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venerdì 12 agosto 2011

Padre Pio - Sulla soglia del Paradiso - Ultimo appuntamento

Si conclude oggi l'appuntamento di approfondimento che, attraverso l'opera di Gaeta Saverio (Sulla Soglia del Paradiso), ci ha mostrato la vita e le virtù di San Pio da Pietrelcina. Abbiamo imparato molto, abbiamo visto molte cose che non conoscevamo e abbiamo conosciuto la storia di un uomo davvero benedetto dal Signore. Oggi siamo giunti all'appendice che si sofferma sull'itinerario biografico di Francesco Forgione: 

Appendice

Itinerario biografico

Francesco Forgione, che diventerà famoso in tutto il mondo con il nome di Padre Pio, nacque a Pietrelcina (Benevento), alle ore 17 del 25 maggio 1887. Era il quarto dei sette figli del ventisettenne Grazio e della ventottenne Maria Giuseppa De Nunzio. Alle ore 8 del giorno successivo, l'economo curato don Nicolantonio Orlando lo battezzò nella chiesa di Santa Maria degli Angeli. Per madrina ebbe la levatrice Grazia Formichella. Nel 1892, all'età di cinque anni, promise al Signore di consacrargli la propria vita e cominciò ad avere le prime visioni della Madonna e dei diavoli. In quei tempi collaborava alle attività familiari portando a pascolare qualche pecora nel podere di Piana Romana. Intanto prendeva lezioni di lettura, scrittura e aritmetica da alcuni maestri privati.

A lì anni d'età, com'era consuetudine all'epoca, ricevette la prima comunione e, il 27 settembre 1899, l'arcivescovo di Benevento, Donato Maria dell'Olio, gli amministrò la cresima nella chiesa di Pietrelcina. Padrino fu Vincenzo Masone. Proseguendo negli stùdi, nel 1901-1902 svolse, con il maestro Angelo Càccavo, il programma delle prime tre classi ginnasiali. Nell'estate del 1902 inviò al Superiore della provincia cappuccina di Sant'Angelo (Foggia) la richiesta di entrare in noviziato, ma, per mancanza di posti, gli fu comunicato che doveva attendere sino all'anno seguente.

Nell'autunno di quell'anno, Francesco fu tormentato da lotte interiori che lo facevano esitare fra la vocazione consacrata e il richiamo del mondo. A fine dicembre 1902, mentre meditava sulla scelta di dedicarsi interamente a Dio, ebbe una visione che gli prospettò tutta la sua esistenza come una continua lotta contro satana. 1110 gennaio 1903 una nuova visione, confermandogli il perenne combattimento con il demonio, gli chiari che egli ne sarebbe uscito vincitore, con l'aiuto della grazia divina. Nei primi giorni dell'anno, Francesco ot­tenne dal sindaco di Pietrelcina il certificato di buona condotta morale e politica e dall'arcivescovo di Benevento la lettera testimoniale per l'entrata in noviziato.

Nella notte del 5 gennaio 1903 Gesù e la Madonna gli apparvero per incoraggiarlo ad affrontare coraggiosamente il cammino del noviziato, che Francesco iniziò il giorno dopo nel convento di Morcone (Benevento), dove giunse accompagnato proprio dal maestro Càccavo. Il 22 gennaio 1903 vesti i panni di probazione del noviziato cappuccino e ricevette il nome di Fra Pio da Pietrelcina. Esattamente un anno dopo, il 22 gennaio 1904, emise la professione dei voti semplici e, il 25 gennaio, si trasferì nel professorio minore di Sant'Elia a Pianisi (Campobasso), per completare il programma del corso ginnasiale e per iniziare lo studio della retorica. All'inizio del maggio 1904 incontrò il Ministro generale dell'Ordine cappuccino, padre Bernardo da Andermatt, al quale fece domanda di essere inviato nelle missioni; ma la richiesta non ebbe seguito.

Il 18 gennaio 1905 Fra Pio sperimentò il primo episodio di bilocazione, trovandosi in una casa di Udine dove un padre moriva e una bimba nasceva. In seguito la fanciulla diventerà una delle figlie spirituali del cappuccino. Nel settembre dello stesso anno egli vide, sul davanzale della finestra accanto alla sua, un demonio - in forma di mostruoso cane nero - che, dopo avergli ringhiato contro, spiccò un balzo e spari nella notte.

Sul finire dell'ottobre 1905 si recò a San Marco la Catola (Foggia) per frequentare il primo anno di filosofia. Qui incontrò padre Benedetto da San Marco in Lamis, che sarà il suo direttore spirituale fino al 1922. A fine aprile 1906 rientrò a Sant'Elia a Pianisi per completare gli studi filosofici, che comprendevano materie quali la psicologia, l'ontologia, l'etica e la teologia naturale. Il 27 gennaio 1907 emise la professione dei voti solenni. In ottobre, dopo essere stato promosso agli esami di filosofia, si trasferì a Serracapriola (Foggia) per studiare teologia, sotto la guida di padre Agostino da San Marco in Lamis, che sarà l'altro suo direttore spirituale. Nel novembre 1908 lo studentato teologico cappuccino venne spostato a Montefusco (Avellino) e Fra Pio dovette cambiare sede ancora una volta.

Il 19 e il 21 dicembre 1908 ricevette, nella cattedrale di Benevento, rispettivamente gli ordini minori, dall'arcivescovo Benedetto Bonazzi, e l'ordine del suddiaconato, dall' arcivescovo Paolo Schinosi. Intanto la sua salute aveva però cominciato a manifestare problemi, tanto che, nella primavera del 1909, fu accompagnato da padre Agostino a Pietrelcina per respirare un po' l'aria nativa. All'inizio dell'estate si recò nel convento di Morcone dove, il 18 luglio 1909, ricevette l'ordine del diaconato dal vescovo Benedetto Maria Della Camera. Dopo pochi giorni rientrò nuovamente a Pietrelcina. Negli ultimi tre mesi di quell'anno i Superiori cappuccini, sperando di aiutarlo a risolvere i malanni fisici che lo martoriavano, gli fecero cambiare quattro conventi: Montefusco, Campobasso, Morcone e Gesualdo (Avellino).

La misteriosa malattia che lo affliggeva continuò però a costringerlo alla permanenza a Pietrelcina. Anzi Fra Pio, temendo di poter morire prima di essere divenuto sacerdote, il 22 gennaio 1910 pregò per lettera il padre Provinciale di chiedere alla Santa Sede la dispensa per anticipare l'ordinazione. Il 10 luglio la Sacra Congregazione per i Religiosi concesse il permesso, cosicché il 10 agosto di quell'anno, nella cattedrale di Benevento, fu consacrato dall'arcivescovo Paolo Schinosi. Il 14 agosto 1910 Padre Pio celebrò la prima Messa solenne a Pietrelcina e il discorso di circostanza venne tenuto da padre Agostino.

Poche settimane più tardi, l'8 settembre, gli comparvero per la prima volta le stimmate, che episodicamente si ripresentarono anche in seguito, con un acutissimo dolore, ma senza ulteriori manifestazioni esterne. La prima rivelazione di quanto gli era accaduto la fece però soltanto un anno dopo, con la lettera dell'8 settembre 1911 a padre Benedetto, il quale, comunicando la notizia al Ministro generale dell'Ordine, defini Padre Pio «un giovane sacerdote di angelici costumi». In ottobre venne condotto per due volte a Napoli, per essere visitato da valenti specialisti, che espressero pareri molto negativi sulle possibilità di sopravvivenza del giovane sacerdote, tanto che padre Benedetto lo accompagnò immediatamente nel convento di Venafro (Isernia), temendone una fine imminente. Qui Padre Pio si cibò per quasi due mesi della sola eucaristia e sperimentò tormenti diabolici ed estasi delle quali ci sono giunte sconvolgenti testimonianze scritte.

Il 7 dicembre 1911, in compagnia di padre Agostino, rientrò a Pietrelcina, dove rimase, tranne qualche rapido spostamento, per oltre quattro anni. Allo stesso padre Agostino, che gli domandava la vera ragione di quella forzata permanenza nel paese nativo, disse in seguito che il Signore gli aveva proibito di rivelare alcunché, altrimenti avrebbe «mancato di carità». Fra i molteplici malanni, si manifestò anche un forte indebolimento della vista, che lo costrinse a chiedere la facoltà di celebrare ogni giorno la Messa della beata vergine Maria o quella dei defunti - che egli conosceva a memoria - e di recitare, al posto del Breviario, quindici poste di Rosario.

Il 16 aprile 1912 sperimentò il fenomeno mistico della «fusione dei cuori» con Gesù, descrivendolo così a padre Agostino: «Non erano più due i cuori che battevano, ma uno solo. Il mio cuore era scomparso, come una goccia d'acqua che si smarrisce in un mare». Il 23 agosto 1912 senti invece il cuore trapassato da un dardo di fuoco: «Mi sembrava che una forza invisibile m'immergesse tutto quanto nel fuoco», scrisse ancora a padre Agostino Nel contempo, in numerose occasioni venne picchiato dai demoni, che cercavano anche di impedirgli il contatto epistolare con padre Benedetto e padre Agostino, macchiando i fogli scritti: ma ogni volta interveniva l'angelo custode, che glieli rendeva nuovamente leggibili. «Io non bramo punto di essere alleggerita la croce, poiché soffrire con Gesù mi è caro: nel contemplare la croce sulle spalle di Gesù mi sento sempre più fortificato ed esulto di una santa gioia», fu il suo commento.

Il 28 marzo 1913 Gesù gli apparve enormemente rattristato a causa di tanti sacerdoti che non corrispondevano al suo amore. E Padre Pio ne trascrisse lo sfogo accorato: «L'anima mia va in cerca di qualche goccia di pietà umana, ma ohimé mi lasciano solo sotto il peso della indifferenza. L'ingratitudine ed il sonno dei miei ministri mi rendono più gravosa l'agonia». Nella lunga lettera del 1° novembre 1913 descrisse a padre Benedetto lo stato del proprio spirito, immerso nella quiete, nell'assorbimento in Dio, nella meditazione della divina grandezza e della propria miseria. Poche settimane dopo, il 20 dicembre, gli chiese di intervenire presso il Ministro generale affinché potesse essergli concesso di restare ancora in famiglia, a causa delle cattive condizioni di salute. Identica sollecitazione fece, il successivo 10 gennaio, anche a padre Agostino.

Il 29 marzo 1914 ebbe inizio lo scambio epistolare con la nobildonna Raffaelina Cerase, che fu la sua prima figlia spirituale, oltre che la prima di tante anime con le quali Padre Pio mantenne per anni una fitta corrispondenza, oggi raccolta nei volumi dell'Epistolario. Il 9 giugno 1914 si recò nel convento di Morcone, per ordine del Provinciale, padre Benedetto, ma poté restarvi soltanto cinque giorni, perché i consueti malesseri lo costrinsero a ritornare a Pietrelcina. Il 25 febbraio 1915 papa Benedetto XV firmò il decreto che gli concedeva di ri­manere fuori dal convento, conservando però l'abito cappuccino. Subito dopo aver ricevuto la lieta notizia, l'11 marzo, scrisse al padre Provinciale che «giacché Gesù non ne ha permesso che io consacrassi alla mia diletta madre provincia tutta la mia persona, mi sono offerto al Signore, quale vittima per i bisogni tutti spirituali di lei».

Uno stringente interrogatorio gli venne sottoposto da padre Agostino nella lettera del 30 settembre 1915, cui Padre Pio rispose il successivo 10 ottobre:

«La prima vostra dimanda è che volete sapere da quando Gesù cominciò a favorire la sua povera creatura delle sue celesti visioni. Se male non mi appongo, queste dovettero incominciare non molto dopo del noviziato. La seconda dimanda è se l'ha concesso il dono ineffabile delle sue sante stimmate. A ciò devesi rispondere affermativamente e la prima volta di quando Gesù volle degnarla di questo suo favore, furono visibili, specie in una mano, e poiché quest'anima a tal fenomeno rimase assai esterrefatta, pregò il Signore che avesse ritirato un tal fenomeno visibile. D'allora non apparsero più; però, scomparse le trafitture, non per questo scomparve il dolore acutissimo che si fa sentire, specie in qualche circostanza ed in determinati giorni. La terza e ultima vostra dimanda si è se il Signore l'abbia fatto provare, e quante volte, la sua coronazione di spine e la sua flagellazione. La risposta anche a quest'altra dimanda deve essere pure affermativa; circa il numero non saprei determinarlo, solo quello che valgo a dirne si è che quest'anima sono vari anni che ciò patisce e quasi una volta per settimana».

La prima guerra mondiale coinvolse anche Padre Pio che, il 6 novembre 1915, fu convocato al distretto militare di Benevento. Esattamente un mese più tardi venne assegnato ai servizi sanitari e inviato a Napoli. Ma il successivo 18 dicembre ottenne la licenza di convalescenza di un anno e tornò a Pietrelcina. Per tutto il periodo bellico dovette periodicamente rientrare nel Corpo militare: dal 18 al 30 dicembre 1916, dal 19 agosto al 5 novembre 1917 e dal 5 al 16 marzo 1918. Ma ogni volta fu rispedito in licenza di convalescenza, sino al definitivo congedo.

Intanto padre Agostino e padre Benedetto avevano maturato un "piano" per forzarne il rientro in convento. Il 17 febbraio 1916 Padre Pio fu invitato a recarsi a Benevento, dove, insieme con padre Agostino, prese il treno per Foggia. L'obiettivo dichiarato era quello di fargli assistere l'anima di Raffaelina Cerase, ormai in fin di vita (morirà infatti poche settimane più tardi, il 25 marzo). Ma in realtà, come gli disse esplicitamente padre Benedetto, egli avrebbe dovuto restare «vivo o morto» nel convento foggiano di Sant'Anna. Anche qui venne perseguitato da malanni fisici, da angustie spirituali e da assalti diabolici.

Per consentirgli un po' di tregua dall'afa della pianura, il 28 luglio 1916 padre Paolino da Casacalenda lo portò con sé nel convento di San Giovanni Rotondo, nel quale rimase una decina di giorni. Rientrato a Foggia, chiese al Provinciale padre Benedetto «di mandarmi a passare un po' di tempo in San Giovanni, dove Gesù mi assicura che starò meglio». Il 4 settembre avvenne, con l'incarico di direttore spirituale del seminario serafico, il definitivo ritorno a San Giovanni Rotondo, da cui fino alla morte si allontanò, oltre che per le chiamate militari, pochissime volte, fra cui tre nel 1917: il 3 gennaio andò in pellegrinaggio nel santuario della Madonna del Rosario a Pompei, dal 14 al 23 maggio fu a Roma per l'ingresso della sorella Graziella fra le suore Brigidine, il 1° luglio si recò con i giovani studenti cappuccini al santuario di San Michele arcangelo sul Gargano.

Fra aprile e maggio 1918 stette per un mese nel convento di San Marco la Catola, per potersi confrontare con padre Benedetto e padre Agostino a riguardo della direzione spirituale delle anime che gli venivano affidate. Rientrato a San Giovanni Rotondo, il 30 maggio si offri vittima al Signore affinché si concludesse la prima guerra mondiale, lo stesso scopo per il quale Benedetto XV aveva chiesto a tutta la Chiesa preghiere e sacrifici. In quella circostanza sperimentò il fenomeno che descrisse a padre Benedetto come la «dura prigione»: «Mi sentii stretto da durissimi ceppi, e mi sentii subito venir meno alla vita Da quel momento mi sento nell'inferno, senza alcuna sosta nemmeno per un istante».

Nella serata del 5 agosto 1918, mentre stava confessando i ragazzi del seminario, vide dinanzi a sé un personaggio celeste che lo trafisse nell'anima con una lamina di ferro dalla punta ben affilata e infuocata. Il martirio della trasverberazione durò fino alla mattina del 7 agosto. Da quel giorno, scrisse a padre Benedetto due settimàne più tardi, «sento nel più intimo dell'anima una ferita che èsempre aperta, che mi fa spasimare assiduamente». Il 20 settembre, mentre si trovava in coro per il ringraziamento dopo la Messa, lo stesso misterioso personaggio gli apparve con mani, piedi e costato sanguinanti. Subito dopo, anche Padre Pio si ritrovò sul corpo le stimmate della Passione di Cristo, sentendo nel proprio interno «un continuo rumoreggiare, simile ad una cascata, che gitta sempre sangue». A metà dicembre, dopo una nuova apparizione del personaggio celeste, avverti inoltre «una cosa simile ad una lamina di ferro che dalla parte bassa del cuore si estende sino a sotto la spalla destra in linea trasversale. Mi causa dolore acerbissimo e non mi lascia prendere un po' di riposo».

Il 9 maggio 1919 venne pubblicata la prima notizia giornalistica relativa alle stimmate di Padre Pio, che venne ripresa da altri quotidiani, innescando un pellegrinaggio di fedeli verso San Giovanni Rotondo. I Superiori cappuccini decisero allora di far visitare il confratello dai medici Luigi Romanelli (15-16 maggio), Amico Bignami (26 luglio) e Giorgio Festa (9 ottobre), che espressero pareri contrastanti. Il 18 aprile 1920 giunse a San Giovanni Rotondo padre Agostino Gemelli, che chiese di vedere le stimmate, ma non poté farlo perché non aveva la prescritta autorizzazione. Ciò nonostante, il giorno dopo scrisse un rapporto per il Sant'Offizio, dando un giudizio negativo sia sul frate che sulla sovrannaturalità delle piaghe.

Il Sant'Offizio, che già da tempo seguiva attentamente la vicenda, il 26 aprile 1921 incaricò il vescovo Raffaele Rossi di svolgere una visita apostolica, che durò fino alla primavera dell'anno seguente. Monsignor Rossi rimase favorevolmente impressionato da Padre Pio, ma non apprezzo la direzione spirituale attuata da padre Benedetto e il fanatismo di alcune devote del cappuccino. Il 2 giugno 1922 il Sant'Offizio ordinò dunque che venisse interrotta ogni relazione, anche epistolare, fra padre Benedetto e Padre Pio, il quale doveva anche essere trasferito in un convento remoto. I fedeli del paese, venuti a conoscenza ditale provvedimento, insorsero e riuscirono a far sospendere l'iniziativa.

Il successivo 21 luglio fu riferito al Sant'Offizio che fra i cappuccini di San Giovanni Rotondo erano scoppiati «litigi e percosse a sangue con armi bianche e da fuoco» per disaccordi sulla ripartizione delle offerte pervenute a Padre Pio. La gravissima accusa spinse il Sant'Offizio a chiedere al Ministro generale dell'Ordine di svolgere un' accurata inchiesta. Il 29 luglio il cappuccino Celestino da Desio, dopo una settimana di permanenza a San Giovanni Rotondo, riferì che le notizie erano completamente false, come gli era stato confermato anche dal maresciallo dei carabinieri. A inventarle e diffonderle erano fra l'altro alcuni sacerdoti del luogo, invidiosi per l'affluenza di fedeli al convento.

Una dura presa di posizione venne resa nota dal Sant'Offizio il 31 maggio 1923, affermando che non sussisteva sovrannaturalità nei fatti attribuiti a Padre Pio ed esortando i fedeli a conformare i propri atti a tale dichiarazione. Il 17 giugno successivo il padre Guardiano del convento di San Giovanni Rotondo ricevette due secchi ordini dello stesso Sant'Offizio, da comunicare al confratello: «Non celebri più in pubblico e ad ora fissa, ma dica la santa Messa nella cappella interna del convento, non permettendo a persona di assistervi. Non risponda più, né per sé, né per altri, a quelle lettere che gli vengono indirizzate da persone devote per consigli, per grazie e per altri motivi». Ma una nuova sommossa popolare fece revòcare l'imposizione e riuscì a impedire il trasferimento del Padre, che era stato ancora sollecitato con un ordine del 30 luglio.

Il clima si era però fatto incandescente. Il 10 agosto, al termine della benedizione eucaristica, un giovane minacciò Padre Pio con una rivoltella, dicendogli: «Meglio morto per noi che vivo per gli altri». E il 15 agosto alcuni fascisti armati intimarono al padre Guardiano di non spostarlo da San Giovanni Rotondo. Preoccupato per tali eventi, il Padre scrisse una sorta di testamento spirituale, nel quale fra l'altro diceva: «Ho ben ragione di supporre la mia fine fatale [...]. Chiunque sia che effettua un tale mal progettato disegno, voglio che le autorità civili e giudiziarie non applichino contro costui o costoro le pene sanzionate dal codice penale. Non voglio che venga torto un capello per causa mia, sia pure occasionale, a chi che sia. Ho sempre amato tutti, ho sempre perdonato, e non voglio scendere nella tomba senza aver perdonato anche chi vorrà porre termine ai miei giorni»

Dopo una pausa di qualche mese, durante la quale padre Celestino da Desio venne nuovamente inviato a ispezionare le comunità cappuccine di Foggia e di San Giovanni Rotondo, il 24 luglio 1924 il Sant'Offizio ammonì «con più gravi parole i fedeli di astenersi dal mantenere qualunque relazione, sia pure epistolare, a scopo di devozione con Padre Pio». Con l'inaugurazione, nel gennaio 1925, del piccolo ospedale «San Francesco d'Assisi» si manifestava intanto il primo frutto concreto dell'azione sociale del Padre. 1115 luglio 1925 giunse al Provinciale di Foggia l'ordine del Sant'Offizio di inviare ogni due mesi una relazione sulla vita di Padre Pio.

Nell'aprile 1926 entrò nuovamente in campo padre Agostino Gemelli, cui fu affidato l'esame su una relazione che il dottor Giorgio Festa aveva inviato al Sant'Offizio. Il suo giudizio fu pesante:

«Padre Pio presenta le note caratteristiche di una deficienza mentale di grado notevole, con conseguente restringimento del campo della coscienza». Di qui scaturi il consiglio di isolarlo per alcuni mesi, in un luogo adatto, sotto la sorveglianza di un medico capace. Il Sant'Offizio non ritenne opportuno attuare tale suggerimento, ma, l'lì luglio 1926, rinnovò ai fedeli il dovere «di astenersi dall'andare a visitarlo, o mantenere con lui relazioni anche semplicemente epistolari».

Nel frattempo cominciavano a farsi numerose anche le segnalazioni al Sant'Offizio relative al comportamento dei più tenaci accusatori di Padre Pio: l'arcivescovo di Manfredonia, Pasquale Gagliardi, e alcuni sacerdoti di San Giovanni Rotondo. Monsignor Felice Bevilacqua (marzo-aprile 1927) e monsignor Giuseppe Bruno (maggio-giugno 1928) vennero inviati per appurare la verità e, in seguito alle loro inchieste, monsignor Gagliardi fu costretto alle dimissioni, il 1~ ottobre 1929. Intanto Padre Pio, il 3 gennaio 1929, era stato rattristato dalla morte della mamma, in quei giorni ospitata in casa di Maria Pyle, la cosiddetta "americana" che fu una delle più devote figlie spirituali del cappuccino.

Anche il temporaneo successore del vescovo Gagliardi, l'amministratore apostolico Alessandro Macchi, risultò però prevenuto sul conto di Padre Pio, tanto da sollecitare anch'egli al Sant'Offizio il trasferimento del Padre. Le consuete questioni di ordine pubblico ne sconsigliarono ancora una volta l'esecuzione, ma il Sant'Offizio, con il provvedimento del 13 maggio 1931, adottò comunque una drastica decisione: Padre Pio avrebbe dovuto celebrare da solo, nella cappella interna del convento, a partire dal successivo lì giugno, smettendo anche di confessare i fedeli. Soltanto due anni più tardi, il 16 luglio 1933 - dopo un'ulteriore visita apostolica dei monsignori Felice Bevilacqua e Luca Pasetto - Padre Pio tornò a celebrare la Messa in pubblico, ma dovette attendere il 1934 per riprendere a confessare gli uomini (25 marzo) e le donne (12 maggio).

Il 13 giugno 1935 giunse in visita canonica a San Giovanni Rotondo il Ministro generale cappuccino Virgilio da Valstagna. Qualche settimana più tardi, il 10 agosto, numerosi fedeli presero parte alla celebrazione per il venticinquesimo di sacerdozio di Padre Pio, che si svolse in un clima di serenità e senza manifestazioni esterne. Il 29 agosto 1936, su sollecitazione di Roma, il Provinciale inviò due nuovi ordini al Guardiano del convento: proibire a tutti i borghesi di entrare per qualsiasi motivo nella cella di Padre Pio e tenere chiuse sotto chiave le pezzuole già utilizzate dal Padre per asciugarsi le piaghe.

Monsignor Andrea Cesarano, che era stato nominato nel 1931 arcivescovo di Manfredonia, il 7 ottobre 1939 benedisse, alla presenza anche di Padre Pio, la Via Crucis eretta lungo la strada di collegamento fra il paese e il convento. Nel gennaio 1940, due anni dopo il terremoto che aveva fatto crollare l'ospedale intitolato a san Francesco, si formò il comitato promotore della nuova clinica, sin da allora definita da Padre Pio «Casa Sollievo della Sofferenza». Il 21 aprile 1941, dietro richiesta del nuovo Ministro generale cappuccino padre Donato da Welle, il Sant'Offizio concesse a Padre Pio la facoltà di confessare in chiesa anche nelle ore pomeridiane. Negli anni della seconda guerra mondiale erano infatti moltissimi i militari, di ogni nazionalità, che giungevano a San Giovanni Rotondo per incontrarlo e per riceverne una parola di conforto e di speranza. In particolare il 6 gennaio 1944 Padre Pio celebrò una Messa solenne che venne cantata dai soldati statunitensi.

In occasione del referendum su monarchia o repubblica del 2 giugno 1946, scese in paese per esprimere il proprio voto (da allora Padre Pio partecipò a tutte le tornate elettorali). Il 5 ottobre di quell'anno sì costituì la società per azioni per la costruzione e la gestione della Casa Sollievo della Sofferenza. Il 7 ottobre mori, sempre in casa di Maria Pyle, Grazio Forgione, il padre del cappuccino, il quale poté assisterlo amorevolmente negli ultimi giorni di vita. Il 16 maggio 1947 venne posata la prima pietra dell'erigenda clinica e, tre giorni dopo, cominciarono i lavori di sbancamento della montagna. Il 21 giugno 1948 fu approvato dall'UNRRA, organismo assistenziale delle Nazioni Unite, uno stanziamento di 400 milioni di lire in favore della clinica (ma 150 milioni vennero incamerati senza spiegazioni dal Governo italiano).

L'11 settembre 1948, sul bollettino della Casa Sollievo, furono fatti i primi accenni ai Gruppi di preghiera, sorti spontaneamente tra i figli spirituali di Padre Pio sin dai primi anni Quaranta per rispondere all'appello rivolto a tutti i cattolici da papa Pio XII nelle tristi circostanze della guerra. Nel 1950 fu fatta una più pressante sollecitazione affinché i Gruppi di preghiera si costituissero nel maggior numero possibile di parrocchie. Intanto, l'enorme afflusso di penitenti nella chiesetta del convento creava continuamente problemi di precedenza nel turno delle confessioni, con conseguenti schiamazzi e litigi. A partire dal 7 gennaio 1950 si istitui dunque per le donne il registro delle prenotazioni.

Il 3 agosto 1952 il quotidiano della Santa Sede L'Osservatore Romano pubblicò il decreto con cui il Sant'Offizio dichiarava «proibiti» otto libri su Padre Pio, pubblicati a partire dal 1948. Pio XII, che non era stato informato dell'iniziativa, si irritò e diede ordine di precisare, sullo stesso giornale, che «la dichiarazione non implica una condanna della persona del Padre Pio e nemmeno delle persone degli autori dei libri stessi». Nel contempo, dalla Segreteria di Stato vaticana fu inviata al Sant'Offizio una lettera in favore del Padre, «affinché possa svolgere indisturbato il suo ministero sacerdotale». Il 22 gennaio 1953, per festeggiare solennemente il cinquantesimo della vestizione religiosa di Padre Pio, giunse a San Giovanni Rotondo anche il Ministro generale Benigno da Sant'Ilario Milanese.

A partire dal 6 giugno 1954, Padre Pio cominciò in alcune circostanze a celebrare la Messa all'aperto, sul piazzale antistante la chiesetta, che ormai era troppo piccola per contenere i tanti fedeli (pochi mesi più tardi se ne iniziò l'ampliamento). Il 26 luglio si recò a benedire il poliambulatorio della Casa Sollievo. Il successivo 25 agosto il Ministro generale cappuccino eresse canonicamente la congregazione laicale del Terz'Ordine francescano di Santa Maria delle Grazie, cui fu in seguito affidata la gestione amministrativa della clinica. Il 30 giugno 1955 l'associazione ottenne anche il riconoscimento della personalità giuridica dal Presidente della Repubblica. Successivamente furono aperti la cooperativa di consumo «San Francesco d'Assisi» (17 dicembre 1955) e il centro assistenziale «Santa Maria delle Grazie» (4 marzo 1956). L'inaugurazione ufficiale della Casa Sollievo della Sofferenza fu tenuta il 5 maggio 1956 e, il 10 maggio, venne ricoverato il primo ammalato.

1117 dicembre 1956 si inaugurarono le scuole materne «Santa Maria delle Grazie» e «San Francesco d'Assisi». Celebrando il primo anniversario della Casa Sollievo, il 5 maggio 1957, Padre Pio lanciò nuove sfide, annunciando che la struttura avrebbe dovuto triplicare il numero dei letti e sarebbe dovuta diventare «tempio di preghiera e di scienza» e «centro di studi intercontinentale». Altre due opere sociali ispirate dal cappuccino vennero inaugurate il 26 gennaio 1958: la scuola materna «Pace e Bene» e il centro di addestramento professionale «San Giuseppe Artigiano». Con una lettera del 4 marzo 1958 il Ministro generale comunicò alla Segreteria di Stato vaticana che l'Ordine cappuccino non si sentiva preparato per dirigere la Casa Sollievo, cosicché la gestione formale continuò a essere esercitata da Padre Pio, tramite l'amministratore Angelo Battisti. Il successivo 16 luglio il Padre benedisse la prima pietra della nuova ala della clinica.

Il 25 aprile 1959 Padre Pio si ammalò di broncopolmonite, ma la malattia si aggravò e divenne una pleurite che per tre mesi lo costrinse a sospendere più volte l'attività sacerdotale. Il 10 luglio venne consacrata la nuova chiesa del convento, dedicata a Santa Maria delle Grazie, con l'intervento del cardinale Federico Tedeschini che il giorno successivo incoronò l'immagine della Madonna. Il 6 agosto giunse a San Giovanni Rotondo la statua della Madonna di Fatima, che percorreva l'Italia per la Peregrinatio Mariae. Il giorno dopo, proprio mentre l'elicottero che trasportava la statua volteggiava in cielo per dirigersi verso la tappa successiva, Padre Pio rivolse alla Vergine una preghiera e si ritrovò completamente guarito dal malanno, tanto da poter riprendere immediatamente a celebrare Messa e a confessare. 1112 settembre a Catania, nell'occasione delle celebrazioni conclusive del Pellegrinaggio mariano e del Congresso eucaristico, si tenne il primo convegno nazionale dei Gruppi di preghiera, dei cui risultati Padre Pio si dichiarò molto soddisfatto.

Il 1960 fu probabilmente l'anno più duro per il Padre. Il 13 febbraio il Definitore generale cappuccino, padre Bonaventura da Pavullo - che nelle settimane precedenti aveva svolto un sopralluogo a San Giovanni Rotondo - presentò al Sant'Offizio una relazione nella quale polemizzava contro l'amministratore Battisti e stigmatizzava il «dannoso influsso» esercitato su Padre Pio e sulla gestione della Casa Sollievo dalle cosiddette «pie donne»:

Cleonice Morcaldi, Caterina Giostrelli Telfner e Clementina Belloni. Il 14 aprile intervenne anche il Ministro generale, padre Clemente da Milwaukee, che supplicò papa Giovanni XXIII di inviare un visitatore apostolico per indagare sulla situazione del convento e della clinica, anche a proposito dell'utilizzo delle offerte che pervenivano alle due strutture.

Intanto a San Giovanni Rotondo erano presenti monsignor Mario Crovini e monsignor Umberto Terenzi i quali, all'insaputa l'uno dell'altro, svolsero, fra aprile e giugno, un'indagine su Padre Pio. Ambedue riferirono ai vertici del Sant'Offizio, il cardinale Alfredo Ottaviani e monsignor Pietro Parente. In particolare monsignor Terenzi rese note le accuse di immoralità rivolte a Padre Pio dalla figlia spirituale Elvira Serritelli e trasmise al Sant'Offizio i nastri delle registrazioni che aveva effettuato nel convento con l'aiuto di alcuni frati. Per accertare la verità, il 13 luglio monsignor Carlo Maccari venne nominato visitatore apostolico, con l'incarico di «regolare alcuni aspetti del funzionamento del convento dei Frati minori cappuccini di Santa Maria delle Grazie in San Giovanni Rotondo e della Casa Sollievo della Sofferenza, nonché di tutte le associazioni e opere dipendenti dai due enti soprannominati».

Monsignor Maccari giunse a San Giovanni Rotondo il 30 luglio e rientrò provvisoriamente a Roma il 6 agosto per riferire le sue impressioni e «per non turbare, con la sua presenza, la celebrazione del cinquantesimo di Messa di Padre Pio». Il 10 agosto, in occasione della fausta ricorrenza, numerosi devoti giunsero nel paese, per un festeggia-mento che fu molto sobrio. Il 16 agosto monsignor Maccari tornò a San Giovanni Rotondo e vi rimase per un'altra quarantina di giorni, durante i quali interrogò moltissime persone, compresi Padre Pio e il commendator Battisti. Il 5 novembre consegnò al Sant'Offizio il frutto ditale lavoro: una relazione di 208 pagine, più due cartelle di documenti.

Il 31 gennaio 1961 il cardinale Ottaviani firmò la lettera che rendeva definitivi alcuni provvedimenti imposti dal visitatore apostolico, quali il rispetto della distanza fra il confessionale di Padre Pio e i fedeli in attesa per la confessione, il divieto a devo-ti e devote di San Giovanni Rotondo di recarsi con assiduità al confessionale del Padre, l'inibizione a Padre Pio di ricevere donne da solo nel parlatorio del convento o altrove. Inoltre i Superiori cappuccini venivano sollecitati a ricondurre il Padre alla regolare osservanza conventuale, a vietare a sacer­doti e vescovi di servire la sua Messa, a variare per quanto possibile l'orario della sua celebrazione.

In febbraio un inviato del Sant'Offizio, monsignor Paolo Philippe, tornò a interrogare Padre Pio sulle accuse di immoralità e ne ascoltò l'amaro sfogo: «Tutto questo è una montatura, niente di vero. Come si può credere a questo, quando dico e ripeto che mai ho baciato neppure mamma mia». La relazione di monsignor Philippe fu molto severa, proponendo fra l'altro il trasferimento di Padre Pio, che però non venne ratificato dalla Plenaria del Sant'Offizio. In ogni caso poche settimane più tardi, il 24 aprile 1961, una nuova lettera, firmata questa volta da monsignor Parente, ribadiva le disposizioni precedenti e ordinava che «Padre Pio celebri la Messa in mezz'ora o al massimo in quaranta minuti e venga invitato ad ottemperare a questa regola in virtù dell'ubbidienza religiosa e, nel caso di una deprecabile inadempienza, non si escluda l'uso delle pene canoniche». Bisogna comunque dire, a onor del vero, che nel 1969 monsignor Philippe dichiarerà di ritenere «troppo severa la mia relazione sulla missione a San Giovanni Rotondo, avendo allora dato troppa fiducia alle denunzie formali e troppo peso al giudizio di monsignor Maccari».

In novembre il Ministro generale si recò in visita a San Giovanni Rotondo, dove comunicò a Padre Pio che la Santa Sede aveva giuridicamente costituito la Casa Sollievo della Sofferenza fra le Opere di Religione, lasciandone comunque la direzione al Padre. Il 20 gennaio 1962 Padre Pio ricevette la facoltà di recitare il Rosario al posto del Breviario, che non riusciva più a leggere a causa di notevoli problemi alla vista. A partire da quell'anno cominciarono ad andare a trovarlo molti vescovi, giunti da tutto il mondo a Roma per partecipare ai lavori del Concilio Vaticano Il, le cui testimonianze edificanti contribuirono notevolmente alla fama mondiale del cappuccino.

Soltanto nel 1963, dopo la morte di Giovanni poté celebrare, a causa di un grave stato di malessere. Il 22, alle ore 5, celebrò la sua ultima Messa, al termine della quale ebbe un forte collasso. Ciò nonostante, poco dopo provò a recarsi al confessionale, ma dovette rientrare in cella per le pessime condizioni fisiche. Alle 10.30 e alle 18 riuscì comunque a benedire i fedeli che si trovavano nella chiesa e sul piazzale antistante. In nottata la situazione si fece sempre più critica e, nonostante il pronto intervento di alcuni medici, alle 2.30 del 23 settembre 1968 Padre Pio mori con la corona del Rosario in mano e con l'ultima invocazione dei nomi di Gesù e di Maria. Il pellegrinaggio dei devoti dinanzi alla sua bara proseguì fino a mezzogiorno del 26 settembre. Alle 15.30 parti il corteo funebre e alle 19 fu celebrata la Messa solenne. Alle 22 avvenne la sepoltura nella cripta della chiesa di Santa Maria delle Grazie, che era stata benedetta appena il giorno precedente.



Sin dal 4 novembre 1969 il Postulatore generale cappuccino chiese l'apertura del processo di canonizzazione del Padre. Ma la Congregazione per la Dottrina della fede negò per ben tre volte il necessario nulla-osta: il 16 febbraio 1972, il 6 luglio 1974 e il 28 maggio 1976. Finalmente, dopo un intervento personale di papa Giovanni Paolo Il, l'11novembre 1980 giunse il sospirato permesso, cui segui, il 29 novembre 1982, l'analoga autorizzazione della Congregazione per le Cause dei santi. Il 20 marzo 1983 si poté dunque aprire il processo diocesano sulla vita e le virtù di Padre Pio, che si concluse il 21 gennaio 1990, con la partecipazione di 69 testimoni processuali e 10 extraprocessuali.

Dopo il parere favorevole della Consulta teoica, il 18 dicembre 1997 papa Wojtyla firmò il decreto sulle virtù eroiche di Padre Pio, dichiarandolo venerabile. In seguito al riconoscimento del miracolo ricevuto dalla signora Consiglia De Martino, il 2 maggio 1999 Giovanni Paolo Il ha presieduto la cerimonia di beatificazione, stabilendo che la festa liturgica di Padre Pio fosse collocata in calendario il 23 settembre. L'ulteriore miracolo, accaduto al bambino Matteo Pio Colella, ha permesso la canonizzazione del cappuccino, celebrata sempre da Giovanni Paolo Il il 16 giugno 2002.

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