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sabato 4 dicembre 2010

Non farlo (Storia di un aborto) - Sesta parte

Continuiamo a leggere la testimonianza anonima di un aborto che invita alla riflessione all'esortazione più importante: "non farlo!". Oggi vediamo la reazione alla notizia di essere incinta: invece di essere fonte di gioia, essa si presenta come fonte di profondo dolore e ripugnanza, a dimostrazione del fatto che il sesso pre-matrimoniale è un errore che può trasformare il bene e la gioia in male ed infelicità :

A stento riuscii a trattenere il pianto all’interno del laboratorio. Uscii con gli occhi bassi dalla porta, sentendo lo sguardo compassionevole della dottoressa puntato su di me.
Entrai in macchina, stravolta, dove scoppiai in un pianto disperato. Gridavo, non vedevo la strada, continuavo a chiedermi ad altissima voce “perché”, “perché proprio a me”, e poi mi ripetevo che non poteva essere vero, che era solo un brutto sogno, che una persona squallida, perfida, senza un briciolo di cuore, di dolcezza come Marco non poteva, non avrebbe mai dovuto lasciare in me una parte di sé…
Mi sentivo sporca.
Sentivo l’anima oscurata, resa impura da questo peccato, dentro di me non avevo realmente l’idea di ciò che realmente stava accadendo alla mia vita, intima e non…
Sentivo solo che la sua cattiveria era entrata in ogni mia cellula, cercava di contagiarmi, di rendermi infima come lui, di impossessarsi, dopo il mio corpo, anche della mia anima.
Inspiegabilmente sentivo il mio corpo abitato da un mostro, da un residuo sporco del suo piacere, un piacere quasi violento, prepotente, egoista. Non ricordavo più le belle parole che avevo sentito pronunciare da Marco
quando mi convinse a provare ad avere un bambino. Non so come, ma quello che sentivo non era l’amore per un figlio, ma un sentimento di ripugnanza nei confronti di una persona miserabile come lui. Non fui minimamente in grado di rendermi conto che, aldilà di ogni mio personalissimo pensiero (per quanto spregevole e doloroso fosse), quel piccolo essere che si stava formando, era all’oscuro di tutto, di tutti i nostri problemi, i nostri difetti, la nostra incompatibilità, e non aveva alcuna colpa di ciò che stava accadendo.
Non ho mai dato la colpa a quel bambino, questo no. Ma il mio errore più grande, più imperdonabile, è stato quello di non voler vedere che in fondo si trattava proprio di questo: un bambino.
Questo sarebbe oggi …

Fino allora, purtroppo, avevo sempre sentito affrontare l’argomento dell’aborto cinicamente, con una tale disinvoltura da apparire una scelta di vita pari a qualunque altra. Sentivo parlare di “agglomerati di cellule”, sentivo dire frasi crudeli e glaciali, pronunciate con una facilità tale da risultare persino banali come: “Decidere se tenerlo o meno”. Da queste parole traspariva solo tanto egoismo e tanta stupida presunzione umana: come se si potesse scegliere, come se fossimo noi a decidere, arbitrariamente, di dare la vita o meno ad un’altra persona, come fosse stata progettata a tavolino da noi, come se potessimo “costruire” noi un miracolo come quello di un bambino, paragonandolo ad un burattino di legno, salvo poi poterlo distruggere a nostro piacimento…
Tutte considerazioni queste, fatte a posteriori, che in quel momento non ero assolutamente in grado di formulare, e che solo ora che è troppo tardi, vedo in maniera così nitida, così ovvia e triste…
Ma allora no, non capivo, non capivo nulla. Ero accecata dal dolore, dalla delusione, dalla rabbia, dallo sconforto, e mi sentivo terribilmente sola. Non sapevo minimamente cosa fare, come comportami, come muovermi, se e con chi parlare di questo mio “problema”…
Ripensavo a Marco, alle sue parole, e un episodio ad un tratto mi tornò in mente: durante gli ultimi giorni della nostra storia, prima del litigio più grande, che ci aveva portato a lasciarci definitivamente, ebbi un capogiro, mi sdraiai sul divano che si trovava nel suo studio radiofonico, mentre conduceva il suo programma mattutino, e mi resi conto che era una sensazione molto strana, che mai avevo provato prima. Mi chiesi da cosa potesse derivare, e quasi per gioco, ma anche per vedere che reazione avrebbe avuto, chiesi a lui se riteneva possibile che fossi incinta…
Lui mi rispose con assoluta freddezza, dicendo: “Oh no, Mary, ti prego, non darmi altri problemi, ne ho già abbastanza in questo momento!”
Lo guardai con terrore, e all’istante cercai di dimenticare, di rimuovere completamente la sensazione di sconforto, di rifiuto, di umiliazione che mi avevano procurato le sue parole. Cercai a quel punto di sdrammatizzare, addirittura cercai di rassicurarlo dicendogli che certamente si trattava di un falso allarme. Lo speravo talmente tanto che decisi di non pensare più a quel frangente: quell’episodio che di sicuro non avrebbe avuto alcun seguito. Evidentemente avevo torto.
Tornai a casa, tentando di nascondere lo stato di shock in cui mi trovavo, mi chiusi in camera e piansi, piansi tutta la sera, e tutta la notte.

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