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mercoledì 24 febbraio 2010

Un icona laica: Sandro Pertini

Oggi mi prendo la responsabilità di ricordare qui una figura importante dell'Italia del secolo scorso. Molti potrebbero storcere il naso per un apparente ateismo (in pratica molto più fedele di molti cristiani), ma ritengo che abbiamo avuto una grande prova del suo valore, dalla sua amicizia con un uomo che chiamiamo Santo. Sto parlando di Sandro Pertini, Presidente della Repubblica Italiana, scomparso venti anni fa e della sua amicizia con il nostro amato Santo Padre Giovanni Paolo II. 

Pertini io l'ho visto come un esempio di politico capace di affrontare senza timori i mali di questa politica così distante dal popolo: in realtà egli riuscì nell'ardua impresa di ricollegare società reale con le istituzioni. Amava l'uomo e piangeva quando qualcuno moriva. Piangeva sinceramente dinanzi alle disgrazie e volevo l'affetto del popolo (a differenza dei politici di oggi che si servono del popolo solo a fini elettorali, salvo poi scappare...). E ciò che mi ha spinto a ricordarlo oggi, qui e non nell'angolo politico, è stata la scoperta di un amicizia intima con Giovanni Paolo II, al quale sono molto legato. I farisei si sarebbero scandalizzati se il loro sommo sacerdote avesse auto rapporti con un uomo senza Dio, invece Gesù l'avrebbe amato ancora di più e Giovanni Paolo II, questo lo sapeva. Però non essendo io testimone, lascio lo spazio all'articolo di un giornalista (che troverete integralmente cliccando in basso su FONTE) Marzio Breda, protagonista anche di un documentario su Rai Storia:

Pertini a Wojtyla: «Santità,
la Polonia sarà libera»

Sono curiosi l’uno dell’altro e diventano amici fin dall’incontro d’esordio, nel 1978, frequentandosi poi al di là dei vincoli di protocollo. Pranzi segreti. Telefonate dirette. Colloqui privati e abbracci in pubblico. Con schermaglie giocose, persino, tanto che in una visita di Stato li si vede baloccarsi su chi abbia la precedenza a varcare le porte dei saloni apostolici: «Prego, prima lei»; «No, prima lei… ubi maior, minor cessat»; «L’ospite è sempre maior, avanti». Una familiarità che li spinge a scappare insieme dai rispettivi palazzi per una gita in montagna, come due studenti che marinano la scuola. «Presidente, vuol venire a sciare con me?». «Santità, non so sciare, mi spiace». «Venga lo stesso, l’aria buona le farà bene». Tre giorni dopo sono sull’Adamello, a tremila metri di altezza, e il vecchio ex partigiano grida al Papa che scende dalle piste: «Ma lei volteggia come una rondine».

Ecco come sono i rapporti tra Sandro Pertini e Giovanni Paolo II quando, tra il 31 marzo e l’8 aprile 1983, i due che hanno reso «più strette le sponde del Tevere» si scambiano un saluto pasquale. L’iniziativa la prende il capo dello Stato, un ateo che, nella memoria della cattolicissima madre, ha «la tentazione della fede». Prende carta e penna e prepara una lettera dove a ogni riga echeggia la questione polacca, aperta dalla prova di forza tra Solidarnosc e il regime comunista, e nella quale pesa molto l’Ostpolitik vaticana. I suoi auguri sono un esorcismo. Infatti, la ricorrenza che si avvicina, diversamente dalla promessa della Pasqua come «liberazione» (dalla schiavitù per gli ebrei d’Egitto, dalla morte a una vita nuova per i cristiani), sembra offrire allora solo incognite e paure. Specie a Varsavia e dintorni.

Pertini scrive di getto, con poche correzioni: «Santità, sia pace all’animo suo, sempre proteso verso quanti soffrono perché privi del necessario per vivere o perché giacciono inermi sotto la prepotenza altrui. Sia pace al suo coraggioso popolo, che tanto io amo e che oggi non è libero come liberi dovrebbero essere tutti i popoli e tutte le umane creature. Non servi in ginocchio siano, ma uomini liberi, in piedi, padroni dei propri pensieri e dei propri sentimenti. Sia pace, Santità, all’umanità intera: fratelli si sentano tutti i popoli, legati ormai dallo stesso destino: o vivere affratellati insieme da comune aiuto reciproco o insieme perire nell’olocausto nucleare…». Risponde il Pontefice, una settimana più tardi, colpito dagli «accenti di intensa commozione » nel ricordo delle «persone e popoli che soffrono perché privi di questo bene umano fondamentale» che è la pace. Quell’augurio, dice Karol Wojtyla, «ha suscitato in me eco profonda. Ancora una volta nelle sue parole ho sentito vibrare la nobiltà di un animo che sa interpretare le ansie e le speranze insieme condivise. Le sono grato per la sua sincera amicizia, che vivamente apprezzo. E la ringrazio altresì per i sentimenti di simpatia e stima per la mia Patria …». FONTE



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