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sabato 20 novembre 2010

Non farlo (Storia di un aborto) - Quarta parte

Continuiamo a leggere la testimonianza anonima di un aborto che invita alla riflessione all'esortazione più importante: "non farlo!". Oggi vediamo i pensieri autodistruttivi della protagonista che si rende conto di essersi annientata dinanzi alla prepotenza del suo uomo:

Oramai avevo ceduto. Mi sentivo completamente sua, nel corpo e nell’anima. Non avevo più una mia personalità, un’indipendenza, una dignità. Nella mia testa percepivo spesso l’eco di quelle parole: “Scappa, finché sei in tempo…”. Parole che, piano piano, stavano acquistando un significato sinistro…
Trascorrevamo moltissimo tempo insieme. Io non riuscivo più a fare a meno della sua presenza. Mi sentivo persa senza la sua “guida”, come avessi perduto la capacità di gestire anche la mia quotidianità. Ma stare assieme a lui significava litigare continuamente, per ragioni tanto ridicole, che il giorno dopo facevo fatica a ricordare quali fossero. Ogni volta che ero assieme a lui mi sentivo nervosa, come se fossi sotto esame: mi controllava il cellulare, pretendeva che gli raccontassi cosa avessi fatto in sua assenza, e puntualmente
finiva per fare insinuazioni assurde, convincendosi ad esempio della ricezione da parte mia di chiamate misteriose, in seguito cancellate, o roba di questo genere. Era paranoico.
Spesso io restavo in casa, quando non ci vedevamo, per paura di uscire anche a fare la spesa e dover sentire i suoi rimproveri inverosimili. O peggio ancora, nel dubbio che potessi incontrare qualcuno con cui dovermi fermare a scambiare cortesemente due parole. La mia vita somigliava sempre più ad un incubo.
D’altra parte quando non eravamo insieme anch’io avevo cominciato a fare strani pensieri. Mi ripetevo che se era così diffidente nei miei confronti, evidentemente sapeva di non essere molto corretto lui stesso; ma ero già fin troppo stressata per mettermi a pensare anch’io queste cose e rischiare di diventare ossessionante e odiosa come lui. Provavo un sentimento ambivalente nei suoi confronti: una parte di me lo detestava, un’altra lo idolatrava quasi!
A volte mi fermavo a riflettere sul suo modo di pensare e di agire nei miei confronti. Mi colpevolizzavo perché giungevo alla conclusione che fossi io a spingerlo a trattarmi con tale diffidenza e prepotenza… Cercavo di rivedere il mio comportamento, ma lui non cambiava, rimanendo sempre la persona fredda e possessiva che avevo conosciuto…
Allora cominciavo a chiedermi perché, io, a mia volta, fossi così idiota da accettare simili, quotidiane umiliazioni da una persona che non aveva alcun rispetto di me. La mia autostima aveva subito, inavvertitamente, un colpo
estremamente duro. In realtà tuttora non capisco come abbia potuto accettare tanta prepotenza. L’unica spiegazione plausibile era che i miei sentimenti, evidentemente profondi, avevano annullato la mia capacità di discernere il bene dal male, l’amore dalla gelosia morbosa, il rispetto dall’ossessività…
Ripensando al circolo vizioso nel quale ero precipitata, mi rendo conto di quanto tutto fosse squallido: tutto ora è così chiaro… Così come tutto allora mi appariva paradossalmente ovvio, persino giusto… Ma il tempo e il dolore mi hanno restituito una spietata lucidità: mi hanno bruscamente rivelato il carattere illusorio di una sensazione, il devastante senso di miseria e abiezione che circondava le mie giornate di allora, e improvvisamente mi sembra fin troppo chiaro. “Come ho fatto a non capire… come ho fatto?”, continuo a domandare a me stessa. Non c’è risposta razionale che si possa trovare a una domanda così banale e al contempo così profonda. Soprattutto se chiudo gli occhi e ripenso al dolore che mi procurava la sua
freddezza, persino nei momenti d’intimità…Un’intimità pretesa, esplicitamente richiesta, spesso senza alcun tatto. Dolore, rabbia, frustrazione, senso d’impotenza è quello che mi resta nel cuore dopo un’esperienza così brutale. Non avrei dovuto permettere né a lui né a nessun altro di trattarmi in questo modo, di strapparmi ogni spontaneità, ogni tenerezza dall’anima, ogni desiderio di amore puro e platonico, come avevo sempre sognato. Sentivo di aver perduto, ormai per sempre, la gioia di vivere e la possibilità di provare un amore pulito, un sentimento delicato. Il mio mondo interiore, così ricco di colori fino ad allora, di colpo era diventato buio e tetro. Avevo perso la chiave che conduceva al mio cuore, alla mia essenza, alla freschezza dei miei gesti più consueti. Non avevo più nulla dentro, ero profondamente inaridita dalla sua impressionante brutalità.
Ma lo giustificavo, pur senza trovare motivazioni reali. Continuavo a ripetermi che non siamo tutti uguali, che non aveva importanza il fatto che non fosse tenero con me, perché ognuno dimostra i propri sentimenti a suo modo, e quindi, tutto sommato, non c’era niente di male.
Mi rimproveravo persino di essere sempre la solita romantica fuori dal mondo, che doveva crescere e diventare realista. Tutti questi pensieri autodistruttivi venivano elaborati dalla mia mente per assecondare i suoi istinti più bassi, senza minimamente pensare alle conseguenze che mi avrebbe procurato il suo atteggiamento, e soprattutto la mia preoccupante reazione.

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