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sabato 4 giugno 2011

In difesa della vita - Evangelium vitae - XV

Torna l'appuntamento con la Lettera Enciclica "Evangelium vitae", in difesa della vita. Nella giornata odierna comprenderemo meglio l'amore di Dio per ogni creata umana fatta non per morire ma perché viva. E capiremo meglio il messaggio fondamentale dell'amore per il prossimo. La vita umana come vedremo, appartiene totalmente a Dio, pertanto ad ogni uomo verrà chiesto conto del suo fratello. Questo è il messaggio che deve penetrare nei cuori e nelle coscienze di chi è a favore dell'eutanasia la quale viola gravemente i diritti dell'uomo e offende Dio al quale - e solo a Lui - spetta di chiamare l'uomo a vita migliore. Tra gli uomini non deve esserci il sentimento della vendetta e l'idea sbagliata del Dio punitore; infatti l'autore di questa Lettera Enciclica, il Beato Giovanni Paolo II, fa riferimento ad un brano del Libro della Sapienza dal quale impareremo come Dio soffre per la morte e rovina di ogni uomo. Dio è il Dio della vita e pertanto non può godere della morte di un individuo. Egli ha fatto tutto perché viva ed esista e in questo "tutto" sono inclusi i malati terminali e i vegetali: finché vi è in ogni uomo un soffio di vita è importante fare il possibile per conservarlo. Il comandamento dell'amore: "Amerai il tuo prossimo come te stesso" non è una frase composta da parole superficiali; esse contengono un sapere immenso d'amore nonché la chiave per la realizzazione di un regno d'amore. Lasciamo ora la parola al Papa Beato e facciamoci guidare dalla sapienza dell'amore che è sapere di vita:


«Domanderò conto ... a ognuno di suo fratello» (Gn 9, 5): venerazione e amore per la vita di tutti

39. La vita dell'uomo proviene da Dio, è suo dono, sua immagine e impronta, partecipazione del suo soffio vitale. Di questa vita, pertanto, Dio è l'unico signore: l'uomo non può disporne. Dio stesso lo ribadisce a Noè dopo il diluvio: «Domanderò conto della vita dell'uomo all'uomo, a ognuno di suo fratello» (Gn 9, 5). E il testo biblico si preoccupa di sottolineare come la sacralità della vita abbia il suo fondamento in Dio e nella sua azione creatrice: «Perché ad immagine di Dio Egli ha fatto l'uomo» (Gn 9, 6).

La vita e la morte dell'uomo sono, dunque, nelle mani di Dio, in suo potere: «Egli ha in mano l'anima di ogni vivente e il soffio d'ogni carne umana», esclama Giobbe (12, 10). «Il Signore fa morire e fa vivere, scendere agli inferi e risalire» (1 Sam 2, 6). Egli solo può dire: «Sono io che do la morte e faccio vivere» (Dt 32, 39).

Ma questo potere Dio non lo esercita come arbitrio minaccioso, bensì come cura e sollecitudine amorosa nei riguardi delle sue creature. Se è vero che la vita dell'uomo è nelle mani di Dio, non è men vero che queste sono mani amorevoli come quelle di una madre che accoglie, nutre e si prende cura del suo bambino: «Io sono tranquillo e sereno come bimbo svezzato in braccio a sua madre, come un bimbo svezzato è l'anima mia» (Sal 131/130, 2; cf. Is 49, 15; 66, 12-13; Os 11, 4). Così nelle vicende dei popoli e nella sorte degli individui Israele non vede il frutto di una pura casualità o di un destino cieco, ma l'esito di un disegno d'amore con il quale Dio raccoglie tutte le potenzialità di vita e contrasta le forze di morte, che nascono dal peccato: «Dio non ha creato la morte e non gode per la rovina dei viventi. Egli infatti ha creato tutto per l'esistenza» (Sap 1, 13-14).



40. Dalla sacralità della vita scaturisce la sua inviolabilità, inscritta fin dalle origini nel cuore dell'uomo, nella sua coscienza. La domanda «Che hai fatto?» (Gn 4, 10), con cui Dio si rivolge a Caino dopo che questi ha ucciso il fratello Abele, traduce l'esperienza di ogni uomo: nel profondo della sua coscienza, egli viene sempre richiamato alla inviolabilità della vita — della sua vita e di quella degli altri —, come realtà che non gli appartiene, perché proprietà e dono di Dio Creatore e Padre.

Il comandamento relativo all'inviolabilità della vita umana risuona al centro delle «dieci parole» nell'Alleanza del Sinai (cf. Es 34, 28). Esso proibisce, anzitutto, l'omicidio: «Non uccidere» (Es 20, 13); «Non far morire l'innocente e il giusto» (Es 23, 7); ma proibisce anche — come viene esplicitato nell'ulteriore legislazione di Israele — ogni lesione inflitta all'altro (cf. Es 21, 12-27). Certo, bisogna riconoscere che nell'Antico Testamento questa sensibilità per il valore della vita, pur già così marcata, non raggiunge ancora la finezza del Discorso della Montagna, come emerge da alcuni aspetti della legislazione allora vigente, che prevedeva pene corporali non lievi e persino la pena di morte. Ma il messaggio complessivo, che spetterà al Nuovo Testamento di portare alla perfezione, è un forte appello al rispetto dell'inviolabilità della vita fisica e dell'integrità personale, ed ha il suo vertice nel comandamento positivo che obbliga a farsi carico del prossimo come di se stessi: «Amerai il tuo prossimo come te stesso» (Lv 19, 18).

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