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martedì 19 aprile 2011

Riscoprire i Santi - Santa Veronica Giuliani

Torna anche per questo martedì, l'appunto settimanale volto alla scoperta dei nostri cari Santi! Essendo nella Settimana Santa, non potevamo non soffermarci su Santa Veronica Giuliani che rappresenta una Santa vergine che corrispose alla Passione di Gesù Cristo. La sua vita è davvero ricca di manifestazioni chiaramente sovrannaturali, sin dalla primissima infanzia: e questo ci fa comprendere come Gesù l'avesse scelta prima ancora di venire al mondo. Scopriamo il mistero della sua esistenza così devota a Cristo (al punto da arrecarsi volontariamente dolore per condividere le sofferenze del Signore) con il consueto tratto biografico (tratto dal sito Santi & Beati), seguito da alcune brevi riflessioni della Santa, sulla Passione di nostro Signore Gesù Cristo:

 
Questa straordinaria mistica è nata il 27-12-1660 a Mercatello sul Metauro, nella diocesi di Urbania (Pesaro), dal capitano Francesco e da Benedetta Mancini. La sua vita fu un susseguirsi di meraviglie. Battezzata con il nome di Orsola, a soli cinque mesi prese a camminare da sola per recarsi a venerare un quadro raffigurante la SS. Trinità. Non aveva ancora sette mesi quando ammonì un negoziante poco onesto: "Fate la giustizia, che Dio vi vede". A due o tre anni cominciò a godere delle frequenti visioni di Gesù e Maria, che le sorridevano e rispondevano dalle immagini appese alle pareti di casa mentre ella esclamava: "Gesù bello! Gesù caro! Io ti voglio tanto bene". Durante la Messa, al momento dell'elevazione, nell'ostia vedeva quasi sempre Gesù che l'invitava a sé. "Oh, bello!... Oh, bello!..." gridava la piccina, e si slanciava verso l'altare. Quando il sacerdote portò il viatico a sua madre, Orsola vide l'ostia sfolgorante di luce. A mani giunte supplicò: "Date anche a me Gesù".
Appena la morente si comunicò, le si pose accanto, sul letto, esclamando:
"Oh, che cosa bella avete voi avuto, mamma! Oh, che odore di Gesù!". Prima di morire la pia genitrice chiamò le sue cinque figlie attorno a sé e a ciascuna assegnò una piaga del crocifisso come rifugio e oggetto particolare di devozione. Ad Orsola, di sei anni, toccò quella del S. Cuore.
Nella fanciullezza, sentendo leggere la vita dei martiri, la santa concepì grande desiderio di patire per amore di Gesù. Una volta mise di proposito una manina nel fuoco di uno scaldino e se la scottò tutta senza versare lacrime. Si disciplinava con una grossa corda; camminava sulle ginocchia; disegnava croci in terra con la lingua; stava lungamente a braccia aperte in forma di croce; si pungeva con gli spini; si costruiva croci sproporzionate alle sue spalle, bramosa di fare tutto quello che aveva fatto il Signore il quale, nella settimana santa, le si faceva vedere coperto di piaghe.
Per amor di Dio, Orsola aveva compassione dei poverelli ai quali donava generosamente quello di cui disponeva. Scriverà più tardi: "Mi pareva di vedere nostro Signore, quando vedevo essi". Col passare degli anni crebbe in lei sempre più la brama di fare la prima Comunione. Supplicava Maria SS.: "Datemi cotesto vostro Figlio nel cuore!... io sento che non posso stare senza di Lui!" Fu soddisfatta il 2-2-1670 a Piacenza, dove suo padre si era trasferito in qualità di Sopraintendente alle Finanze presso la corte del Duca Ranunzio II. Gesù allora le disse: "Pensa a me solo! Tu sarai la mia sposa diletta!". Ma come lasciare il mondo se la sua bellezza le attirava le più vive simpatie di giovani distinti? Al babbo che l'adorava un giorno disse: "Come posso ubbidirvi, se il Signore mi vuole sua sposa?... Anch'Egli è mio padre, e Padre supremo. Non solo gli debbo ubbidire io, ma ancor voi".
Dopo aver mutato il nome di Orsola in Veronica, il 17-7-1677 riuscì a entrare, diciassettenne, nel monastero delle Cappuccine di Città di Castello (Perugia). E impossibile descrivere il cumulo di grazie, doni, privilegi, visioni, estasi, carismi singolari che Dio elargì incessantemente alla sua "diletta". I fenomeni mistici che in lei si verificarono furono controllati a lungo e severamente dalle autorità competenti. Dal 1695 al 27-2-1727, nonostante la grandissima ripugnanza che provava, la santa scrisse, senza rileggerle, in un Diario le fasi e le esperienze della sua vita interiore per obbedienza al vescovo, Mons. Eustachi, e al confessore del monastero, il P. Ubaldo Antonio Cappelletti, filippino. Riempì 21.000 pagine raccolte in 44 volumi, pubblicati dal 1895 al 1928 dal P. Luigi Pizzicarla SJ., con versioni in francese e spagnolo.
Dopo che Gesù elevò Suor Veronica al suo mistico sposalizio, fu soddisfatta nella sua ardente brama di patire per Lui. In modo misterioso, ma reale e visibile, sperimentò a uno a uno tutti i martiri e gli oltraggi della sua Passione. Di continuo esclamava: "Le croci e i patimenti son gioie e son contenti". Giunse a dire: "Né patire, né morire, per più patire". Accoratamente diceva a Gesù: "Sitio! Sitio! Ho sete non di consolazioni, ma di amaritudine e di patimenti". Si può dire che fin dall'infanzia pregasse: "Sposo mio, mio caro bene, crocifiggetemi con Voi! Fatemi sentire le pene e i dolori dei vostri santi piedi e delle vostre sante mani... Più non tardate! Passate da parte a parte questo mio cuore".
Nel 1694 divenne maestra delle novizie e ricevette nel capo l'impressione delle spine. Dopo tre anni di digiuno a pane e acqua, il venerdì santo del 1697 le apparvero le stimmate e nel cuore ebbe impressi gli strumenti della Passione. "In un istante, scrisse la santa, vidi uscire dalle sue santissime piaghe cinque raggi splendenti; tutti vennero alla mia volta; e io vedevo i detti raggi divenire come piccole fiamme. In quattro vi erano i chiodi e in uno la lancia d'oro, ma tutta infuocata, e mi passò il cuore da banda a banda, e i chiodi passarono le mani e i piedi". Per questo soffriva talmente, anche in modo visibile agli altri, che veniva chiamata la "sposa del crocifisso".
Il vescovo di Città di Castello, al corrente dei fenomeni soprannaturali che avvenivano in Suor Veronica, dopo un rapporto al S. Ufficio, ricevette istruzioni che applicò con la più grande severità. Accompagnato da sacerdoti sperimentati, si recò nel monastero e si convinse della realtà delle stimmate. Alcuni medici ne curarono le ferite per sei mesi. Dopo ogni medicazione le mettevano guanti alle mani muniti di sigilli. Ma le ferite, invece di guarire, s'ingrandivano di più. La badessa ricevette dal vescovo ordini destinati a provare la pazienza, l'umiltà e l'obbedienza della santa nella maniera più sensibile. Le fu tolto l'ufficio di maestra delle novizie; fu dichiarata scaduta dal diritto di voto attivo e passivo; le fu proibita ogni relazione con le altre suore; colpita da interdetto non fu più ammessa all'ufficio in coro né alla santa Messa; fu privata persino della Comunione e per cinquanta giorni fu chiusa in una cella simile ad una prigione. Insomma, di proposito, fu trattata come una folle, una simulatrice e una bugiarda. Il Vescovo al S. Ufficio non poté fare altro che scrivere: "Veronica obbedisce ai miei ordini nella maniera più esatta e non mostra, riguardo a questi duri trattamenti, il più leggero segno di tristezza, ma al contrario, una tranquillità indescrivibile e un umore gioioso".
A queste sofferenze univa di continuo indicibili penitenze, accesissime preghiere per la conversione dei peccatori. "M'ha costituita mediatrice fra Lui e i peccatori. Questo è il primo offizio che Iddio mi ha dato" scriveva. Continui suffragi offriva alle anime dei defunti. Confidò nel Diario: "Mi ha promesso Iddio la grazia di liberare quante anime voglio dal Purgatorio". Aveva continuamente presenti al suo spirito pure i bisogni di tutta la Chiesa e specialmente dei sacerdoti.
 Sottomessa sempre in vita ai superiori, la santa volle morire il 9-7-1727, dopo 33 giorni di malattia, appena il confessore, il P. Guelfi, le disse: "Suor Veronica, se è volontà di Dio che l'ordine del suo ministro intervenga in quest'ora suprema, vi comando di rendere lo spirito". Quando morì era badessa da undici anni. Nel suo cuore verginale furono trovati scolpiti gli emblemi della passione così come li aveva descritti e persino disegnati per ordine del confessore. Il suo corpo è venerato sotto l'altare maggiore della chiesa delle Cappuccine in Città di Castello. Pio VII la beatificò il 18-6-1804 e Gregorio XVI la canonizzò il 26-5-1839.
Autore: Guido Pettinati

RIFLESSIONI DI SANTA VERONICA GIULIANI

"Nel fine della sua vita, approssimandosi il tempo della Sua morte, non gli dava cuore di lasciarci, e trovò un'invenzione amorosa, per poter sempre restare con noi, con lasciarci Se stesso per cibo delle anime nostre". "A nostro pro". “Vera medicina per i nostri mali: se siamo deboli ci dà forza, se siamo freddi ci riscalda, se siamo afflitti ci consola”. "Noi accostandoci al fonte e, per dir meglio, al mare immenso del divinissimo Sacramento, ogni qual volta ci accostiamo con fede, con amore e con purità, l'anima nostra si intrinseca in Dio e fa come, per esempio, il pesce in mezzo al mare. O Dio! Ella sta in mezzo a questo divinissimo mare. Ove si volta, ove sta, ove si posa, tutto è Dio; e questo Dio arricchisce siffattamente le anime nostre delle Sue grazie e doni, che ogni comunione fa che l'anima nostra faccia sempre passi da gigante nella perfezione". "Il nostro cuore divien tempio della SS. Trinità".

"Arrivato al Calvario, (i carnefici) spogliatolo delle sue vesti, gli rinnovarono tutte le piaghe, e poi, gli cavarono la corona di spine, e gliela rimisero con doppio patire". "Patì (molto) quando (i suoi crocifissori) rivoltarono la croce sossopra per ribattere i chiodi" "che gli avevano messi nelle mani e piedi". I crocifissori "misero la croce in quella buca e la calarono giù" "con tale empietà", "che in quell'istante si rinnovarono nel corpo di Gesù tutte le pene. Si strapparono i nervi", e "si riaprirono tutte le piaghe". "Stando sulla croce, il suo Cuore Santissimo provò tutti i tormenti che ebbe l'Umanità Sua, ed anche sentì in sé tutte le pene e i dolori della Sua Santissima Madre; e tutti quelli che dovevano patire i suoi Eletti". "Mentre stava sulla croce... il maggior patire che (ebbe fu) quell'abbandono interno. Le pene, la croce, i chiodi, erano come delizie al pari delle pene che pari nel suo interno". "Ebbene che vuoi più di quello che io faccio per te? Eccomi confitto in questa croce, per tuo amore". "L'Umanità Santissima... stava tutta attenta per offrire per noi tutta se stessa; e con che amore lo faceva! Questo fu tanto ardente, che lo dimostrò in tutto, specialmente però, pregando il Suo Eterno Padre, perché volesse perdonare a quelli medesimi carnefici, con scusargli, che non sapevano che cosa si facessero". "Sotto la croce... (Maria Santissima pari molto) nel vedere il Suo amato Figlio... pendente in croce. Ella partecipava dei medesimi tormenti, non per via dei carnefici, come Gesù, ma ... per via di amore e di dolore ... Il Cuore di Gesù, e il Cuore di Maria stavano ambedue uniti in pena ed in amore, e si offrivano a Dio Padre, per tutti noi mortali".

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