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mercoledì 25 agosto 2010

Fides et ratio - I differenti volti della verità dell'uomo

Torna l'appuntamento settimanale con la Lettera Enciclica del Venerabile Giovanni Paolo II "Fides et Ratio", per riflettere sui rapporti tra fede e ragione:

CAPITOLO III

INTELLEGO UT CREDAM

I differenti volti della verità dell'uomo

28. Non sempre, è doveroso riconoscerlo, la ricerca della verità si presenta con una simile trasparenza e consequenzialità. La nativa limitatezza della ragione e l'incostanza del cuore oscurano e deviano spesso la ricerca personale. Altri interessi di vario ordine possono sopraffare la verità. Succede anche che l'uomo addirittura la sfugga non appena comincia ad intravederla, perché ne teme le esigenze. Nonostante questo, anche quando la evita, è sempre la verità ad influenzarne l'esistenza. Mai, infatti, egli potrebbe fondare la propria vita sul dubbio, sull'incertezza o sulla menzogna; una simile esistenza sarebbe minacciata costantemente dalla paura e dall'angoscia. Si può definire, dunque, l'uomo come colui che cerca la verità.

29. Non è pensabile che una ricerca così profondamente radicata nella natura umana possa essere del tutto inutile e vana. La stessa capacità di cercare la verità e di porre domande implica già una prima risposta. L'uomo non inizierebbe a cercare ciò che ignorasse del tutto o stimasse assolutamente irraggiungibile. Solo la prospettiva di poter arrivare ad una risposta può indurlo a muovere il primo passo. Di fatto, proprio questo è ciò che normalmente accade nella ricerca scientifica. Quando uno scienziato, a seguito di una sua intuizione, si pone alla ricerca della spiegazione logica e verificabile di un determinato fenomeno, egli ha fiducia fin dall'inizio di trovare una risposta, e non s'arrende davanti agli insuccessi. Egli non ritiene inutile l'intuizione originaria solo perché non ha raggiunto l'obiettivo; con ragione dirà piuttosto che non ha trovato ancora la risposta adeguata.

La stessa cosa deve valere anche per la ricerca della verità nell'ambito delle questioni ultime. La sete di verità è talmente radicata nel cuore dell'uomo che il doverne prescindere comprometterebbe l'esistenza. E sufficiente, insomma, osservare la vita di tutti i giorni per costatare come ciascuno di noi porti in sé l'assillo di alcune domande essenziali ed insieme custodisca nel proprio animo almeno l'abbozzo delle relative risposte. Sono risposte della cui verità si è convinti, anche perché si sperimenta che, nella sostanza, non differiscono dalle risposte a cui sono giunti tanti altri. Certo, non ogni verità che viene acquisita possiede lo stesso valore. Dall'insieme dei risultati raggiunti, tuttavia, viene confermata la capacità che l'essere umano ha di pervenire, in linea di massima, alla verità.

30. Può essere utile, ora, fare un rapido cenno a queste diverse forme di verità. Le più numerose sono quelle che poggiano su evidenze immediate o trovano conferma per via di esperimento. E questo l'ordine di verità proprio della vita quotidiana e della ricerca scientifica. A un altro livello si trovano le verità di carattere filosofico, a cui l'uomo giunge mediante la capacità speculativa del suo intelletto. Infine, vi sono le verità religiose, che in qualche misura affondano le loro radici anche nella filosofia. Esse sono contenute nelle risposte che le varie religioni nelle loro tradizioni offrono alle domande ultime.(27)

Quanto alle verità filosofiche, occorre precisare che esse non si limitano alle sole dottrine, talvolta effimere, dei filosofi di professione. Ogni uomo, come già ho detto, è in certo qual modo un filosofo e possiede proprie concezioni filosofiche con le quali orienta la sua vita. In un modo o in un altro, egli si forma una visione globale e una risposta sul senso della propria esistenza: in tale luce egli interpreta la propria vicenda personale e regola il suo comportamento. E qui che dovrebbe porsi la domanda sul rapporto tra le verità filosofico-religiose e la verità rivelata in Gesù Cristo. Prima di rispondere a questo interrogativo è opportuno valutare un ulteriore dato della filosofia.

31. L'uomo non è fatto per vivere solo. Egli nasce e cresce in una famiglia, per inserirsi più tardi con il suo lavoro nella società. Fin dalla nascita, quindi, si trova immerso in varie tradizioni, dalle quali riceve non soltanto il linguaggio e la formazione culturale, ma anche molteplici verità a cui, quasi istintivamente, crede. La crescita e la maturazione personale, comunque, implicano che queste stesse verità possano essere messe in dubbio e vagliate attraverso la peculiare attività critica del pensiero. Ciò non toglie che, dopo questo passaggio, quelle stesse verità siano « ricuperate » sulla base dell'esperienza che se ne è fatta, o in forza del ragionamento successivo. Nonostante questo, nella vita di un uomo le verità semplicemente credute rimangono molto più numerose di quelle che egli acquisisce mediante la personale verifica. Chi, infatti, sarebbe in grado di vagliare criticamente gli innumerevoli risultati delle scienze su cui la vita moderna si fonda? Chi potrebbe controllare per conto proprio il flusso delle informazioni, che giorno per giorno si ricevono da ogni parte del mondo e che pure si accettano, in linea di massima, come vere? Chi, infine, potrebbe rifare i cammini di esperienza e di pensiero per cui si sono accumulati i tesori di saggezza e di religiosità dell'umanità? L'uomo, essere che cerca la verità, è dunque anche colui che vive di credenza.

32. Nel credere, ciascuno si affida alle conoscenze acquisite da altre persone. E ravvisabile in ciò una tensione significativa: da una parte, la conoscenza per credenza appare come una forma imperfetta di conoscenza, che deve perfezionarsi progressivamente mediante l'evidenza raggiunta personalmente; dall'altra, la credenza risulta spesso umanamente più ricca della semplice evidenza, perché include un rapporto interpersonale e mette in gioco non solo le personali capacità conoscitive, ma anche la capacità più radicale di affidarsi ad altre persone, entrando in un rapporto più stabile ed intimo con loro.

E bene sottolineare che le verità ricercate in questa relazione interpersonale non sono primariamente nell'ordine fattuale o in quello filosofico. Ciò che viene richiesto, piuttosto, è la verità stessa della persona: ciò che essa è e ciò che manifesta del proprio intimo. La perfezione dell'uomo, infatti, non sta nella sola acquisizione della conoscenza astratta della verità, ma consiste anche in un rapporto vivo di donazione e di fedeltà verso l'altro. In questa fedeltà che sa donarsi, l'uomo trova piena certezza e sicurezza. Al tempo stesso, però, la conoscenza per credenza, che si fonda sulla fiducia interpersonale, non è senza riferimento alla verità: l'uomo, credendo, si affida alla verità che l'altro gli manifesta.

Quanti esempi si potrebbero portare per illustrare questo dato! Il mio pensiero, però, corre direttamente alla testimonianza dei martiri. Il martire, in effetti, è il più genuino testimone della verità sull'esistenza. Egli sa di avere trovato nell'incontro con Gesù Cristo la verità sulla sua vita e niente e nessuno potrà mai strappargli questa certezza. Né la sofferenza né la morte violenta lo potranno fare recedere dall'adesione alla verità che ha scoperto nell'incontro con Cristo. Ecco perché fino ad oggi la testimonianza dei martiri affascina, genera consenso, trova ascolto e viene seguita. Questa è la ragione per cui ci si fida della loro parola: si scopre in essi l'evidenza di un amore che non ha bisogno di lunghe argomentazioni per essere convincente, dal momento che parla ad ognuno di ciò che egli nel profondo già percepisce come vero e ricercato da tanto tempo. Il martire, insomma, provoca in noi una profonda fiducia, perché dice ciò che noi già sentiamo e rende evidente ciò che anche noi vorremmo trovare la forza di esprimere.

33. Si può così vedere che i termini del problema vanno progressivamente completandosi. L'uomo, per natura, ricerca la verità. Questa ricerca non è destinata solo alla conquista di verità parziali, fattuali o scientifiche; egli non cerca soltanto il vero bene per ognuna delle sue decisioni. La sua ricerca tende verso una verità ulteriore che sia in grado di spiegare il senso della vita; è perciò una ricerca che non può trovare esito se non nell'assoluto.(28) Grazie alle capacità insite nel pensiero, l'uomo è in grado di incontrare e riconoscere una simile verità. In quanto vitale ed essenziale per la sua esistenza, tale verità viene raggiunta non solo per via razionale, ma anche mediante l'abbandono fiducioso ad altre persone, che possono garantire la certezza e l'autenticità della verità stessa. La capacità e la scelta di affidare se stessi e la propria vita a un'altra persona costituiscono certamente uno degli atti antropologicamente più significativi ed espressivi.

Non si dimentichi che anche la ragione ha bisogno di essere sostenuta nella sua ricerca da un dialogo fiducioso e da un'amicizia sincera. Il clima di sospetto e di diffidenza, che a volte circonda la ricerca speculativa, dimentica l'insegnamento dei filosofi antichi, i quali ponevano l'amicizia come uno dei contesti più adeguati per il retto filosofare.

Da quanto ho fin qui detto, risulta che l'uomo si trova in un cammino di ricerca, umanamente interminabile: ricerca di verità e ricerca di una persona a cui affidarsi. La fede cristiana gli viene incontro offrendogli la possibilità concreta di vedere realizzato lo scopo di questa ricerca. Superando lo stadio della semplice credenza, infatti, essa immette l'uomo in quell'ordine di grazia che gli consente di partecipare al mistero di Cristo, nel quale gli è offerta la conoscenza vera e coerente del Dio Uno e Trino. Così in Gesù Cristo, che è la Verità, la fede riconosce l'ultimo appello che viene rivolto all'umanità, perché possa dare compimento a ciò che sperimenta come desiderio e nostalgia.

34. Questa verità, che Dio ci rivela in Gesù Cristo, non è in contrasto con le verità che si raggiungono filosofando. I due ordini di conoscenza conducono anzi alla verità nella sua pienezza. L'unità della verità è già un postulato fondamentale della ragione umana, espresso nel principio di non-contraddizione. La Rivelazione dà la certezza di questa unità, mostrando che il Dio creatore è anche il Dio della storia della salvezza. Lo stesso e identico Dio, che fonda e garantisce l'intelligibilità e la ragionevolezza dell'ordine naturale delle cose su cui gli scienziati si appoggiano fiduciosi,(29) è il medesimo che si rivela Padre di nostro Signore Gesù Cristo. Quest'unità della verità, naturale e rivelata, trova la sua identificazione viva e personale in Cristo, così come ricorda l'Apostolo: « La verità che è in Gesù » (Ef 4, 21; cfr Col 1, 15-20). Egli è la Parola eterna, in cui tutto è stato creato, ed è insieme la Parola incarnata, che in tutta la sua persona (30) rivela il Padre (cfr Gv 1, 14.18). Ciò che la ragione umana cerca « senza conoscerlo » (cfr At 17, 23), può essere trovato soltanto per mezzo di Cristo: ciò che in Lui si rivela, infatti, è la « piena verità » (cfr Gv 1, 14-16) di ogni essere che in Lui e per Lui è stato creato e quindi in Lui trova compimento (cfr Col 1, 17).

35. Sullo sfondo di queste considerazioni generali, è necessario ora esaminare in maniera più diretta il rapporto tra la verità rivelata e la filosofia. Questo rapporto impone una duplice considerazione, in quanto la verità che ci proviene dalla Rivelazione è, nello stesso tempo, una verità che va compresa alla luce della ragione. Solo in questa duplice accezione, infatti, è possibile precisare la giusta relazione della verità rivelata con il sapere filosofico. Consideriamo, pertanto, in primo luogo i rapporti tra la fede e la filosofia nel corso della storia. Da qui sarà possibile individuare alcuni principi, che costituiscono i punti di riferimento a cui rifarsi per stabilire il corretto rapporto tra i due ordini di conoscenza.

 
 

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