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mercoledì 29 giugno 2011

Celebrando i Santissimi Pietro e Paolo: Omelia del Beato Giovanni Paolo II

In questa giornata in cui la Chiesa Cattolica celebra i Santissimi Apostoli Pietro e Paolo, vere colonne portanti di essa, anche la nostra piccola Vigna vuole fermarsi a celebrarli, avendoli scelti come protettori del suo piccolo ed umile lavoro. Per questo motivo, derogando alla consueta programmazione, proponiamo il testo integrale dell'omelia del Beato Giovanni Paolo II, pronunciata in questa meravigliosa giornata del 1979 (si tratta della sua prima celebrazione di questa solennità dopo la sua ascensione al soglio pontificio):


SOLENNITÀ DEGLI APOSTOLI PIETRO E PAOLO

OMELIA DI SUA SANTITÀ GIOVANNI PAOLO II

29 giugno 1979

1. La liturgia odierna ci conduce, come ogni anno, nella regione di Cesarea di Filippo, dove Simone, figlio di Giona ha sentito dalla bocca di Cristo queste parole: “Beato te... perché né la carne né il sangue te l’hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli” (Mt 16,17).

Simone ha sentito queste parole dalla bocca di Cristo quando alla domanda: “La gente chi dice che sia il figlio dell’uomo?” (Mt 16,13) egli solo ha dato tale risposta: “Tu sei il Messia (“Christos”), il figlio del Dio vivente” (Mt 16,16).

Questa risposta si trova al centro della storia di Simone, che Cristo ha cominciato a chiamare Pietro.

Il luogo, in cui essa è stata pronunciata, è un luogo storico. Quando il Papa Paolo VI, come pellegrino, visitò la Terra Santa, a quel luogo dedicò una particolare attenzione. Ogni successore di Pietro deve ritornare in quel luogo col pensiero e col cuore. Lì è stata riconfermata la fede di Pietro: “Né la carne né il sangue te l’hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli” (Mt 16,17).

Cristo sente la confessione di Pietro, che poco prima e stata pronunciata. Cristo guarda nell’anima dell’Apostolo, che confessa. Benedice l’opera del Padre in questa anima. L’opera del Padre raggiunge l’intelletto, la volontà e il cuore, indipendentemente dalla “carne” e dal “sangue“; indipendentemente dalla natura e dai sensi. L’opera del Padre, mediante lo Spirito Santo, raggiunge l’anima del semplice uomo, del pescatore di Galilea. La luce interiore proveniente da quest’opera trova espressione nelle parole: “Tu sei il Cristo, il figlio del Dio vivente” (Mt 16,16).

Le parole sono semplici. Ma in esse si esprime la verità sovrumana. La verità sovrumana, divina, si esprime con l’aiuto di parole semplici, molto semplici. Tali furono le parole di Maria nel momento dell’annunciazione. Tali furono le parole di Giovanni Battista al Giordano. Tali sono le parole di Simone nei pressi di Cesarea di Filippo: Simone, che Cristo ha chiamato Pietro.

Cristo guarda nell’anima di Simone. Sembra che ammiri l’opera compiuta in essa dal Padre, mediante lo Spirito Santo: ecco, confessando la verità rivelata sulla figliolanza divina del suo Maestro, Simone diventa partecipe della divina Conoscenza, di quella inscrutabile Scienza, che il Padre ha del Figlio, così come il Figlio ha del Padre.

E Cristo dice: “Beato te, Simone figlio di Giona” (Mt 16,17).

2. Queste parole si trovano nel centro stesso della storia di Simon Pietro. Non è stata mai ritirata questa benedizione. Così come non è stata mai offuscata, nell’anima di Pietro, quella confessione, che ha fatto allora, nei pressi di Cesarea di Filippo. Con essa ha trascorso tutta la sua vita fino all’ultimo giorno. Ha trascorso con essa quella terribile notte della cattura di Cristo nel giardino del Getsemani; la notte della propria debolezza, della più grande debolezza, che si è manifestata nel rinnegare l’uomo... ma che non ha distrutto la fede nel figlio di Dio. La prova della croce è stata ricompensata dalla testimonianza della Risurrezione. Essa apportò alla confessione, fatta nella regione di Cesarea di Filippo, un argomento definitivo.

Pietro andava adesso, con questa sua fede nel Figlio di Dio, incontro alla missione, che il Signore gli aveva assegnato.

Quando per ordine di Erode, si è trovato nella prigione di Gerusalemme, incatenato e condannato a morte, sembrò che tale missione sarebbe durata poco. Invece Pietro fu liberato dalla stessa forza, dalla quale era stato chiamato. Gli era stata destinata una strada ancora lunga. Alla fine di questa strada, si è trovato, come indica una tradizione confermata d’altronde da molte rigorose ricerche, solo il 29 giugno dell’anno 68, di questa era, che convenzionalmente si conta dalla nascita di Cristo.

Alla fine di questa strada, l’Apostolo Pietro, già Simone figlio di Giona, si è trovato qui a Roma, qui, in questo luogo, sul quale ci troviamo adesso, sotto l’altare, dove si celebra l’Eucaristia.

“La carne e il sangue” sono stati distrutti fino alla fine; sono stati sottomessi alla morte. Ma ciò che un tempo gli aveva rivelato il Padre (cf.Mt 16,17), è sopravvissuto alla morte della carne; è diventato l’inizio dell’eterno incontro col Maestro, al quale ha dato testimonianza fino alla fine. L’inizio della beata Visione del Figlio del Padre.

Ed è diventato anche l’incrollabile fondamento della fede della Chiesa. La sua pietra, la roccia.

“Beato te, Simone figlio di Giona” (Mt 16,17).

3. Nella liturgia odierna, che unisce la commemorazione della morte e della gloria dei santi Apostoli Pietro e Paolo, leggiamo le seguenti parole della lettera a Timoteo: “Carissimo, quanto a me, il mio sangue sta per essere sparso in libagione ed è giunto il momento di sciogliere le vele. Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede. Ora mi resta solo la corona di giustizia che il Signore, giusto giudice, mi consegnerà in quel giorno; e non solo a me, ma anche a tutti coloro che attendono con amore la sua manifestazione” (2Tm 4,6-8).

Certamente, fra tutti coloro che hanno amato la manifestazione del Signore, Paolo da Tarso è stato l’amante singolare, l’intrepido combattente, il testimone inflessibile.

“Il Signore... mi è stato vicino”; ricordiamo bene come e dove questo ha avuto luogo; ricordiamo quello che accadde vicino alle mura di Damasco? “Il Signore però mi è stato vicino e mi ha dato forza, perché per mio mezzo si compisse la proclamazione del messaggio e potessero sentirlo tutti i Gentili” (2Tm 4,17).

Paolo, in un grandioso scorcio, disegna l’opera di tutta la sua vita. Ne parla di qui, da Roma, al suo diletto discepolo, quando si avvicina la fine della sua vita interamente dedicata al Vangelo.

Penetrante è – ancora in questa tappa – questa coscienza del peccato e della grazia; della grazia che supera il peccato, e apre la strada alla gloria: “Il Signore mi libererà da ogni male e mi salverà per il suo regno eterno” (2Tm 4,18).

La Chiesa romana rievoca oggi, in modo particolare, nella sua memoria i due ultimi sguardi nella stessa direzione; nella direzione di Cristo crocifisso e risorto. Lo sguardo di Pietro agonizzante sulla croce e di Paolo morente sotto la spada.

Questi due sguardi di fede – di quella fede che ha riempito la loro vita fino alla fine e ha posto i fondamenti della luce divina nella storia dell’uomo sulla terra – permangono nella nostra memoria. E in questo giorno ravviviamo la nostra fede in Cristo con una forza particolare.

In questa prospettiva sono lieto di salutare la delegazione inviata dall’amato fratello, il Patriarca ecumenico Dimitrios I, per associarsi a questa celebrazione dei corifei degli Apostoli, i Santi Pietro e Paolo, testimoniando così come le relazioni tra le nostre due Chiese si intensificano sempre di più in un comune sforzo verso la piena unità.

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