XVIII
Temperanza e povertà
Sazio di grazia di Dio
Per le anime elette, spiegava Padre Pio in una lettera del 23 febbraio 1915 alla figlia spirituale Raffaella Cerase, è una sofferenza «dover soddisfare ai bisogni più necessari della vita, quali sono il mangiare, il bere, il dormire». Anzi, «è tale il tormento che esperimentano nel fare un atto solo di simil fatta, di cui non possono esse esentarsi, che io, senza tema di mentire, non saprei trovare un po' di assimilazione se non in ciò che dovettero esperimentare quei martiri che furono bruciati vivi».
Il paragone è certamente forte, ma aiuta a comprendere che cosa provasse Padre Pio quando doveva scendere in refettorio. Padre Alberto D'Apolito - il quale è stato, dal 1920 al 1968, uno dei confratelli che più costantemente lo hanno frequentato - ha documentato nel processo di canonizzazione che Padre Pio mangiò pochissimo in ogni epoca della vita: «Negli anni Venti veniva a pranzo con noi fratini e ci distribuiva il suo cibo, un giorno ad alcuni, un giorno ad altri».
Per cercare di risolvere la questione, ha ricordato padre D'Apolito, «i superiori succedutisi attraverso gli anni, vedendo che non si cibava sufficientemente, diedero disposizioni al cuoco, chiunque' fosse, di preparargli qualche pietanza particolare, che consisteva in un piatto di minestrina o di spaghetti al pomodoro, di verdura o di broccoli conditi con olio crudo, di pesciolini o di calamaretti lessati o fritti. Nonostante la specialità dei cibi, il più delle volte Padre Pio non toccava nulla o, se prendeva qualche cosa, si limitava a una cucchiaiata di minestra, a una o due forchettine di spaghetti, a due o tre forchettate di broccoli o di verdura, a pochi pesciolini e a qualche calamaretto».
Con le lacrime agli occhi, un giorno del 1945 disse a fra Modestino da Pietrelcina: «Figlio mio, prega per me!... Mio Dio, ho il ventre gonfio, che mi fa male... e questo proprio oggi che ho mangiato soltanto trenta grammi di cibo... Il più grande favore che potrebbe farmi il Superiore sarebbe quello di dispensarmi dal mangiare». Un'altra volta padre Onorato Marcucci, suo assistente, lo forzava per fargli mangiare qualcosa: «Padre Pio ne prese quanto un chicco di grano e disse: "Fate la carità di non sforzarmi. Ho fatto l'ubbidienza di mangiare e ho mangiato!"».
Per non mettere in soggezione i confratelli, quando si tratteneva in refettorio Padre Pio fingeva di mangiare rosicchiando ceci abbrustoliti e pezzetti molto duri di formaggio caciocavallo, che teneva appositamente conservati nel cassetto. Prima di alzarsi da tavola, come ebbe modo di osservare fra Modestino, compiva sempre «un atto delicato e gentile; proprio dei poveri: raccoglieva le briciole di pane che erano davanti a lui sulla mensa e, con l'indice della mano destra, se le portava alla bocca. Sembrava che stesse purificando la patena sull'altare!».
Il suo assistente personale padre Eusebio Notte ha confermato che Padre Pio per il vitto era contrario a ogni raffinatezza cosicché, quando gli veniva preparata qualche pietanza speciale, ne risultava l'effetto contrario perché il Padre, appena assaggiato il cibo, esclamava: «Com'è buono!», e lo dava agli altri. Anche padre Mariano Paladino assistette a un episodio di tal genere, quando un industriale di Palermo portò a Padre Pio una squisita pietanza di pesce. Il Padre, vedendo il piatto, disse: «E se facessimo una bella mortificazione? Tu l'hai preparato e tu lo mangi».
Quella di Padre Pio non era infatti una semplice nausea da cibo, o una forma di anoressia, ma un atteggiamento originato da un profondo spirito di mortificazione, che per grazia del Signore non gli causava però problemi di denutrizione. Come infatti rilevò con padre Carmelo Durante il professore londinese Ewans, partecipando a un convegno in Casa Sollievo della Sofferenza: «Per noi medici, Padre Pio è biologicamente morto! Umanamente non è possibile che un uomo in tale situazione esistenziale possa sopravvivere, e tanto meno operare come lui opera senza interruzione, tutti i giorni, con uno stress che abbatterebbe in breve tempo qualsiasi fisico, anche il più robusto».
La più spontanea spiegazione della temperanza di Padre Pio a riguardo del cibo fu data da fra Masseo Cannito: «Il Padre mangiava poco perché era sazio di grazia di Dio». Ed egli stesso, ricorda padre Marcellino Iasenzaniro, a chi gli faceva osservare che non aveva mangiato quasi nulla disse:
«Già! Ora ci andrebbe l'espressione di Gesù, mentre era con la Samaritana: io ho un altro cibo». Del resto, al termine del periodo dell'autunno 1911 a Venafro in cui Padre Pio si era cibato soltanto dell'ostia consacrata, padre Paolino da Casacalenda scoprì con stupore che lui, mangiando normalmente, pesava sempre uguale, mentre Padre Pio era aumentato di cinque chili.
Per quasi tutta la vita, Padre Pio mangiò qualche cibo unicamente all'ora di pranzo. Dal 1959, dopo la grave malattia che lo aveva ridotto in fin di vita, i medici gli ordinarono di bere, dopo la Messa, una tazzina di caffè, in cui venivano sciolte delle vitamine. Negli ultimi anni, alla sera prendeva mezza pesca sciroppata e un cucchiaio di ricotta, mentre per pranzo le suore di Casa Sollievo gli preparavano un budino con vitamine, del quale prendeva due o tre pezzetti unicamente se padre Onorato alzava la voce e lo imboccava.
Anche per quanto riguarda le bevande, nonostante la sete provocata dalla continua perdita di liquidi a causa delle ferite sanguinanti, egli assumeva soltanto mezzo bicchiere di birra o di vino bianco in refettorio. Un pomeriggio d'agosto don Pierino Galeone penso di averlo scoperto venir meno alla sua consueta temperanza: «Lo trovai in veranda mentre beveva una bottiglietta d'aranciata e pensai: "Come la sta gustando!". Senza scomporsi, mise il vuoto nella cassetta, mi guardò e disse: "Bevi!". Io presi una bottiglietta e l'aprii: era disgustosa, calda e imbevibile. "Com'è brutta!", dissi con candida schiettezza. "Bevi e statti zitto!", ripeté lui. La cassetta d'aranciata era in veranda sotto i raggi del sole sin dal mattino!».
Per le anime elette, spiegava Padre Pio in una lettera del 23 febbraio 1915 alla figlia spirituale Raffaella Cerase, è una sofferenza «dover soddisfare ai bisogni più necessari della vita, quali sono il mangiare, il bere, il dormire». Anzi, «è tale il tormento che esperimentano nel fare un atto solo di simil fatta, di cui non possono esse esentarsi, che io, senza tema di mentire, non saprei trovare un po' di assimilazione se non in ciò che dovettero esperimentare quei martiri che furono bruciati vivi».
Il paragone è certamente forte, ma aiuta a comprendere che cosa provasse Padre Pio quando doveva scendere in refettorio. Padre Alberto D'Apolito - il quale è stato, dal 1920 al 1968, uno dei confratelli che più costantemente lo hanno frequentato - ha documentato nel processo di canonizzazione che Padre Pio mangiò pochissimo in ogni epoca della vita: «Negli anni Venti veniva a pranzo con noi fratini e ci distribuiva il suo cibo, un giorno ad alcuni, un giorno ad altri».
Per cercare di risolvere la questione, ha ricordato padre D'Apolito, «i superiori succedutisi attraverso gli anni, vedendo che non si cibava sufficientemente, diedero disposizioni al cuoco, chiunque' fosse, di preparargli qualche pietanza particolare, che consisteva in un piatto di minestrina o di spaghetti al pomodoro, di verdura o di broccoli conditi con olio crudo, di pesciolini o di calamaretti lessati o fritti. Nonostante la specialità dei cibi, il più delle volte Padre Pio non toccava nulla o, se prendeva qualche cosa, si limitava a una cucchiaiata di minestra, a una o due forchettine di spaghetti, a due o tre forchettate di broccoli o di verdura, a pochi pesciolini e a qualche calamaretto».
Con le lacrime agli occhi, un giorno del 1945 disse a fra Modestino da Pietrelcina: «Figlio mio, prega per me!... Mio Dio, ho il ventre gonfio, che mi fa male... e questo proprio oggi che ho mangiato soltanto trenta grammi di cibo... Il più grande favore che potrebbe farmi il Superiore sarebbe quello di dispensarmi dal mangiare». Un'altra volta padre Onorato Marcucci, suo assistente, lo forzava per fargli mangiare qualcosa: «Padre Pio ne prese quanto un chicco di grano e disse: "Fate la carità di non sforzarmi. Ho fatto l'ubbidienza di mangiare e ho mangiato!"».
Per non mettere in soggezione i confratelli, quando si tratteneva in refettorio Padre Pio fingeva di mangiare rosicchiando ceci abbrustoliti e pezzetti molto duri di formaggio caciocavallo, che teneva appositamente conservati nel cassetto. Prima di alzarsi da tavola, come ebbe modo di osservare fra Modestino, compiva sempre «un atto delicato e gentile; proprio dei poveri: raccoglieva le briciole di pane che erano davanti a lui sulla mensa e, con l'indice della mano destra, se le portava alla bocca. Sembrava che stesse purificando la patena sull'altare!».
Il suo assistente personale padre Eusebio Notte ha confermato che Padre Pio per il vitto era contrario a ogni raffinatezza cosicché, quando gli veniva preparata qualche pietanza speciale, ne risultava l'effetto contrario perché il Padre, appena assaggiato il cibo, esclamava: «Com'è buono!», e lo dava agli altri. Anche padre Mariano Paladino assistette a un episodio di tal genere, quando un industriale di Palermo portò a Padre Pio una squisita pietanza di pesce. Il Padre, vedendo il piatto, disse: «E se facessimo una bella mortificazione? Tu l'hai preparato e tu lo mangi».
Quella di Padre Pio non era infatti una semplice nausea da cibo, o una forma di anoressia, ma un atteggiamento originato da un profondo spirito di mortificazione, che per grazia del Signore non gli causava però problemi di denutrizione. Come infatti rilevò con padre Carmelo Durante il professore londinese Ewans, partecipando a un convegno in Casa Sollievo della Sofferenza: «Per noi medici, Padre Pio è biologicamente morto! Umanamente non è possibile che un uomo in tale situazione esistenziale possa sopravvivere, e tanto meno operare come lui opera senza interruzione, tutti i giorni, con uno stress che abbatterebbe in breve tempo qualsiasi fisico, anche il più robusto».
La più spontanea spiegazione della temperanza di Padre Pio a riguardo del cibo fu data da fra Masseo Cannito: «Il Padre mangiava poco perché era sazio di grazia di Dio». Ed egli stesso, ricorda padre Marcellino Iasenzaniro, a chi gli faceva osservare che non aveva mangiato quasi nulla disse:
«Già! Ora ci andrebbe l'espressione di Gesù, mentre era con la Samaritana: io ho un altro cibo». Del resto, al termine del periodo dell'autunno 1911 a Venafro in cui Padre Pio si era cibato soltanto dell'ostia consacrata, padre Paolino da Casacalenda scoprì con stupore che lui, mangiando normalmente, pesava sempre uguale, mentre Padre Pio era aumentato di cinque chili.
Per quasi tutta la vita, Padre Pio mangiò qualche cibo unicamente all'ora di pranzo. Dal 1959, dopo la grave malattia che lo aveva ridotto in fin di vita, i medici gli ordinarono di bere, dopo la Messa, una tazzina di caffè, in cui venivano sciolte delle vitamine. Negli ultimi anni, alla sera prendeva mezza pesca sciroppata e un cucchiaio di ricotta, mentre per pranzo le suore di Casa Sollievo gli preparavano un budino con vitamine, del quale prendeva due o tre pezzetti unicamente se padre Onorato alzava la voce e lo imboccava.
Anche per quanto riguarda le bevande, nonostante la sete provocata dalla continua perdita di liquidi a causa delle ferite sanguinanti, egli assumeva soltanto mezzo bicchiere di birra o di vino bianco in refettorio. Un pomeriggio d'agosto don Pierino Galeone penso di averlo scoperto venir meno alla sua consueta temperanza: «Lo trovai in veranda mentre beveva una bottiglietta d'aranciata e pensai: "Come la sta gustando!". Senza scomporsi, mise il vuoto nella cassetta, mi guardò e disse: "Bevi!". Io presi una bottiglietta e l'aprii: era disgustosa, calda e imbevibile. "Com'è brutta!", dissi con candida schiettezza. "Bevi e statti zitto!", ripeté lui. La cassetta d'aranciata era in veranda sotto i raggi del sole sin dal mattino!».
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