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venerdì 22 gennaio 2010

I SETTE PECCATI CAPITALI: L’INVIDIA

Altro pericolo che insidia il nostro cuore è l’invidia. Il catechismo della Chiesa Cattolica dà questa definizione:

2539 L'invidia è un vizio capitale. Consiste nella tristezza che si prova davanti ai beni altrui e nel desiderio smodato di appropriarsene, sia pure indebitamente. Quando arriva a volere un grave male per il prossimo, l'invidia diventa peccato mortale:

Sant'Agostino vedeva nell'invidia « il peccato diabolico per eccellenza ». 409

« Dall'invidia nascono l'odio, la maldicenza, la calunnia, la gioia causata dalla sventura del prossimo e il dispiacere causato dalla sua fortuna ». 410

2540 L'invidia rappresenta una delle forme della tristezza e quindi un rifiuto della carità; il battezzato lotterà contro l'invidia mediante la benevolenza. L'invidia spesso è causata dall'orgoglio; il battezzato si impegnerà a vivere nell'umiltà.

Partendo da queste definizioni, cercherò di portare a riflettere sulle cause che suscitano nei cuori umani il sentimento dell’invidia.

Come già detto, l’invidia è uno dei vizi capitali che rende triste il nostro cuore. Come tutti i vizi capitali l’invidia è antica come l’uomo; a differenza della superbia, della gola, della lussuria, l’invidia è forse l’unico vizio che non procura piacere; Ma dove affondano le radici di questo male profondo? Sicuramente sono da ricercare nel profondo di noi stessi dove  il nostro “IO” per crescere e formarsi ha bisogno di ricevere gratificazioni e riconoscimenti. Quando questo manca, l’autostima viene meno, ed entra in scena l’invidia che fa nascere in chi è incapace di valorizzare se stesso il desiderio di  demolire l’altro perché possessore di qualità o cose che non si hanno. Si mette così  in moto un meccanismo di difesa che mira a svalutare la persona invidiata.  E’ chiaro che la persona invidiosa riconosce le qualità dell’altro come superiori alle proprie e per paura che altri si accorgano di questo, tenta di demolire l’avversario mettendo in luce , spesso anche in modo calunnioso, i suoi difetti, danneggiandolo gravemente. Ma non confondiamo invidia e gelosia: la prima è risentimento verso qualcosa che qualcuno ha, ma che non mi appartiene; la seconda è la paura che qualcuno mi porti via ciò che già ho; l’invidia è figlia della frustrazione e di un senso di impossibilità a realizzarsi che si riflette in un odio distruttivo verso l’altro; l’invidioso «è un carnefice di se stesso» (S. Pier Crisologo) e di chi gli è vicino. Purtroppo viviamo nella società della competizione e del successo e per questo l’invidia cresce a dismisura ed è presente in tutti gli ambiti della vita sociale. Per esperienza personale, posso affermare che l’invidia è presente in maniera molto forte negli ambienti di lavoro e soprattutto fra colleghe che fanno fatica ad accettare i  propri limiti e soffono per le qualità altrui. Mi è capitato un fatto simile qualche anno fa, nella scuola dove lavoro, con una collega che non sopportava il fatto che i nostri superiori stimavano più me che lei. E’ iniziata così una lotta tremenda: ero spesso vittima di dispetti, di calunnie e di maldicenze. Qualche volta, esasperata, reagivo anche in malo modo contro di lei ma, alla fine, per questione di quieto vivere,  sono stata  costretta a cambiare postazione di lavoro lasciando lei ad occupare il posto che desiderava. Mi è costato molto rinunciare ed ho sofferto tanto ma il buon Dio ha fatti sì che questo mio sacrificio non fosse inutile anzi, mi ha permesso di avere più tempo da dedicare alla mia formazione professionale che presto mi permetterà un avanzamento di livello. A cosa è servito alla mia collega nutrire tutti quei sentimenti d’invidia? Sicuramente a farsi del male perché la persona invidiosa spesso soffre molto. Da questa prospettiva possiamo dire che l’invidia è un sentimento negativo ed inutile che non permette a chi si sente limitato e impotente di lavorare un po’ su di sé per conoscersi e riconoscere le qualità che sicuramente ha in quanto il buon Dio non ha lasciato alcuno senza doni. A tale proposito è significativo riflettere sul brano del Vangelo di Matteo 25,14-30 che narra la parabola dei Talenti:

Un uomo, dovendo partire per un lungo viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni.
Ad uno diede cinque talenti, all’altro due e al terzo uno solo e partì.
Il servo che aveva ricevuto cinque talenti andò subito a negoziarli e ne guadagnò altri cinque. Anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due.
Invece il servo che aveva ricevuto un solo talento, temendo di perderlo, fece un buco nella terra e ve lo nascose.
Dopo tanto tempo ritornò il padrone e chiamò i servi a render conto.
Quello che aveva ricevuto cinque talenti ne
presentò altri cinque e il padrone allora lo benedisse e gli regalò i dieci talenti.
Si presentò poi il secondo che aveva ricevuto due talenti dicendo: “Signore, mi hai dato due talenti e io ne ho guadagnati altri due”.
Il padrone ringraziò anche questo servo e regalò anche a lui i quattro talenti.
Infine si presentò il servo che aveva ricevuto un talento solo e lo riconsegnò al padrone dicendo: “Ho avuto paura di perderlo e lo ho nascosto sotto terra, ecco, prendi ciò che ti appartiene”.
Il padrone allora gli tolse l’unico talento, perché non l’aveva fatto fruttare
e lo cacciò.
La parabola si conclude così: “…poiché a chi ha, sarà dato in sovrabbondanza, ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha“.

Ecco, la persona invidiosa è come quel servo che ha ricevuto un solo talento e che, per paura di perderlo, lo nasconde sotto terra. Non sarebbe forse più utile cercare di valorizzarsi per i doni, pochi o tanti che siano, che il Signore ci ha fatto mettendoli anche al servizio degli altri piuttosto che dannarsi l’anima per cercare a tutti i costi di essere e di possedere ciò che non si è e ciò che non si ha? Impariamo ad essere umili e a ringraziare il Buon Dio di tutto ciò che ogni giorno fa per noi. Ma c’è un’altra cosa da dire: ciò che siamo capaci di essere e di fare lo dobbiamo non alle nostre forze ma a Colui che con il Suo Spirito ci guida sempre sulla via del bene. San Paolo nella lettera ai Filippesi al cap. 14,19-20 dice:” tutto posso in Colui che mi dà la forza”. Riconoscere che tutto è dono di Dio e tutto concorre al nostro vero bene è il passo necessario da fare per vincere la tentazione di guardare il fratello con gli occhi del maligno e guardarlo con gli occhi di Dio.

Cito anche il libro della Sapienza dove si ricorda che «la morte è entrata nel mondo per invidia del diavolo» (Sap. 2,24); la Sacra Scrittura collega il limite dell’umanità ad un peccato d’invidia e Satana è l’invidioso per eccellenza. Chesterton dice che l’uomo che non è invidioso vede le rose più rosse degli altri, l’erba più verde e il sole più abbagliante, mentre l’invidioso le vive con disperazione. Dunque, uno sguardo purificato dall’accoglienza della Grazia di Dio aiuta a cogliere in modo giusto il valore delle cose, la loro intima bellezza e non porta a desiderare di possedere smodatamente ciò che non si ha. Suggerisco anche la lettura dell’Inno alla carità di San Paolo in 1Cor. 13,1-13:  Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli,
ma non avessi la carità, sarei un bronzo risonante o un cembalo squillante.

Se avessi il dono della profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza
e avessi tutta la fede in modo da spostare le montagne, ma non avessi la carità, non sarei nulla. Se distribuissi tutti i miei beni per nutrire i poveri,
se dessi il mio corpo per essere arso, e non avessi la carità, non mi gioverebbe a nulla. La carità è paziente, è benigna la carità; la carità non invidia, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il proprio interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto,
ma si compiace
della verità; tutto tollera, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. La carità non verrà mai meno. Le profezie scompariranno;
il dono delle lingue cesserà, la scienza svanirà; conosciamo infatti imperfettamente, e imperfettamente profetizziamo; ma quando verrà la perfezione, sparirà ciò che è imperfetto. Quando ero bambino, parlavo da bambino, pensavo da bambino, ragionavo da bambino. Da quando sono diventato uomo, ho smesso le cose da bambino. Adesso vediamo come in uno specchio, in modo oscuro; ma allora vedremo faccia a faccia.
Ora conosco in parte, ma allora conoscerò perfettamente, come perfettamente sono conosciuto. Ora esistono queste tre cose: la
fede, la speranza e la carità; ma la più grande di esse è la carità.

 In conclusione, l’umiltà è la carità sono le  qualità necessarie per togliere dal proprio cuore il sentimento dell’invidia che, come tutti i vizi è considerato un peccato grave che può  portare alla distruzione di sé ed anche della persona invidiata. Cerchiamo di convincerci del fatto che Il Signore è quel Padre buono e misericordioso che ama tutti i suoi figli e ricordiamoci soprattutto che Gesù è morto in croce per i peccati di tutti gli uomini, buoni, cattivi, belli, brutti, bravi, meno bravi … e lo ha fatto solo ed assolutamente solo per AMORE! E allora che senso ha essere invidiosi? Ma di chi e di che cosa? Nulla abbiamo da temere, siamo tutti in buone mani, le grandi mani dell’Altissimo che abbracciano il mondo intero.

Pubblicato da Marina 

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