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sabato 11 dicembre 2010

Non farlo (Storia di un aborto) - Settima parte

Continuiamo a leggere la testimonianza anonima di un aborto che invita alla riflessione all'esortazione più importante: "non farlo!". Oggi vediamo in che modo matura la decisione più terribile che si possa prendere e allo stesso modo vediamo come l'autrice, con il senno del poi, si sia resa conto dell'e(o)rrore commesso, al punto da non riuscire più a vivere serenamente. Carissimi, ricordiamoci che questa è una storia vera che dimostra come, in certi momenti, la propria vulnerabilità può portare a prendere decisioni orribili che pesano sulla vita di altre persone (poiché l'aborto pone fine ad una vita in crescita) :

Il giorno dopo trascorsi tutta la mattinata a riflettere, a cercare una soluzione, ma non avevo la lucidità per farlo: vedevo tutto nero.
Davanti a me c’era il vuoto, dietro di me solo un sentiero di dolore. Dentro me una profonda sensazione di disgusto per quel ragazzo così cinico e insensibile. Mi sentivo totalmente smarrita, sola, abbandonata, in balia di me stessa. Cercai di essere razionale il più possibile, e giunsi alla conclusione che, aldilà di ogni
mio rancore, fosse giusto che Marco sapesse… Così, nel tardo pomeriggio, tra mille ripensamenti sul come fare a dirglielo, su come pormi nei suoi confronti, decisi di chiamarlo, nella segreta, grandissima speranza che, come per incanto, lui si sarebbe intenerito al punto di dimenticare ogni nostra incomprensione, e di voler ricominciare da zero…
Non accadde nulla di ciò che avevo sperato.
Gli telefonai, pensando che fosse il caso di dirgli, al momento, solo che avevo bisogno di parlare con lui...
Fu molto freddo con me, mi disse che non aveva tempo né voglia di parlarmi, anche se avevo bisogno di comunicargli qualcosa di molto importante… Non ci fu verso di vederlo, così fui costretta a dargli la notizia per telefono, senza neppure poterlo guardare negli occhi…
Chissà, se fossi riuscita a comunicarglielo di persona, se le cose sarebbero potute andare diversamente. Chissà se, invece, era già stato deciso che andasse a finire così, nel più atroce dei modi.
Gli dissi tutto d’un fiato che avevo avuto un notevole ritardo ed ero andata a fare un test di gravidanza. Non riuscivo, tanta era la rabbia che avevo nei suoi confronti, a trovare parole più dolci per dirglielo. Fui in grado solo di dire: “Il test è risultato positivo”.
Forse avrei dovuto utilizzare espressioni più delicate: dirgli che ero in dolce attesa, che aspettavo suo figlio, finalmente, e che le cose si sarebbero sistemate. Ma in quel momento non mi resi conto, certamente anche a causa dello sconvolgimento ormonale che avevo subito, nel corpo e nella mente, di capire che anche per lui poteva essere una notizia sconvolgente quanto lo era stata per me.

Lui, impulsivo e aggressivo com’era sempre stato, non diede minimamente importanza a ciò che aveva appena sentito. Si limitò a rispondermi: “Mi hai stufato, sistema questa faccenda perché di te non voglio sapere più niente!”. E con queste parole, che non dimenticherò finché avrò vita, mi sbatté il telefono in faccia.
Se prima avrei potuto concedermi una speranza, credere ancora nella persona con cui avevo a che fare, ora ogni dubbio era svanito di colpo, purtroppo.
Non c’era altra soluzione, ora ero certa che non avrei voluto avere nessun tipo di legame con un mostro come lui, né ora né mai. La delusione era cocente, piangevo di un pianto senza fine, il dolore mi lacerava, mi sentivo umiliata, ferita, e sempre più sola.
Non potevo tenere il figlio di questa persona nel mio grembo… immaginavo che sarebbe diventato come lui, che sarebbe stato un piccolo Marco, pieno di rancore e senza alcuna sensibilità.
Non doveva accadere, io non dovevo permettere una cosa del genere, dovevo vendicarmi, fargli del male, escludere ogni possibilità di doverlo rivedere in futuro, anche per una sola volta. Dovevo tagliare tutti i ponti con lui a qualunque costo.
Erano questi gli unici pensieri che riusciva a formulare la mia mente oramai avvelenata, distrutta dal dolore. Non c’era posto per nessun tipo di ottimismo, di speranza: assolutamente nulla.

Dentro di me era morta ogni speranza. Ogni spiraglio di luce, che mi ero illusa di poter scorgere nel cuore di Marco, era stato oscurato definitivamente. Le mie speranze erano tramontate per sempre. Decisi tutto in un attimo, con il cuore oramai raggelato, annientato dal dolore. Nella mia mente si era ormai fissato un unico pensiero… non volevo e non potevo portare avanti quella gravidanza, a qualsiasi costo.
Quel bambino, pensavo, sarebbe stato destinato a vivere come un pacco postale, ad essere conteso tra due persone che si sarebbero detestate per sempre, e sarebbe cresciuto chiedendosi perché fosse capitato proprio a lui, e magari addossandosi delle colpe che in realtà erano esclusivamente dei suoi genitori.

Io non potevo permettere che accadesse questo al mio piccolo Angelo, e paradossalmente mi convinsi che interrompere la gravidanza fosse l’unica soluzione possibile, l’unico modo “veramente infallibile” per proteggerlo da una vita d’inferno…
Ignoravo tante di quelle verità, che ora a pensarci mi chiedo con che razza di coraggio riesca ogni mattina ad alzarmi dal letto, a guardarmi allo specchio, a non desiderare di morire all’istante, di sacrificare me stessa, se solo si potesse tornare indietro, pur di salvare lui.
Solo ora mi rendo conto del diritto che mi sono arrogata, di interrompere una vita! Anche nel caso in cui fosse stata una vita difficile, anche se il bambino avesse sofferto molto per la sua situazione familiare, se la sarebbe cavata, sarebbe cresciuto, sarebbe diventato un uomo, o una donna, e avrebbe potuto fare le sue scelte in piena libertà.
Tutto ciò che, per colpa mia, non farà mai.
Non vedrà mai la luce del giorno, non piangerà, non sorriderà, non si commuoverà, non si emozionerà… Non vivrà mai la sua vita, perché io ho spietatamente deciso che andasse in questo modo. Come ho potuto? Questo continuo a chiedermi… Come ho fatto ad essere così cieca? Così egoista da non capire che non spetta a me decidere di far nascere o meno un altro essere umano?

Non riesco a trovare una giustificazione, una spiegazione a tanta atrocità, a tanta freddezza, che si è impadronita del mio cuore in quegli istanti, al punto tale da aver annullato in me ogni forma di altruismo, ogni capacità di pensare a lui, o lei, e non solo a me stessa, ai miei maledettissimi sbagli, al mio orgoglio ferito, ai miei sentimenti traditi, alla mia umiliazione.
La verità è che lui non avrebbe mai dovuto espiare le mie colpe. Perché è questo che ha dovuto fare a causa mia: ha pagato al posto mio, ha pagato senza aver commesso alcuna colpa. Io sono qui e lui non c’è. Dov’è? Come sta? Mi potrà mai perdonare? Io certamente no, non lo farò mai. Rimpiangerò ogni giorno che vivrò su questa terra, e sentirò di non meritare un posto quaggiù, ma all’inferno, perché solo questo merito.

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