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sabato 6 novembre 2010

Non farlo (Storia di un aborto) - Seconda parte

Continuiamo a leggere la testimonianza anonima di un aborto che invita alla riflessione all'esortazione più importante: "non farlo!". Oggi conosciamo il lato contorto del rapporto tra la protagonista e il suo fidanzato, un qualcosa di sbagliato poiché la donna non deve mai esser considerata un oggetto, ma una persona con un'anima:

L'estate passò, con tutti quei momenti felici, quelle sensazioni forti e con quell’immenso calore nel cuore... Si esaurì, come spenta dal vento, e dai primi rovesci.
La nostra storia andò avanti, e dopo le prime settimane in cui tutto mi faceva apparire Marco come l’uomo ideale, iniziai lentamente a scoprire i suoi difetti e a vederlo per ciò che era realmente.
Lo ricordo molto bene, ricordo con disgusto quanto fosse ipocrita dietro quei microfoni: così dolce e sensibile… In realtà, tra una canzone e l’altra non faceva altro che mugugnare ed offendere le sue ascoltatrici più affezionate. Le definiva delle “poco di buono”, perché gli davano troppa confidenza per telefono, o perché gli facevano dei complimenti affettuosi. Giocava con la sua stessa voce, ne modulava l’intensità, per spingerle a dirgli qualcosa di più compromettente…il tutto davanti ai miei occhi. Poi d’improvviso le liquidava con una scusa e cominciava ad inveire contro di loro, ragazzine o donne che fossero, definendole con tono sprezzante “tutte uguali”. Fraintendeva maliziosamente ogni frase che pronunciavano, e se ne serviva per offendere l’universo femminile in generale… Io non capivo perché si comportasse in quel modo. E  pensare che quel lavoro rappresentava la sua più grande passione…

Era sempre insoddisfatto, ce l’aveva con il mondo intero, vedeva dappertutto qualcosa di negativo, ed io ci ho messo un bel po' a rendermi conto che era lui invece ad avere il cuore colmo di cattiveria.
Anche con me si comportava in maniera insolita. Ogni giorno faceva dei discorsi strani; era sospettoso di tutto, anche della mia stessa spensieratezza… era come se gli desse fastidio.

Una delle frasi più inquietanti che mi disse fu: “Mary, scappa via da me, finché sei in tempo…”. In quel momento non diedi importanza alle sue strane parole, gli sorrisi, e con tono ironico gli chiesi cosa intendesse dire. Mi rispose con una frase che mi lasciò senza parole: “Ascolta. Quando una COSA è mia, guai a chi
me la tocca! Ed io sto cominciando a sentirti mia… Se vuoi, sei ancora in tempo ad allontanarti da me, ma non per molto, ancora”. Ahimè, avrei dovuto dare ascolto a quelle parole che erano forse state dettate
da una sorta di sincera preoccupazione, dalla paura di ferirmi. Ma io le interpretai come scarsa autostima, e mi suscitarono, invece, una gran tenerezza. Del resto, ci avevo messo poco ad affezionarmi a lui, e non trovavo avesse senso allontanarmene all'improvviso, e con dolore, solo per via di quella frase. Finii per rassicurarlo, dicendogli che ero ben felice che mi considerasse “sua” e che era esattamente ciò che desideravo. E forse, fu proprio in quel momento, che gli diedi inconsciamente il permesso di trattarmi come un oggetto, senza
sentimenti, passioni, esigenze, sensazioni di ogni tipo. La mia personalità fu colpita duramente, in ogni suo aspetto. Quando cominciai a rendermi conto di quanto fosse dannosa per me la relazione con lui, era già troppo tardi: oramai me n’ero innamorata, e quei sentimenti mi avevano fatto perdere ogni sorta di lucidità. Gli perdonavo ogni piccolo gesto con il quale mi feriva, ogni atteggiamento freddo, ogni mancanza di rispetto.
Non aveva, evidentemente, una gran considerazione delle donne, e questo lo spingeva ad essere diffidente nei miei confronti. Quella che credevo fosse sana gelosia divenne, ben presto, ossessiva possessione.

Detestava il mio lavoro in palestra, perché riteneva che attirasse troppi sguardi maschili su di me. Gli dava fastidio che avessi degli amici, considerandoli solo degli spasimanti mascherati, che si spacciavano per miei compagni, malgrado li conoscesse uno per uno… Aveva da ridire persino sul fatto che avessi amiche
donne, considerandole minacciose per il nostro rapporto a causa del loro stato libero. Pretendeva che le allontanassi così, improvvisamente, e senza dare loro spiegazioni. Ormai dovevo trascorrere ogni minuto del mio tempo da sola con lui, oppure chiusa in casa, senza poter fare vita sociale di alcun genere.
Non capivo perché avesse un carattere così difficile, trovavo il suo atteggiamento fuori luogo e fuori tempo, ma cercavo ugualmente di assecondarlo, di non farlo insospettire, o arrabbiare, inutilmente. Del resto, non
avevo nulla da nascondere, ed ero disposta ad andargli incontro…
In realtà, però, lentamente la mia voglia di vivere andava spegnendosi giorno dopo giorno. Avevo perso l’entusiasmo per le piccole cose. Dovevo riflettere bene su ognuno dei miei spontanei atteggiamenti, chiedendomi puntualmente se avrebbero potuto in qualche modo infastidirlo.

Le mie giornate erano diventate tutte uguali, monotone, non potevo cercare un’amica, incontrarla per prendere un caffè insieme, non potevo uscire più senza di lui, neppure per fare delle commissioni. Andavo in palestra carica di ansia, non vedevo l’ora di uscire per chiamarlo e rassicurarlo dicendogli di essere a casa, o che nessuno mi avesse rivolto la parola…Una sensazione soffocante, che mi stava portando ad allontanarmi da quella che fino ad allora era stata la mia più grande passione, o peggio ancora, ad allontanarmi da me
stessa e da quello che ero. Mi guardavo allo specchio e non mi piacevo più, non ero più orgogliosa di me.
A causa sua non mi sentivo più gratificata dal mio lavoro, né dall'amicizia delle persone a cui tanto tenevo. Quelle stesse persone stentavano a riconoscermi come la ragazza solare e allegra di sempre. Non avevo più negli occhi la carica, la “gioia di esserci” che mi aveva contraddistinto fino ad allora.
E tutto questo rappresentava solo uno degli aspetti negativi del nostro rapporto.

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