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sabato 13 novembre 2010

Non farlo (Storia di un aborto) - Terza parte

Continuiamo a leggere la testimonianza anonima di un aborto che invita alla riflessione all'esortazione più importante: "non farlo!". Oggi vediamo il pentimento, con il senno del poi, della protagonista, per aver ceduto al ricatto morale ed essersi concessa ad un uomo che non l'amava, ma la voleva possedere, come un oggetto:



Nonostante tutto questo però, mi sentivo sempre più innamorata di Marco. Più si comportava in modo incomprensibilmente possessivo, più mi sentivo importante e preziosa per lui. Stavo sbagliando tutto. Mi stavo lasciando convincere, inconsciamente, ad impostare il nostro rapporto su una sorta di tacita sudditanza femminile. Non mi resi conto di come, in realtà, stessi cercando di costruire un utopico rapporto felice su fragilissime basi, pronte a sgretolarsi davanti ai miei occhi, come un bel sogno al risveglio mattutino.
Non so bene come sia successo, ma pretese quasi subito che io mi aprissi completamente con lui… Gli dava fastidio se cercavo di fargli capire che non ero ancora pronta ad un contatto fisico profondo. Infatti, anche se già mi sentivo molto legata, secondo me avevamo ancora bisogno di conoscerci meglio, sotto molti altri punti di vista. Mi rispondeva seccato e, con tono quasi minaccioso, mi faceva capire che aveva le sue esigenze, e che se non le avessi “soddisfatte” io, sarebbe stato costretto a tradirmi. Era disgustoso…
Ma io ero tremendamente innamorata, succube ormai della sua prepotenza psicologica. I miei occhi, accecati dal sentimento, vestivano di maestosa forza la sua spregevole vigliaccheria, tanto che mi resi conto solo, quando fu troppo tardi (bruscamente svegliata dal mio sogno d’amore puro), che non avrei mai dovuto
accettare i suoi ricatti morali. Non avrei dovuto lasciare che mi mancasse di rispetto, che mi considerasse un oggetto pronto all’uso quando lui, e solo lui, ne sentiva “l’esigenza”.
Non mi riconoscevo più.
Ero andata puntualmente contro tutti i miei principi morali. Avevo annullato me stessa, la mia dignità, la mia autostima, il mio entusiasmo. E tutto questo, per assecondare lui. Per non farlo arrabbiare, per non dargli una ragione valida e paradossalmente plausibile, per andarsi a cercare altre ragazze con cui uscire e avere delle avventure. Toccava a me comportarmi da donna, essere la “sua” donna, all’altezza della situazione, non una ragazza immatura e suscettibile… Questo mi ripeteva ogni giorno.

Avevo subìto un incredibile lavaggio del cervello e non riuscivo a capirlo. Percepivo soltanto la sua imponenza, la sua forza di carattere, che al contrario ammiravo molto. Marco mi sembrava l’uomo più forte che avessi mai
incontrato, e anziché disprezzarlo, lo osannavo. "Anche se il prezzo da pagare è molto alto - mi ripetevo - ne vale certamente la pena, perché finalmente ho incontrato il ragazzo giusto per me, in grado di guidarmi, di farmi capire cosa desidero realmente dalla vita. E anche se a causa sua dovessi rinunciare al mio lavoro, sarò felice di farlo, perché lo amo…". Che stupida.
Il mio modo di pensare e di vivere la vita stava radicalmente cambiando. Accettavo la mia inferiorità rispetto a lui, mi accontentavo di essere semplicemente ciò che lui desiderava che fossi. Accettavo le sue parole
offensive, il suo animalesco modo di avvicinarsi a me, pur di potergli stare vicino, di poter ricevere un abbraccio sincero. "Se lo accontento - pensavo - entrerò nelle sue grazie, e mi amerà sempre di più…".
Ma Marco non mi amava veramente. Era solo possessivo nei miei confronti, e anche se ritengo che si fosse legato particolarmente a me, e che aldilà di tutto tenesse alla nostra storia, era assolutamente incapace di amare. Così come era incapace di rispettare sinceramente una donna, di donarle un amore puro e disinteressato come quello che evidentemente riceveva.

Onestamente, credo che non lo facesse con l’intenzione di ferirmi, ma che fosse cresciuto con un'idea sbagliata di “amore”. Non gli era stato trasmesso il valore della tenerezza, né quello universale del sentimento amoroso, profondo e rispettoso verso l’altro sesso che lui, invece, vedeva come un oggetto senza dignità.
Forse le colpe non erano solo sue, chissà…
Ma la realtà che si andava profilando nel mio cuore, e il futuro che percepivo minaccioso nella mia mente, mi spaventavano molto. Non potevo scappare via. Non potevo perché, in fondo, il mio cuore palpitante d’amore era disposto ad accettare ogni sorta di sopraffazione dalla persona che amavo, pur di non perderla. Questo rendeva una mia reazione del tutto improbabile, ponendomi in una situazione molto difficile, pericolosa, per me stessa (e non solo, purtroppo).
Ero entrata in un tunnel dal quale non desideravo uscire, perché la sua ossessiva gelosia paradossalmente mi gratificava, mi dava un senso di protezione, per quanto grottesco fosse.
Litigavo con i miei genitori pur di stare insieme a lui. Loro non lo avevano accettato fin dall’inizio, fin da quando mi avevano sentito dire che non gradiva il fatto che lavorassi in palestra, che avessi molte amiche e amici ecc. Erano stati lungimiranti.

O, molto semplicemente, ero io, ad essere stata incredibilmente cieca.

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