutti d'essere ugualmente importanti e nello stesso momento convincerli di essere un nulla; ammorbidire gli attriti con l'unzione del suo sorriso dando lei stessa l'esempio di perfetta accettazione e mansuetudine e mostrarsi sempre amabile con tutti, anche coi più difficili.

Certo, come per tutte le persone che battono le vie dello spirito, non mancavano anche per lei momenti in cui si sentiva avvolta da tenebre fitte, inaridita, scoraggiata e quasi con l'impressione di seguire un ideale poco meno che fantastico. Allora le contrarietà e le incomprensioni che incontrava la buttavano a terra e non trovava più il contatto con l'ambiente che la circondava, fino a giungere a una vera agonia interiore.

Erano questi i momenti in cui il buon Padre Giacomo Mantegari, suo Direttore spirituale, interveniva esortandola ad andare avanti nella sua testimonianza che era tanto più preziosa quanto più sofferta. Le diceva di non impressionarsi se le sembrava di brancicare nel buio, perché questo era un inganno del demonio per distoglierla dal suo apostolato. Tenesse invece per certo che la sua anima era cara al Signore, che la grazia di Dio era con lei e che la sua opera era opera di Dio e dello Spirito Santo.

"Sia vigílante e attenta e combatta da forte che presto canterà vittoria e il demonio si ritirerà scornato. "

Così era infatti. A poco a poco la consapevolezza che il suo Cenacolo era un parafulmine per i peccati dell’umanità" riportava Elvira alla calma e le faceva trovare nuova forza per proseguire.

Tutti finivano per capire che era una grande grazia appartenere al Cenacolo e percorrevano volentieri la via della loro purificazione nella penitenza e nella preghiera consapevoli che la preghiera, era una colonna di luce e di forza per tutti coloro che cercano nelle tenebre la verità, ma hanno paura di conoscerla e per tutti quegli altri che, pur conoscendola, si sforzano di ignorarla.

giovedì 23 febbraio 2012

Benedetto XVI: Chiesa, il deserto può trasformarsi in grazia

Udienza Generale di Papa Benedetto XVI - 22 Febbraio 2012

BENEDETTO XVI

UDIENZA GENERALE


Aula Paolo VI
Mercoledì, 22 febbraio 2012


Mercoledì delle Ceneri

Cari fratelli e sorelle,

in questa Catechesi vorrei soffermarmi brevemente sul tempo della Quaresima, che inizia oggi con la Liturgia del Mercoledì delle Ceneri. Si tratta di un itinerario di quaranta giorni che ci condurrà al Triduo pasquale, memoria della passione, morte e risurrezione del Signore, il cuore del mistero della nostra salvezza. Nei primi secoli di vita della Chiesa questo era il tempo in cui coloro che avevano udito e accolto l’annuncio di Cristo iniziavano, passo dopo passo, il loro cammino di fede e di conversione per giungere a ricevere il sacramento del Battesimo. Si trattava di un avvicinamento al Dio vivo e di una iniziazione alla fede da compiersi gradualmente, mediante un cambiamento interiore da parte dei catecumeni, cioè di quanti desideravano diventare cristiani ed essere incorporati a Cristo e alla Chiesa.

Successivamente, anche i penitenti e poi tutti i fedeli furono invitati a vivere questo itinerario di rinnovamento spirituale, per conformare sempre più la propria esistenza a quella di Cristo. La partecipazione dell’intera comunità ai diversi passaggi del percorso quaresimale sottolinea una dimensione importante della spiritualità cristiana: è la redenzione non di alcuni, ma di tutti, ad essere disponibile grazie alla morte e risurrezione di Cristo. Pertanto, sia coloro che percorrevano un cammino di fede come catecumeni per ricevere il Battesimo, sia coloro che si erano allontanati da Dio e dalla comunità della fede e cercavano la riconciliazione, sia coloro che vivevano la fede in piena comunione con la Chiesa, tutti insieme sapevano che il tempo che precede la Pasqua è un tempo di metanoia, cioè del cambiamento interiore, del pentimento; il tempo che identifica la nostra vita umana e tutta la nostra storia come un processo di conversione che si mette in movimento ora per incontrare il Signore alla fine dei tempi.

Con una espressione diventata tipica nella Liturgia, la Chiesa denomina il periodo nel quale siamo entrati oggi «Quadragesima», cioè tempo di quaranta giorni e, con un chiaro riferimento alla Sacra Scrittura ci introduce così in un preciso contesto spirituale. Quaranta è infatti il numero simbolico con cui l’Antico e il Nuovo Testamento rappresentano i momenti salienti dell’esperienza della fede del Popolo di Dio. E’ una cifra che esprime il tempo dell’attesa, della purificazione, del ritorno al Signore, della consapevolezza che Dio è fedele alle sue promesse. Questo numero non rappresenta un tempo cronologico esatto, scandito dalla somma dei giorni. Indica piuttosto una paziente perseveranza, una lunga prova, un periodo sufficiente per vedere le opere di Dio, un tempo entro cui occorre decidersi ad assumere le proprie responsabilità senza ulteriori rimandi. E’ il tempo delle decisioni mature.

Il numero quaranta appare anzitutto nella storia di Noè.
Quest’uomo giusto, a causa del diluvio trascorre quaranta giorni e quaranta notti nell’arca, insieme alla sua famiglia e agli animali che Dio gli aveva detto di portare con sé. E attende altri quaranta giorni, dopo il diluvio, prima di toccare la terraferma, salvata dalla distruzione (cfr Gen 7,4.12; 8,6). Poi, la prossima tappa: Mosè rimane sul monte Sinai, alla presenza del Signore, quaranta giorni e quaranta notti, per accogliere la Legge. In tutto questo tempo digiuna (cfr Es 24,18). Quaranta sono gli anni di viaggio del popolo ebraico dall’Egitto alla Terra promessa, tempo adatto per sperimentare la fedeltà di Dio. «Ricordati di tutto il cammino che il Signore, tuo Dio, ti ha fatto percorrere in questi quarant’anni… Il tuo mantello non ti si è logorato addosso e il tuo piede non si è gonfiato durante questi quarant’anni», dice Mosè nel Deuteronomio alla fine di questi quarant'anni di migrazione (Dt 8,2.4). Gli anni di pace di cui gode Israele sotto i Giudici sono quaranta (cfr Gdc 3,11.30), ma, trascorso questo tempo, inizia la dimenticanza dei doni di Dio e il ritorno al peccato. Il profeta Elia impiega quaranta giorni per raggiungere l’Oreb, il monte dove incontra Dio (cfr 1 Re 19,8). Quaranta sono i giorni durante i quali i cittadini di Ninive fanno penitenza per ottenere il perdono di Dio (cfr Gn 3,4). Quaranta sono anche gli anni dei regni di Saul (cfr At 13,21), di Davide (cfr 2 Sam 5,4-5) e di Salomone (cfr 1 Re 11,41), i tre primi re d’Israele. Anche i Salmi riflettono sul significato biblico dei quaranta anni, come ad esempio il Salmo 95, del quale abbiamo sentito un brano: «Se ascoltaste oggi la sua voce! “Non indurite il cuore come a Meriba, come nel giorno di Massa nel deserto, dove mi tentarono i vostri padri: mi misero alla prova pur avendo visto le mie opere. Per quarant'anni mi disgustò quella generazione e dissi: sono un popolo dal cuore traviato, non conoscono le mie vie”» (vv. 7c-10).

Nel Nuovo Testamento Gesù, prima di iniziare la vita pubblica, si ritira nel deserto per quaranta giorni, senza mangiare né bere (cfr Mt 4,2): si nutre della Parola di Dio, che usa come arma per vincere il diavolo. Le tentazioni di Gesù richiamano quelle che il popolo ebraico affrontò nel deserto, ma che non seppe vincere. Quaranta sono i giorni durante i quali Gesù risorto istruisce i suoi, prima di ascendere al Cielo e inviare lo Spirito Santo (cfr At 1,3).

Con questo ricorrente numero di quaranta è descritto un contesto spirituale che resta attuale e valido, e la Chiesa, proprio mediante i giorni del periodo quaresimale, intende mantenerne il perdurante valore e renderne a noi presente l’efficacia. La liturgia cristiana della Quaresima ha lo scopo di favorire un cammino di rinnovamento spirituale, alla luce di questa lunga esperienza biblica e soprattutto per imparare ad imitare Gesù, che nei quaranta giorni trascorsi nel deserto insegnò a vincere la tentazione con la Parola di Dio. I quarant’anni della peregrinazione di Israele nel deserto presentano atteggiamenti e situazioni ambivalenti. Da una parte essi sono la stagione del primo amore con Dio e tra Dio e il suo popolo, quando Egli parlava al suo cuore, indicandogli continuamente la strada da percorrere. Dio aveva preso, per così dire, dimora in mezzo a Israele, lo precedeva dentro una nube o una colonna di fuoco, provvedeva ogni giorno al suo nutrimento facendo scendere la manna e facendo sgorgare l’acqua dalla roccia. Pertanto, gli anni trascorsi da Israele nel deserto si possono vedere come il tempo della speciale elezione di Dio e della adesione a Lui da parte del popolo: tempo del primo amore. D’altro canto, la Bibbia mostra anche un’altra immagine della peregrinazione di Israele nel deserto: è anche il tempo delle tentazioni e dei pericoli più grandi, quando Israele mormora contro il suo Dio e vorrebbe tornare al paganesimo e si costruisce i propri idoli, poiché avverte l’esigenza di venerare un Dio più vicino e tangibile. E' anche il tempo della ribellione contro il Dio grande e invisibile.

Questa ambivalenza, tempo della speciale vicinanza di Dio - tempo del primo amore -, e tempo della tentazione – tentazione del ritorno al paganesimo -, la ritroviamo in modo sorprendente nel cammino terreno di Gesù, naturalmente senza alcun compromesso col peccato. Dopo il battesimo di penitenza al Giordano, nel quale assume su di sé il destino del Servo di Dio che rinuncia a se stesso e vive per gli altri e si pone tra i peccatori per prendere su di sé il peccato del mondo, Gesù si reca nel deserto per stare quaranta giorni in profonda unione con il Padre, ripetendo così la storia di Israele, tutti quei ritmi di quaranta giorni o anni a cui ho accennato. Questa dinamica è una costante nella vita terrena di Gesù, che ricerca sempre momenti di solitudine per pregare il Padre suo e rimanere in intima comunione, in intima solitudine con Lui, in esclusiva comunione con Lui, e poi ritornare in mezzo alla gente. Ma in questo tempo di “deserto” e di incontro speciale col Padre, Gesù si trova esposto al pericolo ed è assalito dalla tentazione e dalla seduzione del Maligno, il quale gli propone una via messianica altra, lontana dal progetto di Dio, perché passa attraverso il potere, il successo, il dominio e non attraverso il dono totale sulla Croce. Questa è l'alternativa: un messianesimo di potere, di successo, o un messianesimo di amore, di dono di sé.

Questa situazione di ambivalenza descrive anche la condizione della Chiesa in cammino nel “deserto” del mondo e della storia. In questo “deserto” noi credenti abbiamo certamente l’opportunità di fare una profonda esperienza di Dio che rende forte lo spirito, conferma la fede, nutre la speranza, anima la carità; un’esperienza che ci fa partecipi della vittoria di Cristo sul peccato e sulla morte mediante il Sacrificio d’amore sulla Croce. Ma il “deserto” è anche l’aspetto negativo della realtà che ci circonda: l’aridità, la povertà di parole di vita e di valori, il secolarismo e la cultura materialista, che rinchiudono la persona nell’orizzonte mondano dell’esistere sottraendolo ad ogni riferimento alla trascendenza. E’ questo anche l’ambiente in cui il cielo sopra di noi è oscuro, perché coperto dalle nubi dell’egoismo, dell’incomprensione e dell’inganno. Nonostante questo, anche per la Chiesa di oggi il tempo del deserto può trasformarsi in tempo di grazia, poiché abbiamo la certezza che anche dalla roccia più dura Dio può far scaturire l’acqua viva che disseta e ristora.

Cari fratelli e sorelle, in questi quaranta giorni che ci condurranno alla Pasqua di Risurrezione possiamo ritrovare nuovo coraggio per accettare con pazienza e con fede ogni situazione di difficoltà, di afflizione e di prova, nella consapevolezza che dalle tenebre il Signore farà sorgere il giorno nuovo. E se saremo stati fedeli a Gesù seguendolo sulla via della Croce, il chiaro mondo di Dio, il mondo della luce, della verità e della gioia ci sarà come ridonato: sarà l’alba nuova creata da Dio stesso. Buon cammino di Quaresima a voi tutti!

{Saluti: Je salue les pèlerins francophones, particulièrement les paroissiens et les collégiens et lycéens présents ici ce matin. Que le temps du Carême vous permette de voir combien Dieu est à l’œuvre aujourd’hui dans le monde et dans l’Église. C’est un temps privilégié pour comprendre et assumer notre responsabilité de chrétien, pour faire les bons choix en étant fidèle aux engagements de notre baptême. Bon Carême et bon séjour à tous !

I greet all the English-speaking visitors present at today’s Audience, especially those from England, Belgium, Norway, Canada and the United States. I offer a special welcome to the faithful of the Personal Ordinariate of Our Lady of Walsingham on the occasion of their pilgrimage to the See of Peter. I greet the pilgrim group from the Diocese of Antwerp, and I thank the choirs for their praise of God in song. With prayerful good wishes for a spiritually fruitful Lent, I invoke upon all of you God’s abundant blessings!

Herzlich grüße ich alle Pilger und Besucher deutscher Sprache, mit besonderer Freude natürlich die große Schar Südtiroler Ministranten in Begleitung von Bischof Muser. Ich freue mich, daß ihr da seid! Herzlich willkommen! Und wir freuen uns natürlich alle, daß Bischof Muser heute am Tag der Kathedra Petri seinen 50. Geburtstag begeht. Herzlichen Glückwunsch! Wir alle wollen diese Fastenzeit als Gelegenheit sehen, dem Herrn entgegenzugehen. Wir können es besonders im Gebet und in der Hinwendung von uns weg zum Nächsten hin. Gott schenke euch schöne und gesegnete Tage in Rom.

Saludo cordialmente a los peregrinos de lengua española, en particular a los grupos provenientes de España, Argentina, México, Puerto Rico y otros países latinoamericanos. Invito a todos a que durante la Cuaresma, a imitación del Señor, sintamos cómo Dios fortalece nuestro espíritu y nos da la victoria, pese a las zozobras de la vida presente. Muchas gracias.

A minha saudação amiga para o grupo escolar da Lourinhã e todos os peregrinos presentes de língua portuguesa. A Virgem Maria tome cada um pela mão e vos acompanhe durante os próximos quarenta dias que servem para vos conformar ao Senhor ressuscitado. A todos desejo uma boa e frutuosa Quaresma!

Saluto in lingua polacca:

Pozdrawiam pielgrzymów polskich. Bracia i Siostry, rozpoczynamy czas Wielkiego Postu. Rozważając zbawczą mękę i śmierć Chrystusa na Krzyżu, uczmy się od Niego pełnienia woli Bożej, powierzmy Mu wszelkie trudności, cierpienia i próby życia. Niech post i modlitwa, pokuta i czyny miłosierdzia, jakie podejmiemy, przygotują nas na radosne przeżywanie wielkanocnego poranka – tajemnicy Chrystusa Zmartwychwstałego. Na ten czas odnowy ducha z serca wam błogosławię.

Traduzione italiana:

Saluto cordialmente i pellegrini polacchi. Fratelli e sorelle, cominciamo il tempo di Quaresima. Meditando la passione e la morte salvifica di Cristo sulla Croce, impariamo da Lui a compiere la volontà di Dio, affidiamo a Lui ogni difficoltà, la sofferenza e le prove della vita. Il digiuno e la preghiera, la penitenza e le opere di misericordia che faremo, ci preparino a vivere gioiosamente il mattino di Pasqua – il mistero di Cristo Risorto. Per questo tempo di rinnovo dello spirito, vi benedico di cuore.

Saluto in lingua croata:

Srdačno pozdravljam hodočasnike hrvatskoga jezika. Danas, obredom pepeljenja, ulazimo u Korizmu, dragocijeno vrijeme molitve i pokore. Pozivam vas da dubokom vjerom živite to vrijeme milosti! Radosno vas sve blagoslivljem. Hvaljen Isus i Marija!

Traduzione italiana

Saluto con affetto i pellegrini di lingua croata. Oggi, con l'imposizione delle ceneri, entriamo nella Quaresima, tempo prezioso di preghiera e di penitenza. Vi invito a vivere con profonda fede questo tempo di grazia! Volentieri vi benedico tutti. Sia lodato Gesù Cristo!

Saluto in lingua slovacca:

Srdečne vítam pútnikov zo Slovenska.
Bratia a sestry, apoštol Pavol vyzýva: „V mene Krista vás prosíme: zmierte sa s Bohom“. Na začiatku Pôstneho obdobia počujme toto pozvanie, ktoré je adresované každému z nás a ochotne ho nasledujme.
S láskou vás žehnám.
Pochválený buď Ježiš Kristus!

Traduzione italiana:

Do un cordiale benvenuto ai pellegrini provenienti dalla Slovacchia.
Fratelli e sorelle, l’Apostolo Paolo invita: “Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio.” Sentiamo all’inizio del Tempo di Quaresima questo richiamo rivolto personalmente a ciascuno di noi e mettiamolo in pratica con generosità. Con affetto vi benedico.
 Sia lodato Gesù Cristo!}

* * *

Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare saluto le Ancelle del Sacro Cuore di Gesù riunite per il Capitolo Generale, i Diaconi di Milano e i vari gruppi parrocchiali: vi invito tutti a costruire sempre la vostra vita secondo la logica del Vangelo, la logica del “non conformismo cristiano”. Saluto con affetto la delegazione dei Mondiali Juniores di Sci come pure i rappresentanti della Lega italiana contro i tumori a novant’anni dalla fondazione. Il gesto dell’imposizione delle Ceneri, che segna l’inizio della Quaresima, ci invita a guardare con più umiltà a noi stessi per ricentrare la nostra vita su Dio. Un cordiale benvenuto agli avvocati dell’Organismo Unitario dell’Avvocatura Italiana: vi esorto a svolgere il vostro lavoro seguendo sempre i criteri di amore alla giustizia e di servizio al bene comune.

Saluto infine i giovani, gli ammalati e gli sposi novelli. La Quaresima è un tempo favorevole per intensificare la vostra vita spirituale: la pratica del digiuno vi sia di aiuto, cari giovani, per acquisire un sempre maggiore dominio su voi stessi; la preghiera sia per voi, cari ammalati, il mezzo per affidare a Dio le vostre sofferenze e sentirlo sempre vicino; le opere di misericordia, infine, aiutino voi, cari sposi novelli, a vivere la vostra esistenza coniugale aprendola alle necessità dei fratelli. Buona Quaresima a tutti!

© Copyright 2012 - Libreria Editrice Vaticana

mercoledì 22 febbraio 2012

Mercoledì delle Ceneri

Oggi deroghiamo alla nostra programmazione consueta per celebrare l'inizio del periodo quaresimale. L'inizio della Quaresima coincide con l'imposizione delle Ceneri e questo è un rito molto particolare di penitenza che ci porta a riconoscere la nostra miseria dinanzi a Dio. Partecipiamo a quest'evento attraverso la storia in breve delle Ceneri (tratta dal sito Santi & Beati), seguita dall'omelia di padre Gian Franco Scarpitta che ci fa comprendere il nucleo fondamentale, il cuore della Quaresima:

L'origine del Mercoledì delle ceneri è da ricercare nell'antica prassi penitenziale. Originariamente il sacramento della penitenza non era celebrato secondo le modalità attuali. Il liturgista Pelagio Visentin sottolinea che l'evoluzione della disciplina penitenziale è triplice: "da una celebrazione pubblica ad una celebrazione privata; da una riconciliazione con la Chiesa, concessa una sola volta, ad una celebrazione frequente del sacramento, intesa come aiuto-rimedio nella vita del penitente; da una espiazione, previa all'assoluzione, prolungata e rigorosa, ad una soddisfazione, successiva all'assoluzione".

La celebrazione delle ceneri nasce a motivo della celebrazione pubblica della penitenza, costituiva infatti il rito che dava inizio al cammino di penitenza dei fedeli che sarebbero stati assolti dai loro peccati la mattina del giovedì santo. Nel tempo il gesto dell'imposizione delle ceneri si estende a tutti i fedeli e la riforma liturgica ha ritenuto opportuno conservare l'importanza di questo segno.

La teologia biblica rivela un duplice significato dell'uso delle ceneri.

1 - Anzitutto sono segno della debole e fragile condizione dell'uomo. Abramo rivolgendosi a Dio dice: "Vedi come ardisco parlare al mio Signore, io che sono polvere e cenere..." (Gen 18,27). Giobbe riconoscendo il limite profondo della propria esistenza, con senso di estrema prostrazione, afferma: "Mi ha gettato nel fango: son diventato polvere e cenere" (Gb 30,19). In tanti altri passi biblici può essere riscontrata questa dimensione precaria dell'uomo simboleggiata dalla cenere (Sap 2,3; Sir 10,9; Sir 17,27).

2 - Ma la cenere è anche il segno esterno di colui che si pente del proprio agire malvagio e decide di compiere un rinnovato cammino verso il Signore. Particolarmente noto è il testo biblico della conversione degli abitanti di Ninive a motivo della predicazione di Giona: "I cittadini di Ninive credettero a Dio e bandirono un digiuno, vestirono il sacco, dal più grande al più piccolo. Giunta la notizia fino al re di Ninive, egli si alzò dal trono, si tolse il manto, si coprì di sacco e si mise a sedere sulla cenere" (Gio 3,5-9). Anche Giuditta invita invita tutto il popolo a fare penitenza affinché Dio intervenga a liberarlo: "Ogni uomo o donna israelita e i fanciulli che abitavano in Gerusalemme si prostrarono davanti al tempio e cosparsero il capo di cenere e, vestiti di sacco, alzarono le mani davanti al Signore" (Gdt 4,11).

La semplice ma coinvolgente liturgia del mercoledì delle ceneri conserva questo duplice significato che è esplicitato nelle formule di imposizione: "Ricordati che sei polvere, e in polvere ritornerai" e "Convertitevi, e credete al Vangelo". Adrien Nocent sottolinea che l'antica formula (Ricordati che sei polvere...) è strettamente legata al gesto di versare le ceneri, mentre la nuova formula (Convertitevi...) esprime meglio l'aspetto positivo della quaresima che con questa celebrazione ha il suo inizio. Lo stesso liturgista propone una soluzione rituale molto significativa: "Se la cosa non risultasse troppo lunga, si potrebbe unire insieme l'antica e la nuova formula che, congiuntamente, esprimerebbero certo al meglio il significato della celebrazione: "Ricordati che sei polvere e in polvere tornerai; dunque convertiti e credi al Vangelo".

Il rito dell'imposizione delle ceneri, pur celebrato dopo l'omelia, sostituisce l'atto penitenziale della messa; inoltre può essere compiuto anche senza la messa attraverso questo schema celebrativo: canto di ingresso, colletta, letture proprie, omelia, imposizione delle ceneri, preghiera dei fedeli, benedizione solenne del tempo di quaresima, congedo.

Le ceneri possono essere imposte in tutte le celebrazioni eucaristiche del mercoledì ma sarà opportuno indicare una celebrazione comunitaria "privilegiata" nella quale sia posta ancor più in evidenza la dimensione ecclesiale del cammino di conversione che si sta iniziando.

***

Umiltà, conversione e rinnovamento

Orrore, morte e distruzione ormai da tante settimane stanno interessando molte popolazioni del Nord Africa, che si danno al malcontento e alla rivoluzione per rivendicare i propri diritti ad una vita decente e dignitosa senza più soprusi, ingiustizie e sopraffazioni. E' sconcertante la tracotanza e l'efferatezza di chi reagisce con sanguinose rappresaglie, alimentando tensione, odio e violenza ulteriori anziché mettere in discussione il proprio operato e assumersi le proprie responsabilità nei confronti del popolo con opportuni rimedi di pacificazione, di giustizia e di promozione del bene comune.
Non sarà mai sufficiente qualsiasi appello che proviene da più parti perché cessi l'efferatezza smisurata a cui è soggetto chi ha diritto inviolabile di protestare, ma ciò che si sarebbe opportuno richiedere in questi casi è il buon senso e la rettitudine di coscienza da parte di chi ha in mano la situazione e da parte di tutti e ciascuno, affinché non si verifichino situazioni di degenerazione generale. Occorre cioè un radicale, profondo, rinnovamento dello spirito umano, una trasformazione impuntata della nostra personale impostazione di vita, un ravvedimento personale che si orienti verso la considerazione della dignità e dei diritti degli altri.
Tale ribaltamento di vedute è sempre bene accetto quando si realizzi progressivamente, tuttavia con costanza e decisione; ma non avrà mai il suo successo finché esso non sarà da noi interpretato con le categorie della conversione, cioè della risposta risoluta e attenta alla chiamata di Dio in Cristo, che noi abbiamo scelto e professato come il Salvatore. In Cristo Dio riconcilia a sé tutta l'umanità, raduna tutti i popoli dispersi in un solo uomo e realizza l'identità fra tutti superando ogni barriera e divisione e ponendo fine ad aberranti scenari di odio e di violenza. Tutto questo però a condizione che noi si volga realmente lo sguardo a Cristo e che il cuore non cessi di cercare in lui Colui che per primo si è fatto trovare.
Dio ci chiama e ci convoca nel suo Figlio Gesù Cristo; noi aderiamo alla chiamata e ci incamminiamo verso di lui. Questo significa conversione e penitenza, radici profonde di ogni rinnovamento umano in vista del progresso generale.
Ritornare continuamente a Cristo comporta la presa di coscienza del Suo amore nei nostri riguardi e del primato della misericordia di Dio sulle nostre debolezze, il riconoscimento dell'insufficienza dei nostri ambiti circoscritti di verità immediata e passeggera, la rinuncia alla vanità illusa di felicità passeggere e deleterie e la predisposizione a procacciare l'unione e l'intimità con lui. In parole povere si tratta di rifuggire il male con orrore per attaccarci al bene (Rm 12, 9), di "evitare il peccato perché non tramonti il sole sulla nostra ira e non diamo occasione al diavolo" (Ef 4, 26-27) e come afferma lo stesso Apostolo Paolo, di evitare la condotta perversa e amorale tipica dei pagani, per niente avvezzi ai benefici dello spirito (Ef 4, 17 - 20), vigilando sulle insidie e sulle seduzioni di quanto nel mondo abbia potere di distoglierci dall'orientamento verso Dio.
Ma la condizione principale per cui possa realizzarsi fruttuosamente un tale itinerario è l'umiltà.
Da che cosa inizia infatti l'ammissione delle nostre colpe e la necessità del ritorno a Dio nella comunione con il Cristo Via, Verità e Vita se non dal riconoscimento della nostra nullità, della nostra pochezza e peccaminosità? Da dove partire se non dall'ammissione del nostro nulla di imperfezioni di fronte al tutto della Perfezione assoluta che è Dio? Solo l'umiltà conduce a trovare la ragione di una vera conversione che non sia ostentazione di ipocrite prassi o manifestazioni esteriori, ma che risalti e sia espressiva della nostra volontà di elevarci verso Dio ed essere umili e dimessi è la condizione per ravvivare in noi stessi anche quella serenità interiore per la quale non vanno poste obiezioni all'amore di Dio e si rinuncia volentieri ad esaltare e preconizzare noi stessi. L'umiltà apre il sipario per il primo atto della conversione. La liturgia di oggi ce la descrive per mezzo del segno delle Ceneri cosparse sul capo di ciascuno, che attestano alla consapevolezza che noi siamo nulla perché Dio possa essere tutto in noi e perché a partire dal nostro nulla, privi di ogni peso e di ogni vano fardello, possiamo incamminarci nel nostro itinerario verso Dio.
Se le Ceneri significano la nostra umiltà, anche il digiuno ne consolida il significato.
Astenersi da un intero pasto secondo le necessità fisiche di ciascuno, privarsi della carne nei periodi indicati dalla nostra liturgia, realizzare altre privazioni aggiuntive secondo le nostre abitudini o le ispirazioni del momento è di ausilio al fervore interiore con cui operiamo la nostra elevazione verso il Signore e significa nell'esteriorità lo slancio di conversione con cui tendiamo alla comunione con Dio. Digiunare (com'è mia esperienza personale) è già un vantaggio per il fisico, perché liberando e purificando il corpo dai pesi in eccesso ci è di sollievo e dona serenità e leggerezza, e anche dal punto di vista spirituale la rinuncia e la mortificazione fisica sono di aiuto affinché la nostra liberazione dal vano e dal superfluo abbatta sempre più ostacoli nell'ascesi che ci conduce a Dio.
Come sempre si è affermato e comprovato, il digiuno è tuttavia sterile e insignificante quando non venga associato alla preghiera e alle opere di misericordia, perché proprio la concretezza del bene e l'amore al prossimo saggiano la consistenza dell'avvenuto itinerario di conversione spirituale, rendendone testimonianza effettiva: la carità sincera è una componente stessa del digiuno e ometterla dai nostri atteggiamenti equivale a smentire la stessa rinuncia ai cibi e alle voluttà. E' quindi necessario, già nella pratica stessa della rinuncia ai cibi, che venga destinato l'equivalente in denaro a favore di chi ha bisogno e che vengano realizzate, singolarmente e nelle comunità ecclesiali di appartenenza, iniziative concrete di vera solidarietà nei confronti dei bisognosi, tutto ovviamente secondo le nostre possibilità obiettive e tuttavia senza retoriche e negligenze su questo importante aspetto della vita cristiana in generale e della Quaresima in modo speciale.
Risvegliando in noi la volontà di essere umili e ponendo la stessa umiltà come condizione iniziale di ogni proposito spirituale, il Mercoledì delle Ceneri ci è di sprone ad optare per il rinnovamento di noi stessi in vista della trasformazione del mondo secondo la volontà universale di Dio che in Cristo ci chiama tutti a nuova vita. Le tappe della Quaresima, con tutti gli strumenti di grazia contenuti in questo tempo liturgico non possono non darci fiducia che il bene, anche se non a portata di mano, è comunque obiettivo possibile.


martedì 21 febbraio 2012

La Summa Teologica - Cinquantacinquesima parte

In considerazione del Mercoledì delle Ceneri, anticipiamo l'appuntamento di approfondimento della Summa Teologica di San Tommaso d'Aquino, un'opera che diede un fondamento scientifico, filosofico e teologico alla dottrina cristiana. Continuiamo a scoprire la parte dedicata al Trattato relativo all'essenza di Dio, ma oggi cominciamo a soffermarci sulla nostra conoscenza di Dio:


Prima parte 
Trattato relativo all'essenza di Dio

La nostra conoscenza di Dio >  Se un qualche intelletto creato possa vedere l'essenza di Dio

Prima parte
Questione 12
Articolo 1


SEMBRA che nessun intelletto creato possa vedere Dio nella sua essenza. Infatti:
1. Il Crisostomo, commentando il detto di S. Giovanni: "Nessuno ha visto mai Dio", dice: "Ciò che Dio è, non soltanto i profeti, ma non l'hanno conosciuto neanche gli angeli e gli arcangeli: come, infatti, ciò che è di natura creata, potrebbe vedere l'Increato?". Anche Dionigi parlando di Dio, dice: "Non se ne ha la sensazione, né l'immaginazione, né l'opinione, né l'idea, né la scienza".

2. Ogni infinito, in quanto tale, è sconosciuto. Ma Dio, come si è già dimostrato, è infinito. Dunque Dio è per sua natura sconosciuto.

3. L'intelletto creato non conosce che gli esistenti, perché ciò che per primo cade sotto l'apprensione intellettuale è l'ente (= l'esistente). Ora, Dio non è un esistente, ma è sopra gli esistenti, come afferma Dionigi. Quindi Dio non è intelligibile, ma oltrepassa ogni intelletto.

4. Tra il conoscente e il conosciuto ci deve essere una certa proporzione, essendo il conosciuto una perfezione del conoscente. Ora, tra l'intelletto creato e Dio non vi è proporzione alcuna, essendovi tra l'uno e l'altro una distanza infinita. Dunque l'intelletto creato non può conoscere l'essenza di Dio.

IN CONTRARIO: C'è il detto di S. Giovanni: "Lo vedremo come egli è".

RISPONDO: Ogni essere è conoscibile nella misura che è in atto; e Dio, che è atto puro senza mescolanza alcuna di potenza, di per se stesso è sommamente conoscibile. Ma ciò che in se stesso è sommamente conoscibile, per un qualche intelletto può non essere conoscibile a motivo della sproporzione tra l'intelligibile e questo intelletto; come il sole, che è visibile al massimo grado, non può esser visto dal pipistrello, per eccesso di luce. In base a questa riflessione alcuni hanno sostenuto che nessun intelletto creato può vedere l'essenza di Dio.
Ma ciò è inammissibile. Infatti: siccome l'ultima beatitudine dell'uomo consiste nella sua più alta operazione, che è l'operazione intellettuale, se l'intelletto creato non può in nessun modo conoscere l'essenza di Dio, una delle due: o mai raggiungerà la beatitudine, o essa consisterà in altra cosa diversa da Dio. E questo è contro la fede. Ed invero, l'ultima perfezione della creatura ragionevole si trova in Colui che è il principio del suo essere, giacché ogni cosa in tanto è perfetta in quanto raggiunge il suo principio. - Parimente, (tale sentenza) sconfina anche dalla ragione, perché nell'uomo è naturale il desiderio, quando vede un effetto, di conoscerne la causa: di qui il sorgere dell'ammirazione negli uomini. Se dunque l'intelligenza della creatura ragionevole non potesse giungere alla Causa suprema delle cose, in essa rimarrebbe vano il desiderio naturale. Quindi bisogna assolutamente ammettere che i beati vedono l'essenza di Dio.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. L'uno e l'altro testo parlano della cognizione comprensiva. Infatti, Dionigi alle parole riportate premette queste altre: "Per tutti, universalmente, Egli è incomprensibile, e non se ne ha la sensazione", ecc. Ed il Crisostomo, poco dopo le parole riferite, soggiunge: "Visione, qui, dice perfetta contemplazione e comprensione del Padre, tanta quanta il Padre ne ha del Figlio".

2. L'infinito derivante dalla materia non attuata dalla forma è di per sé inconoscibile; perché ogni conoscenza si ha in forza della forma. Ma l'infinito proprio della forma non coartata dalla materia, è, di per sé, conoscibile al sommo. Ora, Dio è infinito così e non nel primo modo, come è chiaro da quel che precede.

3. Si dice di Dio che non è un esistente, non quasi non esista in alcun modo, ma perché è al di sopra di ogni esistente, in quanto è la sua stessa esistenza. Quindi da ciò non segue che sia del tutto inconoscibile, ma che supera ogni conoscimento; il che equivale a dire che è incomprensihile.

4. Si deve parlare di due generi di proporzioni. In un primo caso si tratta del rapporto determinato di una quantità rispetto a un'altra: così il doppio, il triplo, l'uguale sono specie di proporzioni. In un secondo modo si chiama proporzione qualsiasi rapporto di una cosa con un'altra. Ed in questo senso vi può essere una proporzione della creatura rispetto a Dio, in quanto essa sta a lui come l'effetto sta alla causa, e come la potenza sta all'atto. E in questo senso l'intelletto creato può essere proporzionato a conoscere Dio.


lunedì 20 febbraio 2012

ANGELUS 2012-02-19

Angelus di Papa Benedetto XVI - 19 Febbraio 2012

BENEDETTO XVI

ANGELUS

Piazza San Pietro
Solennità della Cattedra di San Pietro
Domenica, 19 febbraio 2012



Cari fratelli e sorelle!

Questa domenica è particolarmente festosa qui in Vaticano, a motivo del Concistoro, avvenuto ieri, in cui ho creato 22 nuovi Cardinali. Con loro ho avuto la gioia, stamani, di concelebrare l’Eucaristia nella Basilica di San Pietro, intorno alla Tomba dell’Apostolo che Gesù chiamò ad essere la “pietra” su cui costruire la sua Chiesa (cfr Mt 16,18). Perciò invito tutti voi ad unire anche la vostra preghiera per questi venerati Fratelli, che ora sono ancora più impegnati a collaborare con me nella guida della Chiesa universale e a dare testimonianza al Vangelo fino al sacrificio della propria vita. Questo significa il colore rosso dei loro abiti: il colore del sangue e dell’amore. Alcuni di essi lavorano a Roma, al servizio della Santa Sede, altri sono Pastori di importanti Chiese diocesane; altri si sono distinti per una lunga e apprezzata attività di studio e di insegnamento. Ora fanno parte del Collegio che più strettamente coadiuva il Papa nel suo ministero di comunione e di evangelizzazione: li accogliamo con gioia, ricordando ciò che disse Gesù ai dodici Apostoli: “Chi vuol essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti. Anche il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti” (Mc 10,44-45).

Questo evento ecclesiale si colloca sullo sfondo liturgico della festa della Cattedra di San Pietro, anticipata ad oggi, perché il prossimo 22 Febbraio – data di tale festa – sarà il Mercoledì delle Ceneri, inizio della Quaresima. La “cattedra” è il seggio riservato al Vescovo, da cui deriva il nome “cattedrale” dato alla chiesa in cui, appunto, il Vescovo presiede la liturgia e insegna al popolo. La Cattedra di San Pietro, rappresentata nell’abside della Basilica Vaticana da una monumentale scultura del Bernini, è simbolo della speciale missione di Pietro e dei suoi Successori di pascere il gregge di Cristo tenendolo unito nella fede e nella carità. Già a agli inizi del secondo secolo, sant’Ignazio di Antiochia attribuiva alla Chiesa che è in Roma un singolare primato, salutandola, nella sua lettera ai Romani, come quella che “presiede nella carità”. Tale speciale compito di servizio deriva alla Comunità romana e al suo Vescovo dal fatto che in questa Città hanno versato il loro sangue gli Apostoli Pietro e Paolo, oltre a numerosi altri Martiri. Ritorniamo, così, alla testimonianza del sangue e della carità. La Cattedra di Pietro, dunque, è sì segno di autorità, ma di quella di Cristo, basata sulla fede e sull’amore.

Cari amici, affidiamo i nuovi Cardinali alla materna protezione di Maria Santissima, perché li assista sempre nel loro servizio ecclesiale e li sostenga nelle prove. Maria, Madre della Chiesa, aiuti me e i miei collaboratori a lavorare instancabilmente per l’unità del Popolo di Dio e per annunciare a tutte le genti il messaggio di salvezza, compiendo umilmente e coraggiosamente il servizio della verità nella carità.

Dopo l'Angelus

{ Saluti in varie lingue: J’accueille avec joie les pèlerins francophones, en particulier les pèlerins de Belgique et tous ceux qui sont venus accompagner les nouveaux Cardinaux. Je salue également les jeunes des collèges Charles-Péguy de Paris et de Bobigny. C’est aujourd’hui, au Vatican, la fête du rappel de la mission que le Christ a confiée à Pierre et à ses successeurs sur la Chaire épiscopale de Rome. Je vous invite à prier pour que l’Église demeure fidèle à l’enseignement du Christ qui a choisi Pierre, pour faire paître ses brebis. Mercredi commencera le Carême. Sachons profiter de ce temps de grâce et de conversion pour revenir vers Dieu, par l’aumône, la prière et le jeûne ! À tous, je souhaite un bon dimanche, un bon pèlerinage à Rome et une bonne entrée en Carême !

I welcome all the English-speaking visitors present for this Angelus prayer, especially those accompanying the new Cardinals. In today’s Gospel, Jesus grants healing and life in body and soul in response to faith. May we too believe and trust in Christ, and seek from him both forgiveness of sin and the power to live a new life of grace. Upon all of you I invoke God’s blessings of joy and peace!

Gerne grüße ich alle Brüder und Schwestern deutscher Sprache, sowie die Pilger aus den Niederlanden, die zum Konsistorium der Kardinäle nach Rom gekommen sind. Bei der heutigen Messe im Petersdom haben wir für die neuen Kardinäle gedankt und das Fest der Kathedra des heilegen Petrus gefeiert. Christus hat seine Kirche auf das Glaubensbekenntnis des Petrus gegründet und ihm den Auftrag gegeben, die Brüder im Glauben zu stärken. Begleitet den Nachfolger des Petrus, den Papst, und die Kardinäle, die ihn in besonderer Weise in seinem Petrus dienst unterstützen, mit eurem Gebet, daß wir den Auftrag des Herrn treu erfüllen und die Kirche recht leiten können. Gesegneten Sonntag euch allen!

Saludo cordialmente a los peregrinos de lengua española, en especial a los Obispos, presbíteros, personas consagradas y fieles que han venido para acompañar a los nuevos Cardenales. Acompañadlos también con la oración y la colaboración en su nueva responsabilidad. Saludo también a los Jóvenes de San José de Barcelona y a los diversos grupos parroquiales de Sevilla. En la celebración de la Cátedra de San Pedro, invito a todos a ser fieles al mensaje de Cristo transmitido por los Apóstoles y a tener presentes en la plegaria a cuantos han recibido el ministerio de hacer llegar la luz del Evangelio a través de los tiempos a todos los rincones de la tierra. Feliz domingo.

Saúdo, com viva gratidão e afecto, os grupos de fiéis das paróquias Aldeia Galega da Merceana, Brandoa e Laveiras-Caxias e restantes peregrinos de língua portuguesa, particularmente os familiares e amigos dos novos Cardeais, pedindo que continueis a acompanhá-los com a vossa oração e estima para poderem corresponder, com plena e constante fidelidade, ao dom recebido. Confio-os, eles e todos vós, à materna protecção da Virgem Maria.

Salut pelerinii de limba română veniţi la Roma pentru Consistoriu. Rugăciunea la Mormintele Apostolilor să vă întărească credinţa şi entuziasmul de a vesti Evanghelia. Lăudat să fie Isus Cristos!

[Saluto i pellegrini di lingua romena venuti a Roma per il Concistoro. La preghiera alle Tombe degli Apostoli rafforzi la vostra fede e l’entusiasmo di annunciare il Vangelo. Sia lodato Gesù Cristo!]

Zdravím české poutníky, účastnící se konzistoře. Ať modlitba u hrobů svatých apoštolů posílí vaši víru a podnítí horlivé hlásání evangelia.

[Saluto i pellegrini di lingua ceca venuti a Roma per il Concistoro. La preghiera alle Tombe degli Apostoli rafforzi la fede e l’entusiasmo di annunciare il Vangelo.]

Serdeczne pozdrowienie kieruję do Polaków, a dziś szczególnie do wszystkich polskich Kardynałów. Konsystorz jest zgromadzeniem tych, którzy zostali powołani do wspierania następcy Piotra w jego posłudze utwierdzania braci w wierze i głoszenia Ewangelii Chrystusa oraz wymownym znakiem jedności całego Kościoła. Módlmy się, aby światło i moc Ducha Świętego towarzyszyły wszystkim, a zwłaszcza nowym, kardynałom. Niech Bóg wam błogosławi!

[Un cordiale saluto rivolgo ai polacchi, e oggi in particolare a tutti i Cardinali polacchi. Il Concistoro è un raduno di coloro che sono stati chiamati a sostenere il Successore di Pietro nel suo ministero di confermare i fratelli nella fede e di proclamare il Vangelo di Cristo, nonché un eloquente segno dell’unità di tutta la Chiesa. Preghiamo perché la luce e la potenza dello Spirito Santo accompagnino tutti e soprattutto i nuovi Cardinali. Dio vi benedica!]}

E rivolgo infine un cordiale saluto ai pellegrini di lingua italiana, in particolare a quelli venuti per festeggiare i nuovi Cardinali. Saluto anche i bambini della Prima Comunione di Caravaggio, i cresimandi con catechisti e genitori di Galzignano Terme, Creola e Saccolongo, Montorfano, Robilante e Lodi, i fedeli di Verona e di Eraclea, i ragazzi di Saiano e quelli di Altavilla Vicentina e Valmarana. A tutti auguro una buona domenica, una buona settimana. Buona domenicia a tutti voi!

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domenica 19 febbraio 2012

Video Vangelo: VII odinario b (2012)

Facciamoci amici ricchi di fede

7^ Domenica Tempo Ordinario
(Mc 2, 1-12) 

Nel Vangelo di oggi vediamo come sia importante avere amici con tanta fede, sulla quale poter… contare in caso di necessità. Quel povero paralitico non aveva più niente, ma aveva quattro amici fedelissimi. Amici per la pelle appunto! E così ricchi di fede da ottenergli addirittura il miracolo della guarigione.
Mettiamoci dunque di nuovo sulle tracce di Gesù che torna a Cafarnao. Cioè a casa. A casa di Pietro.

• Fede da spostare i tetti…

Saputo dunque che era tornato a casa, si radunò tanta di quella gente – come quando aveva guarito la suocera di Pietro – da non esserci più spazio neanche davanti alla porta. Al punto che i quattro uomini che gli portavano l’amico paralitico, non potendo assolutamente aprirsi un varco tra la folla che si accalcava davanti alla porta, decisero addirittura di salire sul tetto e scoperchiarlo, per poi calarvi giù la barella col malato. Ecco un altro esempio dei poteri straordinari che ha la fede: fa addirittura scoperchiare i tetti oltre che spostare le montagne…
E questa volta, sono coloro che stavano accanto al malato ad avere quella fede. Nei Vangeli vediamo come la fede, a volte preceda il miracolo e a volte lo segua e ne sia la conseguenza. Alle nozze di Cana per esempio, dopo che Gesù ebbe trasformato l’acqua in vino, tutti credettero: la fede seguì il miracolo. Mentre in tanti altri casi, la fede non solo precedette il miracolo, ma ne fu la causa efficiente, come quando Giairo capo della sinagoga, pregò Gesù per la figlioletta, morta nel frattempo. Egli, vista la sua fede, la risuscitò. Oppure in molti altri casi, quando disse: “Và la tua fede ti ha salvato”.

• Credere prima del miracolo

Anche il Vangelo di oggi ci dice che la fede precedette il miracolo perché “Gesù, VISTA LA LORO FEDE, disse al paralitico: ”Figliolo ti sono rimessi i tuoi peccati”. Ma questa risposta avrà certamente spiazzato gli arditi scoperchiatori di tetti, le cui attese erano ben altre. Me li immagino a confabulare tra loro: “Ma noi il tetto l’avevamo scoperchiato perché eravamo certi che dicesse “alzati e cammina” e invece…”.
E invece per cominciare, Gesù li fa assistere ad un altro tipo di potere che non aveva ancora manifestato: quello di rimettere i peccati. E gli scribi, che invece di scrutare i tetti, scrutavano le scritture, ma soprattutto scrutavano Gesù con la lente di ingrandimento nel tentativo di coglierlo in fallo, capirono subito di essere davanti a un potere ben più straordinario di quello di operare guarigioni: quello di rimettere i peccati e mormorarono in cuor loro: “Perché costui parla così? Chi può rimettere i peccati se non Dio solo?”.

• Quale “libro” leggeva Gesù?

Ma Gesù che leggeva nel cuore –“libro” che nessuno sapeva leggere, neanche i dottori della legge – svelò a tutti i loro pensieri segreti e disse: “Perché pensate così nei vostri cuori? E’ più facile dire al paralitico: ti sono rimessi i peccati o dire :alzati e cammina? Ora, perché sappiate che il Figlio dell’uomo ha il potere di rimettere i peccati, ti ordino – disse al paralitico – alzati, prendi il tuo lettuccio e và a casa tua”. Finalmente gli amici, scoperchiatori di tetti, avranno tirato un sospiro di sollievo: la loro fatica era stata largamente premiata perché ora avevano la gioia di vedere il paralitico – ENTRATO DAL TETTO – uscire tranquillamente dalla porta, col suo lettuccio sotto il braccio. Ma soprattutto avrà esultato il paralitico che non solo usciva con le sue gambe e quindi era guarito nel corpo, ma usciva nuovo e splendente nell’anima, senza più traccia di peccato. Gli unici ad uscirne più neri di prima, furono proprio quegli scribi, ai quali la fede – ahimè – non venne né prima, né dopo il miracolo!
Ecco il male più grave dal quale dobbiamo chiedere di essere guariti: il peccato, vero cancro dell’anima che ci impedisce di far posto a DIO. Ma sappiamo ancora riconoscerlo questo tipo di cancro?

Wilma Chasseur

sabato 18 febbraio 2012

Il miracolo della vita....Si alla vita, no all'aborto!

Aborto: lo sterminio silenzioso - III

Concludiamo l'approfondita analisi di Roberto De Angelis che affronta il tema dell'aborto dal punto di vista cristiano:

Il punto di vista Cristiano
ABORTO: Lo sterminio silenzioso

di Roberto De Angelis


Una Chiamata all'Azione

"Adesso che uomini scellerati hanno ucciso un innocente... non dovrei chiedervi ragione del suo sangue sparso dalle vostre mani e sterminarvi dalla terra?"
(2 Samuele 4:11)

"Figlio d'uomo, io t'ho stabilito come sentinella per la casa d'Israele; quando udrai una parola dalla mia bocca, li avvertirai da parte mia. Se io dico all'empio: "Certamente morirai!" e tu non l'avverti e non parli per avvertire l'empio di abbandonare la sua via malvagia perché salvi la sua vita, quell'empio morirà nella sua iniquità; ma del suo sangue domanderò conto a te" (Ez 3:17,18). È un passo fondamentale, che si ricollega strettamente con l'esortazione di Proverbi 24:11. Noi Cristiani abbiamo una responsabilità tutta particolare nella lotta di Dio contro il male, ed è tempo che le nostre coscienze si risveglino per capire che anche se siamo stati salvati per il Regno dei Cieli, noi oggi viviamo nel mondo, e per quanto possa non piacerci è nostro dovere vivere la fede in questa realtà, con tutta la responsabilità e la serietà che questo comporta. Anche ai tre apostoli sul monte della trasfigurazione sarebbe piaciuto restare in un'estasi perenne ad ammirare quel miracolo glorioso (cfr. Marco 9:5), eppure dovettero ridiscendere a valle insieme con Gesù, perché quella era la volontà del Padre. Se Dio avesse semplicemente voluto portarci subito con Sé nella Sua santa dimora, ci avrebbe rapiti il giorno stesso in cui ci ha salvati, e noi non avremmo più dovuto curarci del mondo e di tutto il male che è nel mondo. D'altra parte, se Egli avesse deciso di lasciare l'uomo nelle tenebre senza provvedere a delle lampade, non ci avrebbe mai donato uno Spirito di luce e perfino il sacrificio del Suo Figliolo sarebbe stato risparmiato. Invece la volontà di Dio è stata un'altra: Egli ci ha salvati e ha messo nei nostri cuori una vita nuova, lasciandoci però nel mondo di prima... Perché? Non certo per lasciare che la Sua opera in noi venisse vanificata dalle ingerenze della nostra vecchia natura, ma, al contrario, affinché potessimo glorificare il Nome del nostro Salvatore nel modo più efficace: esercitando il dono della Grazia: "Non si accende una lampada per metterla sotto il moggio, ma sul candeliere, perché faccia luce a tutti coloro che sono in casa. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, affinché vedano le vostre buone opere e glorifichino il Padre vostro che è nei cieli" (Matteo 5:15,16). Fratelli, quando il Signore ci ha tratti dal fango ha aperto i nostri occhi, e da quel momento siamo stati in grado di vedere il peccato in tutta la sua terribile realtà; ha rotto i nostri cuori, e allora abbiamo provato dolore per tutto il male che finalmente vedevamo dietro e intorno a noi. Oggi il Signore ci sta mostrando un altro orribile spettacolo, e se dinanzi all'evidenza di tanto male e ad una così fitta tenebra il nostro animo non si strazia e le lacrime non riescono a bagnarci gli occhi, allora chiediamo perdono al Salvatore, perché le benedizioni della Sua opera non sono più con noi! "Non partecipate alle opere infruttuose delle tenebre; piuttosto denunciatele" (Efesini 5:11): dopo aver compreso l'empietà dell'aborto, non dobbiamo azzardarci a restare indifferenti rimanendo in disparte, perché questo è il modo migliore per partecipare alle "opere infruttuose delle tenebre" e renderci complici silenziosi di un crimine orrendo.

"Io sono con te, e nessuno ti metterà le mani addosso per farti del male" (At 18:10).

Quei bambini continuano a morire, mentre noi parliamo, e se continueremo a parlare senza fare nulla per salvarli, sarà come se li prendessimo per mano e li accompagnassimo personalmente nella squallida clinica che sarà anche la loro tomba. Denunciatele! Perché davanti al peccato, e ad un tale peccato, non potete permettervi indulgenze o compromessi: il sangue di milioni di innocenti è salito fino al cielo, ed è necessario fare tutto il possibile per risvegliare le coscienze morali, affinché i piani del Nemico non possano più trovare terreno fertile nell'odioso mutismo dei più. Sensibilizzare l'opinione pubblica sul problema della vita umana, denunciando con quanto zelo le cliniche e gli ospedali anche nel nostro Paese si impegnano per distruggere impunemente un dono tanto prezioso, è il primo degli obiettivi da porsi se si vogliono raggiungere risultati positivi nella lotta contro l'aborto. Sia ben chiaro, noi non intendiamo richiamarci ad alcun tipo di azione terrorista che implichi la violenza e la persecuzione nei confronti degli aborzionisti: il problema è importante e la posta in gioco è alta, ma qualsiasi brutale estremismo risulta controproducente e non fa che attirare sdegno e discredito su tutti gli oppositori dell'aborto grazie alle pazzie di pochi incoscienti, senza contare l'assurdo controsenso di voler risolvere la violenza e l'omicidio con altra violenza ed altri omicidi. Anche se si agisce in buona fede, si tratta comunque di emotivismi privi di discernimento spirituale, e la Parola ammonisce: "Lo zelo senza conoscenza non è cosa buona" (Proverbi 19:2), "perché l'ira dell'uomo non compie la giustizia di Dio." (Giacomo 1:20) No, per riuscire a contrastare l'avanzamento della strage non c'è bisogno di agitazioni e di abusi, serve qualcosa di ben più potente, serve qualcosa capace di trasformare il leone in agnello, il male in bene: c'è bisogno della Parola di Dio! C'è bisogno della Parola in noi per trovare forza ed equilibrio, c'è bisogno della Parola nel mondo per colpire alla radice il germe dell'errore: il peccato e la tenebra del cuore! Occorre sensibilizzare, risvegliare, scuotere, affondare senza tregua con la potente lama dell'Evangelo di Cristo: "Infatti la Parola di Dio è vivente ed efficace, più affilata di qualunque spada a due tagli" (Ebrei 4:12). Più affilata anche di quei bisturi insanguinati che armano la diabolica follia del peccato! Più efficace della macchina sanitaria per l'eliminazione dei feti! Più di qualsiasi clinica abortista! Siamo rinati nella Parola? Portiamone la luce nei meandri più oscuri della malvagità, ed allora vedremo la verità trionfare anche lì: la verità della potenza del nostro Dio, il Signore della vita! Negli Stati Uniti, dove l'esasperazione di chi sostiene il valore della vita umana ha potuto trovare concreti sbocchi di protesta pubblica grazie all'impegno dei Cristiani, sono sorte diverse associazioni volontarie che finalmente portano in piazza l'indignazione, ormai incontenibile, verso un fenomeno che le istituzioni non mostrano di voler arginare (non molto tempo fa, ad esempio, il Presidente Clinton ha vietato un progetto di legge con il quale si voleva proibire l'orribile pratica dell'aborto a nascita parziale). Si tratta di iniziative estremamente utili per attirare l'attenzione pubblica su un problema cruciale, azioni di denuncia che dovrebbero spronare noi Cristiani e cittadini morali in Italia a scendere nelle nostre strade - in cui le uniche manifestazioni che suscitano reale interesse sono le campagne per la legalizzazione delle droghe o le orge ambulanti del cosiddetto "Orgoglio Gay" - per far udire la nostra voce, per dar voce alla Parola, per dimostrare che anche qui esistono delle persone che intendono difendere il diritto alla vita, ribadendo che l'aborto non è mai stato, non è e non potrà mai essere una pratica minimamente conciliabile con quei princìpi biblici che invece la vita la celebrano e la difendono inflessibilmente come dono e grazia del tutto particolari dell'Iddio onnipotente Creatore ed unico Proprietario di ogni vita

venerdì 17 febbraio 2012

Elvira - Figlia spirituale di Padre Pio - XXI

Continuiamo a scoprire la figura di Elvira, figlia spirituale di San Pio da Pietrelcina; nell'appuntamento odierno l'attenzione si sposta su quella meravigliosa realtà rappresentata dai gruppi di preghiera, di cui San Pio ne è stato artefice:


CAPITOLO V 
IL CENACOLO DELLA S.S. TRINITÀ
I GRUPPI DI PREGHIERA

Preoccupato per lo spegnersi dello spirito cristiano nel mondo, il Sommo Pontefice Pio XII, negli anni 40, aveva ripetutamente esortato i fedeli a costituire delle comunità che, libere dalla schiavitù del rispetto umano, dessero testimonianza di fedeltà alla legge di Dio, frequentassero la Mensa Eucaristica e vi conducessero quanti più potessero amici e conoscenti.

Questo appello del Papa aveva trovato una risonanza immediata nel cuore di Padre Pio che già da tempo accarezzava un progetto del genere. Egli infatti non solo pregava in continuazione, di notte e di giorno, recitando il Rosario anche mentre si spostava da un luogo all'altro del Convento, ma amava radunare settimanalmente dei giovani che trascorressero ore di preghiera con lui, ben convinto di ciò che Gesù aveva detto:

"Se due di voi sono concordi sulla terra intorno a qualunque cosa da chiedere, sarà loro concessa, perché dove sono due o tre radunati nel mio nome, là io sono in mezzo a loro. "

Disse dunque ai suoi collaboratori: "Figliuoli, diamoci da fare, rimbocchiamoci le maniche, rispondiamo per primi alt appello lanciato dal Pontefice. " Nacquero così i GRUPPI DI PREGHIERA che sono quanto di più prezioso Padre Pio ci abbia lasciato: la sua eredità vivente.

Essi erano certamente voluti dalla Divina Provvidenza, perché qui era possibile ai cristiani caricarsi di nuove forze spirituali, mentre altrove ci si perdeva nell'intricata selva delle esperienze pluralistiche, dimenticando l'unica cosa che conti: il ricorso a Dio con la preghiera.

Ha ben detto il Signore: "Senza di me non potete far nulla" e oggi tocchiamo con mano quel che è capace di fare una società senza Dio.

"Ciò che manca all’ umanità - ripeteva tante volte Padre Pio - è la preghiera."

Ecco allora che egli dava come alito di vita ai Gruppi ideati da lui, la preghiera; una preghiera incessante, universale, ascetica, cioè tendente a salire nella via della perfezione, tale da portare a un rinnovamento interiore ed esteriore, dell'individuo e della società. Questa carica di preghiere, fatte con fede viva, doveva essere l'esplosivo dirompente capace di liberarci dalle forze del male che, come piovra mostruosa, attanagliano uomini, famiglie, paesi, istituzioni.

E poiché "l'essere" più che "il dire" è la forza che trasforma il mondo, i membri di questi Gruppi dovevano, prima di tutto, essere dei cristiani veri, integrali, capaci di portare avanti, cioè di vivere integralmente il Credo e il Decalogo, di essere fedeli, senza compromessi, alla Morale di sempre e di dare questa testimonianza dovunque si trovassero a vivere, in ogni momento.

Era senz'altro l'attuazione di un disegno sapienziale di Dio fra gli uomini, del Padre amorosissimo che ci vorrebbe tutti salvi. "Un fiume di persone che pregano - erano stati definiti questi Gruppi - che nell'esempio di Padre Pio e nella speranza del suo aiuto spirituale, si dedicano alla vita cristiana e danno testimonianza di comunione nella preghiera, nella carità, nella povertà di spirito e nell’energia della professione cristiana".

Quelli che sapranno realizzare veramente questo programma tracciato da Padre Pio, un giorno, quando tutto sarà reso noto davanti a Dio, comprenderanno quale cammino di luce avranno percorso e quanto avranno contribuito, con la loro vita di preghiera, a preparare la rifioritura della cristianità tanto oggi devastata.

La nostra epoca, messa in scacco, si vede oramai sempre più costretta a sperare solo da queste forze nascoste la salvezza suprema.

giovedì 16 febbraio 2012

Benedetto XVI: Gesù ci insegna ad amare e a perdonare.

Udienza Generale di Papa Benedetto XVI - 15 Febbraio 2012

BENEDETTO XVI

UDIENZA GENERALE

Aula Paolo VI
Mercoledì, 15 febbraio 2012


La preghiera di Gesù nell'imminenza della morte - Lc

Cari fratelli e sorelle,

nella nostra scuola di preghiera, mercoledì scorso, ho parlato sulla preghiera di Gesù sulla Croce presa dal Salmo 22: “Dio, Dio mio perché mi hai abbandonato?” adesso vorrei continuare a meditare sulla preghiera di Gesù in croce, nell’imminenza della morte, vorrei soffermarmi oggi sulla narrazione che incontriamo nel Vangelo di san Luca. L'Evangelista ci ha tramandato tre parole di Gesù sulla croce, due delle quali – la prima e la terza – sono preghiere rivolte esplicitamente al Padre. La seconda, invece, è costituita dalla promessa fatta al cosiddetto buon ladrone, crocifisso con Lui; rispondendo, infatti, alla preghiera del ladrone, Gesù lo rassicura: «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso» (Lc 23,43). Nel racconto di Luca sono così intrecciate suggestivamente le due preghiere che Gesù morente indirizza al Padre e l'accoglienza della supplica che a Lui è rivolta dal peccatore pentito. Gesù invoca il Padre e insieme ascolta la preghiera di quest’uomo che spesso è chiamato latro poenitens, «il ladrone pentito».

Soffermiamoci su queste tre preghiere di Gesù. La prima la pronuncia subito dopo essere stato inchiodato sulla croce, mentre i soldati si stanno dividendo le sue vesti come triste ricompensa del loro servizio. In un certo senso è con questo gesto che si chiude il processo della crocifissione. Scrive san Luca: «Quando giunsero sul luogo chiamato Cranio, vi crocifissero lui e i malfattori, uno a destra e l’altro a sinistra. Gesù diceva: “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno”. Poi dividendo le sue vesti, le tirarono a sorte» (23,33-34). La prima preghiera che Gesù rivolge al Padre è di intercessione: chiede il perdono per i propri carnefici. Con questo, Gesù compie in prima persona quanto aveva insegnato nel discorso della montagna quando aveva detto: «A voi che ascoltate, io dico: amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano» (Lc 6,27) e aveva anche promesso a quanti sanno perdonare: «la vostra ricompensa sarà grande e sarete figli dell’Altissimo» (v. 35). Adesso, dalla croce, Egli non solo perdona i suoi carnefici, ma si rivolge direttamente al Padre intercedendo a loro favore.

Questo atteggiamento di Gesù trova un’«imitazione» commovente nel racconto della lapidazione di santo Stefano, primo martire. Stefano, infatti, ormai prossimo alla fine, «piegò le ginocchia e gridò a gran voce: “Signore, non imputare loro questo peccato”. Detto questo, morì» (At 7,60): questa è stata la sua ultima parola. Il confronto tra la preghiera di perdono di Gesù e quella del protomartire è significativo. Santo Stefano si rivolge al Signore Risorto e chiede che la sua uccisione – un gesto definito chiaramente con l’espressione «questo peccato» – non sia imputata ai suoi lapidatori. Gesù sulla croce si rivolge al Padre e non solo chiede il perdono per i suoi crocifissori, ma offre anche una lettura di quanto sta accadendo. Secondo le sue parole, infatti, gli uomini che lo crocifiggono «non sanno quello che fanno» (Lc 23,34). Egli pone cioè l’ignoranza, il «non sapere», come motivo della richiesta di perdono al Padre, perché questa ignoranza lascia aperta la via verso la conversione, come del resto avviene nelle parole che pronuncerà il centurione alla morte di Gesù: «Veramente, quest’uomo era giusto» (v. 47), era il Figlio di Dio. «Rimane una consolazione per tutti i tempi e per tutti gli uomini il fatto che il Signore, sia a riguardo di coloro che veramente non sapevano – i carnefici – sia di coloro che sapevano e lo avevano condannato, pone l'ignoranza quale motivo della richiesta di perdono – la vede come porta che può aprirci alla conversione» (Gesù di Nazaret, II, 233).

La seconda parola di Gesù sulla croce riportata da san Luca è una parola di speranza, è la risposta alla preghiera di uno dei due uomini crocifissi con Lui. Il buon ladrone davanti a Gesù rientra in se stesso e si pente, si accorge di trovarsi di fronte al Figlio di Dio, che rende visibile il Volto stesso di Dio, e lo prega: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno» (v. 42). La risposta del Signore a questa preghiera va ben oltre la richiesta; infatti dice: «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso» (v. 43). Gesù è consapevole di entrare direttamente nella comunione col Padre e di riaprire all’uomo la via per il paradiso di Dio. Così attraverso questa risposta dona la ferma speranza che la bontà di Dio può toccarci anche nell’ultimo istante della vita e la preghiera sincera, anche dopo una vita sbagliata, incontra le braccia aperte del Padre buono che attende il ritorno del figlio.

Ma fermiamoci sulle ultime parole di Gesù morente. L’Evangelista racconta: «Era già verso mezzogiorno e si fece buio su tutta la terra fino alle tre del pomeriggio, perché il sole si era eclissato. Il velo del tempio si squarciò a metà. Gesù, gridando a gran voce, disse: “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito”. Detto questo, spirò» (vv. 44-46). Alcuni aspetti di questa narrazione sono diversi rispetto al quadro offerto in Marco e in Matteo. Le tre ore di oscurità in Marco non sono descritte, mentre in Matteo sono collegate con una serie di diversi avvenimenti apocalittici, come il terremoto, l’apertura dei sepolcri, i morti che risuscitano (cfr Mt 27,51-53). In Luca, le ore di oscurità hanno la loro causa nell’eclissarsi del sole, ma in quel momento avviene anche il lacerarsi del velo del tempio. In questo modo il racconto lucano presenta due segni, in qualche modo paralleli, nel cielo e nel tempio. Il cielo perde la sua luce, la terra sprofonda, mentre nel tempio, luogo della presenza di Dio, si lacera il velo che protegge il santuario. La morte di Gesù è caratterizzata esplicitamente come evento cosmico e liturgico; in particolare, segna l’inizio di un nuovo culto, in un tempio non costruito da uomini, perché è il Corpo stesso di Gesù morto e risorto, che raduna i popoli e li unisce nel Sacramento del suo Corpo e del suo Sangue.

La preghiera di Gesù, in questo momento di sofferenza – «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito» - è un forte grido di estremo e totale affidamento a Dio. Tale preghiera esprime la piena consapevolezza di non essere abbandonato. L’invocazione iniziale - «Padre» – richiama la sua prima dichiarazione di ragazzo dodicenne. Allora era rimasto per tre giorni nel tempio di Gerusalemme, il cui velo ora si è squarciato. E quando i genitori gli avevano manifestato la loro preoccupazione, aveva risposto: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo essere in ciò che è del Padre mio?» (Lc 2,49). Dall'inizio alla fine, quello che determina completamente il sentire di Gesù, la sua parola, la sua azione, è la relazione unica con il Padre. Sulla croce Egli vive pienamente, nell’amore, questa sua relazione filiale con Dio, che anima la sua preghiera.

Le parole pronunciate da Gesù, dopo l'invocazione «Padre», riprendono un'espressione del Salmo 31: «Alle tue mani affido il mio spirito» (Sal 31,6). Queste parole, però, non sono una semplice citazione, ma piuttosto manifestano una decisione ferma: Gesù si «consegna» al Padre in un atto di totale abbandono. Queste parole sono una preghiera di «affidamento», piena di fiducia nell’amore di Dio. La preghiera di Gesù di fronte alla morte è drammatica come lo è per ogni uomo, ma, allo stesso tempo, è pervasa da quella calma profonda che nasce dalla fiducia nel Padre e dalla volontà di consegnarsi totalmente a Lui. Nel Getsemani, quando era entrato nella lotta finale e nella preghiera più intensa e stava per essere «consegnato nelle mani degli uomini» (Lc 9,44), il suo sudore era diventato «come gocce di sangue che cadono a terra» (Lc 22,44). Ma il suo cuore era pienamente obbediente alla volontà del Padre, e per questo «un angelo dal cielo» era venuto a confortarlo (cfr Lc 22,42-43). Ora, negli ultimi istanti, Gesù si rivolge al Padre dicendo quali sono realmente le mani a cui Egli consegna tutta la sua esistenza. Prima della partenza per il viaggio verso Gerusalemme, Gesù aveva insistito con i suoi discepoli: «Mettetevi bene in mente queste parole: il Figlio dell’uomo sta per essere consegnato nelle mani degli uomini» (Lc 9,44). Adesso, che la vita sta per lasciarlo, Egli sigilla nella preghiera la sua ultima decisione: Gesù si è lasciato consegnare «nelle mani degli uomini», ma è nelle mani del Padre che Egli pone il suo spirito; così – come afferma l’Evangelista Giovanni – tutto è compiuto, il supremo atto di amore è portato sino alla fine, al limite e al di là del limite.

Cari fratelli e sorelle, le parole di Gesù sulla croce negli ultimi istanti della sua vita terrena offrono indicazioni impegnative alla nostra preghiera, ma la aprono anche ad una serena fiducia e ad una ferma speranza. Gesù che chiede al Padre di perdonare coloro che lo stanno crocifiggendo, ci invita al difficile gesto di pregare anche per coloro che ci fanno torto, ci hanno danneggiato, sapendo perdonare sempre, affinché la luce di Dio possa illuminare il loro cuore; e ci invita a vivere, nella nostra preghiera, lo stesso atteggiamento di misericordia e di amore che Dio ha nei nostri confronti: «rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori», diciamo quotidianamente nel «Padre nostro». Allo stesso tempo, Gesù, che nel momento estremo della morte si affida totalmente nelle mani di Dio Padre, ci comunica la certezza che, per quanto dure siano le prove, difficili i problemi, pesante la sofferenza, non cadremo mai fuori delle mani di Dio, quelle mani che ci hanno creato, ci sostengono e ci accompagnano nel cammino dell’esistenza, perché guidate da un amore infinito e fedele. Grazie.

{Saluti in varie lingue: Je salue les pèlerins francophones, particulièrement le groupe de l’Institut Catholique de Toulouse, les paroissiens, et les collégiens et lycéens présents ici ce matin. Que l’exemple de Jésus fortifie votre confiance en l’amour du Père pour chacun de vous ! Comme nous le demandons dans la prière du Notre Père, apprenons de lui à pardonner afin que la lumière de Dieu puisse éclairer le monde. Bon séjour à tous !

I welcome the priests taking part in the Institute for Continuing Theological Education at the Pontifical North American College. My greeting also goes to the pilgrims from the Archdiocese of Toronto, as well as to the many diocesan, parish and school groups present at today’s Audience, especially the students of Our Lady’s High School in Motherwell, Scotland. Upon all the English-speaking pilgrims and visitors, including those from England, Ireland, Norway and the United States, I cordially invoke God’s blessings!

Gerne grüße ich alle Gäste deutscher Sprache, insbesondere die Studierenden des Kirchenrechts der Universitäten München und Augsburg sowie den TSV 1860 München. Ich freue mich über Ihre Anwesenheit! Das Beten Jesu am Kreuz lädt uns ein, den anderen zu verzeihen und auch für die zu beten, die uns unrecht tun. Zugleich schenkt es uns Vertrauen und Zuversicht: Wir dürfen gewiß sein, daß wir in Not und Leid nicht aus Gottes Händen herausfallen, sondern in diesen guten Händen geborgen bleiben. Gott segne euch alle.

Saludo cordialmente a los peregrinos de lengua española, en particular a los miembros del Club Atlético de Madrid, así como a los demás grupos provenientes de España, Costa Rica, Chile, Argentina, México y otros países latinoamericanos. Jesús que en el momento de la muerte se confío totalmente en la manos de Dios Padre, nos comunique la certeza de que, a pesar de las duras las pruebas, los problemas, el sufrimiento, estamos acompañados de su gran amor. Muchas gracias.

Saúdo todos os peregrinos de língua portuguesa, nomeadamente os fiéis brasileiros vindos de Curitiba, a quem exorto a aprender do exemplo da oração de Jesus, uma oração cheia de serena confiança e firme esperança no Pai do Céu, que nunca nos abandona. Que as Suas Bênçãos sempre vos acompanhem! Ide em paz!

Saluto in lingua polacca:

Witam polskich pielgrzymów. Słowa konającego Jezusa są dla nas lekcją modlitwy inspirowanej duchem przebaczenia. Powtarzając codziennie: „odpuść nam nasze winy, jako i my odpuszczamy naszym winowajcom”, pamiętajmy, że darowanie krzywd jest aktem miłości, która jednoczy nas z miłosiernym i przebaczającym Bogiem, wyzwala z nienawiści i goi wszelkie rany.
Niech będzie pochwalony Jezus Chrystus!

Traduzione italiana:

Do il benvenuto ai pellegrini polacchi. Le parole di Gesù agonizzante sono per noi una lezione della preghiera ispirata dallo spirito di perdono. Ripetendo quotidianamente: “rimetti i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori”, ricordiamoci che il perdono delle colpe è un atto d’amore che ci unisce a Dio misericordioso e perdonante, libera dall’odio e guarisce tutte le ferite.
Sia lodato Gesù Cristo!

Saluto in lingua ungherese:

Isten hozott Benneteket, kedves magyar hívek! Nagy szeretettel üdvözölletek Benneteket, különösen is azokat, akik Budapestről, Ausztriából, Németországból és Erdélyből érkeztek!
Az örök város szent helyeinek látogatása erősítse meg odaadástokat az apostolok tanúságtételére épülő Egyház iránt.
Szívesen adom rátok és jószándékaitokra Apostoli Áldásomat.
Dicsértessék a Jézus Krisztus!

Traduzione italiana:

Saluto con grande affetto i fedeli di lingua ungherese, specialmente coloro che sono arrivati da Budapest, dall’Austria, dalla Germania e dalla Transilvania.
La visita dei luoghi sacri della città eterna approfondisca il vostro amore per la Chiesa, edificata sulla testimonianza degli Apostoli.
Volentieri imparto la Benedizione Apostolica a voi ed alle vostre intenzioni.
Sia lodato Gesù Cristo!

Saluto in lingua slovacca:

S láskou pozdravujem slovenských pútnikov, osobitne zástupcov kresťanských laických združení.

Bratia a sestry, Cirkev v Európe slávila včera sviatok svojich spolupatrónov, svätých bratov Cyrila a Metoda. Oni sú pre vás vzorom vernosti Kristovi a jeho Evanjeliu. Buďte verní tomuto ich odkazu. S týmto želaním vás žehnám. Pochválený buď Ježiš Kristus!

Traduzione italiana:

Saluto con affetto i pellegrini slovacchi, particolarmente i delegati delle associazioni di fedeli laici.

Fratelli e sorelle, la Chiesa in Europa ha celebrato ieri la festa di suoi Compatroni, i Santi fratelli Cirillo e Metodio. Essi sono per voi modello di fedeltà a Cristo e al suo Vangelo. Siate fedeli a questo esempio. Con questo augurio vi benedico. Sia lodato Gesù Cristo!}

* * *

Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. Benvenuti! In particolare saluto voi, fedeli della diocesi di Pozzuoli, accompagnati dal vostro Pastore Mons. Gennaro Pascarella e, mentre vi ringrazio per la testimonianza della vostra fede, auguro che le vostre comunità parrocchiali e le varie realtà ecclesiali siano sempre più luoghi di formazione spirituale e di autentica fraternità. Saluto i Cardinali Stanislao Dziwisz e Stanislao Ryłko e le altre Autorità con la Delegazione venuta a presentarmi la riproduzione della Porta Santa della Basilica di S. Pietro che sarà collocata nel museo del Beato Giovanni Paolo II a Wadowice. Saluto con affetto i rappresentanti dell’Associazione Nazionale Famiglie Numerose. Nell’odierno contesto sociale, i nuclei familiari con tanti figli costituiscono una testimonianza di fede, di coraggio e di ottimismo, perché senza figli non c’è futuro! Auspico che vengano ulteriormente promossi adeguati interventi sociali e legislativi a tutela e a sostegno delle famiglie più numerose, perché queste famiglie costituiscono una ricchezza e una speranza per l’intero Paese.

Saluto infine i giovani, gli ammalati e gli sposi novelli. Ieri abbiamo celebrato la festa dei Santi Cirillo e Metodio, primi diffusori della fede tra i popoli slavi. La loro testimonianza aiuti anche voi ad essere apostoli del Vangelo, fermento di autentico rinnovamento nella vita personale, familiare e sociale.

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