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martedì 23 novembre 2010

Intervista a Papa Benedetto XVI

Oggi, scopriremo qualcosa di nuovo sul nostro caro Papa Benedetto XVI, attraverso un'intervista bellissima di cui posteremo uno stralcio. Quest'intervista è opera di Avvenire e tende a raffigurare l'interiorità del Papa sin dal momento della sua ascesa al Soglio Pontificio. Vediamo, per esempio, la sua umanità, il peso che ha dovuto sopportare e, in un certo senso, una certa fragilità e paura nel momento più scioccante della sua vita, condito però da una ferma fede e fiducia nel Signore che richiama alla mente, uomini come Re Davide. Ecco le parti più importanti dell'intervista mentre il testo integrale che svela l'uomo Ratzinger lo potrete trovare all'indirizzo posto a fondo articolo:

Santo Padre, il 16 aprile 2005, nel giorno del suo settantottesimo compleanno, Lei comunicava ai suoi collaboratori quanto pregustasse il suo pensionamento. Tre giorni dopo, si ritrovò ad essere il Capo della Chiesa universale che conta 1,2 miliardi di fedeli. Non è propriamente il compito che ci si riserva per la vecchiaia.

«Veramente, avevo sperato di trovare pace e tranquillità. Il fatto di trovarmi all’improvviso di fronte a questo compito immenso è stato per me, come tutti sanno, un vero shock. La responsabilità, infatti, è enorme».

C’è stato un momento del quale più tardi Lei ha detto di avere avuto l’impressione di sentire una “mannaia” calarle addosso.

«Sì, in effetti il pensiero della ghigliottina mi è venuto: ecco, ora cade e ti colpisce. Ero sicurissimo che questo incarico non sarebbe stato destinato a me ma che Dio, dopo tanti anni faticosi, mi avrebbe concesso un po’ di pace e di tranquillità. L’unica cosa che sono riuscito a dire, a chiarire a me stesso è stata: “Evidentemente, la volontà di Dio è diversa, e per me inizia qualcosa di completamente diverso, una cosa nuova. Ma Lui sarà con me”».
Nella cosiddetta “Camera delle lacrime”, fin dall’inizio del Conclave, per il futuro Papa sono pronte tre vesti: una lunga, una corta, e una è media. Cosa ha pensato in quella stanza della quale si dice che in essa più di un Pontefice neo eletto sia crollato? È lì che al più tardi ci si chiede ancora una volta: perché io? Cosa vuole Dio da me?
«In realtà, in quei momenti si è presi da questioni molto pratiche, esteriori: innanzitutto come aggiustarsi la veste e cose simili. Sapevo che di lì a poco, dalla Loggia centrale, avrei dovuto pronunciare qualche parola, ed ho iniziato a pensare: “Cosa potrei dire?” Per il resto, fin dal momento in cui la scelta è caduta su di me, sono stato capace soltanto di dire questo: “Signore, cosa mi stai facendo? Ora la responsabilità è tua. Tu mi devi condurre! Io non ne sono capace. Se tu mi hai voluto, ora devi anche aiutarmi!”. In questo senso mi sono trovato, per così dire, in un dialogo molto stringente con il Signore, per dirgli che se faceva l’una cosa, allora doveva fare anche l’altra».

Giovanni Paolo II l’aveva voluta come successore?

«Non lo so. Credo che avesse messo tutto nelle mani di Dio».

Comunque non ha mai permesso che Lei lasciasse il suo incarico. Fatto, questo, che si potrebbe interpretare come un argumentum e silentio, un tacito consenso per il candidato preferito…
«Mi ha sempre riconfermato nel mio incarico, è noto. Mentre si avvicinava il mio settantacinquesimo compleanno, il raggiungimento del limite di età in cui si rassegnano le dimissioni, mi disse: “Non è nemmeno necessario che Lei scriva la lettera, perché io La voglio con me sino alla fine”. Questa è stata la benevolenza grande e immeritata che egli aveva avuto nel miei confronti sin dall’inizio. Aveva letto il mio libro Introduzione al Cristianesimo. Per lui, evidentemente, una lettura importante. Appena diventato Papa, si era ripromesso di farmi venire a Roma come Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede. Aveva riposto in me una fiducia grande, affettuosa, profonda. Era in qualche modo la garanzia del fatto che in materia di fede stessimo seguendo la strada giusta».

Lei ha fatto visita a Giovanni Paolo II ancora sul suo letto di morte. Quella sera, tornò di fretta da una conferenza a Subiaco, nella quale aveva parlato de “L’Europa di Benedetto nella crisi delle culture”. Quali sono state le ultime parole che il Papa morente Le ha rivolto?

«Era molto sofferente, eppure molto lucido. Ma non ha detto più nulla. Gli ho chiesto la benedizione, che mi ha dato. Ecco, ci siamo lasciati stringendoci le mani con affetto, nella consapevolezza che sarebbe stato il nostro ultimo incontro».

Lei non voleva diventare vescovo, non voleva diventare prefetto, non voleva diventare Papa. Non si prova forse un po’ di sgomento al pensiero delle cose che sempre ci capitano contro la nostra volontà?
«Il fatto è questo: quando al momento dell’ordinazione sacerdotale si dice “sì”, si può anche avere un’idea di quello che potrebbe essere il proprio carisma, ma si sa anche questo: “Mi sono rimesso nelle mani del vescovo e, in fin dei conti, nelle mani del Signore. Non posso scegliere quello che voglio. Alla fine, devo lasciarmi guidare”. In realtà, pensavo che il mio carisma fosse di fare il professore di teologia, e fui felice quando questo mio sogno si realizzò. Ma avevo sempre ben chiaro davanti agli occhi questa cosa: “Sono nelle mani del Signore e devo mettere nel conto la possibilità di dovere fare cose che non avrò voluto”. In questo senso, sicuramente è stata una continua sorpresa l’essere “strappato via” da dove si era e non poter più seguire la propria strada. Ma, come ho detto, in quel ‘sì’ fondamentale era anche compreso questo: “Sono a disposizione del Signore e forse un giorno dovrò fare anche cose che non vorrei fare”».


Durante un simposio svoltosi nel 1977 in occasione dell’ottantesimo compleanno di Paolo VI, Lei tenne una relazione su cosa e come dovrebbe essere un Papa. Citando il cardinale inglese Reginald Pole, disse che un Papa dovrebbe «considerarsi e comportarsi come il più piccolo degli uomini»; che dovrebbe ammettere «di non conoscere altro se non quell’unica cosa che gli è stata insegnata da Dio Padre attraverso Cristo». Vicarius Christi, diceva, significa rendere presente il potere di Cristo come contrafforte al potere del mondo. E questo non sotto forma di qualsivoglia dominio, ma piuttosto portando questo peso sovrumano sulle proprie spalle umane. In questo senso, il luogo autentico del Vicarius Christi è la Croce.
«Sì, anche oggi ritengo che questo sia vero. Il primato si è sviluppato fin dall’inizio come primato del martirio. Nei primi tre secoli, Roma è stata fulcro e capitale delle persecuzioni dei cristiani. Tenere testa a queste persecuzioni e rendere testimonianza a Cristo fu il compito particolare della sede episcopale di Roma. Possiamo considerare provvidenziale il fatto che, nel momento stesso in cui il Cristianesimo si riappacificò con lo Stato, l’impero si trasferisse a Costantinopoli, sul Bosforo. Roma, per così dire, era divenuta provincia. Così fu più facile per il Vescovo di Roma evidenziare l’indipendenza della Chiesa, la sua distinzione dallo Stato. Non è necessario cercare sempre lo scontro, è chiaro, quanto piuttosto mirare al consenso, all’accordo. Ma sempre la Chiesa, il cristiano, e soprattutto il Papa deve essere cosciente del fatto che la testimonianza che deve rendere possa divenire scandalo, che non venga accettata e che quindi egli si trovi costretto nella condizione del testimone, di Cristo sofferente. Il fatto che i primi Papi siano stati tutti martiri, ha il suo significato. Essere Papa non significa porsi come un sovrano colmo di gloria, quanto piuttosto rendere testimonianza a Colui che è stato crocifisso, ed essere disposto ad esercitare il proprio ministero anche in questa forma, in unione a Lui».

La sua fede è cambiata da quando, come Supremo Pastore, Le è affidato il gregge di Cristo? A volte si ha l’impressione che la Sua fede in qualche modo sia diventata più misteriosa, più mistica.
«Non sono un mistico. Ma è sicuramente vero che, da Papa, ci sono molte ragioni in più per pregare e per affidarsi completamente a Dio. Infatti mi rendo conto che quasi tutto quello che devo fare non potrei farlo da solo. E già solo per questo sono costretto a mettermi nelle mani del Signore e a dirgli: “Fallo tu, se lo vuoi!” In questo senso la preghiera ed il contatto con Dio ora sono ancora più necessari, ma anche più naturali e spontanei di prima». [...]

E Papa Benedetto, come prega?

«Per quel che riguarda il Papa, anche lui è un povero mendicante davanti a Dio, ancora più degli altri uomini. Naturalmente prego innanzitutto sempre il Signore, al quale sono legato, per così dire, da antica amicizia. Ma invoco anche i santi. Sono molto amico di Agostino, di Bonaventura e di Tommaso d’Aquino. A loro quindi dico: “Aiutatemi”! La Madre di Dio, poi, è sempre e comunque un grande punto di riferimento. In questo senso, mi inserisco nella Comunione dei Santi. Insieme a loro, rafforzato da loro, parlo poi anche

Peter Seewald

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